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Capitolo 13 - Souls

"Che pensi di fare?"
La domanda di Pixie rimase sospesa nel vuoto, fluttuante come colui che l'aveva posta.
Micaela non rispose, era piena di dubbi e Pixie era al centro di quasi ognuno di essi. "Mi dirai mai il tuo vero nome?" Micaela se ne stava rannicchiata nel suo grande letto, sembrava così piccola.
"Rispondi ad una domanda con un'altra domanda?"
"E tu per quanto pendi di rimanere inconsistente nella realtà che ti circonda?"
La stanza le sembrava così fredda, nonostante le mille coperte che aveva recuperato a giro per casa. Alla fine, aveva ceduto e si era rimessa quella stupida felpa, si era calata su il cappuccio e si era rintanata in nell'odore familiare e maledettamente confortante di William.
Lui è al piano di sopra a leccarsi le ferite dell'orgoglio... potresti salire e parlarci, cercare una spiegazione che non ti sia già data da sola.
Ma non aveva voglia di sentire la sua voce. O meglio aveva voglia di sentirla ma non aveva voglia di discutere, di cedere a quello sguardo.
"Lui è ancora qua?"
Sapeva che Pixie aveva compreso, lui le leggeva dentro senza alcun ritegno, senza remore, come se fosse uno delle sue tante storie che amava tanto riscrivere.
"Certo, credevi che il professor Moriarty fosse una facile preda? Per il cacciatore o per... il suo sicario?"
Micaela aveva notato la piega della voce del folletto nel pronunciare quelle parole.
William, il sicario del cacciatore. Avevano stretto un patto, probabilmente sin dall'inizio ed era stato così abile nel celare quella parte della sua mente dietro una porta che lei scioccamente aveva scelto di lascare chiusa. Si era detta di averlo fatto per lasciargli i suoi spazi privati, ma la verità era che l'aveva spaventava immaginare cosa si potesse celare dietro si esse.
Ormai aveva compreso di non avercela davvero con lui, si sarebbe data dell'ipocrita altrimenti. Non era così sciocca da pensare che William potesse essere solamente quella parte che lui aveva scelto di mostrarle, era più complicato di così, e lo aveva saputo sin dall'inizio. Ma era una persona contorta anche lei, per questo aveva evitato di legarsi agli altri, portava solo altre complicazioni. Inoltre, non voleva più concedersi alcuna emozione. Ne dolore ne piacere, solo il nulla.
In un momento di tristezza aveva persino chiamato Cristina. Dopo quella sera di rivelazioni, tenere fuori William dalla sua mente era stato uno sforzo così snervante. Doveva lottare non solo contro la volontà di lui di far breccia nel muro mentale che si era eretta attorno ma anche contro se stessa. Le mancava percepire il suo cuore vicino al suo. Il suo respiro pesante nel cuore della notte, il suo corpo caldo e avvolgente quando si posizionava sopra di lei come una corazza che teneva fuori tutto il resto.
Lei era stata fredda distaccata. Aveva finto interesse, accampato mille scuse.
La verità era che quel rapporto non aveva più senso di esistere, era semplicemente finito. E lei era stata così sciocca a sperare che ci fosse un motivo. Non c'era, era solo finito e nessuna delle due aveva avuto il coraggio di ammetterlo. Micaela lo sapeva, le era successo più volte. Dopotutto erano solo due passeggeri su quel caotico treno chiamato vita. Avevano passato del tempo assieme, condividendo parte del tragitto. Poi Cristina era semplicemente scesa.
In quel preciso momento il suo viaggio era comparso William. Non un personaggio rinchiuso dietro uno schermo, una persona vera, che aveva vissuto completamente.
Dalla sua fissa per la pulizia, al suo mangiare solo cereali integrali e frutta al mattino.
Al voler prendere il caffè allo stesso bar tutte le mattine, a indossare felpe che lei definiva color verde marcio... Micaela si riscosse, doveva smettere di pensare. Ormai aveva compreso che l'apatia sarebbe stata la migliore scelta.
