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Bizzarri incontri

-Non fate movimenti bruschi- mormorò Lestrade, alzandosi cautamente, i palmi avanti in gesto di resa verso le piccole creature, che li fissavano con gli occhi scuri come capocchie di spillo.
-Sembrano... carini, tutto sommato-azzardò Molly, sorridendo ad una di esse, che la guardava inclinando di lato la testolina pelosa, più incuriosita che ostile, nonostante la lancia appuntita che stringeva tra le zampe. -Forse sono solo spaventati dalla nostra presenza.
-‎Bè, anch'io lo sono!-intervenne John, con una certa asprezza nella voce, mentre una delle creature lo punzecchiava con la punta della lancia sul petto, forse allarmata dal suo tono aggressivo: il pilota notò solo in quel momento che esse indossavano una sorta di brandello di tessuto sulla testa a mo' di copricapo, e una cintura rudimentale da cui pendevano dei pugnali. Voltò lo sguardo verso il generale, e lo vide intento ad avvicinare con estrema lentezza la mano al comunicatore che teneva legato alla cintola.
-No!- fece, a bassa voce, e lui si immobilizzò, guardandolo interrogativo.-Non sappiamo quanti ce ne siano. E non possiamo mettere in pericolo l'intera squadra. Sherlock, forse dovresti usare qualche tuo trucco mentale e...
Ma si interruppe, quando vide che il contrabbandiere sfoggiava un inspiegabile sorriso soddisfatto.
-Ora capisco perché mi sembrava familiare, questo posto...
Così dicendo, con grande stupore dei suoi amici, avanzò cauto ma con sicurezza verso la creatura che gli puntava l'arma contro, e che non appena mosse un passo si affrettò subito a minacciarlo, emettendo versi acuti e altri gutturali.
Ma lui alzò le mani in un gesto che voleva essere tranquillizzante, per poi  rispondere alla creatura nel suo medesimo idioma, con stupore evidente di John e di tutta la squadra.
Le creature inclinarono la testa di lato, e sembrarono anche loro sorprese e incuriosite dall'uso della loro lingua da parte di un umano: tuttavia, non accennarono ancora ad abbassare le loro primitive armi.
Sherlock, incredibile ma vero, si limitò ad emettere uno sbuffo esasperato, e aggiunse qualcosa sempre in quel bizzarro linguaggio.
A quel punto, una di queste-autoelettasi, a quanto pareva, portavoce-disse qualcosa, e le creature brandirono di nuovo le lance. Ma Sherlock si affrettò ade emettere altri versi, in quello che parve un tono di urgenza.
Le creature, stavolta, si fermarono, ma non abbassarono le lance.
John però, a quel punto, perse la pazienza: quello spettacolino stava durando davvero fin troppo.
-Sherlock, magari potresti spiegarci che cosa diavolo sta...!?
-‎... Rilassati, John. È tutto sotto controllo. Spero...-lo interruppe lui, tranquillamente, indicando le creature ancora sulla difensiva con un cenno del capo.-Questi sono Ewok, una razza primitiva amante della natura. Di solito non sono ostili, ma l'arrivo degli Imperiali sulla loro luna li ha costretti a doversi difendere.
Il biondo lo fissò stupito.
-E tu da quando conosci la loro lingua??
-‎Da sempre. Come contrabbandiere, ho visitato i più lontani sistemi della galassia. Conoscere un idioma o un altro è fondamentale per il mio lavoro.
-‎Bè, spero che tu gli abbia spiegato che noi non siamo dell'Impero!-interloquì Lestrade, nervosamente.
-Certo che l'ho fatto!-ribattè Sherlock, spazientito.-Ma non mi credono. Non del tutto. Per questo ho chiesto che ci conducano dal loro capo.
-‎E perché pensi che lui ti crederà?
Le labbra del contrabbandiere si curvarono in un sorriso.
-Perchè mi conosce. Spero. O almeno, mi conosceva. Tanto tempo fa...

