CAPITOLO 5
Percorro il corridoio che porta all'aula dove si terrà il processo contro Stefan Grant.
Sono passati due mesi da quel giorno ma è come se fosse successo oggi. Per riprendermi fisicamente ci ho messo del tempo, ma è il lato psicologico che non va. È come se mi trovassi in un limbo, non vado avanti ma neanche indietro. Erik fa del suo meglio, è sempre accanto a me e cerca di coinvolgermi negli affari dell'azienda. Ho ripreso gli studi e si può dire che ho concentrato la maggior parte delle energie lì. Ho bisogno di distrarmi continuamente perché ogni volta che sto ferma penso, e l'unico pensiero fisso in grado di distruggermi è il mio bambino. Lo desideravo tanto, avrebbe completato la mia vita. Avrei avuto la mia famiglia e solo l'idea mi rendeva felice. Torturo le mani tra loro nervosamente con il cuore in gola, non sono pronta a rivedere il mostro ma devo farlo. L'idea di dover raccontare davanti a tutti cos'è successo mi disturba, per quanto Erik abbia cercato di tenere lontano la stampa le informazioni sono trapelate e i giornali non fanno che parlarne. Oggi più di qualsiasi altro giorno l'attenzione è concentrata su di noi e io odio essere al centro dell'attenzione. Erik e i suoi avvocati dicono di avere tutto sotto controllo, la questione si dovrebbe chiudere in fretta eppure c'è una domanda fondamentale che non mi rasserena. Chi ha sparato a Stefan Grant? Erik dice di averlo trovato steso a terra dolorante eppure io non ricordo di aver visto nessuno prima di perdere i sensi. Chi era a conoscenza del piano di Grant? Sono domande che necessitano di risposte e spero di averle. Se aveva un complice non credo che quest'ultimo aveva intenzione di farlo fuori a meno che non si è visto costretto per paura che venisse fuori anche il suo nome. Attendiamo per diversi minuti fuori dall'aula, Erik è molto pensieroso e non è un buon segno. Erik che pensa vuol dire elaborazione di qualche piano. Passi pesanti attirano la mia attenzione, mi volto verso la fine del corridoio e vedo i poliziotti. Il battito accelera. Gli uomini si avvicinano, dietro di loro c'è qualcuno e io so bene chi. Ogni loro passo nella mia direzione è come una stretta alla gola, non riesco a respirare, sto per avere un attacco di panico e non posso permettermelo. Cerco di fare dei respiri profondi e regolari ma a nulla sembra servire.
Stefan mi guarda, sorride mentre le guardie dietro di lui lo tengono d'occhio. I suoi occhi si fissano nei miei e io rimango pietrificata.
«Ciao dolce Elisa, ti sono mancato?» chiede divertito.
Erik scatta in avanti coprendomi la visuale, ma ormai è tardi.
«Non parlarle stronzo» la voce di Erik risuona nel corridoio. Afferro la sua mano e cerco di tirarlo verso di me ma lui non si muove, mantiene lo sguardo minaccioso verso Stefan. La situazione sta peggiorando ancor prima di entrare in aula non immagino cosa accadrà dopo.
Le forze dell'ordine proseguono verso l'aula incitando Stefan ad entrare ma quest'ultimo passando accanto ad Erik sussurra: «bacia da dio la bambolina».
Erik scatta verso di lui con ferocia, ma qualcuno lo blocca giusto in tempo.
«Sei un figlio di puttana. Io ti ammazzo Grant».
L'uomo viene portato dentro mentre due poliziotti cercano di calmare Erik che non sembra intenzionato ad arrendersi.
Le lacrime scendono senza chiederne il permesso, non riesco a sopportare tutto questo. Senza pensarci due volte corro verso l'uscita, Ho bisogno d'aria, altrimenti rischio di dare di matto se rimango ancora. Sento la sua voce che mi chiama ma non mi fermo.
Una volta fuori mi siedo su una panchina, cerco di riprendere il controllo ed essere forte, ma sembra quasi impossibile.
Improvvisamente due mani mi avvolgono, vengo invasa dal profumo di casa.
«Mi dispiace, sono uno stupido» sussurra mentre posa le labbra sulla mia fronte. Mi lascio cullare lasciando andare del tutto il corpo verso di lui. Piango perché non riesco a fare altro, non trovo le parole per dire ciò che provo. Lui si siede accanto, mi prende la mano e la stringe tra le sue.
«Dobbiamo rientrare. Ti prometto che manterrò la calma».
Ha ragione, dobbiamo andare fino in fondo altrimenti Grant la passerà liscia. Mi volto verso di lui, lo guardo negli occhi e annuisco. Lui mi asciuga le lacrime passando il pollice sul mio viso, inclina la testa di lato e mi guarda con dolcezza.
