Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 6

Girai leggermente lo sguardo verso Minho. Cercai nei suoi occhi una minima spiegazione a quell'espressione seria di Newt.

Ma niente. Sembrava confuso quanto me, se non di più.

Mi rassegnai all'idea che non capivo una ceppa dei ragazzi e portai nuovamente lo sguardo su Newt, ancora fermo sullo stipite della porta con le braccia incrociate e quell'espressione seria, fredda, ferma su di me.

Feci per parlare ma sollevò rapidamente la mano e mi bloccai.

«Minho, George sta delirando.»

Minho corrugò la fronte, «Che me ne frega a me?».

Mi trattenni dal ridere, ma mi sfuggì un verso improponibile. Un misto tra una risatina e uno sbuffo.

Newt mi fulminò con lo sguardo. Dannazione, ce l'aveva con me o cosa?

Abbassai lo sguardo, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e indietreggiando verso il tavolo.

Li lasciai parlare, preferivo restarmene in silenzio piuttosto che ricevere un altra occhiataccia.

Era la prima volta che Newt mi guardava in quel modo e non potevo negare di sentirmi leggermente ferita.

Le loro parole a stento mi sfioravano, erano discorsi a me ancora completamente estranei, ma sotto sotto non mi interessavano granché.

Parlavano della Mutazione, del fatto che George farneticava e gridava – si sentiva anche senza che Newt lo dicesse – come un matto, che i Medicali hanno faticato come cani per iniettargli il Dolosiero visto che non stava fermo un secondo. Tirava calci e pugni, inarcava la schiena e si rovesciava a pancia in giù, poi a pancia in su, le sue vene del collo e delle braccia erano così grosse che sembravano poter scoppiare da un momento all'altro.

Da come lo raccontava mi sembrava di essere all'interno di quella stanza, con la luce bianca che illuminava tutto e rendeva la pelle di George più pallida, mettendo in risalto le gocce di sudore sulla pelle scoperta.

Sollevai lo sguardo giusto quando sentii che mi aveva nominata diverse volte, ma nulla di troppo interessante. Insulti su insulti, come se la sua presenza in quel luogo fosse tutta colpa mia.

Continuavo a non capire il suo odio nei miei confronti. Solo perché Newt ed io avevamo legato?

Non era colpa mia se lui non c'era riuscito. Pensai che se non si fosse comportato come un idiota, forse anche lui ci avrebbe legato.

Newt stringeva nervosamente i pugni mentre parlava e in certi momenti il suo volto si tingeva di rosso, cosa che a Minho probabilmente faceva ridere visti i suoi sogghignetti.

«Oh, dimenticavo di darti la premessa che parla come se stesse commentando delle... visioni, o cose simili.»

Minho schioccò la lingua, «Tipo "vedo delle stelline brillanti nel tuo futuro"?»

Newt sollevò un sopracciglio. «... Sì, più o meno sì. Parlando seriamente, farfuglia qualcosa riguardante il Labirinto e i Creatori», girò leggermente lo sguardo verso di me, «Qualcosa riguardante alcuni futuri Fagiolini. Ma principalmente sul Labirinto».

«E cosa dice sul Labirinto?»

«Nulla di concreto. "Mura ferme, Dolenti, Sezioni, Fluttua, Piglia" e altre parole. Sempre con quest'ordine.» Chiuse gli occhi, «Ogni tanto dice che il sole brucia la zona, e altre volte nomina Elizabeth».

«Il sole brucia la zona?», Minho sollevò un sopracciglio, «Qui il sole non ha ancora bruciato nulla. Al massimo Percy brucia le uova al tegamino e Frypan lo colpisce con una padella».

Nonostante l'ironia di Minho, Newt era palesemente sovrappensiero, come se si stesse scervellando da ore su quel piccolo rebus. Poggiò le mani sulle labbra, torturandosi quello inferiore mentre fissava un punto fisso del tavolo, nemmeno ci fosse la risposta.

«Sono cose senza senso, smettila di rincaspiarti il cervello Newt», disse infine Minho, quasi affranto che la sua ironia non fosse compresa.

Newt alzò il volto, incrociando il mio sguardo. Da quando ero lì non avevo mai visto il suo sguardo così tagliente e glaciale. Non nei miei confronti.

Schiusi le labbra per domandargli se avessi fatto qualcosa di sbagliato, ma non ebbi nemmeno il tempo di spicciare una sola parola che lui si girò ed uscì rapido dalla cucina.

Mi girai verso Minho con uno sguardo interrogatorio. In tutta risposta scrollò le spalle, con un espressione interrogativa quanto la mia.

