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CAPITOLO 30

Lui non parla, non protesta, continua a rimanere in attesa che io dica qualcosa. Sono giorni che fa avanti e indietro con l’Fbi per fare chiarezza una volta per tutte. Il suo silenzio mi sta uccidendo ancora una volta e non sto facendo nulla per migliorare la situazione. Sono arrabbiata perché non mi capacito di ciò che ha fatto. Non riesco a perdonargli anche questa. Vorrei che mi cercasse, che insistesse ma lui non fa niente, se ne sta in disparte e attende. Si aspetta che sia io a reagire ma non ci riesco, improvvisamente mi blocco e non riesco ad andare avanti.  

Il campanello suona diverse volte, chiunque sia ha fretta. Apro la porta e la mia cara amica mi uccide con lo sguardo.

 «Claire».

 «Sì Claire, l'amica che non chiami mai» commenta acida. Si fa spazio ed entra con la sua camminata da "guardatemi sono una diva". La osservo mentre chiudo la porta e mi preparo psicologicamente, si vede lontano un  miglio che sta per esplodere e stavolta ne ha tutte le ragioni. Ultimamente l'ho ignorata, non le ho risposto al telefono e non ci siamo viste spesso. Ma non l'ho fatto per cattiveria è solo che in questo momento non saprei cosa dire. La mia mente è una tale confusione che fatico anche a ragionare su cose molto semplici. Mi sono chiusa in me stessa, cosa che mi riesce bene.

 «È bello vederti. Vuoi del caffè?» cerco di prenderla con le pinze. Se sbaglio una sola parola mi mangia viva.

 «Sei seria stronza? Stai cercando di leccarmi il culo? No dico, ti sei resa conto cosa stai cercando di fare? Ma che diavolo ti prende?» sbraita disgustata.

Ecco cosa intendevo. Le sue parole sono come un veleno letale.

 «Non lo so cosa mi prende» ammetto arresa.

Vado verso la cucina e preparo il caffè, lei borbotta qualcosa di incomprensibile mentre mi segue. Mi chiedo se sia un caso che è qui, ho il sospetto che sia stato Erik a mandarla. Forse è il suo modo per cercare di farmi reagire visti i miei silenzi, forse le sta provando tutte nell’unico modo che conosce, con i sotterfugi.

 «Hai parlato con Erik?» chiedo andando dritta al punto. La guardo negli occhi e lei cambia espressione. È furiosa. Si avvicina decisa e solleva l’indice verso di me.

 «Mi hai preso per caso per il suo cagnolino?» chiede minacciosa avvicinandosi ancora. «Ho capito da sola che dentro la tua testa regna il caos». Soffia come una gatta sulla ciocca di capelli che le copre la visuale.

 «Non ti permetterò di continuare così, devi uscire dal tunnel e liberarti di tutto quello che hai dentro». Appoggia la mano sulla mia spalla e dice decisa «stai soffrendo e ti capisco ma quello che ha fatto quel demente di tuo marito è qualcosa di straordinario. Ha dimostrato quanto è grande il suo amore per te. Ora sei arrabbiata perché hai passato mesi infernali e non sai come andare avanti, perciò ora vieni con me perché voglio aiutarti in qualche modo».

Nessuno può aiutarmi se sono io stessa a non voler essere aiutata. Sospiro e cerco di trovare il modo più gentile per declinare il suo invito.

«Non ho molta voglia di uscire, magari un'altra volta».

Lei alza gli occhi al cielo esasperata e per un istante vorrei ridere per la sua espressione, ma non ci riesco. Non riesco a ridere, non riesco a gioire, mi sento completamente vuota.

 «Indossa una tuta e vieni con me di tua spontanea volontà, o in alternativa ti trascino per i capelli fuori da questa casa. A te la scelta».

Adorabile stronza. Ci guardiamo, lei decisa solleva il sopracciglio come per dire “mettimi alla prova se hai coraggio” e io penso che sarebbe veramente capace. Ci penso, e poi penso che alla fine uscire non è la fine del mondo.  

 «Va bene».

Giro su me stessa e vado in camera. Indosso la tuta come richiesto e lego i capelli. Evito di guardarmi allo specchio perché l’ultima volta che l’ho fatto ho visto il risultato di ciò che sono diventata e non mi piace per niente.

