Capitolo 8
Boccheggiai. Non risposi. Non sapevo cosa dire. Insomma, dannazione, non poteva saltarsene fuori all'improvviso con una frase del genere.
Forse avrei dovuto dire qualcosa dato il suo sguardo. I suoi occhi non erano mai stati così intensi, pregavano che parlassi, che dicessi qualcosa. Qualsiasi cosa.
Beh... che perlomeno c'entrasse con l'argomento.
Ma ero spaesata, era come se mi trovassi al buio in una stanza... Come se mi trovassi di nuovo all'interno della Scatola.
Spostò di botto lo sguardo, sospirò pesantemente e si passò una mano tra i capelli in modo palesemente frustato.
Abbassai lo sguardo, rimanendo in silenzio. Dovevo essere arrossita o qualcosa del genere, perché le mie guance pulsavano ed il mio cuore batteva all'impazzata.
Quel silenzio era pesante ed imbarazzante, rabbrividii talmente ero in tensione e sperai vivamente che accadesse qualcosa che ci costringesse a parlare.
«Immaginavo questa tua risposta silenziosa», sussurrò in modo quasi inudibile, «me l'aspettavo.
È okay, anzi, giustissimo così. Quello in torto sono io, non preoccuparti. Siamo Radurai e abbiamo altre cose per la testa che queste cose». Fece per alzarsi, ma gli impedii di spostarsi prendendogli il braccio e tirandolo all'indietro, costringendolo a stare sul letto accanto a me. Non volevo che se ne andasse.
«Non sei in torto, brutta testapuzzona», brontolai, «sono cose che possono succedere, caspio, non farti filmini mentali che non servono a nulla».
Non potevo negare di essere leggermente a disagio.
Ero confusa, non avevo mai pensato che Newt potesse provare una cosa simile... sopratutto per me.
Forse avrei dovuto mettere in conto che sarebbe potuto succedere, ma come aveva detto lui di solito i Radurai avevano la testa impegnata in altro. Sopratutto lui che era comunque il secondo in comando.
Certo, mi aveva sempre portata su un piatto d'argento sin dal mio arrivo, ma pensavo più che altro che lo facesse per un semplice atto di cortesia... okay, non avevo scuse per questo, non avevo saputo cogliere i segnali e in quel momento mi sentii una stupida. Veramente una stupida.
A pensarci bene, era sempre stato chiaro. Forse l'avevo sempre saputo ma l'avevo sempre negato come una sciocca, perché sapevo che nella Radura queste cose dovevano essere lasciate perdere o si rischiava di fare la fine di George. Avevo ignorato volontariamente i segnali sin dal primo momento.
L'unico che non aveva mai lasciato perdere questa cosa era stato Minho... ed era meglio che nessuno gli dicesse che aveva sempre avuto ragione, sennò se ne sarebbe vantato per il resto dei suoi giorni.
Cominciai a farmi dei viaggi mentali....
E se in quel momento Newt si sentiva come George? Sarebbe mai arrivato ad odiarmi? Cosa sarebbe successo da quel momento in poi? Ma sopratutto... io cosa provavo per Newt?
Chiusi gli occhi e sospirai rumorosamente.
La mia testa era carica di domande di quel genere e non sapevo come liberarmene, sopratutto perché.... temevo le risposte.
Non avevo mai pensato a Newt sotto quella luce.... o forse sì, ma inconsciamente.
Mi prese la mano e sussultai, ma non la ritrassi, non volevo farlo.
Si accorse che avevo sussultato e sorrise in modo chiaramente ferito, spostando lui la mano.
Cercai di non far vedere quanto in verità avrei voluto che la tenesse sopra la mia. Avevo bisogno di sentire il suo tocco... mi sentivo strana.
Non tanto per le sue parole, ma avevo una pessima sensazione.
«Avrei dovuto starmene zitto, ma non ce la facevo più. Poi quando ho saputo che hai baciato Minho proprio non ci ho visto più...»
Corrugai la fronte e arricciai il naso. Il mio velo di pensieri fu spazzato via da quella frase.
Io, baciare Minho? Non l'avrei mai fatto. Mai! Era come un fratello maggiore per me, anche se probabilmente avevamo la stessa età.
Newt continuò a parlare in modo rapido e senza sosta, era nervoso e le sue mani tremavano e si muovevano in modo frenetico.
«Io non ho baciato Minho...», mormorai e per un attimo pensai che non mi avesse nemmeno sentita, ma invece si bloccò e corrugò la fronte.
«Sul serio?», la sua espressione si ammorbidì, ma nell'arco di qualche secondo tornò il solito sguardo duro, come se avesse indossato una maschera di colpo per non mostrare la parte più sensibile di lui.
Annuii, mi sentivo in colpa per il tormento che si stava dando, anche se colpe non ne avevo.
Si passò nuovamente una mano tra i capelli, fissando il muro spoglio davanti a sé.
«Ma scherzi? Non potrei mai baciare Minho. Ma chi ti ha detto una cosa simile?»
«Uno dei ragazzi che sta sempre con Gally, gliel'ha detto qualcun altro ma non mi ha detto chi.» Chiuse gli occhi, «Scusami».
«Non scusarti, non è successo niente.» Poggiai la fronte sulla sua spalla, sentendolo trasalire un pochino.
«A pensarci bene, credo che Minho si sarebbe vantato della cosa e l'avrebbe gridato ai quattro venti.» Ridacchiò scuotendo la testa, ma era una risata amara, come se avesse voluto tirare su il morale a qualcuno... ma più che altro, come se avesse voluto far credere a qualcuno di essere felice, ma dentro di sé era a pezzi. Capii che odiavo vederlo in quel modo.
«Adesso cambierà tutto, vero?», sussurrò.
«No, farò un modo che non cambi assolutamente niente», risposi così, sorridendo, ma non ne ero sicura nemmeno io.
Volevo rassicurarlo e volevo provare a non far cambiare veramente nulla, ma una buona parte di me era abbastanza sicura che la situazione tra noi invece sarebbe cambiata parecchio sotto molti aspetti.