Passarono due giorni. Due giorni interi in cui si sentì solo George gridare come un pazzo.

Non c'era giorno in cui Justin non andasse a trovarlo, sperando in un suo miglioramento.

Quel giorno, lui era lì dalla mattina presto, anche prima dei Medicali.

Nessuno parlava più del bigliettino. Nessuno parlava più di quanto George fosse stato cretino a buttarsi nel Labirinto.

La vita nella Radura aveva ripreso ad essere monotona, come se qualcuno avesse cancellato tutto con una gomma.

Solo una cosa era cambiata nella mia nuova vita. Newt.

Da quella sera di due giorni fa sembrava fare di tutto per passare meno tempo con me, il che si rivelò estremamente... beh... triste.

Avevo passato le ultime due notti a domandarmi cosa avessi fatto di sbagliato.

Newt era diventato praticamente il mio migliore amico nella Radura e non vederlo rendeva le mie giornate stressanti.

Non vedevo praticamente mai Alby, visto che era occupato a tenere il clima calmo tra i Radurai, e gli unici con cui parlavo ormai erano Frypan, Minho (quando tornava dal Labirinto) e Chuck.

Non che non volessi passare del tempo con loro, ma... non era come passare del tempo con Newt.

Quello era il mio momento preferito di tutta la giornata.

Sospirai, asciugando l'ultimo piatto che avevo appena finito di lavare. Controllai che fosse completamente pulito, poi lo sistemai sul ripiano della cucina insieme agli altri ed uscii, entrando nella Stanza delle Tavolate per assicurarmi che fosse tutto apposto anche lì.

Rimasi sorpresa e leggermente scossa nel vedere Newt ancora seduto al tavolo.

Fu come ricevere un pugno in pieno stomaco.

Com'è che Frypan l'aveva lasciato lì e non mi aveva detto nulla?

L'aveva fatto apposta? La cosa non mi avrebbe affatto stupita.

Cosa fare? Andare da lui o no? In fondo non avevo nulla da perdere a pensarci bene.

Presi coraggio e andai a sedermi accanto a lui, ricevendo un occhiataccia degna di essere chiamata tale.

«Ehi», sussurrai. Il coraggio accumulato pochi secondi prima mi aveva fatto "ciao ciao" con la manina ed era fuggito via con un cartellone enorme con su scritto "codardo".

«Ciao Liz», mugugnò lui. Sentii il mio cuore accelerare di botto. Per qualche secondo pensai che avrei perso i sensi da un momento all'altro. Forse quella di andare a parlargli non era stata poi una buona idea.

«Come... come stai?»

«Bene. Tu?»

«Da schifo, testapuzzona che non sei altro, perché fai il demente? Mi manchi», pensai, poi indossai il miglior sorriso che potevo fare, «Anche io», risposi, abbassando il volto poco dopo.

«Bene così», rispose e si girò, facendo per alzarsi, ma poi si fermò e mi guardò in faccia, sollevandomi il volto con l'indice, «Ehi...».

Mi costrinsi a guardarlo negli occhi e si rivelò l'impresa più difficile che potessi affrontare.

Il suo sguardo era ancora di ghiaccio, ma sembrò meno tagliente rispetto a quello di due giorni fa, però era ancora in grado di farmi male.

Perché stavo così male? Mi girava la testa da quanti ragionamenti stava facendo il mio cervello senza che nemmeno riuscissi a seguirli.

Ne cominciavo uno e ne perdevo il filo pochi attimi dopo, seguendone un altro.

«Perché sei arrabbiato con me?», mormorai senza nemmeno rendermene conto.

Quella domanda sembrò spiazzarlo totalmente. Il suo sguardo si ammorbidì.

Boccheggiò, spostando la mano. Abbassò lo sguardo per un attimo, rialzandolo lentamente poco dopo, «Ma che dici? Non ce l'ho con te».

«E allora perché mi eviti?»

Corrugò la fronte, indietreggiando leggermente con la schiena e guardandomi come se gli avessi sputato in faccia, «Io non ti evito affatto!».

«Caspio, Newt! Cerchi di stare il meno possibile con me!»

«Ma non è vero!»

«E l'altro giorno mi hai fulminata con lo sguardo un sacco di volte.»

«Se avessi guardato meglio, avresti notato che ogni volta che abbassavi lo sguardo era come se il mondo mi crollasse addosso», mormorò a voce così bassa che a stento riuscii a sentirlo.

