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Capitolo 4 - Eve


- Avrei potuto fargli il culo. –

Alzai nuovamente lo sguardo dal disegno a cui stavo lavorando e osservai il volto di Connor. Le occhiaie erano un po' meno evidenti, ma la rabbia rendeva i suoi occhi simili a buchi neri capaci di risucchiare qualsiasi cosa gli capitasse attorno.

- Ti stava provocando volutamente -, replicai seccamente, - e se l'avessi colpito avresti fatto il suo gioco. –

Non avevo la minima idea di cosa fosse successo a Jax Miller, ma sebbene fosse tendenzialmente una testa calda non era da lui cercare di attaccare rissa nel bel mezzo di una lezione. Qualsiasi cosa gli passasse per la testa non doveva essere piacevole e aveva provato a prendersela con l'unica persona in quell'aula che sapeva non si sarebbe fatto problemi a replicare. Mi appuntai mentalmente di chiedere ad Ashley, lei mi avrebbe di certo aiutata a capire cosa avesse in testa suo cugino.

- Sarebbe stato comunque molto soddisfacente. –

- E tu avresti avuto un'altra sospensione per rissa. Ignoralo, hai bisogno di concentrarti su qualcos'altro. –

Connor annuì lentamente, come se si stesse sforzando di convincersi che poteva farcela, e poi tornò a rilassarsi contro lo schienale della sedia. O almeno ci provò, perché dal modo rigido in cui teneva le spalle era ovvio che la rabbia gli divampasse ancora dentro.

- Come mai ti ha accompagnata Dante? –

- Mi sono allenata un po' questa mattina e lui era in palestra; ho perso l'autobus e così mi ha dato un passaggio. Il viaggio in macchina più breve e imbarazzante della storia dell'umanità – conclusi.

- Ci ha provato? –

La schiettezza della domanda mi prese in contropiede e ci misi qualche secondo prima di scoppiare a ridere e scuotere il capo, guadagnandomi un'occhiataccia dalla professoressa.

- Cosa?! No, certo che no. –

Connor fece spallucce, continuando a osservarmi con fare imperturbabile, come se non avesse chiesto nulla di assurdo.

- Perché lo dai così per scontato? Ai ragazzi piaci. –

Questa volta fu il mio turno di scrollare le spalle, rifilandogli un'occhiata a dir poco scettica.

- Sì, certo, come no. –

Ero consapevole di essere carina, persino più che carina quando mi mettevo d'impegno con il trucco e l'acconciatura, ma non ero affatto il prototipo della bambolona sexy che i ragazzi fissavano ogni volta che entrava in una stanza. I ragazzi mi vedevano come una sorellina oppure un'amica, non certo come la loro ragazza.

- Sul serio Eve -, tornò a fissarmi con insistenza finchè mio malgrado non mi sentii almeno un pizzico in imbarazzo, - piaci veramente a molti dei ragazzi della palestra. È solo che non te ne rendi conto, sei troppo concentrata sull'allenamento per farlo. –

Consciamente sapevo che Connor non aveva alcun motivo per mentire o lusingarmi, ma non riuscivo proprio a immaginare uno qualsiasi di quei ragazzi che mi chiedeva di uscire.

- D'accordo, diciamo che ti credo, ma Dante non è sicuramente tra quelli. –

- Probabilmente hai ragione, ma con lui non si può mai essere sicuri di nulla. –

Annuii sorridendo.

Finalmente qualcosa su cui entrambi eravamo davvero d'accordo.

- Se non ci ha provato allora di cosa avete parlato? –

Tamburellai con la matita contro il blocco per gli appunti. Come si faceva a confessare a un amico che la conversazione aveva avuto come oggetto proprio lui, la sua dipendenza e la sua più o meno reale cotta per me? Semplice, non si poteva o perlomeno se esisteva un modo giusto di farlo non era alla mia portata; così accantonai qualsiasi scrupolo e decisi di omettere buona parte della conversazione concentrandomi solo su quello che non avrebbe messo in imbarazzo entrambi.

- Più che altro della mia vita sentimentale. Dante è un maledetto impiccione, voleva sapere se stessi uscendo con qualcuno e se ci fosse bisogno di un "incontro conoscitivo" con il resto della palestra. –

- Sì questo è decisamente da lui -, sghignazzò attirando per l'ennesima volta lo sguardo dell'insegnante, - e tu cosa gli hai risposto? –

- Per quanto sia avvincente la vostra conversazione, e sono sicura che lo sia, siamo in un'aula scolastica e sapete cosa si fa qui dentro? –

Connor le rivolse un sorriso pigro.