Quando aveva perso quella dannata lettera, quando le avevano strappato quella speranza aveva iniziato a scegliere l'insensibilità, il nulla. Aveva appena iniziato a divenire dolcemente insensibile quando Pixie era emerso da quel dannato cassettone le aveva donato William. Come un cucciolo con il fiocco in testa. I suoi grandi occhi scuri e quel suo dannato sorriso sarcastico. Stupidamente si era concessa di credere nelle emozioni e nei sogni, come una bambina che crede che la polvere di fate la farà volare. Lo aveva creduto sempre più, stando assieme a lui, percependo il suo calore. Tramite lui si era riavvicinata a Hans, Samuel alle persone che la circondavano e che dopo il 2020 aveva inevitabilmente allontanato. Persino quella dottorina dagli occhi da cerbiatto, quello stupido folletto, si era concessa il beneficio del dubbio che forse i rapporti non erano la cosa più sbagliata del mondo. Così tante anime avevano toccato la sua. Ora basta, doveva sigillarle fuori, ma prima doveva fare un'ultima cosa, prima di abbandonarsi al nulla.
Si mise la giacca e sgattaiolò fuori dalla finestra. Sperava che così lui non la vedesse.
Lo stava evitando da giorni.
Alla fine, sembrava essersi arreso e non stazionava più davanti alla sua porta.
Sembrava appunto, Micaela sapeva bene che William non era il tipo di persona che demordeva.
Forse era arrabbiato anche lui, per la sua totale chiusura. Bene, così poi non desidererà restare e potrà lasciarmi nella mia dolce apatia.
Micaela atterrò sul prato gelato dalla fredda notte. Sorrise, non lo faceva da tanto, da quando da ragazzina sgusciava via dalla casa dei genitori affidatari per andare a rintanarsi nella grande serra all'ombra dell'ospedale, passando dalla breccia nella rete di recinsione. Era stato il suo rifugio per molto e ora era stato violato, dal sangue e dal tradimento. Tornare a non sentire nulla era preferibile. Le emozioni erano un luna park di incertezze.
"Cosa pensi di fare Micaela? Ancora non me lo hai detto..." insistette il folletto fluttuandole appresso, mentre lei accelerava il passo.
Lei sorrise, lui le leggeva la mente eppure adesso voleva che gli esponesse le sue idee, perché quella finzione? Perché voleva sentirsi partecipe?
La breccia era sempre al suo posto, era confortante che certe cose non cambiassero davvero mai.
Entrò nel giardino, la porta della grande serra di vetro era rotta, forse era stato William, forse qualcun'altro, a conoscenza del suo piccolo passaggio segreto. Non importava. Al momento la grande serra era vuota e silenziosa. Avvolta dall'abbraccio della notte.
Il folletto fremeva al suo fianco.
"Convocalo..."
Lui la osservò perplesso ma annuì.
Lei avrebbe voluto dargli una sberla, quando gli aveva chiesto di portarla da William aveva esitato, ma non ci pensava due volte a far apparire il genio del crimine, il ragno tessitore.
E lui emerse dalle ombre, come se esse stesse lo ricostruissero, come ne facesse parte.
Aveva strappato da quella storia Moriarty, o la versione che si era ricreata nella mente.
Un potente stregone, padrone della tenebra e parte di essa.
Lui accennò un mezzo sorriso divertito, i suoi occhi scintillavano predatori in attesa, come se già sapesse quel che lei stava per dire.


Pixie si lasciò andare, librandosi verso il cielo azzurro macchiato di rosso, una nuova alba su quel mondo opaco. Sentiva la risata del Cacciatore echeggiare nella sua mente.
"Hai fallito, povero sciocco... Lui non è altro che una linea di trama, una traccia... Non ha un'anima... Non è reale... Lo userò ancora un po' e poi me ne sbarazzerò. Cancellando anche questa tua nuovo errore..."
Un ringhio ferino eruppe dalla sua gola.
Si sbagliava, poteva apparigli davanti dalle ombre quante volte voleva e vantarsi di quanto fosse nel giusto. Non poteva più confinarlo in quel cassetto, non poteva impedirgli di intessere storie.
William era la sua più grande creazione, il suo traguardo.