Spostò lo sguardo contro il muro, «Dannazione, sono solo preoccupato per te, non ti entra in testa?».

«Beh... non devi.»

«Sì che devo, sopratutto dopo quella sera.» Abbassò lo sguardo sul piatto vuoto davanti a lui.

«Perché?»

«Perché sì», tagliò corto.

Restammo in silenzio per diversi minuti. Nessuno dei due sembrava intenzionato a spiccicare parola per primo e la cosa cominciava a farsi pesante. Avrei dovuto alzarmi, sparecchiare e lavare tutto. Svolgere la mia mansione, insomma, ma non avevo intenzione di lasciarlo lì da solo. Temevo che sarebbe andato via di nuovo e che non l'avrei rivisto fino al giorno dopo.

Perché ormai le cose andavano così.

Il suo sguardo era fermo sul piatto, il suo respiro regolare e lo zigomo era ormai sgonfio, ma la cicatrice era ancora lì.

Presi un respiro profondo. Decisi di rompere il silenzio, prima di sentirmi schiacciata e prima che si scocciasse e andasse via. Qualunque cosa sarebbe stata più interessante che stare lì in silenzio accanto a me.

«Posso chiederti una cosa?», domandai, preparandomi psicologicamente ad un altra occhiataccia.

Newt annuì, senza spostare lo sguardo nemmeno di un millimetro.

«Ricordi la notte in cui abbiamo... beh... dormito assieme?»

«Sì, me la ricordo.»

«Ricordi anche di avermi stretta a te...?»

Annuì, spostando finalmente lo sguardo verso di me, accennando un sorriso del tutto naturale, «Perché me lo chiedi?».

«Oh... No... beh... perché stavi dormendo e magari era... beh... non lo so.»

Scosse la testa, tenendo un sorrisetto sulle labbra, «Certo che me lo ricordo e sì, ti ho abbracciata perché volevo, non era un riflesso dovuto al sonno. Se ti ha dato fastidio non lo farò più».

«Oh no, no non te l'ho chiesto per quello... Era tanto per spezzare il silenzio.»

«Bene così», fece un respiro profondo, passandosi le mani sulla fronte con fare stressato, «Sul serio Elizabeth, non ce l'ho con te».

Spostò una mano dal volto e la poggiò sulla mia. Un contatto così naturale ed improvviso da sorprendermi, ma non spostai la mano, decisi di lasciarla lì. Intrecciai le dita con le sue, e lui strinse la presa. Provai una sensazione di sollievo rispetto a prima.

«Lo so», risposi infine, guardando le nostre mani. La sua mano era morbida e calda, accarezzava la mia con il pollice, poi, come se si fosse reso conto di quello che stava facendo, smise, ma non sciolse la presa.

«La storia di George ti preoccupa ancora? I suoi farfugliamenti intendo.»

«Quali dei tanti?»

«Tutti», risposi, «È quello che ti turba quando dici "sopratutto dopo quella sera"?».

«Anche. Mi riferisco anche al bigliettino. Ma sì, un po' mi preoccupano», strinse la mia mano, allontanando il piatto con l'altra. «Non sappiamo dove portano o se dobbiamo prenderli in considerazione sul serio. Infondo sono parole che collegate tra loro non hanno senso.»

«O forse vanno viste da un punto di vista diverso.» Scossi le spalle.

Sembrò sorpreso da quell'affermazione. «Cioè?»

«Magari è... Un Rebus. Un indovinello... Un codice.»

Mi guardò con uno sguardo confuso, poi sgranò gli occhi di colpo e il suo viso si illuminò.

«Caspio, è possibile!»

«Certo che è possibile, mica parlo a vanvera io!», finsi di assumere un espressione di superiorità, sollevando leggermente il volto verso l'alto.

Ridacchiò sotto i baffi, scuotendo la testa, «Non tirartela troppo, sei comunque una Fagiolina».

«E tu una testa puzzona», brontolai, fingendomi offesa.

Arricciò il naso, sollevando un sopracciglio. «Sai, se me l'avesse detto qualcun altro probabilmente mi sarei offeso a morte. Da quando usi così bene il linguaggio della Radura?»

«Uhm... Da un pochino.»

Il tempo di terminare quella frase, e il suo volto tornò velocemente freddo e serio.

Ma non la serietà di poco fa, era più che altro preoccupazione, e stavolta era evidente. O forse ero solo io che adesso riuscivo a vederla chiaramente.

Sicuramente stava pensando di nuovo alle parole di George.