Passarono diverse ore, Minho ci trovò e ci venne incontro.
Teneva il muso come un bambino, ma parlò ugualmente con Newt per chiarire quella situazione.
Non si erano presentati a cena per il semplice fatto che quando Minho aveva provato a chiarire con Newt il fatto del bacio, lui non gli aveva creduto ed avevano iniziato a litigare.
erano scappati anche diversi colpi, ma nessuno dei due si era fatto troppo male.
Fui sollevata di questo, ma mi sentii meglio solo quando Minho e Newt si strinsero la mano in segno di pace fatta. Speravo di più in un abbraccio fraterno, ma forse era chiedere troppo.
Mi domandai a quel punto se Newt avesse parlato con Minho della sua cotta, ma probabilmente no... speravo. È una cosa che avrei dovuto chiedere più avanti.
Passarono diverse ore.
Il Casolare iniziava a stare stretto, i Radurai impazienti e annoiati. A parte l'odore che cominciava a diventare insopportabile...
Si lamentavano tutti, volevano uscire fuori e lavorare, correre o fare cose simili.
Non era uno spazio enorme e non c'era molta possibilità di muoversi lì dentro. Ci stavamo, ma c'era veramente poco spazio.
Dovetti alzarmi dal letto per aiutare gli altri addetti alla cucina a distribuire del pane nel tentavo di tenerli buoni.
Mangiavano tutti nervosamente, ma anche per colmare la noia che si faceva sempre più pensante ad ogni secondo che passava.
La situazione era appesa ad un filo visto che i Radurai cominciarono a fare sempre più domande:
"Perché non possiamo uscire?", "Perché le mura del Labirinto sono chiuse?".
«Ehi, avete sentito?!», gridò qualcuno dal piano di sopra.
Sul Casolare cadde il silenzio totale nel tentativo di sentire qualche rumore esterno.
Un minuto. Silenzio.
Due minuti. Niente.
Tre minuti. Niente.
Quattro minuti. Niente
Cinque minuti... il rumore di un grido metallico, seguito da un altro rumore di ferro che strisciava contro altro ferro.
Newt era in piedi accanto a me, mi guardò con la fronte corrugata come per chiedermi se avessi sentito anche io.
Una domanda muta, ma che capii al volo.
«Questi rumore sembravano...»
«Molle», terminai la frase prima che potesse farlo lui.
Una piccola folla si radunò accanto alla finestra. I ragazzi si accalcarono prima che potessero farlo gli altri, ma indietreggiarono tutti ad una velocità assurda.
Ben presto si creò un piccolo spiazzo vuoto davanti alla finestra malandata del Casolare.
Cosa ci poteva essere di così spaventoso? Nessuno osava affacciarsi di nuovo alla finestrella, nemmeno per assicurarsi di aver visto bene.
Feci per avvicinarmi ma Newt mi bloccò per la spalla, scuotendo la testa per dirmi di non guardare.
«Dolenti», sussurrò il ragazzo con i capelli rossi davanti a me, sdraiato a terra e pallido per la paura. «I Dolenti hanno saltato le Mura», sussurrò di nuovo. Tremava a terra, tirò su le ginocchia e cominciò a dondolare avanti e indietro sul posto. «Siamo tutti morti. Morti! Morti, morti, morti...», continuò a ripetere quella parola mentre dondolava.
Newt si alzò e si affacciò alla piccola finestra, osservando attentamente all'esterno. «Come caspio... Ma questi sembrano molto più grossi e... metallici. Sono decisamente più grossi!», sgranò gli occhi, «E sono anche molto più attrezzati, date quelle belle punte metalliche che hanno sul dorso. Sembrano dei caspio di ricci!».
«Come hanno fatto quei cosi a saltare quelle Mura? Credevo non potessero farlo!», sbottai.
Ero nervosa. Se prima avevo quella brutta sensazione, ora ero seriamente convinta che le cose avrebbero preso davvero una brutta piega.
«Questi non sono come gli altri Dolenti. Sembrano essere quasi più evoluti, grossi e armati... dei caspio di ricci/carroarmato...»
Cominciai a pensare che la colpa di tutto quello che stava succedendo fosse davvero mia.
Prima di allora i Dolenti non avevano mai saltato le Mura perché erano troppo alte anche per loro.
Prima di allora le Porte non si erano mai chiuse del tutto per un giorno intero...
Sospirai e poggiai la schiena contro il muro più vicino, strisciando verso il basso e chiudendo gli occhi.
E riecco quella sensazione di avere di nuovo gli occhi puntati addosso, come se tutti mi stessero giudicando e incolpando di quella situazione.
Non avevo il coraggio di aprire gli occhi per assicurarmi che fosse così o meno, volevo solo sparire da lì, fuggire altrove o svegliarmi sperando che fosse tutto okay, che quello in verità fosse solo un brutto incubo e non la realtà.
Poteva mai andare peggio quella giornata?
Si sentii un rumore di legno che si spaccava. Corrugai la fronte e aprii gli occhi, pensando che quella domanda forse era meglio non farla.
«Oh no...» Newt si allontanò dalla finestrella, indietreggiando fino alla parete contro la quale ero poggiata.
«Non dirmi che quei cosi si stanno arrampicando sul Casolare...»
«Sì...» Si appoggiò alla parete e strisciò verso il basso, accanto a me, poggiando le mani sulla fronte e i gomiti sulle ginocchia, «Merda...».
Il Raduraio che poco prima aveva cominciato a dondolare, ora dondolava più velocemente e ridacchiava in modo isterico, guardandosi attorno in modo frenetico, «Ve l'ho detto, siamo tutti morti! Morti, cazzo, morti!», ridacchiò ancora. Era chiara la tensione nel tono della sua voce, era roca e strozzata, come se avesse potuto piangere da un momento all'altro... e stava per farlo.
Il pavimento tremò leggermente in seguito ad una botta esterna non troppo lontana da noi. Delle altre assi scricchiolarono, ed erano della parete davanti a noi.
