Capitolo 10 - Eve
Richiusi lo sportello dell'armadietto e feci scattare il lucchetto mentre, con doti da equilibrista che mi avrebbero valso seduta stante un posto come artista circense in qualche compagnia di prestigio, mi sforzavo di non far cadere la cartellina che tenevo pressata tra un ginocchio e il muro e al tempo stesso indossavo il giubbotto di pelle e tenevo il cellulare nell'incavo tra il collo e la spalla.
- Non preoccuparti, papà, me la vedo io per la cena. –
Lo ascoltai domandarmi per l'ennesima volta se non mi seccasse l'idea di passare la serata da sola e se non volessi per caso invitare qualcuno della palestra per farmi compagnia. Negai per l'ennesima volta e alla fine parve convincersi che non c'era assolutamente nessun problema e che poteva andare a cena con i membri della federazione senza preoccuparsi che qualcuno finisse con il rapirmi o con il farmi fuori.
- Non aspettarmi alzata, probabilmente farò tardi. –
- Nessun problema. –
- Ti voglio bene, tesoro. –
- Anche io te ne voglio – assicurai prima di scoccare un mezzo bacio all'altezza dell'altoparlante e chiudere la telefonata.
Fu allora che persi la presa sulla cartellina e finì a terra. Imprecai mentre riponevo il cellulare in tasca e mi chinavo ad afferrarla.
Quando alzai lo sguardo trovai un paio di scarpe da ginnastica a pochi centimetri da me.
Mi alzai lentamente mentre continuavo a tenere lo sguardo fisso sul loro proprietario. Non dovevo avere affatto un'espressione amichevole, perché Connor giunse le mani in segno di preghiera e mi rivolse uno sguardo desolato.
- Vengo in pace e, soprattutto, ad ammettere che razza di gigantesca testa di cazzo sono stato dopo la pausa pranzo – esordì.
Rimasi in silenzio per un po'.
Lo stavo torturando con la mia noncuranza ed era proprio quello che volevo, ma alla fine non potei fare a meno di rivolgergli un minuscolo cenno d'incoraggiamento con il capo.
- Vai avanti, ti ascolto. –
- Non so cosa diavolo mi sia passato per la testa, ma so che non avevo la minima intenzione di dire una cosa del genere e che non ho nessun diritto di farti una sparata come quella. Sei libera di passare la pausa pranzo con chi vuoi senza dover dare spiegazioni a nessuno -, riprese rapidamente, - ma sai anche cosa penso di Jax Miller e credevo che tu lo vedessi esattamente come me, perciò sono rimasto sorpreso quando ti ho vista al tavolo con lui e ho creduto che ... -
- Che fosse un appuntamento? – gli venni in aiuto.
Storse il naso a quella parola e annuì.
- Esattamente. Credevo fosse un appuntamento e ho perso la calma, ho persino rischiato di dire qualcosa che non ho mai pensato nella maniera più assoluta, e sono tremendamente mortificato per questo -, concluse sgranando le iridi nocciola con espressione supplichevole, - pensi di potermi perdonare? –
Potevo perdonarlo?
Per quanto mi avessero fatto male le sue parole dovevo riconoscere che vederlo lì con l'espressione contrita e pronto a tutto pur di ottenere il mio perdono mi aveva scaldato il cuore.
Sì, potevo dargli una seconda occasione, decisi osservando la speranza che faceva capolino sul suo volto tra la mortificazione e il pentimento.
- Mi metto persino in ginocchio – aggiunse, piegandosi sulle gambe fino a toccare il pavimento e giungendo nuovamente le mani in segno di preghiera.
Un paio di studenti in fondo al corridoio si diedero di gomito indicando la scena e borbottando qualcosa tra di loro.
A quanto sembrava stavamo mettendo su uno show di tutto rispetto.
Sospirai e lo presi per mano.
- Alzati in piedi, Con, ci stanno guardando tutti. –
- Solo se mi assicuri che mi perdoni – insisté.
- Te lo giuro, sei perdonato, ma adesso smettila di startene in ginocchio in mezzo al corridoio. –
Si aprì in un sorriso soddisfatto e assecondò la mia richiesta alzandosi in piedi e attirandomi in un abbraccio.
- Te lo giuro, Eve, non accadrà mai più una cosa del genere – mi mormorò all'orecchio continuando a tenermi stretta come se ne andasse della sua stessa vita.
- Ti credo – replicai stringendolo a mia volta.
Era sempre il solito Connor, il ragazzo con cui ero cresciuta e che era sempre stato al mio fianco anche quando ciò significava andare contro tutto e tutti.
Quando ci separammo lo vidi aprirsi finalmente in un'espressione rincuorata.
- Ho saputo che tuo padre sarà alla cena con i membri della federazione, che piani hai? –
Di solito passavo le mie serate libere con i ragazzi, capitava spesso che andassimo in giro per locali o che ci riunissimo a casa di qualcuno per allestire una festa dell'ultimo momento, ma quella volta si prospettava una serata decisamente diversa in compagnia di Jax. Avrei dovuto dirglielo, riflettei, ma non ero affatto sicura di come avrebbe preso la cosa. Se si era scaldato tanto per un semplice pranzo in mensa cosa avrebbe pensato di un incontro a casa mia, per giunta quando ero da sola? Così improvvisai rapidamente.
- Mangerò qualcosa al volo, poi mi infilerò sotto le coperte e guarderò Netflix. Insomma una serata tranquilla. –
- Ah -, si rabbuiò leggermente come se la mia risposta l'avesse deluso, - io e i ragazzi pensavamo di fare un giro e vedere cosa succede. –
E qualcosa sarebbe successo, questo era poco ma sicuro, li conoscevo troppo bene per illudermi del contrario. I tranquilli venerdì sera non erano roba per loro.
- Per questa volta passerò. –
- Se dovessi cambiare idea ... -
Mi strinsi nelle spalle.
- In quel caso te lo farò sapere, ma non farci troppo affidamento -, poi mi ricordai di quello che avevo promesso a Dante e aggiunsi in fretta, - ma per domani sera tienimi presente per qualsiasi cosa decidiate di fare. –
Connor mi rivolse un sorrisetto furbo.
- Anche andare a ballare? –
Dannazione, a quello non avevo minimamente pensato.
Ballare mi piaceva, ma farlo davanti a tutte quelle persone mi imbarazzava moltissimo.
- Dobbiamo farlo per forza? –
- Assolutamente -, replicò seriamente tenendomi per mano, - ma ti giuro che ci sono molti altri ballerini pessimi. –
Gli feci la linguaccia.
- Io non sono una ballerina pessima. –
Ed era la verità, malgrado l'iniziale imbarazzo avevo un magnifico senso del ritmo.
- Lo so, sai come muoverti – assicurò, fissandomi in un modo che mi fece capire perché mai Dante fosse così sicuro che avesse una cotta per me.
I ragazzi non guardavano in quel modo le amiche d'infanzia.
Afferrai il borsone della palestra e ruppi il silenzio imbarazzante accennando alla porta d'ingresso della scuola.
- Facciamo la strada per la palestra insieme? –
Mi tolse la tracolla dalle mani e se la caricò sulla spalla opposta a quella che sorreggeva la sua, ignorando le mie proteste.
Ce la facevo a portarla per conto mio, ma quei momenti d'inaspettata cavalleria erano quasi impossibili da contrastare.
- Puoi giurarci. –
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