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Gli Ewok condussero Sherlock e gli altri attraverso il fitto bosco: ma, mentre loro spesso si ritrovavano ad inciampare in qualche radice, le creature procedevano spedite, senza alcuna esitazione, nonostante il buio.
Il contrabbandiere gli aveva infatti spiegato che una delle loro caratteristiche principali era proprio la loro capacità di vedere nel buio come i gatti: ma la loro abilità era dovuta anche al fatto che quel luogo era la loro casa, dunque la conoscevano a fondo: ogni sentiero, ogni foglia, ogni ramoscello.
Durante il tragitto, fornì loro altre informazioni sugli Ewok: erano creature profondamente legate alla natura, con un vero e proprio culto degli alberi, dove infatti dimoravano. Generalmente, erano creature pacifiche: ma, all'occorrenza, sapevano essere anche abili guerrieri, seppur con armi primitive come fionde e lance; dunque non dovevano sottovalutarli, nè farsi ingannare dal loro aspetto all'apparenza tenero e innocente.
Quest'ultima precisazione la fece rivolgendo a Molly un'occhiata sarcastica, alludendo al suo commento di poco prima, che aveva definito gli Ewok "carini".
- Bè, di certo non sembrano belve assetate di sangue!- borbottò la ragazza, mentre uno di loro, lo stesso di poco prima, che pareva proprio averla presa particolarmente in simpatia, la fissava ancora coi suoi grandi occhi neri come ossidiana: aveva un'aria tutt'altro che minacciosa.
- L'apparenza spesso inganna, Molly!- la rimproverò Sherlock, con severità.
- ‎Su questo devo darti ragione-ammise lei, incredibilmente.- Quando ti ho incontrato la prima volta, ho pensato che fossi un uomo arrogante, cinico e privo di sentimenti. Quindi, , l'apparenza può ingannare, qualche volta...
Il corvino, a quelle parole, arrossì visibilmente e tacque, rimanendo in silenzio per buona parte del tragitto, mentre la senatrice si tratteneva dal sorridere.
- Uno a zero per Molly-sillabò muto Lestrade a John, senza farsi vedere da Sherlock, con un lieve sogghigno: il pilota strinse le labbra, soffocando le risate.
-Ma quindi, come conosci il loro capo?-gli domandò poi John, mentre continuavano a procedere: gli Ewok, quantomeno, avevano smesso di pungolarli con le lance, ma non avevano abbassato la guardia.
-‎Durante le purghe dell'Imperatore, ho portato come clandestini lui e sua moglie incinta su una luna boscosa, dove sapevo esserci già una piccola tribù di Ewok. Spero sia proprio questa-rispose l'amico, uscendo dal suo mutismo, e guardandosi intorno.-L'unico problema è che non sono certo che fosse proprio questa luna. Ci sono miriadi di sistemi simili a questo. Le tribù di Ewok rimaste sono poche, certo. Ma anche se il loro capo fosse proprio lui, non è affatto detto che si ricordi di me.
-‎Non credo che qualcuno potrebbe mai dimenticarsi di te!-dissero ad una voce John, Molly e Lestrade: ma con un'inflessione affettuosamente ironica nel tono, che portò il contrabbandiere a tendere le labbra in un piccolo sorriso.

Finalmente giunsero al primitivo villaggio, che fece ammutolire per un momento tutti loro: era composto da una serie di piattaforme di legno costruite direttamente sui massicci tronchi degli innumerevoli alberi che li circondavano, proprio come Sherlock li aveva avvertiti: queste erano collegate tra loro da assi-anch'esse di legno- o da ponti di corda.
Le capanne costruite sopra queste strutture erano fatte di cuoio indurito e coperte da tetti di paglia.
Dopo essere passati su varie di queste passerelle-e John, suo malgrado, tremava ogni volta che doveva fare un passo su di esse, cercando di non guardare in basso, considerata l'altezza a cui si trovavano- vennero condotti a quella più grande di tutte, proprio al centro del tronco più arcuato e nodoso: Sherlock stesso, grazie ai suoi poteri, lo sentiva pulsare di vita senza neppure doversi concentrare.
Intorno a loro si era radunata una piccola folla delle pelose creature, che li fissava incuriosita ma anche timorosa. A quel punto-forse avvertito da uno di essi-dalla capanna uscì un altro Ewok, il pelo forse più ingrigito degli altri, con indosso un copricapo di piume multicolori. Di sicuro era il capo della tribù.
In principio, li squadrò tutti con un atteggiamento decisamente ostile: ma quando vide Sherlock, emise degli strani versi acuti; prima verso di lui, poi verso gli Ewok che li circondavano. Ed essi, con grande sollievo di John e degli altri, abbassarono subito le lance, mentre il capo si avvicinava a loro, per poi abbracciare le gambe del contrabbandiere.
A quella scena, John non riuscì a reprimere un sorriso, e notò che anche per Sherlock era lo stesso.
-Che ti dicevo? È impossibile che qualcuno non si ricordi di te...
L'Ewok, d'improvviso, lasciò la presa, e trotterellò verso la sua capanna, per poi uscirne accompagnato da altri cinque Ewok e da una femmina dal pelo beige chiaro- di certo la moglie-che ne teneva in braccio uno più piccolo, dal pelo nero, profondamente addormentato.
Mentre questi lo fissavano curiosi, emise un'altra serie di versi, indicando alternativamente il piccolo, se stesso, la moglie e infine tutti gli altri.
-Che cosa ha detto? - domando il biondo a Sherlock, i cui occhi si erano fatti lucidi di colpo.
-Quello è il sesto figlio che hanno avuto. È appena nato-gli rispose lui, piegando le gambe all'altezza delle creature e indicando il cucciolo di Ewok addormentato, mentre un nodo andava a stringergli la gola. - Anche gli altri sono i suoi figli. Ha detto che, se non fosse stato per me, non sarebbero mai nati e che non avrebbero mai avuto una casa. Questa casa.
Prima che potessero scambiarsi un'altra sola parola, la Ewok si fece avanti e, una volta di fronte al contrabbandiere, gli mostrò il figlio, ed emise versi sommessi ma dolci, porgendoglielo poi in modo dolce ma deciso come solo una madre sa fare.
Il corvino non ebbe neppure il tempo di farsi indietro o di protestare, che si ritrovò il peloso cucciolo tra le braccia: questi, tra l'altro, forse a causa di quel movimento, si era svegliato, gli occhietti neri spalancati fissi su Sherlock. Il quale ricambiò lo sguardo, gli occhi cerulei, se possibile, ancor più lucidi di poco prima, e sulle labbra qualcosa di simile ad un sorriso, ma pieno di commozione.
Di colpo, tutta la famiglia di Ewok lo circondò, emettendo versi di giubilo e aggrappandoglisi chi alle caviglie, chi a un lembo della sua giacca, chi alla vita. Anche gli altri della tribù si unirono, finalmente persuasi.
Il contrabbandiere, però, nonostante l'esuberanza delle creature, seguitò a tenere il piccolo tra le braccia con immensa cautela, sfiorando appena col dito una delle sue piccole zampe, mentre il suo sorriso commosso si allargava.
Quella piccola vita e tutte le altre, forse, non sarebbero neppure esistite, senza il suo intervento. Senza saperlo, aveva cambiato il destino di qualcuno. Forse di molti altri, sparsi per la galassia, a cui aveva prestato aiuto, senza saperlo.
E senza bisogno dei poteri Jedi.
Mentre i suoi amici guardavano commossi la scena, il contrabbandiere avvertì, ancora una volta, quel calore ormai non tanto sconosciuto riscaldargli il cuore.