I Radurai si allontanarono dalla finestra, accalcandosi alla parete contro la quale eravamo poggiati io e Newt.
Dalla finestra si intravidero due grossissime punte metalliche.
Il Dolente era esattamente davanti a noi, per fortuna era fuori.
Camminava sulla parete, saliva verso il piano di sopra. Il corpo era di un colore scuro e metallico e la pelle era visibilmente appiccicosa, ricca di grinze.
Si fermò esattamente sopra la finestra, il suo corpo si appiccicò al vetro con un rumore sordo.
Qualche minuto dopo sei punte si conficcarono dentro la parete. Era punte grandi quanto la mia testa ed erano ai lati della finestra.
«Le cose non si mettono bene», sussurrò Newt fissando attentamente quelle punte.
In quel momento si aprirono ed uscì un filo da ciascuna punta. Da ogni filo uscì sorta di bocciolo metallico e appuntito, che si aprì rivelando quattro punte che andarono a conficcarsi sul pavimento a pochi centimetri di distanza dalla parete. Delle scintille elettriche cominciarono a fare uno spettacolo di luce azzurra, salivano fino alle punte e fuori dai fori, lungo il corpo tozzo del dolente. Sembrò caricarsi, e pochi attimi dopo cominciò a fare leva sulle punte. Il pavimento si incrinò leggermente, creando piccole spaccature, la parete si piegò in avanti.
«Dobbiamo andarcene di qui!», gridò il ragazzo accanto a me. Era pietrificato e le sue mani tremavano. «Dobbiamo andarcene prima che entri dentro e ci faccia fuori uno per uno!»
Ma in quel momento, il Dolente tirò indietro le punte attaccate al pavimento e le mise sulla parete.
Si abbassò leggermente e ciò che sembravano essere mille occhi piccoli, ravvicinati e gialli, si appiccicarono al vetro.
Fissava i Radurai contro la parete. Tutti. Sembrava assaporare le prede, scegliere quale avrebbe fatto fuori per primo, quale per ultimo, come se avesse avuto davanti il miglior menù che qualcuno gli avesse mai proposto.
«Dobbiamo andarcene», sussurrò Newt. Non voleva farsi sentire dagli altri, «Quel coso ti sta fissando e la cosa non mi piace».
Mi si gelò il sangue nelle vene. «Chi ti dice che sta fissando proprio me?», sussurrai anche io.
«Non lo so. Ho la sensazione che ti stia cercando. Sembra un leone affamato, ma più grosso e spaventoso.» Si alzò lentamente, cercando di evitare qualsiasi movimento brusco.
Dio, mi stava facendo venire l'ansia. «Newt?»
«Sei pronta?», sussurrò di nuovo. Nessuno dei Radurai sembrò notare i suoi movimenti, erano troppo impegnati a sploffarsi addosso per quella presenza che stava fuori dalla finestra.
«Che vuoi fare?!»
«Devi solo seguirmi e fidarti di me!»
«Non vorrai mica uscire di qui?» Sgranai gli occhi quando lo vidi annuire. «Ti si è rincaspiato il cervello?!»
«Hai un idea migliore? Perché quella di stare qui a discutere su chi dei due sia più pazzo non mi pare una buona soluzione!»
Ammutolii.
Mi porse la mano, «Quindi, sei pronta?»
«Non esattamen-»
«Ora!», afferrò velocemente la mia mano e scattò fuori dalla stanza.
Fui costretta a seguirlo, che mi andasse bene o meno.
Tirammo spallate a tutti quelli che incontrammo. Mi si strinse il cuore per l'ansia nel vedere tutti quei Radurai accalcati contro le pareti per il terrore di essere circondati da quei Dolenti.
Non ci volle molto a raggiungere la porta dell'uscita dal Casolare. Ignorammo i vari tentativi di essere fermati e le urla di Alby e Minho, per non parlare del "Dove andate?" di Chuck. Lo disse con un tono così tremolante che mi venne l'ansia per lui. Doveva essere terrorizzato ed io ero lontanissima da lui. Avrei voluto stringerlo per rassicurarlo, anche se in verità quella che voleva essere rassicurata ero io.
Una volta fuori sentimmo un forte stridio metallico.
Riuscii a vedere quei Dolenti. Erano decisamente più grandi e Newt aveva ragione. Sembravano dei ricci metallici misti. Avevano sei zampe all'esterno che sporgevano da quella sorta di guscio ricoperto. Dal basso spuntava una sorta di sacco molliccio che doveva essere la loro pancia, ed oltretutto doveva essere la parte che prima era premuta contro il vetro.
Non erano in molti, solo in quattro e due stavano litigando tra loro.
Dalla pancia di quei due puntarono seghe circolari, si stavano distruggendo a vicenda producendo scintille ovunque.
Il Dolente che stava fuori dalla finestra cominciò a stridere più forte, probabilmente si era accorto che eravamo usciti.
Scese dalla parete e, mentre gli altri due ignorarono il richiamo e continuarono ad uccidersi a vicenda, il quarto cominciò a rotolare verso di noi.
«Corri più veloce! Stammi vicina!», gridò Newt, correndo più veloce che poteva verso quella zona che io odiavo. Le Faccemorte.
Ci addentrammo in quella sorta di foresta buia, in breve tempo fummo nella zona più folta.
Il mio cuore batteva così forte e veloce che temevo di sputarlo da un momento all'altro. L'adrenalina mi stava dando alla testa. Sudavo freddo, sentivo quelle creature rotolare alle nostre spalle e temevo di non potercela fare. Capii in poco tempo dove eravamo diretti, ma temevo che non avremmo mai fatto in tempo a raggiungerlo.
Newt sapeva orientarsi, probabilmente conosceva quel posto meglio di chiunque altro... o almeno, meglio di me di sicuro. Comunque questo mi faceva sentire un po' più sicura.
Girò di botto rischiando di farmi dare una bella facciata contro un tronco, e questo successe almeno una ventina di volte, tant'è che cominciai a pensare che lo faceva solo per vendicarsi o qualcosa di simile. Continuammo a correre alla cieca finché non sentimmo i Dolenti abbastanza lontani.
