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2. 𝐂𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞𝐧𝐭𝐨𝐥𝐚. (2/2)

Il tempo di finire la mia sigaretta che siamo a casa e sull'orologio appeso al piano terra, fanno capolino le ore sei.

«Cazzo... che palle, non ho voglia di andare a lavorare...» dico con un fil di voce, arresa dal fatto che il giorno è passato velocissimo.

«È ora che ti licenzi anche tu», sento Nate a capo delle scale dire la frase.

Trovo interessante che abbia lasciato il lavoro per lavorare a pieno sul disco. Spero con tutto il cuore che abbia messo da parte qualcosa, penso che anche se non gli avessero fatto la grande offerta si sarebbe licenziato.

Era stressato, lo vedevo sempre giù di morale e quando era a casa riusciva solo a dormire non badando più neanche alle proprie passioni.

I suoi turni erano allarmanti e angoscianti, quando mi veniva a prendere, nonostante io finisca più tardi, era lui quello sempre più stanco.

Più volte mi diceva delle cose che gli urlava e facevano per farlo lavorare sporco.

Non era un lavoro che gli piaceva ma aveva trovato l'occasione giusta e il tempo necessario.

Ora ho capito che non era più ciò che si poteva permettere di fare, doveva dare ascolto al suo sogno di vivere una vita in grande.

Il mio lavoro non era mai piaciuto ad entrambi, anzi, agli inizi avevano fatto di tutto per farmelo evitare o togliermelo dalla testa o vietarmici proprio di andare.

In realtà non aveva mai funzionato, non mi piaceva ma mi dava i soldi necessari per pagare l'affitto, le bollette, i miei svaghi e la retta dell'università.

Raggiunto il secondo piano li abbandono, lasciando un bel sospiro dietro di me e cercando di non ritornare allo sguardo di Nate e Tradis fissi sul mio.

Busso al portone marrone scuro con energia e subito, con una sigaretta in bocca, il petto nudo e dei pantaloncini neri dell'Adidas vedo due occhi del medesimo colore studiarmi da capo a piede.

«Oh Danié, è arrivata a regazzina de prima», alza la voce lui, girandomi le spalle e pensando che il suo romanaccio, non venga totalmente compreso.

«Ah, mi chiamo Alessio», si gira nuovamente porgendomi una mano mentre nell'altra mi sono accorta ora stringa una birra.

Un sorriso dolce gli spunta sulle labbra.

I tatuaggi li pervadono le gambe e il fisico asciutto, non si contano sulle dita della mano da quanti sono ma c'è da immaginare delle storie intere su questi.

La maggior parte di quelli che noto sono neri e grigi ma alcuni anche colorati si mangiano interamente la parte dei polpacci e una coscia.

Alessio? Alessio Paranza? Ora ho capito chi è, il fratello di Nicolò.

È diventato un uomo, davvero affascinante... per i miei standard, poi...

Quando l'ho conosciuto era un semplice ragazzo poco più che adolescente. Mi parlava poco, la sua fidanzata era spesso in mezzo, lei blaterava ancor meno di lui.

Erano più Stefano e Nicolò a tenere vive le conversazioni del gruppo.

«Aurora», ricambio, riconoscendo la sua espressione, aveva capito anche lui chi fossi io.

Dopo pochi secondi, manco fosse un elefante, mentre la musica di sottofondo inizia a farsi più rumorosa con alle casse risuonare del rap italiano, scende dalle scale a chiocciola che portano al piano di sopra, Daniele.

Anche lui a torso nudo, ancora più tonico di Alessio, le spalle sono delle ante di un armadio e le braccia anche queste ricoperte di tatuaggi, muscolose.

È diverso da come me lo ricordavo io, era molto più secco una volta.

Poi mi domando: se la sono preparata?

Farmi entrare con loro mezzi nudi che bevono e fumano, mi sembra davvero una cosa da farsi vedere che sono dei fighi.

«Non pensavo saresti venuta...», inizia a scenderle più lentamente.

«Nemmeno io», mi guardo intorno, la sala è praticamente identica alla nostra a lato destro la cucina con i fornelli e l'isola dove sono situate due sedie da bar.

