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CAPITOLO 10

Seduta sul divano con lo sguardo assente rimango in attesa dell'arrivo di Erik. La cauzione esorbitante è stata pagata, e lui può tornare a casa. La situazione si infittisce maggiormente, a quanto pare la polizia lo controlla da diversi mesi. Pensavo che l'accusa di tentato omicidio fosse l'unico problema ma come sempre mi sbagliavo. Grazie allo studio Wells dove lavoravo una volta, ho saputo che ci sono diverse indagini in corso. Mi chiedo se parlerà con me del processo, e delle varie accuse.

«Ti ho portato del caffè». La voce di Jason mi riporta alla realtà. Prendo la tazza tra le mani continuando a guardare il vuoto. Non faccio altro che cercare di capire quale sia la verità.

Jason si siede accanto a me senza dire niente, nessuno sa cosa dire. I nostri amici, mi sono stati molto vicini, hanno ascoltato i miei sfoghi, come i miei dubbi ed hanno cercato di distrarmi. Claire ha insistito che rimanessi a casa sua in modo da evitare i giornalisti e così ho fatto.

«Vedrai che andrà tutto bene».

«Lo spero con tutto il cuore Jason».

Sono emotivamente instabile, non faccio altro che piangere e questo è uno di quei momenti. Le lacrime scendono e io non faccio niente per fermarle. Mi sento vuota, lui mi manca ma il suo comportamento di ieri mi confonde. È come se avessi a che fare con una doppia personalità.

«Non piangere bella donzella, ci siamo noi» sussurra, mentre mi accarezza i capelli. Appoggio la testa sulla sua spalla e piango in silenzio. Non so proprio come gestire la situazione.

Il campanello suona, segno che Erik è arrivato. Cosa faccio? Corro tra le sue braccia o aspetto di vedere il suo comportamento?

Jason si alza e va verso l'ingresso, invece io non riesco a muovermi. Sento in lontananza la sua voce.

«Lei dov'è?».

Mi sta cercando. Il cuore batte irregolare, mi tremano le gambe.

Sento i suoi passi ed è allora che mi volto verso di lui.

«Eccoti» esclama. I dubbi svaniscono nell'attimo in cui i nostri sguardi si incrociano. Sembra felice di vedermi. Mi alzo ma decido di rimanere ferma sul posto in attesa che sia lui a fare la prossima mossa. In pochi passi mi raggiunge, le sue mani si stringono sui fianchi per poi sollevarmi in aria.

«Voglio portarti a casa e spiegarti tutto» dice deciso. Mi bacia sulle labbra in modo furtivo e poi rivolge la sua attenzione agli amici.

«Domani vi spiego cosa sta succedendo, ma ora voglio andare a casa».

Sembra avere fretta di andarsene, saluta velocemente tutti, mi prende la mano e mi trascina dolcemente fuori dalla casa di Claire. Non so veramente come comportarmi, rimango in silenzio in attesa che dica qualcosa ma lui non parla. Rimane in silenzio, si guarda intorno sospettoso e poi prende una strada che non porta di certo a casa nostra.

«Dove stiamo andando?»

«Dove non può sentirci nessuno». Risposta fredda, sguardo serio. Odio quando si comporta in questo modo.

Non dico niente anche se dentro di me sto urlando. Non mi piace la piega che sta prendendo il nostro rapporto, mi sta trattando come una persona qualsiasi.

Arriviamo in spiaggia e solo allora sembra accorgersi della mia presenza.

«Scendi» ordina. Lo guardo di traverso, sto per urlargli contro ma poi mi fermo. Prendo un respiro profondo e scendo dalla macchina.

Cammina verso la riva con le mani in tasca e io non riesco più a trattenermi. Voglio sapere cosa sta succedendo, ora.

«Cosa sta succedendo Erik?»

Si volta verso di me, mi guarda preoccupato.

«Qualcuno sta cercando di incastrarmi».

Ne sembra convinto.

«Chi?»

Si passa la mano sui capelli in modo ossessivo e sospira. Non credo di averlo mai visto tanto preoccupato.