A quel punto Newt cominciò a rallentare un pochino. Ansimava per la fatica, il suo respiro era fortissimo. Mi guardai attorno, orientandomi almeno un po'. Capii che non eravamo molto distanti dal nascondiglio.
«Di qua», disse Newt a fatica, camminando verso sinistra senza lasciarmi la mano.
Spostò tutte le varie piantine velocemente e mi fece passare per prima, poi mi raggiunse e risistemò velocemente il tutto per nascondere il passaggio.
Non era un nascondiglio molto grande a dire la verità, ma ci stavamo da seduti.
Newt si sedette e respirò profondamente per riprendere fiato, poggiò i gomiti contro le ginocchia e si piegò in avanti. Cercò di non fare rumore, perché ormai i Dolenti non erano troppo distanti.
Il problema era che il mio respiro era parecchio pesante ed udibile, solo che non me ne resi conto prima di quel momento. Mi sentii in trappola, era terrorizzata. Se si fossero accorti che eravamo lì dentro, non avremmo avuto scampo.
«Oh no...», mormorai, la mia voce tremava. Indietreggiai fino a poggiare la schiena contro quella sorta di parete fatta di tronchi. Era fredda. O forse ero io ad essere congelata dalla paura.
Cominciai a tremare come una foglia quando sentii il rumore dei rametti che si spezzavano all'esterno. I Dolenti erano veramente parecchio vicini al nostro nascondiglio.
Il mio respiro era ancora pesante. Tentai di tutto per calmarlo. Alla fine strizzai gli occhi, ma li sgranai quando sentii la mano di Newt tapparmi la bocca.
«Ssh...», avvicinò l'indice della mani libera alle sue labbra, guardandomi con un espressione calma e fredda. Mi stupii di quanto fosse calmo e sicuro di sé, ma almeno uno dei due doveva esserlo.
Si avvicinò di più a me, senza spostare la mano dalle mie labbra, e con l'altro braccio mi strinse a lui. Lo lasciai fare, mi sentivo un po' più sicura così. I Dolenti ormai erano a pochi centimetri dall'entrata del nascondiglio.
Chiusi gli occhi, sperando che andassero dritti e che non si accorgessero di nulla, come succedeva per gli altri Radurai quando passavano davanti a quel mucchio di erba, rami e piante che nascondevano l'entrata.
«Non si accorgeranno di nulla, vedrai», sussurrò a voce così bassa che feci quasi fatica a capirlo e spostò la mano dalle mie labbra, poggiandola sul suo ginocchio.
Annuii. Decisi di credergli, ma continuai a tremare nonostante mi accarezzasse la schiena per calmarmi.
Era sempre stato così dolce con me e non avevo mai pensato a ciò che provava veramente... Dio, quanto ero stata stupida.
Restammo in silenzio ad aspettare che quei cosi sparissero dalla zona, ma sembravano imperterriti. Continuavano a passare davanti al nascondiglio senza accorgersi nemmeno una volta dell'entrata.
Rotolavano, stridevano, rotolavano ancora, si scontravano ma non si accorsero assolutamente di nulla. Niente. Non fecero niente se non girare intorno.
Fu un ora passata con l'ansia di essere scoperti, e in tutto quel tempo Newt non fece altro che accarezzarmi la schiena e respirare in modo calmo, cosa che piano piano cominciai a fare anche io.
Avrei voluto avere anche solo la metà della sua sicurezza e della calma che dimostrava.
Forse col tempo avrei imparato ad essere così. Forse...
Mi sembrava praticamente impossibile. Qual'era la mia utilità in quel posto? Nessuna. Se non preparare del cibo il più commestibile possibile. Fino ad allora ero solo riuscita a farmi additare come quella strana, quella di troppo.
Si sentii un rumore di lame poi uno sferragliare persistente ed uno stridio straziante.
Lo stesso che emettevano i Dolenti che nella Radura si stavano tagliuzzando a vicenda.
Anche quei due Dolenti si stavano facendo fuori a vicenda? Perché?
Non era decisamente il caso di controllare finché quei suoni non si fossero placati del tutto.
Newt chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, accasciandosi contro i tronchi alle nostre spalle.
Spostò la mano dalla mia schiena e riaprì gli occhi, fissando l'uscita dal nascondiglio. Sembrava incantato ed ero abbastanza sicura che stesse ascoltando attentamente i rumori prodotti dalle lame dei Dolenti.
«Pensi si stiano distruggendo a vicenda?», mormorai e lui annuì, ma non distolse lo sguardo dall'uscita. «Sei stato un pazzo a fuggire dal Casolare...»
«Ma siamo vivi. Penso vivamente che se fossimo rimasti lì dentro quei cosi ci avrebbero affettati tutti. E comunque se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato. Ti ho promesso che ti avrei protetta ed è ciò che voglio fare.» Contrasse la mascella e sospirò.
Non sapevo cosa rispondere, quando diceva cose simili mi spiazzava completamente ogni volta.
Sorrisi leggermente e mi appoggiai meglio contro di lui. Mi cinse le spalle con un braccio, la sua mano scese lungo il mio braccio e cominciò ad accarezzarlo. Un movimento così naturale che mi domandai se se ne rendesse conto. Come la notte che avevamo passato accoccolati nel letto.
Pensandoci bene ora potevo capire tutto quel mistero che girava attorno a diverse frasi dette in passato. Come quando mi parlava del mio arrivo nella Scatola, del fatto che se mai fosse arrivata un altra ragazza non l'avrebbe mai trattata come trattava me ed altre cose... era tutto per quello che prova nei miei confronti ed io sono stata così cieca da non essermene mai accorta. Più pensavo a questo fatto più mi sentivo stupida.
«A cosa stai pensando?», domandò continuando ad accarezzarmi il braccio, abbassando il volto per guardarmi. La mia nube di pensieri si dissolse un pochino, giusto il tanto per poterlo sentire, ma le domande e le riflessioni continuavano a passarmi davanti ricordando quanto ero stata stupida.