«Distruggiamo Grant e torniamo a casa».
«Va bene» dico convinta.
Entriamo in aula mano nella mano consapevoli che l'attenzione dei presenti sarà rivolta a noi. Non guardo nessuno, lascio che Erik mi accompagni dai suoi avvocati. Intreccia le dita alle mie e mi sussurra: «ti amo».
Lascia la mia mano, mi siedo accanto agli avvocati e lui alle mie spalle. Devo mantenere il controllo, ascoltare ciò che dirà e quando toccherà a me dovrò rivivere nuovamente l'incubo e rendere partecipe tutti i presenti di ciò che è stato in grado di fare Stefan Grant.
Il giudice entra in aula, il silenzio regna sovrano.
Dopo aver fatto i saluti di rito, il giudice dichiara aperto il dibattimento.
Vengo chiamata a testimoniare. In un primo momento mi blocco, mi volto verso Erik e lui mi parla con gli occhi. Posso farcela. Prendo un respiro profondo e mi avvio decisa senza guardare nessuno. Una volta seduta sollevo lo sguardo verso il giudice. Mi viene chiesto di fare il giuramento ed è ciò che faccio. In aula c'è silenzio, mi sento osservata. Cerco gli occhi di Erik, li trovo. Ha la postura rigida e composta, le mani appoggiate sulle gambe con i palmi aperti. Vorrei andare a casa e chiudere con tutto questo ancora prima di cominciare. Lui comprende i miei pensieri, mi legge dentro e inclina la testa. I suoi occhi mi parlano, dicono che andrà tutto bene. La sensazione di terrore va scemando mentre nella mia mente continuano a ripetersi le sue ultime parole. Ti amo. Il nostro amore incomprensibile e ribelle che spezza qualsiasi regola. Un modo tutto nostro di vivere uno dell'altro.
«Riconosce l'imputato?» chiede l'avvocato della controparte.
«Sì, è l'uomo che mi ha rapita». Non distolgo lo sguardo da quello di Erik, mi da sollievo, guardarlo mi fa sentire sicura.
«Conosceva prima di allora Stefan Grant?»
Prendo un respiro profondo e poi lascio uscire tutta l'aria che ho nei polmoni.
«Sì, conoscevo l'imputato. Ero stata assegnata alla sua azienda per l'assistenza legale di cui si occupava lo studio dove lavoravo».
Le domande proseguono e le mie risposte sono dettagliate. Ricordati di dire ciò che è necessario senza perderti mi aveva consigliato Erik. Continuo a mantenere il contatto visivo con lui mentre le domande si fanno più intense. Non manca molto prima che mi chieda l'unica cosa che mi riesce difficile dire. Erik appoggia le braccia sulla sedia davanti a lui e si protrae verso di me. Si sta preparando, lo vedo come la sua espressione cambia, i suoi occhi si incupiscono.
«Era in stato interessante al momento del rapimento?»
«Sì».
Il battito accelera. Il respiro diventa affannoso. Erik abbassa la testa ma non distoglie lo sguardo dal mio.
«Lei e il mio cliente avete avuto una relazione in passato?»
A questa domanda mi volto verso l'avvocato sconvolta. Come può chiedere una scemenza simile.
«Mai!» affermo con disprezzo.
L'avvocato mi scruta altezzoso e poi si volta verso il suo cliente. Stefan mi sorride, un sorriso cattivo che ti lacera la pelle fino ad entrarti nelle ossa e spezzarle lentamente, in una tortura lenta e dolorosa.
«Il mio cliente afferma che eravate innamorati. Non vi è stato nessun rapimento, lei è scappata con lui perché vi amavate».
Mi volto verso Erik. Panico. Lui stringe le mani tra loro con forza, i muscoli del viso si contraggono.
Devo mantenere la calma altrimenti rischio di rovinare tutto. Vorrei urlare e correre verso quel mostro, strangolarlo con le mie mani, ma non posso. Devo ragionare, gestire la situazione con diplomazia e lasciare che la giustizia faccia il suo corso.
«Sono stata rapita, legata, picchiata e alla fine ho perso il mio bambino per colpa di Stefan Grant». Mi tremano le mani ma resisto, devo essere forte per il mio bambino, Grant deve pagare per ciò che ha fatto.
In aula regna nuovamente il silenzio, l'avvocato dichiara di aver concluso le sue domande e il giudice chiede di passare al prossimo teste.
Erik si avvicina all'avvocato, gli sussurra all'orecchio e quest'ultimo annuisce. Lui mi viene incontro, mi prende la mano e intreccia le nostre dita.
«Andiamo a casa». Mi bacia sulla fronte mentre la mia mente viaggia lontano, in un rifugio costruito da noi stessi dove lasciare fuori il mondo.