«Non ho sparato a Stefan, ma sostengono di avere un testimone, e la cosa peggiore è che per il momento non si può sapere chi è».

«Chi potrebbe volerti tanto male?»

Mi avvicino, ancora qualche passo e gli sono di fronte. «Ci vogliono prove certe per accusare una persona» ricordo. Ora sono davanti a lui, i nostri corpi si sfiorano.

«Non ho sparato a Stefan, ma ho l'impressione che tu non mi creda». Con l'indice mi sfiora il profilo del mento.

«Voglio crederci ma il tuo atteggiamento non aiuta. Avevi promesso che tra noi non ci sarebbero stati altri segreti, invece continuo a scoprire cose che non so di te».

I muscoli del suo viso si contraggono. I suoi occhi mi uccidono.

«Di me sai tutto da quando ti conosco, il resto è passato» ribatte.

Ovvio, lui è fatto così. Che stupida, ho pensato che avrebbe aperto le porte del suo mondo, ma non è così. Lui rimarrà impenetrabile, non potrò mai conoscerlo fino in fondo.

«Di me vuoi sapere vita, morte e miracoli, ma tutto ciò che riguarda te rimane avvolto nel mistero. Ti senti il padrone del mondo e credi di poter fare tutto ciò che vuoi. Non mi hai mai permesso di entrare del tutto nel tuo mondo perché sei tu a non volerlo».

«Non è vero, tu sei il mio tutto» ribatte irritato.

Distoglie lo sguardo, non riesce a guardarmi perché non è sincero. Un bruciore al petto va aumentando, sto resistendo ma non so per quanto tempo. Fa male vedere come ciò in cui credi può scivolare via dalle mani in un attimo. Lui si sta allontanando e io non riesco a trattenerlo.

«Guardami negli occhi e dimmi la verità».

Mi scruta attentamente.

«Non ti merito» ammette più a se stesso.

Elimino la distanza tra noi, le mie mani gli sfiorano il viso e lui chiude gli occhi sospirando. La sua anima è tormentata. Sa di aver fatto qualcosa di sbagliato e ha paura di perdermi.

«Lasciami entrare, non allontanarmi». Il mio cuore supplica. Lui apre gli occhi, mi incatena nel suo sguardo.

«Prometti che non mi lascerai mai».

Le mie labbra sfiorano il suo mento delicatamente, bacio la sua pelle risalendo gli zigomi, occhi, la fronte, il naso e infine raggiungo le sue labbra.

«Ti starò accanto in ogni caso» sussurro sulle sue labbra e lo bacio. Si lascia andare e dischiude le labbra mentre trattengo il suo viso tra le mani.

«Ti amo, non dimenticarlo mai».

Non potrei mai dimenticarlo, il suo amore è qualcosa di straordinario.

Il bacio si fa più intenso e a quel punto mi fermo prima di perdere quel briciolo di lucidità che mi è rimasta. La necessità di sapere la verità è troppo forte, non riesco a lasciarmi andare del tutto se prima non mi spiega cosa sta succedendo.

Blocco i suoi movimenti e lui mi guarda contrariato. Forse sperava di evitare il discorso per un po', ma se mi conosce bene sa anche quanto so essere cocciuta.

Trattiene le mie mani tra le sue come se ciò che sta per dire potrebbe farmi scappare via.

«Ho sempre ritenuto che il fine giustifica i mezzi» inizia a dire. Faccio una smorfia perché so quanto sono dannatamente vere quelle parole. Mi ammonisce con lo sguardo e poi continua: «Quello che ti dirò deve rimanere tra noi, perché non lo sa nessuno». Annuisco mentre la curiosità e la paura aumentano. È preoccupante, molto.

«L'uomo che hai conosciuto in questi mesi non ha nulla a che vedere con l'uomo che ero» precisa.

Questo l'avevo capito da sola, ma mi sono sempre chiesta come era prima.