Volevo distrarlo. Volevo cancellare i suoi pensieri e fargli passare quella preoccupazione. Era come se sentissi che era compito mio. Come se la sua preoccupazione fosse anche la mia, ed era mio compito quello di alleviarla.

«Senti... Perché non mi dici il motivo per cui cercavi di evitarmi?»

Si voltò lentamente, e capii che forse quella era proprio l'ultima domanda che dovevo fargli.

Era come se avessi premuto il bottone rosso che collegava tutti i problemi ad uno solo.

Assunse un espressione cupa, quasi disastrata.

«Non stavo evitando te, è solo che...», si bloccò, poi scosse la testa e prese un respiro profondo, «Lasciamo stare».

«No, dimmelo. Sono qui per te, non scapperò mai.» Sorrisi amaramente, «Non potrei andare da nessuna parte anche volendolo fare», gli accarezzai la mano stretta alla mia.

Ci pensò su, sollevando lo sguardo sui miei occhi. Contrasse la mascella.

«Le cose stanno precipitando lentamente, caspio», spostò lo sguardo, «Sono preoccupato per tutta questa storia. Sono preoccupato che diano la colpa a te e causino chissà quale rivoluzione. Sono preoccupato per via delle Porte che si chiudono sempre più velocemente, rischiando di lasciare i Velocisti dentro il Labirinto». Si poggiò la mano libera sulla fronte e la strofinò forte. Aveva un aria così stressata da farmi male solo a guardarlo. Sembrava oltretutto che non dormisse da giorni e me ne resi conto solo in quel momento.

Spostò la mano dal volto, respirando profondamente, e allora riprese a parlare, «Nemmeno Alby sa dove sbattere la testa. L'unica soluzione sicura sarebbe dire ai Velocisti di non andare nel Labirinto finché le cose non si sistemano, ma se non dovessero farlo? Se smettessero di andare nel Labirinto per sempre, perderemo l'unica speranza di trovare un uscita per fuggire da questo dannato posto. Allora sì che la Radura cadrebbe nel caos più totale! Non possiamo permettercelo. No caspio. No», sorrise nervosamente. La sua voce tremava ed i suoi occhi diventarono lucidi. Deglutì, ridacchiando nervosamente. «Non possiamo permettercelo. Anni di lavoro mandati in fumo per colpa delle dannate Porte di quel fottuto Labirinto? Non ci voglio nemmeno pensare!»

«Newt, calmati...»

Chiuse gli occhi, facendo l'ennesimo respiro profondo, «Cosa risolvo calmandomi? Le cose non cambieranno».

«Non cambieranno nemmeno se ti prendi un esaurimento nervoso.»

Riaprì gli occhi, ritraendo la mano e incrociando le braccia sul tavolo, «Hai ragione. Devo distrarmi un po'».

«Già», brontolai, grattando la panchina con le unghie, «Ti do io qualcosa a cui pensare!».

«Ossia?»

«Uhm... vediamo... ad esempio a quanti anni potrei avere!»

Newt rise quasi di gusto, poggiando il mento sulle braccia, «Credo sia una di quelle cose che un ragazzo non dovrebbe mai dire ad una ragazza se non vuole beccarsi uno schiaffo in piena faccia».

«Beh, lo schiaffo arriva solo se si fa gli scemi, io parlo seriamente.»

«Se la metti così... Direi che hai circa la mia età. Quindi sui 17 anni. Minimo 16, ma non di più e non di meno.»

Ci pensai su per un secondo e capii che probabilmente aveva ragione. Anche io la pensavo così.

Feci per chiedergli qualcos'altro ma venni interrotta da un sospiro pesante alle nostre spalle.

Ci voltammo entrambi. Chuck era poggiato allo stipite del portone in legno grezzo che dava all'esterno della Sala delle Tavolate.

Respirava affannosamente e il suo volto era completamente rosso dalla fatica.

Ma perché correva se sapeva che non reggeva la corsa?

«Newt!», riprese fiato, «Paul mi ha mandato a dirti che Percy gli ha detto che Winston gli ha detto che Gally gli ha detto che Alby gli ha detto che Justin gli ha detto di dirti che George si è svegliato e vuole parlare con te!», riprese fiato un'altra volta, chiudendo gli occhi e gettando la testa all'indietro.

Newt scattò in piedi, «Ma non potevi abbreviare?».

«Mi hanno detto di ripetere tutto parola per parola», mormorò quasi imbarazzato.

Newt scosse la testa, ruotando gli occhi e correndo fuori, diretto verso il Casolare.

Mi avvicinai a Chuck mentre Newt correva.