Ferma la macchina in un vicolo, scendiamo e io mi guardo intorno spaesata. Una piccola insegna accanto ad una porta di ferro nera alla mia destra attira la mia attenzione. Strong.

 «Dove siamo?» le chiedo seguendola.

Lei continua a scrivere un messaggio al cellulare e poi solleva lo sguardo.

 «Avevo pensato a due opzioni. Strizzacervelli o questo. Ho preferito iniziare dalla meno invasiva poi se non funziona passiamo all’altra opzione». La guardo basita mentre apre la porta e mi fa cenno di entrare. Non ho bisogno di uno strizzacervelli, non credevo di dare l’impressione di una pazza. Ho solo bisogno di tempo per metabolizzare gli avvenimenti.

Una volta all’interno scopro di trovarmi in una grande palestra, vuota. Non c’è anima viva. Mi guardo intorno sempre più confusa.

 «Cosa ci facciamo qui?»

 «Daniel dovrebbe essere già qui».

 «Chi?» chiedo confusa.

 «Oh quante domande» risponde scocciata.

In lontananza vedo un uomo muscoloso che viene verso di noi. Osservo l’esemplare di maschio palestrato e mi chiedo in cosa può aiutarmi secondo la mia amica. Indossa pantaloni della tuta neri e una t-shirt attillata bianca, che mette in evidenza i suoi muscoli.

Claire lo nota, gli va incontro.

 «Daniel caro».

 «Claire».

 «Ecco il caso disperato di cui ti parlavo» dice all’uomo indicandomi. Lui sorride beffardo e mi porge la mano. Io la strozzo con le mie mani, giuro. Non capisco perché tenta sempre di mettermi in imbarazzo.

 «Ha un disperato bisogno di sfogare la rabbia repressa...perciò mio caro ragazzo...vedi di scatenarti» continua mentre mi spinge verso di lui.

Oh andiamo, mi sta trattando come se fossi sua figlia.

 «Rabbia eh?» chiede serio. «Devo solo capire cosa farle fare» si avvicina e continua a guardarmi. Se non la pianta di guardarmi come se fossi una scultura da modellare giuro che si ritrova un cinque in faccia. Batte l’indice sul mento pensieroso e poi esclama convinto. «Kickboxing»

 «Che?» chiedo ad alta voce. Che diamine è Kickboxing? Perché tutti continuano a parlare in codice intorno a me. Ci vuole tanto a dire ti porto in una palestra, oppure farai pesi o qualsiasi altra cosa?

 «Vieni con me» dice lui.

 «Io vi seguo tra poco, prima devo fare una telefonata» interviene la mia amica.

La guardo in malo modo mentre seguo l’uomo. La palestra si collega a un corridoio che attraversiamo, saliamo le scale e arrivando al piano superiore vedo tutta l’attrezzatura tipica da palestra.  Lui si allontana e io rimango ad aspettare, Claire ci raggiunge e non riesco a trattenere la lingua.  

 «Lo sai vero che ti strozzerò con le mie mani prima o poi?»  le dico. Ma tutto questo mi sembra una perdita di tempo. Non sono mai stata un tipo da palestre, l'unica cosa che mi concedo è la corsa ma solo per il fatto che mi aiuta a scaricare la tensione.

 «Devi scaricare la rabbia» commenta lei calma.

Daniel ritorna con due paia di guanti da box, credo.

 «Indossali» dice porgendomi un paio di guanti rossi. Ok, credo di aver capito che prenderò a pugni qualcosa. Almeno fin qui ci siamo. «Il kickboxing usa le stesse tecniche del pugilato. Diretto, gancio e montante. Cominceremo con il diretto» informa. Non sto capendo molto la lingua che parla ma va bene, annuisco lo stesso.

 «Come ti chiami?» chiede.

 «Elisa» rispondo prontamente.

 «Bene Elisa. Quello che devi fare è molto semplice. Come vedi anch'io ho i guanti, ma non li userò, mi servono solo per parare i tuoi colpi. Cominceremo con il diretto. Se ti va fammi vedere come tiri e poi ci lavoriamo su».

Sì mette in posizione e aspetta. Ok tirare un diretto. Che sarà mai, penso sia come un pugno. Mi metto di fronte a lui e tiro ma non forte, non sia mai che gli faccia del male.

