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Capitolo 2 - Eve



Colpii il sacco con precisione, assecondando il suo movimento oscillatorio spostandomi da un lato all'altro per essere certa di colpirlo con la massima precisione possibile. Ero sempre stata una tipa mattiniera e probabilmente c'entrava qualcosa il fatto che la mia famiglia fosse la proprietaria, nonché fondatrice, della Gladiators da più di cinquant'anni e mi avesse abituata da sempre ai ritmi serrati che doveva tenere un lottatore se voleva emergere dalla massa. Di ragazzi arrabbiati con il mondo che si chiudevano in palestra per cercare una valvola di sfogo e rincorrere un sogno ce ne erano a bizzeffe, specialmente da quella parte della città, e quasi ognuno di loro guardava alle ragazze che si affacciavano al mondo del combattimento perlomeno con scetticismo. Perciò fin da quando a cinque anni avevo deciso che avrei portato avanti la tradizione di famiglia mi era stato chiaro che avrei dovuto lavorare il doppio per guadagnarmi il loro rispetto, così avevo preso la decisione di raddoppiare il tempo passato in palestra dedicandomi all'allenamento sia prima che dopo la scuola.

- Devi bilanciarti meglio sulla gamba d'appoggio se vuoi eseguire un calcio girato dopo quella combinazione. –

Mi voltai nella direzione da cui proveniva il suggerimento, trovando Dante intento a osservarmi con aria critica. Aveva messo piede in palestra per la prima volta a otto anni, sotto lo sguardo divertito e incredulo dei combattenti di allora, e dopo tredici anni per tutti era diventato The Predator. Ce l'aveva fatta, aveva esordito come professionista tre anni prima, ma era rimasto fedele a mio padre e alla palestra e aveva continuato ad allenarsi qui malgrado le numerose offerte che gli erano arrivate. C'era stato un momento in cui avevo creduto di essermi innamorata di lui, a ridosso dell'ingresso nell'adolescenza, ma il tempo mi aveva chiarito le idee. Volevo bene a Dante come a un fratello, era sempre stato una costante nella mia vita da che mi ricordassi, e non c'era mai andato piano con me in palestra solo perché ero una ragazza. Lo rispettavo più di ogni altro lottatore per questo.

Riprovai la combinazione seguendo il suo suggerimento e questa volta la potenza dell'impatto riecheggiò nel silenzio della palestra.

Lo vidi annuire con approvazione e di riflesso mi aprii in un sorriso soddisfatto. Lavoravo a quella combinazione dalla sera precedente ed era la prima volta in cui mi riusciva alla perfezione.

Afferrai un asciugamano e mi tersi il sudore dal viso.

- Hai pensato alla proposta di mio padre? –

Dante guadagnava già molto bene tra sponsor e incontri, legali o clandestini che fossero, ma non aveva scartato a priori l'idea di lavorare in palestra quando mio padre gli aveva fatto l'offerta.

- Ci ho pensato. –

- E? –

Mi rivolse quel suo sorrisetto enigmatico che voleva dire tutto e nulla allo stesso tempo, poi accennò all'orologio appeso alla parete, - Non dovresti essere a scuola tra meno di un'ora? –

Imprecai sonoramente. Con la macchina bloccata in officina ero costretta a prendere l'autobus che fermava a qualche metro dall'ingresso di scuola. Peccato solo che mancassero dieci minuti al suo arrivo. Non ce l'avrei mai fatta.

- O'Brien mi ammazza se arrivo tardi anche questa mattina. –

- Sarebbe divertente vedere il vecchio O'Brien strillare come un pazzo, con quella facciona rossa e le vene gonfie, ma per questa volta credo che ti offrirò un passaggio. –

Per la seconda volta quella mattina mi ritrovai a sorridere come una bambina la mattina di Natale.