«A nulla in particolare, non preoccuparti.»
Fece un respiro profondo, «Stai pensando a ciò che ti ho detto nel Casolare, vero?».
Ma che diavolo, mi leggeva nella mente?
Annuii imbarazzata, ma cercai di non darlo a vedere... non troppo almeno.
Ridacchiò e scosse la testa, «Smettila di pensarci Fagio, ti si fonderà il cervello sennò. È okay, te l'ho detto», nel suo tono c'era ancora quella piccola traccia ferita che mi faceva sentire in colpa.
Ridacchiai anche io nel vano tentativo di smorzare un po' l'imbarazzo, ma l'unica cosa che ottenni fu un silenzio imbarazzante appena entrambi finimmo di ridacchiare.
Lo guardai, mordendomi nervosamente il labbro. Il suo viso era serio, riuscivo a vedere una traccia frustrata nei suoi occhi, la sua espressione sembrava glaciale, ma sapevo che in fondo, nonostante cercasse di non farlo vedere, stava male per ciò che era successo poco prima. Chissà se avrebbe mai attutito il colpo basso. Sicuramente al posto suo ci sarei rimasta veramente male, probabilmente non l'avrei guardato in faccia per un po' perché ad ogni sguardo mi avrebbe distrutta... Chissà se per lui era lo stesso, ma magari non voleva darlo a vedere.
Spostò la mano dal mio braccio e schiuse le labbra, sorridendo nel modo più naturale che potesse fare, «Lo senti?».
«Cosa?»
«Il silenzio! Quei cosi hanno finito!»
«Oh... non me n'ero accorta. Questo posto è così tranquillo che mi ero quasi scordata della loro presenza.»
«Già... lo so. È un bel posto quando vuoi rifugiarti dai problemi esterni», respirò profondamente e si passò una mano tra i capelli, «Ho passato parecchio tempo qui i miei primi periodi da Raduraio».
«Sì, Minho mi ha accennato a questa cosa», tirai su le ginocchia e le poggiai contro il petto
«Hai presente quei giorni in cui... beh... passavamo poco tempo assieme? Venivo qui a pensare.
Devo ammettere che quella frase del "buon amico" mi aveva leggermente scombussolato. Venivo qui a riflettere su queste cose», sorrise di nuovo in quel modo amaro, abbassando il volto e rialzandolo pochi attimi dopo. «Ma il periodo più lungo che ho passato qui dentro è stato poco dopo essermi fatto male nel Labirinto.»
«Nel Labirinto?», corrugai la fronte.
«Già... il motivo per cui zoppico ogni tanto», mi guardò, «sai... ho sempre odiato da morire questo posto. Non ti ho mai detto come mi sono fatto male alla caviglia, giusto?».
«No, mai...»
Sorrise e annuì, abbassando lo sguardo sulla caviglia e poggiandoci una mano sopra. «Tempo fa mi arrampicai su quelle dannate Mura e mi lanciai giù. Sperai che così finisse quell'incubo, o che mi svegliassi in un letto comodo rendendomi conto che tutto ciò che stavo vivendo era solo un brutto sogno o qualcosa di simile. Puoi immaginare da sola cosa è successo una volta schiantato al suolo. Ti dico solo che Alby mi ha salvato la vita. Allora non sapevo nemmeno cosa pensare, quando mi ha portato via dal Labirinto era come se fossi vuoto. Sì, certo, sentivo dolore ovunque, ma con la testa ero altrove. Spaventato, confuso, alla ricerca di risposte che nessuno sapeva darmi. Alla fine mi sono armato di forza di volontà e ho cominciato a fare la mia parte, perché capii che ormai ero qui, non valeva la pena arrendersi e fare il peso morto e che dovevo aiutare gli altri in qualsiasi modo potessi farlo, che prima o poi saremo usciti di qui. Mi attaccai a quella speranza. Non avevo granché per cui combattere se non la convinzione cieca che da qui sarei uscito e avrei finalmente cominciato a vivere, non a sopravvivere. È stato un periodo davvero scuro e non poso negare che ogni mattina mi svegliavo incazzato o comunque nervoso e mi sfogavo con tutti i lavori che potevo fare nella Radura. Ho cominciato a stare meglio quando sei arrivata tu», l'ultima frase fu quasi un sussurro, «In un certo senso sei la mia anestesia dal male che mi crea questo posto...». Mi guardò, per un attimo rimase serio, poi sul suo volto comparve un sorrisetto ed infine cominciò a ridere.
Corrugai la fronte e gonfiai le guance, «Che c'è?».
«Accidenti, sei arrossita!»
Mi toccai le guance. Erano effettivamente bollenti. Arrossi ancora di più per essermene resa conto.
Mi coprii il volto con le mani e brontolai qualcosa di incomprensibile anche a me. Mi consolai perché lo feci ridere in modo abbastanza sincero.
«Lo so, è veramente sdolcinato, mi faccio quasi schifo», disse mentre rideva. Sì, era sdolcinato, ma non mi faceva schifo. Anzi, lo trovai tenero.
Avevo voglia di abbracciarlo. Sapevo che Newt nascondeva degli scheletri nell'armadio, come tutti del resto.
«Avanti, usciamo di qui, dobbiamo avvertire gli altri che i Dolenti sono morti.»
«Siamo sicuri che siano morti e non che siano semplicemente fuggiti?», dissi spostandomi le mani dal volto.
Scosse le spalle e si imbronciò, «Qualcuno dovrà pur accertarsene. Non possiamo rimanere qui dentro tutta la notte».
«Oh sì che possiamo», brontolai. Non volevo uscire da lì, avevo paura che quei cosi potessero sbucare fuori all'improvviso e farci a pezzettini.
«Non essere sciocca, Liz, se rimaniamo qui dentro tutta la notte penseranno che siamo schiattati.»
«È ciò che vorrebbe la metà di loro. Almeno per quanto riguarda me.»