Una volta usciti dal tribunale cerco di lasciarmi tutto alle spalle, nella speranza di non avere più a che fare con il caso di Grant. È stata dura ma se Erik e io rimaniamo uniti tutto si può risolvere.
«Volevo aspettare qualche giorno ma penso che questo sia il momento migliore per farti vedere una cosa».
Lo guardo sorpresa mentre sale in macchina con lo sguardo serio. Non capisco se è una buona cosa.
«Di cosa si tratta?»
«La vedrai tra poco, mettiti la cintura».
È tornato l'uomo freddo e misterioso e la cosa non mi piace affatto. Durante il tragitto rimaniamo in silenzio, io vorrei porre domande ma lui non sembra intenzionato a dare risposte. Sospiro e lui sembra accorgersene. Si volta verso di me e mi sorride appena. Ho sempre saputo che è bipolare ma a volte faccio fatica a seguire i suoi cambiamenti. Frugo dentro la borsa alla ricerca del telefono, mi sono ricordata che dovevo avvisare Claire una volta finito. Accidenti, il telefono si è spento, sicuramente avrò la batteria scarica.
Ha passato gli ultimi mesi a tirarmi su il morale, mi è stata vicino, paziente e in attesa che io mi riprendessi. Oggi voleva accompagnarmi in tribunale ma ho declinato la sua proposta. Sarebbe stato peggio perché tra il carattere di Erik ed il suo io non avrei saputo chi tenere d'occhio prima. Un giorno entrambi hanno ammesso che avrebbero dato ben volentieri una punizione esemplare a Grant, voglio sperare che fosse solo un modo di dire. Per quanto quell'uomo mi abbia fatto del male rimango sempre fiduciosa nella giustizia. Pagherà perché tutte le prove sono contro di lui e spero che riceva il massimo della pena.
Dopo aver guidato per quasi un'ora Erik si ferma sul ciglio della strada. Ci troviamo in una zona residenziale, una serie di ville a schiera percorre tutto il viale. Una zona molto piacevole da vedere, sistemata e in ordine, proprio nello stile di Erik.
«Perché siamo qui?» chiedo togliendo la cintura.
«Scendi per favore».
Una volta scesi dalla macchina si avvicina, mi prende per mano e si avvia verso una delle case. Guardo la casa color beige titubante. Vetrate che illuminano l'interno, un bel prato che la circonda. Semplice ma graziosa. Non so per quale motivo mi ha portato fino a qui ma credo lo scopriremo molto presto.
Fruga nella tasca e una volta arrivati davanti alla porta inserisce la chiave nella serratura e la apre.
Allunga la mano facendomi segno di entrare, ancora stordita e confusa faccio alcuni passi avanti e mi guardo intorno.
«Ti piace?»
Mi volto verso di lui e lo studio. Sembra nervoso il che non è da lui. Ho capito che questa casa è per noi ma lui non sa se ha fatto la scelta giusta.
«Dipende. Perché siamo qui?» chiedo.
«Volevo dare un nuovo inizio a entrambi e ho pensato di cominciare da qui».
Mi avvicino cauta a lui mentre guardo le stanze vuote. Una casa nostra dove ricominciare da capo, un posto dove possiamo aggiungere giorno dopo giorno un pezzo di noi.
«Sembra molto spaziosa» commento mentre mi avvicino ancora di più.
«Ci sono quattro camere, tre bagni, una cucina spaziosa e il salone» spiega guardandomi negli occhi. Giurerei di vedere la paura in quegli occhi che amo tanto. Mi chiedo se passerà la vita alla ricerca di conferme da parte mia. Come può non rendersi conto che potrebbe fare qualsiasi cosa e alla fine io lo vorrei più di prima.
«Un posto tutto nostro dove ricominciare» dico a bassa voce mentre le mie mani sfiorano le sue. Le mani risalgono lentamente sulle sue spalle fino a raggiungere la base del collo «pezzo dopo pezzo» sussurro mentre le mani raggiungono il suo viso. Lui chiude gli occhi e sospira profondamente.
«Sei un uomo straordinario Erik e io ti amo ogni giorno di più».
Lui mi sorride, le sue labbra sfiorano le mie per poi sigillare la nostra promessa d'amore che supera ogni confine. Mi stringe tra le sue braccia e per la prima volta dopo mesi posso dire che sto meglio. Insieme possiamo ricostruire la nostra vita, riprendere dal momento in cui siamo stati distrutti e rinascere dalle nostre ferite.
DITEMI SE GLI ELIK NON SONO ADORABILI. HO NOTATO MOLTI COMMENTI E MI RENDE FELICE SAPERE CHE LA STORIA VI PIACE.
VI LASCIO UNA CARD CHE AMO TANTISSIMO. AL PROSSIMO AGGIORNAMENTO, DOMENICA.
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