Vicino a queste, una porta-finestra che da su un balcone ampio, a cui è collegata una scala nera in ferro che si affaccia sulla finestra della prima camera da letto.

I miei occhi scorrono poi sulla scala interna a chioccia che confina con il salotto, davanti all'ingresso un divano con affianco due poltrone comode e un tavolino di vetro. Mi muovo sul parquet per fare dei passi ed avvicinarmi al centro del salotto mentre Alessio mi è davanti.

«Ma fateme capì, tu sei quella pischella "Aurora"?», Alessio gira il petto verso di me, sembra ogni volta che i suoi occhi si illuminino quando incontrano i miei.

Ha i capelli rasati, qualche centimetro sopra da spazio alla sfumatura sui lati dal colore scuro quasi nero e due orecchini fanno vece a due piccole orecchie un po' a sventola.

Ha capito perfettamente chi sono ma come me, ne vuole essere sicuro.

«Sì», risponde secco Daniele avvicinandosi a me e passandomi una birra in lattina dal frigo.

Quando mi giro mi ritrovo faccia a faccia con lui, due occhi piccoli mi percorrono il viso come se fosse un enigma e con un dito, mi sfiora con un movimento lento del pollice il taglio che mi sono appena fatta.

La bolla invisibile che si è creata attorno a noi non mi fa più capire nulla, le sue gambe sono a ridosso delle mie mi sento quasi in gabbia.

«Cos'hai fatto?»

«Nulla», giro il viso, prendendo un sorso della bibita alcolica stretta nella mia mano. Alessio intanto mi porge anche una sigaretta mentre si accorge anche lui del taglio.

«Woh, è stato quello?» chiede raddrizzandosi sulla superfice dell'isola della cucina. Riferendosi a Tradis, io corrugo le sopracciglia.

«No!» rispondo ridendo e convincendo i due, forse.

«A Danié, ma perché c'è provi co ’na fidanzata?», i miei occhi si alzano al cielo, lo so che queste domande ironiche sono fatte apposta per farmi sputare il rospo e so anche che sono dei provocatori ma sto comunque al loro gioco.

«Ho due coinquilini, ho già troppi uomini nella mia vita per avere un fidanzato»

Ho fatto esplodere la bomba, vero?

«Adesso ne hai altri due di "uomini nella tua vita"» esplica Daniele mimando quello che ho appena detto, e, sorridendo anche verso Alessio.

Mi muovo verso il divano, è quasi più comodo del nostro quando da un lato Daniele mi raggiunge.

Quanto è cresciuto rispetto a me, è diventato un uomo, mentre l'ultima volta che l'ho visto era un ragazzo.

Ha anche un fil di barba tenuta corta e curata, mentre l'immagine che ho stampato in testa di lui era di un ragazzo tutto pelle e ossa, con i tatuaggi fatti in casa dei Paranza, da Alessio, di cui stava iniziando già a perdere il conto.

«Beh? Cosa mi racconti?», prende un goccio di birra Heineken, senza staccare lo sguardo un solo secondo.

Il suo nasino a patata ha preso una direzione verso destra da farmi notare che in qualche modo l'ha rotto.

Più di una volta.

Quando si gira però, noto che le sue orecchie nonostante la presenza di orecchini tali a quelli di Alessio sono martoriate.

Un gonfiore insolito che non avevo mai visto dal vivo.

«Orecchie a cavolfiore, Aurora, si chiamano orecchie a cavolfiore»

Immediatamente il flashback di Nathan che me lo ripeteva quando chiedevo di queste orecchie rovinate, davanti alla televisione, fece capolino.

Ha i capelli poco più lunghi del suo amico ma lo stesso tipo di sfumatura.

Hanno lo stesso parrucchiere e lo stesso oreficerie?

«Dani, non sono venuta qui per raccontarti. Dopo avermi abbandonato non ho da dirti nulla... voglio solo dirti-», volta la testa appoggiandosi sullo schienale, per prendere il posacenere dal bracciolo del divano e posarlo sul tavolo.