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Con la situazione ormai chiarita, Lestrade contattò il resto della squadra, fornendo ad Anderson le coordinate via comlink perché li raggiungessero, mentre Sherlock intratteneva una lunga conversazione con il suo amico peloso. L'ostilità iniziale degli Ewok era completamente svanita: questi, infatti, si affrettarono a condurli verso strane amache per farli riposare, per poi fornirgli frutta, erbe, e radici per rifocillarsi; anche la loro squadra fu ben accolta, una volta giunta sul posto.
Molly e John, inoltre, riuscirono finalmente a comunicare con alcuni di loro grazie a BS-221, che conosceva più di sei milioni di forme di comunicazione. Fu proprio il pilota a scoprire, parlando con uno di essi, che l'ingresso principale dell'avamposto imperiale era molto più sorvegliato del previsto: ma l'iniziale sconforto per quella notizia fu stemperato da quello che la creaturina aggiunse subito dopo: esisteva un'entrata segreta dall'altra parte della collina, meno sorvegliata, ma bloccata da una porta magnetica. O almeno, questo lo dedusse dalle parole "Porta di metallo con numeri": erano pur sempre creature primitive...
Dopo aver ricevuto tutte quelle informazioni, il piccolo gruppo di ribelli decise di indire una riunione di emergenza in una delle capanne preparata appositamente per loro.
- Gli Ewok si sono dichiarati più che disponibili a guidarci all'entrata segreta- esordì Sherlock, di fronte agli altri membri della squadra.- C'è solo un problema: per entrare, dovremo hackerare il sistema dell'avamposto. E la porta è sigillata magneticamente.
- ‎Di quello mi occupo io- disse subito Molly, risoluta.
- ‎E noi le faremo da supporto-intervenne John, indicando lui e Lestrade.-Ma incontreremo sicuramente resistenza, una volta entrati.
- Io e la mia squadra siamo già pronti- intervenne Mary, mostrando poi una capiente borsa che aveva portato con sè, sul volto un sorriso feroce.-Una volta dentro, piazzeremo le cariche, e faremo finalmente saltare quel maledetto avamposto, e lo scudo della Morte Nera con lui.
- ‎Ma dobbiamo fare in fretta-si intromise Anderson, chiaramente preoccupato.- Prima che la flotta cominci l'attacco. Altrimenti saranno spacciati, contro la Stazione.
Tutti i presenti annuirono, tesi ma determinati; avevano un piano ben preciso: tutto stava nel farlo funzionare.
Mentre Molly estraeva dalla zaino un portatile, analizzando possibili schemi di hackeraggio, e Lestrade si consultava con Mary per le possibili manovre di intrusione, John notò solo in quel momento che Sherlock, dopo la discussione, era sprofondato in uno strano e lungo silenzio, seduto su un bizzarro tronco nodoso, in angolo lontano della tenda, le mani unite sotto al mento, lo sguardo distante.
-Sherlock... tutto bene?-Gli si avvicinò, preoccupato, e gli strinse piano la spalla: il riccio trasalì, a quel tocco, come se si fosse improvvisamente risvegliato da un sogno ad occhi aperti.
-‎... Sì. Sì, sto bene-mormorò: si alzò lentamente, stringendo per un momento la radice del naso con due dita e strizzando gli occhi.-Devo solo prendere un po' d'aria. Vado a far due passi. Torno subito.
-‎Sei sicuro di star bene?-gli domandò però il biondo di nuovo, dubbioso.
-‎Sì, sto benissimo-ripetè lui, con però più durezza nel tono, e uscì dalla tenda, sotto lo sguardo preoccupato del pilota.

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