Scosse la testa, «No, non è vero. E in ogni caso non mi interessa». Si piegò in avanti ed uscì dal nascondiglio, lasciandomi il via libera così che potessi uscire anche io.
Lo raggiunsi e mi sistemai i vestiti tutti stropicciati e pieni di terra per aver strisciato sul terriccio per uscire.
Davanti a noi c'erano i corpi dei due Dolenti.
Erano enormi, a pancia all'aria e con le zampe metalliche incrinate all'indietro con le punte in fuori.
Erano completamente aperti, pieni di tagli e sotto di loro c'era una sostanza che sembrava sangue mista ad olio, petrolio e metallo liquido.
Erano decisamente morti.
«Questi Dolenti sono proprio brutti e decisamente più grandi degli altri. Da così vicino è ancora più evidente», disse fissando i loro corpi.
E aveva ragione. Nonostante avessero le zampe piegate all'indietro, erano enormi e il loro aspetto era terrificante. Dalle punte sulla schiena fuoriusciva una sostanza verdognola che andava a mischiarsi con la pozza sotto di loro. Cominciava a diffondersi una puzza insopportabile che mi fece storcere il naso. Newt cominciò a camminare evidentemente infastidito da quell'odore.
Era inutile rimanere lì a guardare quei cosi morti e avrebbe avuto il tempo di tornarci anche più avanti. Cominciai a seguirlo e mi strinsi nelle spalle, guardandomi attorno per assicurarmi di non essere seguita da quei cosi.
Magari fingevano solo di essere morti... non mi sarei stupita della cosa.
Quando tornammo nella Radura, i ragazzi avevano costruito una sorta di scudo enorme fatto di legno e avevano spinto i corpi dei due dolenti che si erano maciullati a vicenda contro le pareti del Labirinto. Speravano che così facendo le Porte si riaprissero l'indomani.
Ma la cosa buffa è che appena notarono la presenza di Newt quasi esultarono e tirarono un sospiro di sollievo. Non fecero una grossa eccezione per me... tranne Justin.
Justin sorrise con un non so che di tetro quando mi vide. Perché?
«Avete deciso che si può gironzolare di nuovo?», domandò Newt ad Alby mentre quest'ultimo trascinava via con gli altri quella sorta di scudo.
«Beh, visto che siete fuggiti e quei cosi vi hanno seguiti e fuori era tutto tranquillo... sì. A proposito, sono morti, vero?»
«Sì, sono morti. Bella mossa azzardata, Alby. E se fossero stati ancora vivi?», incrociò le braccia.
Dopo aver poggiato lo scudo a terra, Alby si grattò la testa e la dondolò leggermente, assumendo un espressione riflessiva, «Beh... avremmo avuto un bel problema. Mi sono lasciato abbindolare dalla parlantina di Minho. Che, tanto per la cronaca, era terrorizzato quando vi ha visti uscire dal Casolare. A proposito, che caspio ti è saltato in mente?! Potevate fare una pessima fine lì fuori con quei cosi che vi seguivano!».
Newt scosse le spalle, «Potrei dire la stessa cosa a te, Alby».
Non aveva voglia di discutere ed era chiaro, tant'è che dopo avergli risposto optò per allontanarsi da lui e cercare Minho. Non volevo discutere al posto suo, così cominciai a cercare qualcosa da fare per aiutare gli altri Radurai.
Per fortuna i Dolenti non avevano fatto grossi danni, tranne i buchi al Casolare. Avevano forzato troppo i muri che ora erano inclinati e spezzettati.
Io ed altri Radurai cercammo di ripulire la pozza lasciata da quei Dolenti, altri ragazzi rimasero ad osservare i cadaveri nonostante la grossa puzza che stavano facendo.
Justin era accanto a me. Mi inquietava a dire il vero... e anche parecchio.
«Stai bene?», sussurrò guardandomi con la coda dell'occhio, «Come ve la siete cavata?».
«Uhm? Ah, sì, sto alla grande. Ci siamo arrampicati sugli alberi...»
Sollevò un sopracciglio, «Vi siete arrampicati...».
«Già...»
«Sugli alberi...»
«Sì...»
Corrugò la fronte, mantenendo il sopracciglio alzato, poi arricciò il naso, «Non ho mai visto Newt arrampicarsi su un albero... e tu, sai arrampicarti su quei cosi altissimi?».
«Oh sì, io so arrampicarmi benissimo!» Stavo mentendo... non ero in grado di arrampicarmi nemmeno su una sedia, figuriamoci su un albero che possedeva dei rami grossi solo in alto mentre quelli più fini erano sul fondo.
Pensai che non ci avrebbe mai creduto, ma scosse le spalle e annuì, «Okay, capisco. Siete stati fortunati comunque, quei cosi sembravano parecchio assetati di sangue», alzò lo sguardo verso i due cadaveri, «Spero non tornino indietro».
«Penso che il Labirinto si sia chiuso per cercare di proteggerci... o qualcosa di simile...»
«Ma non ha funzionato bene. Come vedi quei cosi hanno scavalcato.»
«Beh, immagina se però fossero arrivati anche gli altri più piccoli. Sarebbe stato peggio, no? Non avremmo resistito un minuto di più lì dentro fermi tutti insieme. Ne sono certa.»
Justin sospirò in modo pesante e annuì. Mi guardò in modo strano. Forse i Dolenti gli ricordavano la fine che aveva fatto George o qualcosa di simile.
Mi sentii improvvisamente in colpa e dovetti guardare altrove, sentivo come se tutta quella situazione fosse davvero colpa mia.
Il biglietto... ciò che diceva George... il Labirinto... Dio, dovevo smetterla di pensare tutte quelle cose. Come potevo entrarci in tutto questo?
Mi passai una mano tra i capelli e sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla.
Sobbalzai e alzai il volto, ritrovando quello di Newt.
Oggi mi stava parecchio attaccato o era solo una mia sensazione?
«Che c'è?», domandai, corrugando la fronte
«Vieni un attimo Liz.»
«Okay», mormorai e mi alzai, seguendolo.