Le mani grandi inchiostrate di disegni fanno un movimento. I suoi occhi si ritrovano a guardarmi anche dentro l'anima, facendomi bloccare.

Davvero non voglio avere contatti con colui che mi ha cresciuta? Amata?

«Che cosa mi vuoi dire Auri?»

«Sto bene, la mia vita va a gonfie vele» concludo, arrivando a guardare nuovamente l'orologio, sono le sette e quarantasei.

«Ma devo anche scappare», faccio per alzarmi buttando la sigaretta pigramente nel posacenere, ma vengo bloccata per il polso da una presa forte facendomi cadere direttamente sopra le gambe di Daniele.

I nostri visi rimangono a pochi centimetri l'un l'altro, il mio cuore salta un battito quando mi sembra di vedere le sue labbra rosee avvicinarsi sempre di più alle mie.

La musica si blocca, la bolla si ricrea facendomi pervadere da un milione di brividi lungo tutto il corpo anche se poi, Alessio richiama la nostra attenzione, aprendo l'acqua del rubinetto per mettere a bollire l'acqua della pasta.

I volti si spostano a guardare il ragazzo girato di spalle.

«Do devi annà Aurò? Perché non ceni qua?», sorride girandosi verso noi due, riprendo la mia posizione mentre Daniele cerca di accarezzarmi i capelli, ed io cerco di spostarmi.

Gli sembrava già di essere tornati come prima già, per me no, volevo rimanere fredda.

Almeno per vedere quanto potevo resistere.

Dovevo essere al lavoro alle ventidue, ed erano le otto e mezza.

Mi avevano convinta a rimanere, la pentola dell'acqua stava iniziando a bollire e le mezze maniche venivano lasciate in questa da Alessio che stava preparando «la carbonara più buona di sempre».

Sapevo la famiglia Paranza fosse di origini romane, senza neanche lo dicessero. Ero a conoscenza anche del fatto che i loro genitori erano separati, il padre venuto a lavorare a Boella portandosi dietro gli unici due fratelli che erano maggiorenni.

Aveva lasciato a Roma il fratello minore di tutti con la madre.

Non avevo capito cosa c'era sotto di preciso, ma anche la sua storia, era particolare...

Mi fido comunque ciecamente della sua cucina.

Intanto mi ero messa sul balcone uscendo dalla porta-finestra, osservando il quartiere cadere nella notte.

Il cielo si era un po' aperto dai nuvoloni e aveva dato spazio ad una splendida luna piena.

Daniele per avere un po' di spazio da soli mi aveva subito raggiunto.

Subito quel senso di protezione mi pervade, ogni volta che mi sta intorno. Soprattutto quando si avvicina pericolosamente a me facendomi fare passi in avanti per avere più visuale al cornicione.

«Non pensavo veramente di poterti ritrovare», ora aveva un felpa nera, tale e quale a quella che indossavo io.

Mi giro verso di lui per guardarlo dal basso verso l'alto, mi pare sempre che i nostri visi da un momento all'altro si potessero scontrare in un bacio lungo e passionale ma non sarebbe mai potuto succedere.

La mia cotta o il mio primo amore  era già stato abbandonato e se anche adesso lo avrebbe voluto riprendere sarebbe stato un no.

Anche se so che per lui siamo solo amici, fratelli quasi ed è e sarà sempre la mia famiglia. Giusto?

Avrei potuto piangere tra quelle braccia senza accorgermi neanche di ciò che mi stava succedendo intorno. Ma dormire soprattutto con lui.

So di essere bambina in questa cosa ed in parte è stata colpa sua.

Non sono mai riuscita a dormire da sola, soprattutto da quando lui è andato a Londra.

Nel mio appartamento, i ragazzi fanno a turno per dormire con me. Un giorno Tradis e l'altro Nathan, ieri è toccato al primo e stasera al secondo.

Se non fosse così, starei tutta la notte sveglia e mi è capitato, non sono mai riuscita a togliere l'abitudine.

«Mi hai trovata...», rispondo con un fil di voce.

Sta zitta, Aurora.

Sono da una parte amareggiata ma dall'altra posso affermare che si intuisce che non vedeva l'ora di potermi anche solo sfiorare, lo leggo dai suoi occhi cerulei. Dalla luce che li illumina pur essendo buio pesto.