Aveva un aria seriamente stremata.

«Stai bene?», domandai con un tono premuroso. Chuck annuì.

«Mi prendono sempre tutti in giro», brontolò, «Detesto essere il più piccolo».

Storsi il labbro e schiusi le labbra, ma lui sollevò l'indice per zittirmi, «Mi dai qualcosa da mangiare?».

«Certo», dissi ridacchiando.

Quel bambino era un pozzo senza fondo, ma non me la sentivo di rifiutarmi di dargli qualcosa da mangiare, mi sarei sentita in colpa a vita.

Dopo aver dato da mangiare a Chuck, andai al Casolare.

Volevo sapere cosa si erano detti Newt e George.

C'era una piccola folla radunata attorno al Casolare e uno scambio di parole, tra cui insulti pesanti, tra due Radurai un po' esterni alla folla.

Mi feci spazio a suon di spintoni per riuscire ad entrare nel Casolare, dove trovai Alby poggiato alla parete e Newt accanto a lui.

Stavano parlando, ma si zittirono appena arrivai davanti a loro. I Radurai attorno a loro discutevano animatamente di svariate cose. Forti brusii, parole confuse, discorsi mischiati e gente che perdeva anche il filo del proprio discorso. Ma tutti conducevano ad una sola persona: George.

«Che ha fatto di così eclatante, adesso?»

«Nulla, parlava ancora del Labirinto», rispose Alby, «Dice che dobbiamo tenerti d'occhio e che stanno arrivando per te».

Quella frase mi diede i brividi ed una sensazione di vuoto assurdo.

Chi stava arrivando? E perché volevano me?

Mi grattai la testa con fare confuso, in tutta onestà volevo solo passare per indifferente alla cosa.

«Okay», dissi col tono più tranquillo che potessi trovare.

Justin scese le scale alle spalle di Alby, rimanendo a metà scalinata, «Newt, George ha detto di salire un secondo, vorrebbe parlarti», mi guardò con la coda dell'occhio, «e vorrebbe anche Alby... ed Elizabeth». Scese dalla scala, lasciando salire me e loro.

Lui salì per ultimo, ci accompagnò nella stanza di George e si poggiò alla parete.

«Tu non entri?», domandò Alby, lasciando entrare Newt per primo.

«Lui non vuole», ammise Justin, picchiettando il piede a terra come se fosse impaziente.

«Beh... Okay, avrà le sue ragioni», scrollò le spalle ed entrò in stanza.

Fissai un attimo Justin. Il suo sguardo era fisso a terra, palesemente scocciato dalla situazione.

Entrai e mi chiusi la porta alle spalle, affrettandomi a mettermi tra Alby e Newt. Mi sentivo più al sicuro tra loro, visto che sapevo che George non provava molta simpatia nei miei confronti.

Alby incrociò le braccia contro il petto, fissando George che stava seduto sul letto con un espressione da pesce lesso mentre guardava Newt. Si era imbambolato.

Newt schioccò la lingua e si girò verso la parete alla sua destra, sospirando pesantemente. Fu allora che George distolse lo sguardo, abbassandolo. «Allora, vi ho fatto chiamare perché... Beh... volevo porre le mie scuse, in tutta onestà. Non ve l'ho detto prima perché ci ho riflettuto ora», alzò la testa.

«Mi sono comportato da vera testapuzzona, me ne rendo conto.»

«Meglio tardi che mai», brontolò Newt.

«Senti, lo sai che ho un caratteraccio», corrugò la fronte, «E almeno degnati di guardarmi in faccia quando parliamo, Newt».

Alby alzò le braccia al soffitto, congiungendole poco dopo con un grosso schiocco, «Bene, prima che scoppi un altra zuffa del tutto immotivata tra voi due, direi che accettiamo le tue scuse. Era solo questo ciò che volevi dirci?».

«No», George si toccò il volto, ancora gonfio e con qualche cicatrice sulle guance e una grossa sul naso, «Non è solo questo, chiaramente. A parte quello che vi avevo detto prima, durante la Mutazione ho capito una cosa. Lei», mi indicò. Nel suo sguardo stava emergendo una punta di odio.

La stessa punta che vedevo ogni volta che incrociava il mio sguardo, «Porterà solo guai qui, tra noi».

«E quindi?»

«Dobbiamo darla a loro prima che l'equilibrio venga del tutto rovinato!», sbraitò George, drizzando di più la schiena.

Alby corrugò la fronte, «Loro chi? Si può sapere di chi parli?».