«Dopo l'incidente e la perdita di Helena, mi sentivo smarrito. Ero giovane e le cazzate erano all'ordine del giorno. Non mi importava più la mia vita e di conseguenza facevo cose stupide e pericolose. Una sera in un bar conobbi degli uomini, sapevo che non erano persone affidabili eppure la voglia di strafare e superare i limiti mi spinse in una realtà che non mi apparteneva. Mi sentivo in colpa per l'incidente e stavo cercando di autodistruggermi».

Il battito del mio cuore rallenta, trattengo il respiro.

«Ho toccato il fondo, ho fatto cose che non basterebbe una vita per rimettere a posto. Litigavo con chiunque, avevo bisogno di sfogare la rabbia e cercavo il dolore fisico».

Mi scruta cercando di capire ciò che sto provando ma io rimango ferma, immobile senza far trapelare nulla. Ogni sua parola allarga la voragine dentro di me, sto controllando l'istinto di toccarlo, abbracciarlo e dirgli che a me non importa. Vorrei digli che lo amo comunque e che gli starò accanto in ogni caso, ma non faccio nulla di tutto ciò.

«Dopo alcuni mesi, mi è stato proposto di entrare a far parte di un club, chiamiamolo esclusivo. Quando accettai fui catapultato in una realtà ben diversa. Una realtà che non ti permette di tornare più indietro».

«Cos'hai fatto Erik?»

Non credo di essere pronta, ma devo saperlo. Il battito accelera, lui bacia le mie mani e poi le porta al petto.

«Mio padre mi aveva tagliato i viveri, mi ritrovavo a vent'anni senza soldi e così ho trovato una scorciatoia. Ho accettato dei lavori in cambio di denaro» confessa.

«Che tipo di lavori?» chiedo a stento.

«Lavori di vario genere, ma nulla di legale».

Bum, bum, bum. Respiro a fatica.

«Hai ucciso qualcuno?» chiedo.

Mi tremano le mani, sento una stretta alla gola, non riesco a respirare.

«Non ho mai ucciso nessuno, ma non posso negare di esserci andato vicino» ribatte.

Rimango paralizzata. Lui...Oh mio dio.

Io che credo fermamente nella giustizia nel rispetto delle leggi mi ritrovo a dover ascoltare una confessione simile consapevole che non dirò niente a nessuno.

«Dopo due anni mi sono reso conto che non potevo andare avanti in quel modo, così ho deciso di aprire la mia azienda. Il problema era la materia prima, i soldi. Nessuna banca mi avrebbe dato il prestito e mio padre tanto meno considerando che per me era come se fosse morto. L'unica soluzione era chiedere un prestito all'unica persona che sapevo mi avrebbe aiutato in quel momento».

«Chi?» chiedo mentre mi mordo nervosamente il labbro inferiore.

Sospira pesantemente e mi guarda con rammarico. Non mi piacerà la sua risposta, lo sento.

«Tony Monforte».

Un nome che ho sentito fin troppe volte. La famiglia Monforte è molto conosciuta per i suoi affari non sempre legali. Da anni cercano di avere il controllo delle maggiori attività di New York, avevo fatto una relazione su di loro all'università e ogni volta che approfondivo le ricerche mi ero accorta che era un pozzo senza fine.

«Tu hai accettato i loro soldi?» chiedo con sgomento.

«Sì, ma non è come pensi. Io e Tony eravamo diventati amici, mi ha solo aiutato» cerca di giustificarsi. Indietreggio come se lui mi facesse paura. Sono spaesata, non ero preparata a questo.

«Cosa hai dovuto dare in cambio Erik?»

Fa un passo verso di me e io indietreggio.

«Non ho dovuto fare niente» dice deciso. Cerca di avvicinarsi ancora ma io retrocedo mantenendo la distanza.

«Stai mentendo. Sappiamo tutti che certa gente non fa niente senza ricevere qualcosa in cambio» gli ricordo.

«Tony non è come suo padre. Non ha preteso niente se non i soldi che mi aveva prestato» ribatte in tono freddo.

«Hai costruito la tua azienda con soldi sporchi. Ti rendi conto?»