Era reale, era vero. Doveva solamente trovare il modo di dimostrarlo, non importava quanto sangue avrebbe dovuto spargere.
Pixie discese verso quel mondo brulicante di menti confuse.
L'ospedale si ergeva austero, come un templio solenne dedito alla scienza della vita.
William se ne stava seduto stretto nella sua giacca di lavoro, fissava il vuoto, la mente sgombra, il cuore colmo e greve. Pixie non vedeva chiaramente nella sua anima, non come faceva Micaela. Ma era pur sempre un Custode di storie e ne era consapevole a differenza di lei. Sapeva dosare il suo potere, quindi, riusciva a vedere oltre le porte, oltre le barriere.
William era a un passo dalla rivelazione, era a un passo dalla verità.
Vi erano molte creature in quel piano di realtà, alcune erano solo opache ombre striscianti.
Altre invece erano ancora concrete, anime tormentate bramose di vita, ed era quel che stava cercando.
Cosa pensi di fare? Vuoi gettarlo in pasto a delle anime morte, bramose di nutrirsi dalla carne dei vivi. Fameliche di vita. Cosa sei disposto a fare per dimostrare a te stesso e a lui di aver ragione? Che la sua anima è reale, non solo una traccia d'inchiostro su un foglio. Potrebbe morire, dilaniato tra atroci sofferenze ma anche questo perorerebbe la sua causa. Morendo dimostrerebbe che avevi sempre avuto ragione, che puoi farlo e che tutti loro ne avevano una vera anima. Forse a quel punto il Cacciatore avrebbe ascoltato.


Samuel recuperò la lattina dalla macchinetta e si chiede se fosse il caso di scuoterla con forza, magari fargli il bagno con la Cola poteva essere un'idea, avrebbe strappato a William qualcosa. Di quei tempi anche farlo arrabbiare era una conquista. Era diventato insopportabilmente apatico. Samuel voleva dire qualcosa di molto stupido, strappargli una risata e tirargli su il morale anche se per poco, ma anche farlo infuriare per aver sporcato la sua linda giacca perfetta poteva andar bene. In quei giorni aveva visto William mutare il proprio umore come l'imprevedibile clima scozzese. Lo aveva visto arrabbiarsi, disperarsi e alla fine arrendersi al silenzio di Micaela. E quell'arrendevolezza Samuel non la poteva accettare. Preferiva vederlo mille volte infuriato che scagliava oggetti e sollevava mobili da terra che seduto a fissare il vuoto con sguardo vitreo. Samuel non sapeva bene come scuoterlo così si era limitato a stargli accanto, incassando le sue grida, dandogli appoggio nei momenti di crollo e si era trattenuto dal dirgli che un po' se lo era andato a cercare. Non serviva e in fondo William lo sapeva già, non serviva ricordarglielo. Poi non era compito suo fargli la predica, non era sua madre, era suo amico e gli amici servivano per far scemenze assieme, non a predicare sermoni.
Era quasi arrivato alla panchina dove aveva lasciato William poco prima, a rimuginare fissando il vuoto, il suo passatempo prediletto da un po' di tempo a questa parte. Quando arrivò la panchina era vuota e William si stava allontanando alle spalle di un evanescente ma ben visibile Pixie. Che quel dannato spiritello non si prendesse la briga di evitare di mostrarsi in quel modo in pubblico per Samuel non aveva senso. Tutto di quell'essere gli dava sui nervi, dai grandi occhi cristallini, allo scampanellio che lo annunciava ovunque decidesse di manifestarsi. Da quando Micaela aveva scelto di presentarglielo Samuel lo aveva osservato sospettoso. Forse perché aveva il vizio di esprimere i desideri di Micaela a caso, come donarle un incontrollabile fuoco che poteva esplodere ogni volta che la ragazza si arrabbiava, quindi spesso.
Pixie aveva promesso a William un desiderio. Per Samuel non avrebbe mai dovuto esprimerlo, sembrava che quel folletto travisasse ogni parola, mutando i desideri in incubi.