 «Cos'è quello?» chiede accigliato.

 «Un diretto?»

Sento ridacchiare la mia amica. Stronza, ti diverte vedermi umiliata eh?

 «No, quello era come soffiare su una montagna. Ora ti spiego cosa devi fare».

Si posiziona dietro di me, mi sposta la gamba destra con il piede. «Questa è la posizione corretta». Mi tocca le braccia e io vorrei dirgli che odio essere toccata, ma sto zitta. Le sue mani si chiudono sui miei polsi e le guida mostrandomi i movimenti corretti.

 «Pronta?»

Ritorna in posizione, attende paziente. Non è facile, ma ci proverò.

Fisso i suoi guanti e tiro decisa. Poi guardo lui.

 «Ti stai trattenendo, più forte» incalza.

Riprovo, e stavolta mi sembra di aver tirato più forte ma lui non sembra d’accordo.  

 «Cosa c'è Elisa, hai paura di rovinarti le unghie» mi prende in giro. Stronzo, inizia a starmi antipatico. Non mi piace la sua strafottenza, mi ricorda qualcuno di mia conoscenza. Tiro convinta.

 «Più forte».

Tiro.

 «Ancora di più».

Tiro.

 «Pensa a qualcuno che vorresti riempire di pugni e sfogati» suggerisce.

Con grande piacere. Tiro più forte che riesco. Non dice niente, vuol dire che così va bene. Continuerei a tirare ancora con questa intensità ma mi fa male il braccio. Non tiro pugni tutti i giorni. Ho il fiato corto tutto questo è stancante, non fa per me.

 «Sei già stanca?» chiede divertito.

 «È la prima volta» rispondo acida.

 «Oh poverina, mi dispiace tanto se la signorinella non ha mai dovuto fare sforzi nella sua vita» commenta sarcastico.

Ok basta. Mi sta sul culo. Tiro ancora. Prendi questo stronzo.

 «Non puoi neanche immaginare quanti sforzi ho dovuto fare» ringhio tirando altri pugni «non sai di cosa parli» altri pugni sempre più forti. Il fuoco divampa sempre di più e io non riesco a fermarmi.

 «Sì, come no» commenta alzando gli occhi al cielo. Tiro pugni continuamente, non riesco a fermarmi. Sono arrabbiata, molto arrabbiata.

 «Cosa c'è il genere maschile ti fa ribrezzo Elisa?» ridacchia. Insopportabile. Mi ripeto di tenere a freno la lingua ma non so per quanto posso resistere. «Ti piace dare la colpa agli altri, vero?» continua.

 «Smettila. Non sai niente di me» urlo e tiro ancora più forte. Basta. Basta. Smettila di parlare.

 «Mi scusi sua maestà. Non volevo rovinare il suo castello perfetto» commenta. Perché non chiude quella bocca, mi sta facendo andare fuori dai binari. Altri pugni. Non ce la faccio più, sono esausta.

 «Ti stai arrendendo. Stai facendo l'unica cosa che sai fare. Arrenderti». É tornato serio e questa conversazione sta prendendo una piega che non mi piace.

 «Tu non sia niente di me, non mi conosci» parlo a fatica «non sai quant’è complicata la mia vita», tiro un altro pugno e poi mi fermo. Basta non ho più le forze.

 «Tu sei la tipica persona che parla ma non agisce. Quel tipo di persona che si lamenta sempre e non è mai contenta».

Grugnisco e ricomincio a tirare pugni.

 «Tu parli perché non sai. Non sai cosa vuol dire essere follemente innamorati di un emerito stronzo» le parole mi escono senza pensare.

 «Io credo che più che uno stronzo sia una vittima» ribatte e per un attimo i nostri occhi si scontrano. Sembra serio.

 «Vittima?» chiedo concentrata, tirando altri pugni, «lui è in grado di farti provare il paradiso e l’attimo dopo ti spedisce all’inferno senza pensarci due volte», altri pugni «tu non lo conosci, non hai idea di cosa vuol dire stargli accanto».

 «Non cambio idea» commenta a bassa voce mentre intercetta i miei colpi.