«I Creatori, non è chiaro? E per darla a loro, dovremo buttarla nel Labirinto assieme ai Dolenti!» Si sfregò le mani. Mi ricordava vagamente una mosca sfigurata.

La mano di Newt non era così distante dalla mia gamba. La sentii serrarsi a pugno. Prima che potesse aprire bocca, Alby intervenne, «Ma cosa stai blaterando? George, la Mutazione ti ha fritto il cervello!».

George balzò in piedi, avvicinandosi con uno sguardo perso nel vuoto.

Newt mi spinse dietro di lui, spingendo via George, «Finiscila con questi attacchi stupidi!».

Notai che Alby si poggiò una mano sulla fronte e la fece scivolare lentamente verso il basso, «Caspio, ma perché a me?», brontolò.

George traballò all'indietro per qualche passo, «Non volevo attaccare nessuno», ridacchiò in modo isterico, avvicinandosi di nuovo. Era chiaro che non voleva "attaccarmi", dato che si fermò a pochi passi da Newt. Volto contro volto.

George fece per poggiare la fronte contro quella di Newt, ma lui tirò indietro il volto.

«Dovremmo fare come dico io, creerà un grossissimo spacco tra noi!»

«"Noi"? L'unico che fino ad ora ha avuto problemi con Elizabeth sei tu, George, e l'unico che ha sollevato un polverone sei stato tu», rispose Alby.

«Già, beh, parlate come se quel bigliettino non fosse mai arrivato. Come se nessuno avesse notato i problemi che si sono creati», scosse la testa, poggiando le mani sul volto di Newt, che sgranò gli occhi. «Almeno tu ascoltami. Ti prego.»

Vidi il petto di Newt sollevarsi, prendendo un grosso respiro.

«Io non voglio che ti succeda nulla di male», continuò George, «Non me lo perdonerei mai. Sopratutto se questo dovesse avvenire tramite una stupida Fagiolina capitata nella Radura per un semplice errore».

«Finiscila di comportarti come una caspio di fidanzatina gelosa, George. Blateri senza motivo», rispose Newt a denti stretti.

«No, non blatero senza motivo, io so quello che ho visto! So che piano hanno i creatori!»

Ed ecco che nel suo sguardo ritornò quella punta. A momenti era come se non fosse nemmeno in lui. Come se qualcuno lo stesse manovrando dall'interno. «La Mutazione mi ha donato degli indizi! Tu devi credermi Newt! Non direi mai nulla che potesse farti del male in futuro! Sai benissimo ch-»

«E sentiamo, cos'hai visto? E levami queste caspio di mani dal volto, mi stai dando sui nervi!»

In quel momento pensai che Newt dovesse andarci più piano. Sapeva cosa provava George per lui e, anche se gli stava dando fastidio, poteva comunque andarci leggero. Al posto di George ci sarei rimasta malissimo. Pensavo sul serio che lui non avrebbe mai detto qualcosa che potesse ferirlo, perché per quanto fosse crudele, vedevo chiaramente che a lui ci teneva sul serio.

Lo sguardo di George si addolcì. Arrossì mentre spostava le mani, e in quel momento sembrava un cucciolo bastonato.

Alzò lo sguardo verso di me. Il suo sguardo si fece quasi addolorato. Mi indicò con fare accusatore, «Lei. L'ho vista e... a dire il vero non ricordo molto. So solo di averla vista. E so che verranno a prenderla se non ce ne liberiamo subito, e succederà qualcosa di brutto».

«Oh, wow, e cosa?»

«Beh... non lo so, questa è una mia sensazione», ammise.

Alby ridacchiò sotto i baffi.

«Oh, fico, dovremmo gettarla tra i Dolenti perché mister indovino ha la sensazione che succederà qualcosa di brutto!»

George ora sembrava decisamente ferito. Assottigliò gli occhi e schiuse le labbra, girandosi alle sue spalle, poi tornò a guardare me.

Mi odiava. Mi odiava in modo sproporzionato.

Abbassai lo sguardo, sobbalzando leggermente quando sentii qualcosa toccarmi la mano.

La mano di Newt. Prese la mia nella sua, stringendola con fare rassicurante.

George probabilmente lo notò, ed il suo sguardo si accese in qualcosa che non seppi assolutamente spiegare. Guardò prima Alby, poi Newt.

«Ti auguro di provare il dolore di vederti portare via la persona che ami e sapere di non porti fare più nulla.»

«Melodrammatico», rispose Newt, schioccando la lingua.

«Sai quello che provo per te!», sbraitò George, «Sono solo preoccupato per te!».