- Posso guidare io? –

L'occhiata di Dante fu eloquente. Era estremamente geloso della sua Dodge Challenger, la considerava a tutti gli effetti la sua bambina, e non avrebbe ceduto il posto al volante a nessuno.

- Scordatelo, la mia ragazza non viene prestata a nessuno. –

Lo sorpassai afferrando il borsone e ridacchiai.

- Hai davvero bisogno di trovarti una ragazza in carne e ossa. –

Mi seguì lungo il corridoio e rimase a chiacchierare fuori dalla porta dello spogliatoio mentre mi cambiavo.

- A proposito di questioni amorose ... -

Sbuffai.

Ecco che ricominciava con quella storia.

- È mio padre che ti ha chiesto d'indagare oppure soddisfi solo la tua indole da pettegolo? –

- Entrambe le cose. Insomma possibile che non ci sia proprio nessuno che t'interessa? Quasi ogni ragazzo della palestra si farebbe mandare ko con un calcio girato in faccia pur di uscire con te, ma tu li ignori tutti. –

- Magari li ignoro proprio perché sono della palestra, non ci hai mai pensato? Non voglio uscire con uno dei lottatori di mio padre, sarebbe tremendamente imbarazzante – replicai, spalancando la porta e rischiando quasi di dargliela in faccia.

- Perché no? Saremmo tutti sicuri che il ragazzo in questione ti tratterebbe con rispetto. –

In altre parole che si limitasse a lievi e del tutto casuali sfioramenti di mano che non durassero mai più di una manciata di secondi. Conoscevo bene i modi iper protettivi di quella che era diventata a tutti gli effetti la mia seconda famiglia e il ricordo di come avevano guardato l'ultimo ragazzo che gli avevo fatto conoscere, un giocatore della squadra di football di un anno più grande di me, che aveva osato mettermi un braccio intorno alle spalle era vivido nella mia memoria.

- Non ho più tredici anni, credo di saper gestire le situazioni sentimentali anche da me, quindi magari potreste lasciarmi un po' di spazio. –

- Spazio? –

Dante allungò il passo per starmi dietro mentre uscivamo nel parcheggio.

- Esattamente. –

- Perché ti servirebbe dello spazio, Eve? –

- Mi sembra di avertelo detto cinque secondi fa, perché non sono una bambina. –

Dante aggrottò la fronte mentre apriva la portiera.

- E con Connor invece? –

- Connor ha problemi molto più seri del trovarsi una ragazza, dovresti saperlo. –

Dall'ultimo infortunio che aveva subito aveva cominciato ad assumere ossicodone per combattere il dolore; se inizialmente sembrava essere una cosa innocente con il passare del tempo era diventato evidente che avesse sviluppato una vera e propria dipendenza. I segni c'erano tutti, il pallore del volto e le guance scavate, le occhiaie sempre presenti a incorniciare gli occhi castani, e le pupille dilatate. Erano sei mesi che andava avanti così e a poco e nulla erano serviti gli interventi e i consigli del resto del team. Mio padre non l'aveva cacciato dalla palestra solo perché lo conosceva da sempre e aveva il timore che così facendo sarebbe sprofondato sempre di più nella sua dipendenza.

- Certo, ma voi due vi conoscete da quando portavate il pannolino e anche un cieco vedrebbe che è cotto di te. –

- Connor non è cotto di me – replicai all'istante.

Non ebbi bisogno di guardarlo in faccia per sapere che Dante aveva appena roteato gli occhi con accondiscendenza.

- Certo, come no, e io sono Gandhi. –

- Strano, ho sempre pensato che fossi indiano ... cosa sei una sorta di reincarnazione? –

- Ah ah ah, molto spiritosa. –

Inchiodò evitando per un pelo un tizio che aveva ignorato lo stop, accompagnando il tutto con una strombazzata di clacson che ebbe il potere di farmi rimbombare le orecchie.