 «Non me ne frega niente della tua idea, io so come stanno le cose. So che dal momento che è entrato nella mia vita ha mandato tutto nel caos. Dovevo sbattere la testa contro il muro troppe volte per capire che lui mi avrebbe distrutta, annullata come persona». I colpi si susseguono, non riesco a fermarmi. «Lui ti tiene sempre sul filo del rasoio, e tu vivi sempre con la paura», altri colpi sempre più forti «non puoi capire quante volte avrei voluto prendere quella sua bella testolina e sbatterla contro il muro. Lui...lui è così dannatamente perfetto e sbagliato al tempo stesso».

Riprendo fiato, Daniel non parla, Sì aspetta che io continui e per qualche strana ragione trovo tutto questo liberatorio.

 «Vuoi sapere la parte peggiore di tutte?» chiedo ridendo da sola «per anni ho sempre cercato di migliorare ed essere perfetta per lui ma lui non ha mai provato a cambiare per me. Arrivi a un certo punto che sei stanca di combattere per una persona che non ti ritiene tanto importante come pensi tu» tiro un altro pugno e poi mi fermo.

 «Dimmi Daniel. Quale uomo sano di mente che dice  di amare la propria donna le fa credere di essere morto? Chi?" urlo e tiro con tutta la forza che ho in corpo.

 «Io» interviene una voce fuori campo. Cristo santo. Lui è qui.

Mi volto per trovarmi a pochi metri Erik con lo sguardo fisso su di me. Si avvicina con quella sua camminata da chi si crede Dio, senza distogliere lo sguardo.

 «E così avresti voluto sbattere la mia testa contro il muro» commenta togliendosi la giacca. Che sta facendo? Non riesco a parlare. É una mia impressione o qui fa troppo caldo?

 «Ti tengo sul filo del rasoio?» chiede accigliato tirandosi su le maniche della camicia. Siamo a pochi centimetri e non riesco a muovermi. Ha sentito tutto. Anche quando gli ho dato dello stronzo?

 «Ricapitolando....» butta la giacca in un angolo e si avvicina a Daniel il quale sembra divertito. Prende i suoi guanti e poi si volta verso di me. Stronzo manipolatore, tutto questo è opera sua.

 «Dicevamo...» si avvicina indossando i guanti e io trattengo il respiro. «Mi hai definito un emerito stronzo, giusto?». Mi fulmina con gli occhi serrando la mascella. Ok, è arrabbiato ma in questo momento l’unica in diritto di arrabbiarmi dovrei essere io.

 «Che c'è hai perso la lingua? Sembravi molto loquace poco fa». Inclina la testa in avanti, ci separa un soffio.

 «Cosa credi di fare?» chiedo con un filo di voce.

 «Ti do la possibilità di sbattermi la testa contro il muro». Soffia sul mio viso e io chiudo gli occhi. Solo lui è in grado di farmi diventare pazza. Lo odio, lo amo, lo odio. Non mi presterò a questa sceneggiata, faccio un passo indietro e provo a togliermi i guanti.

 «Non pensarci neanche» minaccia afferrandomi il braccio. «Sono stufo dei tuoi silenzi ora tu sputi il rospo una volta per tutte».

 «Un pugno non basterebbe» mi faccio sfuggire. Mi volto verso di lui e allora avviene quello scambio di sguardi, siamo in guerra, ancora.

 «Riesci a deciderti una buona volta senza troppi complessi mentali?».

Confermo, è stronzo. Lui vuole la guerra, perché è un sadico manipolatore.

 «L'hai voluto tu» commento rimettendomi i guanti.

 «Quando vuoi piccola».

Fossi in te mio caro, non sarei tanto contento.

Non aspetto che si rimetta in posizione, tiro forte ma lui è scaltro, lo evita. Sorride soddisfatto e io non desidero altro che cancellare quel sorriso.

 «Dimmi. Amore. Cosa ti frulla in quella bella testolina?». Il sarcasmo non gli si addice, lo rende ancora più odioso. Lo guardo accigliata e sferro un altro pugno.

 «Vediamo da dove posso iniziare. Amore. Ah sì, dal principio» rispondo continuando a tirare pugni senza fermarmi. Mantiene la sua posizione senza vacillare.

 «Oh la prima volta che abbiamo parlato, è stato epico. Ero rimasta affascinata da te, anzi per l'esattezza dai tuoi occhi» mi fermo un secondo e lo guardo decisa «ma poi, quando hai aperto bocca, ho capito subito che eri uno stronzo patentato» dico sferrando un altro pugno.