Vide William chiudersi dietro le spalle la porta del garage. Samuel non seppe dirsi perché decise di seguirli. Aprì la porta e li cercò subito con lo sguardo. Impiegò del tempo ad adattarsi alle ombre.
Pixie si era fermato, stava parlando a William che gli dava le spalle.
Samuel vide le creature che strisciando convergevano verso di loro. Grigie, composte di ombre.
Il folletto aveva allungato la mano verso William e d'istinto Samuel aveva urlato perché le ombre, silenziosi spettri dai denti aguzzi erano giunti alle spalle di William. Non sapeva perché ma era certo che fosse una bieca trappola del folletto. Magari voleva giocare un po' con William, come sembrava facesse con tutto. Dando a Micaela dei poteri che non poteva controllare, strappando alle proprie storie dei personaggi ignari. Lo sguardo di Pixie era determinato e la mano sul petto del suo amico era quasi un invito per quelle creature ad agguantare la loro preda.




Wiliam udì la voce di Samuel sussultò fece per voltarsi verso di lui quando la mano di Pixie lo spinse con innaturale forza verso gli spettri.
William annaspò colto alla sprovvista "Cosa diavolo..." sussurrò sgranando gli occhi incredulo. Era sorpreso, forse si sentiva stupido. Aveva sempre sottovalutato il folletto, ed era stato un errore madornale.
Le anime lo ghermirono in un attimo, una fitta alla spalla gli strappò un grido di dolore quando sentì delle zanne affondare nella sua carne.
Erano morti eppure erano così concreti. Artigli gli laceravano la pelle e le loro viscide mani lo stringevano trascinandolo a terra. Dei mostri in vita, dei mostri nella morte. Wiliam gridava dimenandosi, ma le forze lo abbandonavano.
"Solo un vivente può dar loro forza, questo sarà la prova definitiva... La tua morte..." sibilò il folletto con voce impassibile. "Si nutrono solamente di anime viventi... Come adesso stanno facendo con te, perché sei vivo sei reale..."
William Avrebbe voluto chiedergli perché? Ma non ne aveva la forza. Sentì la voce di Samuel raggiungerlo oltre le sue grida. Sollevò lo sguardo cercando di mettere a fuoco la stanza oltre lo sguardo del folletto e intravide Samuel correre verso di lui.
"No", gemette con tutta la voce che riusciva a racimolare "Samu non avvicinarti non...'
Le parole rimasero bloccate nella sua mente mentre dei denti gli laceravano un fianco strappandogli un altro grido. Lo stavano divorando, le sue resistenze venivano meno e quelle creature di ombra e polvere divenivano sempre più concrete, tangibili.
Pixie fermò Samuel con un gesto brusco "Se ti avvicinerai, loro attaccheranno anche te..."
Il ragazzo osservò il folletto disgustato, imprecò spingendolo da parte "Lo stanno uccidendo brutto bastardo, al diavolo i rischi..."
"Samu... no..."
La sua voce gli risuonò come un latrato non sufficiente l'amico. Samuel si gettò su di lui immergendosi in quell'ammasso gelatinoso di spettri, afferrando William con forza. Con un uno strattone urlando con tutta la disperazione che potesse provare ne emersero e crollarono a terra. Samuel lo afferrò per il torace e cercò di trascinarlo lontano da quell'ammasso che si protendeva verso di loro.
William continuava a gemere, le ferite sanguinavano copiosamente, era mortalmente pallido.
"Samu stai... perdendo colore..."
Samuel vedeva la sua pelle divenire grigia e fragile come una pagina bruciata ma non avrebbe mollato la presa, non lo avrebbe lasciato come pasto di quelle creature per il diletto del folletto.
"Non ti lascio te lo scordi. Non..."
Il mondo svaniva velocemente, un ronzio aumentava nelle sue orecchie ma non demordeva e lo stringeva con forza aggrappandosi alla vita con disperazione.
Prima di perdere i sensi fu certo di sentire la voce del folletto "Grazie... di avermi dimostrato che avevo ragione..."

Samuel giaceva su di lui, pallido, cereo come la morte. Quando William lo chiamò non si mosse. Il suo corpo si sbriciolò come spazzato via da una folata di vento. Del suo amico restava solamente cenere.
