19
«Si può sapere dove dobbiamo andare?», domando a Zack quando scende dalla macchina.
«Ciao! Anch'io sono contento di vederti», risponde lui.
«Non mi muovo di qui fino a quando non mi dici cos'hai in mente», ribatto incrociando le braccia al petto.
«Non puoi semplicemente fidarti di me?», chiede facendomi gli occhi dolci.
«Ma se neanche ti conosco!» sbotto.
«Come no? Sono l'uomo dei tuoi sogni.»
Sbarro gli occhi. «Come scusa?» Rido.
«Vuoi ottenere o no un posto nella prestigiosa industria Mason? Io sono la tua chiave d'oro», dice alzando le spalle. «Rilassati, seguimi in questa serata pazzesca e ti prometto che ti concederò un'intervista talmente incredibile che mio padre t'implorerà di lavorare per lui.»
«Mi prendi in giro?»
«Non prendo mai in giro una donna. Sono famoso per mettere sempre le cose in chiaro prima di qualunque rapporto.»
«Non c'è nessun rapporto tra noi», esclamo.
«Difficilmente le ragazze mi resistono» e mi fa l'occhiolino.
Lo seguo in macchina confusa e indignata, ma anche un po' eccitata all'idea di trascorrere del tempo con lui. Non mi ha detto assolutamente nulla di quello che mi aspetta. Non so dove stiamo andando, non so cosa devo fare, né se saremo soli. Per sicurezza ho indossato dei jeans comodi e un maglione caldo, ho in borsa il registratore per ogni evenienza e la batteria del cellulare è carica, in caso di emergenza.
«Che ti sei fatta in faccia?» domanda non appena usciamo dal campus.
Immagino alluda al mio livido sullo zigomo e al graffio sulla guancia. «Una piccola zuffa», rispondo guardando fuori dal finestrino.
Zack ride. «Sul serio? Non ti facevo una da risse.»
«Non sono una da risse», preciso subito. «Diciamo che io e questa persona avevamo dei conti in sospeso.»
«Un ragazzo?»
«Cosa? No!» esclamo. «Perché pensate sempre di essere al centro del mondo?»
«Perché voi siete al centro del nostro», alza le spalle come fosse una cosa ovvia.
Scuoto la testa e torno a fissare la città che sfreccia intorno a noi.
«Perché non mi hai detto subito chi eri?» chiedo.
«Non mi hai mai permesso di presentarmi.»
«Avresti potuto insistere», preciso.
«Avrebbe fatto differenza?»
Ci penso un attimo. «Non lo so», dico poi. «Immagino che mi saresti stato improvvisamente meno antipatico se avessi saputo che tu eri il figlio di John Mason.»
Lui non risponde. Mi volto e lo vedo concentrato a guardare fuori dal finestrino. «Mi piaci lo sai?» dice a un tratto. «Di solito le ragazze non sono così dirette. Vengono a letto con me sperando di farmi innamorare di loro, solo perché sono un Mason e mio padre ha un sacco di soldi. Però nessuna di loro me lo aveva mai detto così esplicitamente.»
«Punto primo io non devo venire a letto con te», mi affretto a precisare. «E non ho nessun interesse nei tuoi confronti se non quello di convincerti a rilasciare una stupida intervista per il giornale di modo che lo faccia anche tuo padre. Voglio conoscerlo e offrirmi come stagista.»
«Perché proprio lui?»
«Perché è il migliore.»
«Questo è chiaro, ma ce ne sono centinaia. Di solito uno manda curriculum a tappeto nella speranza che qualcuno si degni di notarlo. Fa esperienza un po' dove capita solo per l'orgoglio di dire "lavoro per un giornale", o per una trasmittente televisiva, un editore o quello che ti pare. Tu vuoi solo mio padre?»
«Diciamo che sono una ragazza determinata», rimango sul vago. Mi sento patetica a raccontare a lui tutta la storia. Non mi sembra un elemento in grado di comprendere la tragicità delle mie decisioni. Sarebbe capace di ridermi in faccia.
«Non credo che avrai speranze con mio padre», dice.
«Perché?» sgrano gli occhi.
«Di solito quelli troppo determinati sono o troppo sicuri di sé e quindi difficilmente disponibili ad adattarsi ai ruoli richiesti, oppure troppo permalosi nell'accettare critiche costruttive», mi lancia una rapida occhiata. «E fidati: mio padre è un vero maestro quando si tratta di criticare un dipendente.»
«E quali sono i tipi che piacciono a tuo padre?»
«Quelli che non hanno idea di cosa vogliono fare nella vita. Quelli che sono lì a provarci. Basse ambizioni, scarse aspettative, niente da perdere. Ha sempre trovato lì i dipendenti migliori.»
«Be' con me dovrà rassegnarsi. Io non ho alternative. Devo essere assunta», sottolineo.
Lo vedo scuotere la testa, si sta divertendo alle mie spalle. Decido di contrattaccare.
«E tu? Lavori in azienda o possiedi solo quelle quote che ti permettono di fare il bulletto in giro con i soldi del papi?» chiedo perfida.
«Ho le mie quote certo», annuisce. «Così come le mie sorelle. Papà ha messo subito le cose in chiaro e ci ha detto che ci sarà sempre un posto pronto per noi se non saremo mai abbastanza ambiziosi da mandarlo al diavolo e trovare la nostra strada in maniera autonoma.»
«Oh, capisco. Immagino quindi tu sia il figlio ribelle. Quello che non ha bisogno dell'aiuto di papà e sogna di diventare una rockstar suonando la chitarra in giro per il mondo.»
«Divertente», borbotta. «Mi occupo del piano marketing, sono quello che gestisce i rapporti con i vari clienti e ne cerca di nuovi. Investimenti e quelle cose lì, hai presente?» Annuisco. «La laurea è pura formalità, mamma ci teneva. Mi sto specializzando e poi diventerò uno degli amministratori, probabilmente papà mi metterà a capo di una delle sedi.»
«E adesso dove mi stai portando?» domando.
Abbiamo abbandonato la città da circa dieci minuti e stiamo percorrendo una strada sterrata.
«Abbiamo un appuntamento.»
«Con chi?»
«Con degli amici.»
Comincio a sentirmi a disagio. Forse avrei dovuto lasciar detto a qualcuno con chi ero. Potrei chiamare Matty, inviargli la mia posizione.
«Hai mai sentito parlare delle confraternite?»
«Sì.»
«Ottimo. Ti sto per presentare la mia. Parteciperai a un rito d iniziazione.»
«Cosa?»
«Sei una giornalista o no? Hai da scrivere?»
«Certo», dico frugando dentro la borsa.
«Allora prego.»
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