Il tipo gli rifilò un gestaccio al quale Dante rispose abbassando il finestrino e sommergendolo di improperi e suggerimenti su quale dovesse essere il lavoro di sua madre. Quando fummo abbastanza lontani dall'imbecille sorrisi divertita.

- Gandhi dicevi, eh? –

- Certo, io sono molto zen. –

- Ovviamente. –

- Comunque non credere di avermi distratto, stavamo parlando di Connor e della cotta epocale che ha per te. –

Giocherellai distrattamente con la chiusura della borsa, prendendo tempo. Quella era una conversazione che avrei volentieri evitato, specialmente con lui. Non ero né cieca né sprovveduta, nel profondo ero consapevole che quella di Connor nei miei confronti non fosse una semplice simpatia ma come avevo detto lui aveva un sacco di problemi ben più importanti da affrontare e io avevo un obiettivo: la vittoria del titolo nazionale e l'assegnazione di una borsa di studio per meriti sportivi che sarebbe inevitabilmente seguita.

- Non ho tempo per un ragazzo, devo concentrarmi. –

Dante annuì, tornando a concentrarsi sulla strada.

- Va bene, non ne parleremo più fino a che non sarai tu a decidere altrimenti, ma pensi di poter fare una cosa? –

Sospettosa, inarcai un sopracciglio.

- Dipende da cosa. –

- Sai che per Connor è dura lasciarsi questa storia dell'ossicodone alle spalle e so cosa gli hai detto quando l'hai scoperto. –

Gli avevo detto chiaro e tondo che ero categoricamente contraria a qualsiasi droga e che se voleva che continuassimo a uscire tutti quanti insieme come eravamo soliti fare avrebbe dovuto essere sempre rigorosamente lucido in mia presenza. In quei mesi si era sempre controllato anche se era evidente quanto gli fosse costato.

- Quindi? –

- Se tu passassi più tempo con lui avrebbe una motivazione in più per tenere sotto controllo la dipendenza. –

- Passo già il mio tempo libero con lui e i ragazzi. –

Ci stava girando troppo intorno e non era da lui.

- Intendevo che magari potresti passare il tuo tempo con lui anche quando non ci sono i ragazzi. È quello il momento peggiore, quando non ha nessuno accanto, e sarebbe importante avere un sostegno costante. –

Mi accigliai.

Dal discorso che stava facendo sembrava che ci avesse pensato a lungo e mi domandai se non ne avesse già discusso abbondantemente anche con mio padre e Andrew.

- In altre parole stai dicendo che dovrei fargli da baby sitter anti droga? –

- Qualcosa del genere. –

Imboccò la strada sulla destra e si affiancò al marciapiede, sistemandosi proprio davanti all'ingresso della scuola. Allungai una mano verso la portiera, presi un respiro profondo e annuii.

- Va bene, posso farlo. –

Il sorriso sollevato di Dante mi spinse a ricambiare a mia volta. La sensazione d'appartenenza dei membri della nostra palestra era totalizzante e Connor era diventato il fratello di ognuno di noi nel momento stesso in cui aveva messo piede lì dentro.

- Sapevo che non ci avresti deluso, Eve. –

Come avevo previsto non era un'idea campata per aria, ne avevano già parlato abbondantemente.

- Avete estratto una pagliuzza per decidere chi doveva essere a chiedermelo oppure hai perso una qualche altra strana sfida? –

Dante ridacchiò.

- Niente del genere, hanno chiesto a me di farlo perché sanno che non riesci mai a tenermi il broncio per troppo tempo e che difficilmente mi avresti preso a calci. –

Avrei voluto allungare una mano e assestargli un pugno sul braccio per via di quel tono compiaciuto come se il fatto di riuscire a rendermi più diplomatica e disponibile fosse un gran vanto. Tuttavia per quanto mi desse fastidio ammetterlo aveva ragione, fin da piccola l'idea di deludere Dante mi aveva sempre suscitato una sensazione fastidiosa alla bocca dello stomaco.

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