Voleva gridare, ma non aveva più voce. Il suo corpo aveva smesso di gemere, il sangue defluiva via.
Sono solamente un'ombra... Samu perché?
"Perché non sei solamente un'ombra... E adesso anche lui lo sa..."
Con la voce di Pixie nelle orecchie William si svegliò urlando.
La prima persona che vide fu Samuel, pallido ma sorridente. Le fossette nel suo volto incavato celavano la smorfia di dolore. Gli avevano medicato un taglio sulla fronte e bendato il polso.
"Come..." farfugliò William.
"Micaela... Fortuna che le sue fiamme scacciano quei cosi... o saremmo cacchina di spettro a questo punto..."
William avrebbe voluto ridere ma sentì la rabbia infiammarsi nel suo petto. "Sei un idiota? Non dovevi avvicinarti, hai rischiato di morire, non dovevi... Non avresti..." annaspando nella sua stessa furia. Voleva colpirlo e abbracciarlo sollevato al tempo stesso. Quando lo aveva visto sbriciolarsi sotto la sua presa si era sentito impotente e colpevole. Perché se fosse morto sarebbe stata tutta colpa sua, ad avergli permesso di stargli vicino.
Samuel gli fece l'occhiolino colpevole "Già, la prossima volta ci penserò... Ma credo che farei comunque di testa mia... Ora sta zitto, Micaela non era incline a medicare anche te, quindi ci sto pensando io, ora, taci e lasciami finire..."
A quelle parole William si irrigidì, Micaela non era nella stanza e non percepiva nemmeno il battito del suo cuore, come da un po' di tempo a questa parte.
'Dovevo immaginare che ti comportassi così... Sei stato creato così dopotutto...'
Faceva ancora male, sentiva di meritarselo ma non poteva rinnegare di detestare come quelle parole suonassero nella sua mente. Bruciavano come tizzoni ardenti nella sua mente.
Samuel si stava dedicando alla ferita al fianco, William trattenne una smorfia quando iniziò a suturare. "Mi spiace di non poterti disinfettare con il whisky, ma sai qua, preferiamo il disinfettante vero..."
William rise prima che il suo volto fosse deformato da una smorfia. "Percepisco una vena di critica ai miei metodi..."
"Solo un pochino..." sogghignò Samuel "Ma vedrai che i miei ricami non hanno rivali, sarei quasi tentato di autigrafarti".
William accennò un sorriso a quel blando tentativo di distrarlo. Doveva aver intravisto la delusione sul suo volto nel realizzare che Micaela non fosse rimasta al suo capezzale. Malgrado non sentisse di non aver diritto di sperarlo, parte di lui se l'era immaginata in un angolo della stanza, a fissarlo con cipiglio ricco di disappunto.
Se la immaginava di leggere nel suo sguardo qualcosa come Non so come, ma ti sei cacciato un'altra volta nei casini. Ma non era colpa sua... Pixie... Era stato uin idiota a sottovalutare quella creatura. Il Cacciatore era molto più pericoloso e aveva ritenuto che fosse cosa saggia confinarlo in una prigione eterna.
Sei vivo... E adesso anche lui lo sa...
Chi? Il cacciatore sapeva che non era solo una traccia d'inchiostro? Davvero poteva servire a qualcosa? Di certo era capace di fare cazzate e anche di soffrire, visto le stilettate che gli dava ogni punto che Samuel si apprestava a mettergli. Era reale quel vuoto che gli lasciava il silenzio di Micaela. Dubitava che questo sarebbe importato al Cacciatore. Si stavano usando, a nessuno dei due importava dell'altro. William voleva una possibilità in più di vivere. Non sapeva cosa volesse il cacciatore, non pensava si limitasse a voler ricacciare nell'ombra una manciata di creature magiche. Aveva optato per quell'alleanza prima... prima di stringere quel legame con Micaela, prima che il battito del suo cuore gli divenisse quasi più familiare del proprio.
Adesso gli restava solo un doloroso silenzio.
"Non mi perdonerà mai vero?"

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