«Non la metterei così. Era un prestito che ho saldato già da tempo». Si sta arrabbiando. Continuiamo a guardarci e in quell'istante penso che non l'ho mai conosciuto veramente. Mi sono sempre detta che lui rispetta qualsiasi regola nella vita, ma non è così. Chi è veramente Erik Truston? «Ho bisogno che tu mi creda. Non ho sparato a Stefan, non ho mai fatto del male volontariamente. Qualcuno sta cercando di incastrarmi e ho bisogno che tu sia dalla mia parte».

«Come posso essere dalla tua parte, se continui ad avere segreti con me. Sono sempre l'ultima a sapere le cose. Elisa deve stare buona come un cagnolino e aspettare che tu decida cosa deve e non deve sapere. Non funziona così Erik» dico. Cammino in riva con lo sguardo perso.

«Non abbandonarmi, ho bisogno di te». Afferra la mia mano e io mi blocco sul posto. Mi volto verso di lui, i suoi occhi mi supplicano.

«Anch'io ho bisogno di te ma mi serve tempo per accettare questa cosa. Affronterai il processo sicuro di te, e credo che su questo non ci siano problemi perché sai essere molto convincente. Me ne starò in disparte, perché come hai detto tu non mi riguarda. Ma, se ci tieni veramente a me devi dire la verità. Ti sto dando una scelta, a te la decisione finale».

So di essere dura ma credo sia giusto così. Mi guarda sorpreso ma non ribatte. Lascia andare la mia mano e io me ne vado.

La mia mente si affolla di ricordi, pensieri, parole dette, promesse fatte e non mantenute. Non vedo più la luce, ora c'è di nuovo il buio e ho freddo. Qualcosa si è rotto, la fiducia sta svanendo e non vorrei che fosse così. Urlo ma senza voce, piango senza far rumore perché conosco solo questo modo. Non sono in grado di reagire e prendere in mano la situazione, scappo perché stavolta la situazione è più grande di me e non riesco a controllarla.

***

Lui mi guarda, mi sorride e io ricambio. Mi porge la mano e mi chiede di non andarmene. Non potrei mai andarmene, sarebbe come rinunciare alla mia vita. Provo a toccare la sua mano ma lui si allontana. Lo chiamo, gli dico di fermarsi ma lui si allontana sempre di più. Gli corro dietro urlando il suo nome ma la mia voce non la sento, c'è silenzio.

Lui scompare, e io mi ritrovo sola in un luogo tetro e freddo. Urlo il suo nome.

Mi sveglio spaventata e con il cuore in gola. Respiro a fatica mentre mi guardo intorno spaesata. Sono sul pavimento della camera. Dopo aver parlato siamo tornati a casa in assoluto silenzio. Lui ha preso da bere e si è chiuso nel suo studio mentre io sono andata a farmi una doccia per annegare il mio dolore nelle lacrime.

Era solo un incubo. Mi sollevo e strofino gli occhi, mentre cerco di ritornare alla realtà.

Guardo di sfuggita l'orologio sul comodino, sono le due di notte. Lo sguardo si sposta sul letto vuoto e una stretta allo stomaco va aumentando. Lui non c'è. Ho il bisogno disperato di vederlo, di toccarlo e avere la certezza che c'è ancora. Esco dalla camera e vado alla sua ricerca. Vedo la porta socchiusa del suo studio e la luce accesa, è sveglio.

Titubante mi avvicino allo studio, voglio solo vedere che sta bene e ritornerò in camera. Apro la porta del tutto e i suoi occhi sono subito su di me.

«Ti serve qualcosa?» chiede freddo e distaccato. Odio quando mi parla in quel modo e lui lo sa. Mi sta punendo per prima, ne sono certa.

«Volevo solo vedere se stavi bene» rispondo avanzando verso di lui.

«Sto bene Elisa. Vai a dormire». Sospira strofinando la mano sul collo. I suoi occhi sono spenti, non ha più quella luce che li rende unici. Quando mi chiama per nome non è mai una buona cosa, sta cercando di essere indifferente e vuole che io riceva il messaggio forte e chiaro.

«Ti prego parla con me» sussurro sorprendendo anche me stessa. Ho un disperato bisogno di lui.