Camminò svelto verso i corpi dei Dolenti e indicò una delle zampe metalliche, «Leggi».
Ma non poteva leggermelo lui? Non volevo avvicinarmi a quei cosi.
Gli tirai la peggiore occhiataccia che potessi fare, poi mi sporsi in avanti.
"Elizabeth".
Corrugai la fronte e guardai Newt, che spostò a sua volta lo sguardo su Minho, esattamente accanto a lui.
Quest'ultimo alzò le mani al cielo, «Ehi, perché mi guardi? Non l'ho mica inciso io il suo nome sulla zampa di questo coso!».
Newt fece roteare gli occhi e mi guardò, «Ne sai qualcosa?».
«Ne so meno di voi», ammisi.
Forse aveva ragione quando diceva che quel coso cercava me... forse non era solo una sua sensazione.
Rabbrividii e mi guardai attorno. E riecco la sensazione di avere tutti gli occhi puntati contro.
Ma adesso mi guardavano davvero... almeno, quelli che erano lì presenti.
Due Radurai di cui non sapevo il nome, Minho, Newt e Zart, di cui conoscevo il nome solo perché Alby una volta lo aveva ripreso per avergli rovesciato addosso per sbaglio il piatto pieno di minestra.
Chiusi gli occhi per un attimo ed ispirai profondamente, pentendomene subito dopo per via dell'odoraccio che mi si infilò nelle narici.
Mi venne un conato di vomito e mi piegai in avanti, mettendo un campanello d'allarme a Newt che si avvicinò subito e poggiò una mano sulla mia schiena.
Allungai una mano verso di lui e la poggiai sul suo petto, allontanandolo di qualche centimetro, poi mi tirai su, fissando quella scritta.
Non capivo il perché di scriverlo su uno di quei cosi.
«Stai bene?», domandò Newt.
Annuii, continuando a fissare quella scritta.
Non sapevo perché, ma sentii un brivido percorrermi la schiena e lo stomaco si rivoltò su sé stesso.
La nausea mi tormentava.
«Bene così, allora possiamo anche andarcene», disse e fece per girarsi, così come gli altri.
Poi una di quelle zampe ebbe uno scatto, come un riflesso involontario. Scattò dritta e tirò fuori le punte, cominciando a ruotare in sé stessa. Uscirono delle lame dal corpo e si scagliarono sul terreno, rimbalzando verso di me.
Mi pietrificai e le osservai. Volevo spostarmi ma non ci riuscivo. Volevo, ci provai, ma era come se avessi i piedi piantati a terra, prigioniera del mio stesso corpo.
Newt mi spinse via. Avrei voluto che non lo facesse, perché venne ferito al posto mio. Ed allora si placò tutto di nuovo. Il Dolente ritirò le lame, la zampa tornò piegata su sé stessa.
Il corpo ebbe un ultimo fremito poi si placò di nuovo inerme.
La maglietta di Newt era squarciata sul petto, una piccola striscia di sangue si formò in una linea obliqua. Avevo gli occhi sgranati.
«Vuoi che vada a chiamare i medicali?», domandò uno dei Radurai che non conoscevo, ma Newt scosse la testa.
«No, sto bene», disse passandosi una mano lungo il taglio.
Non riuscivo a parlare. Era come se avessi la lingua paralizzata.
«Allora, dove siete andati quando siete fuggiti, miei piccoli Romeo e Giulietta?»
«Ci siamo rifugiati tu-sai-dove», brontolò Newt, fissandosi la maglietta.
Si era fasciato il petto con una garza e medicato con un po' d'alcool inzuppato in un panno da cucina, ora sembrava una sorta di mummia in versione economica.
«Aw, come siete romant-»
«Chiudi quella caspio di bocca se non vuoi che stacchi una lama a uno di quei Dolenti e ti rasi i capelli a zero», ribatté Newt prima che Minho potesse finire di parlare.
Doveva essere un argomento veramente duro da affrontare quello.
Il Casolare era veramente silenzioso e quella notte nessuno aveva voluto mangiare.
La maggior parte dei Radurai aveva deciso di dormire ai piani superiori, non volevano stare al piano inferiore per paura che uno dei Dolenti potesse risvegliarsi all'improvviso ed entrare (trovai la cosa inutile dato che, se anche fosse successo, potevano benissimo arrampicarsi sul Casolare e raggiungerli comunque).
Non mi lamentavo: avevo il letto del piano inferiore libero, anche se preferivo lasciarlo a Newt per farlo stare comodo. Eravamo seduti tutti e tre lì sopra, infatti.
Minho diede un finto colpo di tosse e sospirò, «Va bene, va bene, scusa. Comunque è stato un buon piano se siete ancora vivi. Volevo per l'appunto cercarvi e dirvi che potevamo andare lì dentro. Quando vi ho visti uscire speravo vivamente che foste diretti lì».
«Certo che eravamo diretti lì», rispose Newt, strizzando gli occhi mentre si sistemava sul letto.
E riecco i sensi di colpa. Se non fosse stato per me ora non avrebbe avuto quel taglio sul petto.
Minho si alzò, «Beh, ora riposati, soldato», fece un finto saluto militare e prese il suo sacco a pelo sistemato esattamente dietro di lui, «Io dormirò di fuori, se hai bisogno di me, sai dove trovarmi».
«Va bene... mamma», ridacchiò Newt e ricambiò il finto saluto militare, seguendolo con lo sguardo mentre usciva dalla stanza del Casolare.
Chiusi gli occhi e poggiai la testa alla parete, sospirando pesantemente.
«Che c'è Liz?»
«È colpa mia», mormorai, girando leggermente gli occhi.
«Ma sto bene, vedi? È tutto okay, non è niente!»
«No, tu non stai bene! Non puoi stare bene con un taglio sul petto!»
«Non è mica così grande!»
«Ah, no? Allora avanti, fammi vedere!»
Sgranò gli occhi e si guardò attorno, passandosi una mano tra i capelli. «... vuoi che mi levi la maglietta?»