- Mi faccia indovinare, perché credo di conoscere la risposta ... sono quasi del tutto sicuro che si venga qui per studiare. –

- Molto spiritoso, signor Davies, perché non viene qui in prima fila a farmi divertire con qualche altra battuta? È evidente che la presenza della signorina Wilson la distrae parecchio. –

Indugiò appena su di me, facendomi l'occhiolino mentre si alzava e afferrava i suoi libri per assecondare la richiesta dell'insegnante: - Può giurarci, ma è una distrazione molto piacevole. –

Un coro di risatine femminili e incitamenti maschili seguì le sue parole e lo accompagnò fino al suo posto in prima fila, nell'unico banco singolo a pochi centimetri dalla cattedra. Dovevo avere le guance rosse come pomodori, perché me le sentivo bollenti, così mi limitai a tornare a disegnare fingendo che tutto quello non fosse mai successo. C'ero quasi riuscita, ma dopo una manciata di minuti dalla ripresa della spiegazione sentii tamburellare contro lo schienale della mia sedia. Mi voltai trovando un paio d'intensi occhi blu che mi fissavano a distanza molto ravvicinata.

- Cosa c'è? –

- Cosa stai disegnando? –

Alzai appena il blocco per mostrargli il tribale che stavo completando. Era un'idea che mi balenava in mente fin da quando ero giunta alla consapevolezza di essere pronta per il mio primo tatuaggio. Era un passo importante, qualcosa che sarebbe rimasto sulla mia pelle in modo indelebile, perciò volevo che fosse qualcosa di assolutamente personale e che avesse un significato importante per me e dovevo essere io stessa a elaborarlo.

- Notevole. –

- È una bozza per un tatuaggio. –

- L'avevo intuito dalla concentrazione con cui ci stavi lavorando prima. –

Ecco cos'era che aveva osservato quando si era fermato accanto a noi, realizzai all'improvviso.

- Sì, voglio che sia perfetto. –

Jax annuì in silenzio continuando a studiare il disegno con fare rapito.

- Ci stai riuscendo, ha delle linee molto pulite e precise. Si vede che ci tieni -, rimase in silenzio per qualche istante prima di tornare a fissarmi negli occhi, - credi che potresti realizzare una bozza anche per me? Avevo giusto in mente di farne uno nuovo. –

Mi mordicchiai il labbro inferiore, pensierosa. Quella doveva essere una delle conversazioni più lunghe che avessi mai intrattenuto con Jax e il fatto che mi stesse chiedendo un favore rendeva la cosa ancora più sorprendente.

- Dipende. Tu puoi fare una cosa per me in cambio? –

Indugiò qualche istante sulle mie labbra. – Posso fare anche più di una cosa. –

Alzai gli occhi al cielo spingendolo a sorridere divertito.

- Non mi riferivo a qualcosa di sessuale, idiota. –

- Mai insinuato il contrario. –

- Eri allusivo. –

- Forse un po' -, ammise continuando a ghignare come un maledetto Stregatto, - e comunque è un peccato. –

Aggrottai la fronte.

- Cos'è un peccato? –

- Che non ti stessi riferendo a nulla di sessuale, mi sarei prestato volentieri. –

- Sai cosa potrebbe essere un gran peccato? Il mio piede contro i tuoi gioielli di famiglia – lo avvisai.

Qualsiasi altra persona sana di mente si sarebbe messa in allarme sentendo minacciare i propri attributi, ma a quanto sembrava Jax trovava tutta quella storia tremendamente divertente e non ne era minimamente impensierito.

- D'accordo, tigre, non c'è bisogno di sfoderare gli artigli. Se non era un favore sessuale che avevi in mente cosa intendevi? –

- Connor. –

- No, spiacente ma preferisco di gran lunga te. –

Allungai una mano ad assestargli un pugno sul braccio che lo fece sorridere ancora di più. Quel ragazzo aveva dei seri disturbi relazionali.

- Riesci a essere serio per due secondi? –

- Posso provarci ... spara, cosa c'entra lui? –

- Sarebbe d'aiuto se lo lasciassi tranquillo per un po'. Non sto dicendo che dovete diventare amiconi o roba simile, mi basta che non vi saltiate al collo ogni volta che vi vedete. –

Jax mi tese una mano con fare solenne. La strinsi stupendomi di quanto fosse calda la sua pelle rispetto alle mie mani solitamente fredde come il ghiaccio.

- Abbiamo un accordo -, la campanella sancì la fine della lezione, - ci vediamo a pranzo. –

Si alzò in piedi afferrando lo zaino prima di darmi modo di poter chiedere altro se non: - A pranzo? –

- Già, per lavorare alla bozza del mio tatuaggio, ho già qualche idea – replicò, per poi voltarmi le spalle e lasciare l'aula prima che avessi modo di obiettare.

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