Mi avvicino ancora, fino a raggiungere la sua scrivania. Sposto le carte sparse su di essa e mi siedo proprio dinanzi a lui. Segue i miei movimenti con disappunto ma non dice nulla. La mia gamba gli sfiora il braccio e lui si scosta. Si appoggia allo schienale, mi guarda negli occhi mentre allenta la cravatta fino a liberarsene del tutto. Rimango imbambolata a seguire i suoi movimenti, non va bene, mi sto distraendo e non mi sembra il momento.

«Forse non ti è chiaro che non mi spaventa una condanna per qualcosa che non ho fatto...ma sono fottutamente spaventato dal tuo giudizio.»

Si sporge ancora verso di me, la sua mano passa accanto alla mia gamba, la sfiora mentre prende dei fogli in mano. Ho l'impressione che stia giocando sporco, come un promemoria su ciò che potrei perdere, ma forse è solo frutto della mia immaginazione.

«Sai benissimo che ti amo ma non puoi pretendere che faccia finta di niente. Non so se ti rendi conto, ma hai accettato dei soldi da persone poco raccomandabili per costruire la tua azienda. La stessa azienda che è diventata una delle più importanti del paese».

«In parte hai ragione ma posso dirti che rifarei la stessa cosa mille volte» dice mentre si avvicina pericolosamente verso di me.

«Non mi pento di aver accettato dei soldi in prestito, non mi pento di come ho costruito la mia azienda» si avvicina alle mie labbra, trattengo il respiro.

«Non me ne fotte un cazzo di niente» ammette serio mentre le sue labbra sfiorano le mie. Tremo.

«L'unica cosa che mi importa veramente sei tu».

Mi bacia in modo aggressivo e io lo lascio fare perché non riesco a ragionare.

Ansimo sulla sua bocca mentre le sue mani mi sollevano, mi aggrappo a lui e avvolgo le gambe intorno alla sua vita. Con un gesto brusco, spazza via tutto quello che c'è sulla superficie della scrivania e poi mi appoggia su di essa.

«Ora, ho solo una domanda» dice mentre le sue mani mi stringono i glutei. «Vuoi resistere con me in questa fottuta situazione?»

La sua parte animalesca ha preso il sopravvento, e io mi eccito ancora di più. Dovrei essere scioccata invece la mia parte perversa vuole scoprire sempre di più questo suo lato.

Mi bacia con foga.

«Sei la padrona del mio cuore» un altro bacio breve ma intenso «del mio mondo», mi bacia ancora «della mia vita». Sigilla le affermazioni con un lungo bacio. Le mie mani viaggiano sul suo corpo, le sue mi spogliano esigenti.

«Ti seguirei anche all'inferno» riesco a dire mentre le sue mani si chiudono a coppa sul mio seno.

«E l'inferno sia» commenta. Mi morde, mi bacia, mi stringe forte e io mi abbandono al piacere. Ansimo mentre le sue mani viaggiano, esplorando il mio corpo come solo lui sa fare.

Sollevo lo sguardo e allora vedo il desiderio nei suoi occhi. Il mondo non esiste più, ci siamo solo noi due in questo istante come se non ci fosse un domani. Il mio respiro oscilla per le parole non dette ma che vorrei. Sospiro, sorrido e mi abbandono tra le sue braccia. Furore e fragilità si uniscono nei nostri movimenti selvaggi. Sento la nostra passione, i brividi e l'amore che solo lui può darmi.

In un gesto di istantanea follia, mi travolge con un semplice bacio. Con vigore mi trascina verso di lui e mi stringe a sé e io lo sento, l'eccitazione che aumenta, il suo corpo caldo e accogliente. Assuefatta dall'odore della sua pelle perdo ogni senso di lucida percezione.

«Guardami» ordina sollevando il mio mento e io mi perdo.


Ook. Manca poco al colpo di scena...

Grazie mille per i commenti, le stelline e tutti i messaggi privati. Risponderò a tutti prima o poi, è una promessa. Un bacione e buon weekend.



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