Abbassa le braccia e mi guarda in cagnesco.    

 «Abbiamo capito che sono stronzo. Altro?» borbotta.

 «Presuntuoso» pugno, «arrogante» pugno, «insopportabile» pugno, «l'uomo più pieno di sé che abbia mai incontrato» concludo con un altro pugno. Se potesse mi mangerebbe viva in questo momento. È stato lui a chiedere cosa mi frulla in testa.

 «Nonostante avevi scritto in fronte “vietato entrare, può causare sofferenza”, la sottoscritta non ha resistito. E sappiamo tutti com'è andata» tiro un altro pugno e cerco di riprendere fiato. Mi guarda ma non dice niente.

 «Per te non sono abbastanza»  continuo a sferrare pugni senza fermarmi. Ho tanta rabbia dentro che non riesco più a controllarmi «ah ma questo è niente» cerco di riprendere fiato «tu mi hai fatto credere di essere morto, cazzo» urlo tirando un altro e ancora un altro pugno. «Ero all'inferno, credevo di averti perso e poi tu ritorni e pretendi che tutto torni come prima».

Mi arrendo, sono stremata. Abbassa i guanti e mi guarda. Pentimento, tristezza, ecco cosa vedo nei suoi occhi. Il mio cuore grida ma non gli do ascolto. Vorrei fermare tutto, correre tra le sue braccia e fare pace. Sto portando rancore e non riesco a liberarmene, non riesco ad andare avanti con la vita.

 «Non ti ho mai chiesto niente se non amore, di essere mio come lo sono io per te» sussurro abbassando lo sguardo.

 «Hai finito?» chiede serio. Io non dico niente e lui prosegue. «Adesso» fa un passo verso di me «se non ti dispiace, tocca a me». Mi solleva il mento con il guanto e mi costringe a guardarlo.

 «Visto che mi hai reso partecipe dei tuoi pensieri, vorrei ricambiare» conclude facendo un passo indietro.

 «Sono tutta orecchie» ribatto incrociando le braccia.

 «Eh no piccola. Mettiti in posizione, anch'io avrei voluto sbatterti la testa contro il muro un paio di volte. Visto che siamo in sincerità ne approfitto» sorride sornione.

Che faccia tosta. Sono proprio curiosa di sapere cosa pensa di me.

Mi metto in posizione e lo stuzzico, «sentiamo “Mr Io sono perfetto”».

Tra poco gli vedrò uscire il fumo dalle orecchie mentre scalcia come un toro impazzito.

 «Con grande piacere “Mrs Io sono innocente, è colpa del mondo che mi rema contro”» ribatte accigliato sbattendo i guanti tra loro.

Non si trattiene per niente. Qualcosa mi dice che aspettava questo momento da molto. Vuole che io sappia cosa prova e cosa pensa. Sarà sincero, brutale.

Non mi farà del male, ma ciò non toglie che vuole sfogarsi proprio come ho fatto io.

 «Sei pronta piccola?» chiede in modo sensuale. Oh andiamo, sta usando la carta della sensualità anche in queste circostanze? Colpo basso Mr Truston.

 «Parli troppo e agisci poco» commento saltellando da un piede e l'altro. Non so neanche io cosa sto facendo, ma sembra rilassarmi. Sì avvicina e tira un pugno verso il mio guanto destro. Ha tirato piano, sta ancora decidendo se spingersi oltre.

 «La prima volta che ti ho visto, sapessi che pensieri poco casti ho avuto» commenta malizioso.

 «Non è una novità , e in tutta sincerità da uno come te non mi aspettavo altrimenti. Sai com'è, non sei proprio in grado di tenere il serpente nei pantaloni» ribatto disgustata. A questa mia affermazione scatta e sferra un altro pugno. Stavolta è forte, ma comunque lontano da ciò che mi aspettavo.

 «Ha parlato la finta suora di clausura» ringhia sferrando un altro pugno «oh no Erik, io cerco il vero amore» imita alzando gli occhi al cielo «come no. Mi sei saltata addosso come una zecca».

La mia bocca si spalanca in una o gigantesca. Ditemi che non l'ha detto. Non ci posso credere.