«Che c'è, fai il timido? Quella che ha il seno sotto la maglietta sono io, non tu», brontolai ed incrociai le braccia.
Rimase sbigottito dalla mia risposta e ridacchiò sotto i baffi, levandosi la maglietta poco dopo.
Era seriamente la versione economica di una mummia. La benda gli ricopriva l'intero petto e mostrava la striscia di sangue.
«Avanti, levala», dissi sospirando.
«Cosa?»
«La benda. Levala», fece ruotare gli occhi verso il soffitto e tolse lentamente la benda, arricciando il naso infastidito. Il taglio era veramente grande, altro che niente.
«Sei un Pive bugiardo, lo sai?», digrignai i denti e presi il panno, lo inzuppai d'alcool e lo poggiai delicatamente sulla ferita.
Fece un'espressione stupita ed abbassò lo sguardo sulla mia mano. Mi lasciò fare, per sua fortuna.
Avevo una gran voglia di prenderlo a pugni per ciò che aveva fatto, per avermi mentito sulla grandezza del taglio, per aver mentito sul fatto che non gli facesse male e per non avermi detto quanto fosse profondo. Perché, cavolo, lo era. Non molto ma lo era.
Il panno era insanguinato, mi faceva quasi impressione.
«Che fai?», domandò in un sussurro, gli bruciava ed il suo tono di voce lo faceva intendere
«Ti medico, non vedi?»
«Non sei costretta a farlo.»
«È il minimo che posso fare. Tu ti prendi cura di me ed io mi prendo cura di te, okay?», mi spostai i capelli da un lato, «Lasciami fare, ti prego», mormorai. Di colpo mi sentii strana.
«Bene così... grazie.»
Accennai un sorriso, «Prego.»
Sorrise anche lui, arrendendosi al fatto che tanto non mi sarei spostata da lì.
«Posso chiederti una cosa?»
«Sì... almeno mi distraggo e non penso a quanto caspio brucia questo coso.»
«Minho sa di... beh...»
«Di ciò che ti ho confessato? No, ma sicuramente lo sospetta. Oh, eccome se lo sospetta.» Scrollò le spalle e se ne pentì subito dopo, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore.
Forse era il caso di chiudere definitivamente quel discorso o avrebbe ricominciato a stare male per quella storia. Non volevo che questo accadesse, perché ci tenevo a lui e odiavo vederlo stare male.
Sentii di nuovo quella strana sensazione. Era come se lo stomaco si stesse contorcendo su sé stesso.
«Fatto», sussurrai distrattamente e spostai il panno, poggiandolo su quello che era un comodino improvvisato. Acchiappai la benda la girai dalla parte pulita, cominciando a bendarlo come prima.
Sapevo che sarebbe stato meglio prenderne una pulita, ma non potevo andare a cercarla. L'avremmo cambiata l'indomani.
Rimase a fissarmi con un sorrisetto stampato sulle labbra, poi si infilò di nuovo la maglietta, «Grazie, Fagio».
«Prego, Pive», risposi ridacchiando, poi si sdraiò sul letto e si tirò su il sacco a pelo piegato al bordo del letto, passandomi il mio, che era proprio sotto il suo. Aprì il sacco a pelo e se lo gettò sopra. Feci per alzarmi, ma mi prese il polso e scosse la testa.
«Stai qui ancora un po'», mormorò.
Accennai un sorriso e annuii, sdraiandomi accanto a lui. Non sarei rimasta a lungo, volevo che stesse comodo e anche se quel letto era abbastanza grande per starci in due, occupavo dello spazio che poteva usare benissimo per stendersi meglio e mettersi comodo.
Era tutto così strano ora che sapevo ciò che provava. Sapevo di aver detto che avrei provato a non far cambiare nulla tra noi, però... in un certo senso, qualcosa era cambiato.
Mi sentivo un po' più strana a stare accanto a lui. Lo guardavo con occhi diversi, sentivo il suo tocco in modo diverso. Era come se avessi avuto una via libera che prima non avevo, o meglio, non vedevo.
Chiuse gli occhi e si sistemò meglio sul cuscino, cercando di non far peso sulla spalla, visto che il taglio arrivava fin poco sotto questa.
«Hai ancora un taglietto sullo zigomo», mormorai e poggiai una mano sulla sua guancia.
Aprì di poco gli occhi, richiudendoli poco dopo, annuendo, «Sì, lo so».
«Mi sento il colpa per tutto questo.»
«Finiscila di rincaspiarti il cervello Liz.» Legò il braccio attorno alla mia vita, spostandolo poco dopo e poggiando la mano dietro la mia schiena, come se fossimo di nuovo nel nascondiglio e volesse tranquillizzarmi. Avevo sempre pensato che Newt fosse il mio palo in quel posto, e sì, lo era. Caspio se lo era. Mi sentivo in colpa per quello che gli era successo, perché sapevo che l'aveva fatto solo per evitare che mi ferissi io. Così come era fuggito dal Casolare con me solo per mettermi in salvo e come aveva fatto a botte con George solo per difendermi. Mi sentii un po' meglio quando mi accarezzò la schiena, esattamente come era riuscito a tranquillizzarmi all'interno del nascondiglio nonostante fossi terrorizzata da ciò che accadeva lì fuori.
L'unico che cercavo sempre era solo lui, anche se nella Radura c'erano altri ragazzi.
Anche se volevo un mondo di bene anche a Minho, Chuck, Frypan e gli altri, l'unico di cui mi ero sempre preoccupata seriamente era Newt.
Quando non mi calcolava poi tanto, anche se parlavo con gli altri, anche se lo vedevo poco tempo e facevamo chiacchieratine spicciole di qualche secondo, mi mancava da morire ed ero piuttosto giù di morale.
Non era abbastanza chiaro anche a me ciò che provavo per lui?
Santo cielo, quanto avrei voluto tirarmi dei colpi con la zampa del Dolente morto stecchito lì fuori.
La verità mi cadde addosso come un macigno: fu come se mi mancasse l'aria per un secondo, eppure ne fui felice.
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