Si avvicina piano per stringermi le braccia attorno alla schiena e i fianchi, un abbraccio caldo, un abbraccio dal quale sinceramente non mi sarei mai voluta liberare.

Non so perché gli stavo dando quel permesso di potermi toccare.

La mia mente da una parte stava rinnegando quel contato ma dall'altra parte anche io non c'è la facevo più e un suo abbraccio poteva solo essere un misto di calma e sicurezza, per me soprattutto se come cenerentola tra poco tempo mi sarei dovuta dileguare.

Non mi permetto di perdonarlo ma è l'unico che riusciva una volta ed è riuscito adesso a farmi rilassare completamente sciogliere e intersecarmi sul suo petto.

Le sue braccia mi stringono a sé, facendomi sentire ogni suo muscolo perforare il mio fisico.

Sento anche il suo cuore saltare un battito e poi un altro, la mia pelle fremere facendo diventare le mie gote di un rosso fragola acceso.

Non voglio più liberarmi da questo ma lo faccio quasi immediatamente.

Prendo il telefono, c'è un messaggio da Nate, mi chiede se avesse dovuto accompagnarmi lui alle ventuno e trenta.

Rispondo di sì, volevo evitare altra pioggia improvvisa e soprattutto altri ritardi. Qualche attimo dopo, Alessio ci chiama dentro per mangiare la mitica, straordinaria, mai fatta: carbonara.

Il ragazzo con il cappellino nero, stesso di quando ci siamo conosciuti poco prima, mi guarda con due occhiaie scuro che segnano lo sguardo e mi chiede l'approvazione della bontà del pasto.

«È squisita» affermo assaporando altre forchettate, mentre lui mangia in piedi io e Daniele siamo seduti avanti a lui sulle sedie da bar.

Daniele non fa una parola quando mi rivolgo ad Alessio, non sembra neanche interessato.

Mangia senza proferir parola.

Mi porge anche un cerotto che prima non avevo trovato, il quale io metto in tasca ringraziandolo.

«Che lavoro fai Aurò?» chiede Alessio, prendendo i piatti e spostandoli dentro il lavello.

«Bar, tu?» mento spudoratamente mentre prendo il cappotto con cui sono arrivata.

Il giubbotto di jeans non è messo delle migliori per queste giornate ma, prima, non avevo altro da prendere se non il primo che mi capitasse in mano.

«Non te l'ha detto Daniele?»

«Cosa avresti dovuto dirmi?», mi volto verso Daniele facendo tagliare l'aria ai miei capelli lunghi che ricadono immediatamente sulle spalle.

«Stiamo scrivendo dei pezzi insieme.», sembra annoiato dalla conversazione da come lo dice e conclude il tutto molto velocemente, «dai andiamo», un grosso punto interrogativo sembra apparirmi sopra la testa come fosse un cartone animato.

Lo guardo confusa e lui sembra essere concentrato solo sulle mie labbra carnose. Come se aspettasse una mia domanda subito pronta.

«Andiamo dove?» chiedo.

Lui sposta lo sguardo subito sui miei occhi aprendo la porta avanti a noi ma rimanendo immobile con il resto del corpo.

«Ti accompagno al lavoro», intanto esco salutando Alessio con un bacio volante.

Daniele corruga subito la fronte, in cerca di risposte.

Non voglio assolutamente nulla da loro due, da lui sopratutto.

«Mi accompagna Nate», chiudo subito la porta dietro di me, facendo rimanere i due di stucco.

«Ti ama... sì... le piaci davvero tanto fraté», ride Alessio dall'altra parte della porta mentre si allontana dalla cucina.

Ironicamente ha notato il mio comportamento freddo, come se capisse che lo vorrei evitare in ogni modo.

«Preparati» ricambia lui, alzando gli occhi al cielo per la battuta dell'amico.

«Daje Danié non vorrai vede do lavora!?», chiede con tono esausto l'altro ragazzo che si muove verso di lui per prendere un'altra sigaretta.

«Le offriremo un drink dai!»

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