 «Eri tu che non mi davi tregua» protesto ad alta voce.

 «Queste sono le parole che usi per convincere te stessa? Perché entrambi sappiamo che non vedevi l'ora che le mie mani viaggiassero sul tuo corpo».

Abbiamo toccato il fondo. La nostra discussione sta degenerando eppure non riesco a tenere la lingua a freno e sbotto.

 «Fammi capire» dico alzando le braccia «secondo te non vedevo l'ora di salire sulla Ferrari che è stata usata da troppe donne per anni e ormai passata al museo delle antichità?Quando potevo avere un modello appena uscito dalla fabbrica per un garage nuovo di zecca?» concludo.

Mi guarda incredulo, oh sì, colpito e affondato Mr Truston dei miei stivali. Silenzio. Sta cercando di controllarsi, vorrebbe ribattere ma si trattiene.

 «Ti ricordi la prima volta che ti ho portato alla spiaggia?» chiede tirando un pugno leggero«quel giorno è stato il primo giorno dove ho riso veramente dopo anni. Non mi era mai capitato di avere a che fare con una ragazza così timida come te. Non dimenticherò mai la tua faccia quando ti ho visto mentre ti spogliavi» sferra un altro pugno «in quel momento ho avuto la conferma che tu eri diversa, unica, speciale» conclude facendo un passo indietro.

 «Non mi sono mai sentita in imbarazzo come quel giorno» commento arrossendo. Non dimenticherò mai quel giorno.

 «So di essere uno stronzo e di aver commesso tanti errori ma non dubitare mai del mio amore».

 «Hai finto di essere morto, sapendo che io sarei  morta con te».

 «Era necessario per renderlo credibile».

Farmi soffrire era necessario per la riuscita del piano. È questo per lui è una dimostrazione d’amore? Sto per esplodere come una bomba. Cerco di darmi una controllata ma non ci riesco e decido che è arrivato il momento di mostrargli realmente quanto sono arrabbiata con lui. Gli salto addosso strillando come una pazza. Avvolgo le gambe intorno alla sua vita e tiro pugni sul suo petto, sulle spalle. Cade all'indietro ma non mi fermo. Sono a cavalcioni su di lui, continuo a riempirlo di pugni. Non sono forti. Non voglio fargli del male, anche se è stronzo lo amo.

 «Mi hai mentito. Hai finto di essere morto» urlo continuando a tirare pugni sul suo petto. Non si ribella, non cerca di giustificarsi. Il che non fa altro che aumentare la rabbia che ho dentro. Ed è proprio in quel momento che tutto viene fuori come un fiume.

 «Avevi promesso che mi avresti protetto, che non sarei più stata male. Invece sei diventato il male peggiore. Sapevi cosa avevo passato ed eri cosciente che senza di te non potevo vivere ma hai deciso lo stesso di farmi soffrire» continuo a sfogarmi mentre lui non pone resistenza. «Sono stanca di stare sulle montagne russe, voglio una vita normale con un uomo normale. Ho amato un Erik Truston che esiste solo nei miei sogni, perché quel Erik non avrebbe mai permesso che l'amore della sua vita soffrisse tanto» dico singhiozzando. Mi alzo togliendo bruscamente i guanti con gli occhi fissi su di lui.

 «Ci ho messo molto tempo ma alla fine ho capito, io non sono essenziale per te».

 «Cosa ne sai tu di cosa provo ogni volta che mi allontani? Eh? ...Rispondi». La sua voce tuona. Si alza come una furia e mi raggiunge.

 «Non toccarmi» strillo facendo un passo indietro.    

 «Ti amo e ti amerò per sempre ma non voglio più stare con te. Mi fai andare fuori di testa e io non mi riconosco più. Mi sono annullata per te e ora non voglio farlo più» dico. Mi volto e corro verso l'uscita. Basta. Tutto questo deve finire, non posso più continuare. Le lacrime scendono mentre mille pensieri mi offuscano la mente. Lui....lui e solo lui. Ne sono succube e non mi fa star bene. Corro più veloce che posso. Non mi fermo, non so dove sto andando ma l'importante è allontanarmi da lui il più possibile. Lui mi rincorre, mi blocca la strada e mi trattiene tra le sue braccia possenti. Mi manca sentirlo mio, ma non riesco ad andare oltre.

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