Newt rimase in silenzio, sgranando gli occhi come se fosse stupito da quella reazione. Lo fissava, ma non diceva assolutamente nulla.

Io ed Alby ci scambiammo un'occhiata imbarazzata, poi entrambi guardammo verso la porta mentre si apriva, notando che c'era un silenzio imbarazzante anche nei corridoi del Casolare.

Ma sopratutto, notammo Justin fermo davanti alla porta aperta.

Sicuramente aveva sentito ogni singola parola, d'altronde non si era mai spostato da lì.

Finalmente Newt si decise a parlare, tirando indietro la testa «Sì, lo so, e sai che io non provo lo stesso per te, George».

«Lo so. Lo so che non provi questo per me», disse, alzando lo sguardo verso di me e contraendo la mascella, «Almeno ci ho provato».

«Bene così», disse Newt, e in quel momento alzò incrociò il mio sguardo anche lui.

Un attimo di silenzio scese nella stanza, ed i brusii esterni si fecero risentire, provocando un rumore simile a quello di uno sciame di api.

Justin era ancora fermo sulla soglia della porta. Fissava George con una strana espressione ed aveva gli occhi lucidi.

Alby si guardava attorno come se fosse a disagio, poi decise che puntare lo sguardo a terra, sui suoi piedi, era molto più interessante.

La mia mano era ancora nel pugno di Newt, ed il suo sguardo saltava da me a George, che nel frattempo fissava Justin come se volesse chiedergli scusa ma non avesse le parole per farlo.

«Bene, visto che non hai altro da dirci, noi andiamo», disse Alby infine, con un tono stufo.

Newt annuii e mi lasciò la mano, girandosi per uscire.

Justin si scansò e incrociò il mio sguardo. Mi fece un sorriso rassicurante.

Quello era veramente un ragazzo d'oro, perché nonostante tutto quello che stava passando per George, non aveva mai perso la pazienza e continuava a stare al suo fianco. Pensai che George in verità avesse bisogno di lui, e ci tenesse più di quanto tenesse a Newt, ma probabilmente non l'avesse mai capito. O forse lo sapeva, ma preferiva pensare che quello che non poteva avere fosse meglio di ciò che già aveva.

Newt sospirò pesantemente davanti a me. Camminava verso le scale, poi si fermò e lasciò scendere Alby.

«George!», gridò Justin dalla stanza seguito da un rumore fortissimo di vetri mandati in frantumi.

Alby, che aveva cominciato a scendere le scale, tornò su ad una velocità micidiale.

Tutti e tre ci affrettammo a correre nella stanza, ma tutto ciò che trovammo fu Justin che si sporgeva dalla finestra e mille cocci di vetro a terra.

«Ma che...?», Alby lasciò la domanda in sospeso, sperando che Justin finisse la frase con la risposta che volevamo tutti. Invece ci fu un silenzio tombale, dato che ci affacciammo tutti dalla piccola finestra della stanza. O almeno, quello che ne rimaneva.

I Radurai che stavano al piano inferiore si erano affacciati tutti per via del gran fracasso, ma l'unica cosa ormai visibile era George che fuggiva all'interno del Labirinto.

«Ma dio, quella testapuzzona che cosa pensa di fare!», ringhiò Alby.

«Che cos'è successo?», domandai, spostandomi dalla finestra e raccogliendo un coccio da terra.

Lo guardai con fare distratto, sollevandolo lentamente.

«George ha acchiappato carta e penna, poi si è scagliato contro la finestra e si è buttato», rispose Justin in un sussurro.

«Ma perché?! Esistono le scale!», brontolò Alby, passando un dito attraverso la "finestra", «Caspio, ora ci vorrà un sacco di tempo per portare un altro vetro! Qui farà un freddo cane!».

«Non gliene fregava niente delle scale», risposi e sollevai il vetro verso il raggio di sole.

C'erano delle ditate nel vetro, formavano diverse linee, come quelle dei labirinti disegnati nei giornali dei quali, con una penna, devi fare in modo di "trovare l'uscita".

Newt scosse la testa, «George è un fottuto pazzo. Spero per lui che non si faccia di nuovo vivo nella Radura, perché se lo fa, giuro su ciò che volete che sta volta ce lo butto io nel fottuto Labirinto e farò in modo che ci passi la notte».

I Velocisti corsero fuori dal Labirinto in tutta tranquillità, la chiusura delle Porte avvenne alla solita ora. Tornarono solo i Velocisti. Nessuna traccia di George.

Justin non uscì da quella stanza, rimase tutta la sera poggiato alla finestra a fissare le mura del Labirinto.

A cena ci fu uno strano silenzio tombale. Frypan decise di darmi il giorno libero, anche se queste cose nella Radura non era praticamente concesse, infatti Alby non la prese molto bene.

Cenai con un brodino piuttosto insipido, ma non badai molto al sapore dato che passai praticamente tutta la cena accanto a Newt che imprecava contro George.

Minho si fece spazio tra due Radurai seduti davanti a noi, poggiò il vassoio sul tavolo e cominciò a mangiare il brodino, assumendo un espressione leggermente disgustata.

«Bleeeeah! Sembra che qualcuno ci abbia fatto la pipì dentro! Si sente che ha cucinato Frypan, caspio! Se riempissi un bicchiere d'acqua e ci gettassi dentro un calzino che ho tenuto addosso per tutto il giorno riuscirei ad ottenere un risultato migliore!»

«Fantastico, ora mi è passato l'appetito!», brontolò Newt.

«Uh, scusa, femminuccia schizzinosa!», ribatté Minho, poggiando una maglietta e un foglio di carta davanti a sé e spingendoli verso Newt, «Ho trovato questi due regalini mentre tornavo dal Labirinto».

Newt li prese e li guardò. Era la maglietta di George, tutta stracciata e piena di cocci di vetro e sangue.

«E ho incrociato George che correva completamente nudo per il Labirinto. Era tutto tagliuzzato. Giuro che non era un bel vedere, sembrava un pollo spennato. Ma più magro e... beh... umano.»

Presi il biglietto e lo aprii.

Era appallottolato e scritto chiaramente di fretta. Le linee delle lettere erano tremolanti e quasi insicure, a stento riuscii a capire ciò che c'era scritto, ma in sintesi chiedeva scusa a Justin per tutto, mi accusava di ciò che aveva fatto, poi il solito avvertimento che aveva dato a Newt e Alby, ed infine augurava di nuovo quella cosa a Newt.

Un bigliettino pieno di rancore ed odio, anche se si rivolgeva a Justin con affetto. Nessuna spiegazione precisa per ciò che aveva fatto.

Si era lanciato per colpa di ciò che aveva detto Newt e per colpa mia? Che la Mutazione gli avesse dato alla testa?

«Quindi si è auto-defenestrato?», chiese Minho, continuando a mangiare e ridacchiando, rischiando di sbrodolare ovunque.

«Già. È un idiota», rispose Newt, pulendosi le labbra col fazzolettino e prendendo il bigliettino che avevo tra le mani.

«Beh almeno ti ha detto due frasi ad effetto! E... ehi! dopo voglio leggere anche io quella roba!»

Newt fissava il biglietto con un aria persa. E visto che non rispondeva a Minho, lui gli prese il foglio dalle mani e cominciò a leggere.

«Ehi?», sussurrai, piegandomi un po' verso Newt, «Tutto okay? Quel bigliettino ti ha scosso?».

«No, stavo solo pensando a quanto fosse disperato. Mi chiedo perché l'ha fatto, insomma, dopo tutto non ne aveva motivo», si grattò la fronte, «È stato stupido».

«E probabilmente è morto», disse Minho, «Nessuno sopravvive ad una notte nel Labirinto. E poi si è salvato per fortuna l'ultima volta, è già stato fortunato».

«Beh... Sarà un'altra Facciamorta», mormorò Newt, «Qualcuno dovrà dirlo a Justin o rimarrà in eterno affacciato a quella caspio di finestra».

«Glielo dirò io», dissi, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, «Ho un rapporto niente male con lui. Non saremo migliori amici, ma... niente, voglio dirglielo io».

Minho e Newt si scambiarono un'occhiata e scossero la testa insieme, «Non se ne parla», dissero all'unisono, tant'è che la cosa mi stupì.

«Cosa? Perché?»

«Perché no!», risposero di nuovo insieme.

«Veniamo con te» disse Newt.

«Non ho bisogno della scorta!»

Non mi risposero. Minho continuò a mangiare.

Mi faceva piacere essere spalleggiata, non lo potevo negare, ma dannazione ero abbastanza capace di badare a me stessa, anche se non lo dimostravo!

E poi Justin era una persona tranquilla, non mi preoccupava. E odiavo ammettere che la morte di George mi rassicurava abbastanza. Nessuno dovrebbe gioire per la morte di qualcuno, ma c'era da ammetterlo: la morte di George era un peso in meno. Forse ora potevo passare notti più tranquille.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro