Prologo
Aprì gli occhi, impiegò diverso tempo ad avvertire il mondo circostante.
Da quando aveva aperto gli occhi rammentava solamente una lontana e vaga sensazione piacevole, stretto tra le braccia di altre due calde anime.
Saremo sempre con te...
L'odore del gesso su una lavagna e cloro si mescolavano assieme.
Avrebbe voluto restare bloccato in quella stretta per sempre, credere a quelle parole ma la realtà lo aveva trascinato via, il teschio rosso emerse e gli incubi lo spinsero oltre la vera veglia.
Si ritrovò così lontano da quel quella pace perfetta ma non era neanche del tutto sveglio.
La stanza che lo circondava faticava mettersi a fuoco ma era decisamente un ospedale.
Il dolore al volto lo aggredì a sorpresa, gemette, lottare contro i farmaci che gli imprigionavano i pensieri era straziante.
Respirare era quasi impossibile, era legato incarcerato in una prigione di stoffa.
Io sono...
La sua voce gli rimbalzava nel cranio, mandandogli in frantumi la mente.
Io sono...
Voleva urlare per la rabbia, non trovava una risposta, ma dalle sue labbra doloranti e screpolate uscì solo un rantolo confuso.
Si dimenò ma non appena il suo corpo accennò a un movimento anche minimo nuovo peso premette contro il suo corpo, delle figure indistinte lo comprimevano urlando ordini, schiacciandolo senza troppo riguardo.
Solo una vocina flebile si insinuava più nitida delle altre, un vano tentativo di riagguantarlo, una piccola mano protesa verso la sua anima.
«Fermi, è spaventato, se lo stringete ancora non riuscirà a respirare...»
Le bende lo stritolavano con forza... O forse erano i farmaci a farglielo credere, la voce di quella ragazza una sirena lontana che si affievolì.
Non riusciva a respirare...
Affogava nel dolore
Io sono...
«William!»
Io sono Billy, Billy Russo...
La risposta era arrivata da una figura che sempre più nitida affiorava nella sua mente dalle tenebre dell'incoscienza.
Billy riconosceva quel ragazzo, portava con sé lo stesso odore di cloro, la freschezza di una piscina, il medesimo sorriso incorniciato da due fossette.
Ricordava quelle braccia che un tempo lo avevano stretto, crescendo aveva iniziato a temere di essersi sognato tutto e invece eccolo là.
Per quanto rammentasse il suo nome e poco altro e la testa gli pulsasse in modo atroce, in quell'ospedale prigione lo aveva ritrovato, dopo tutti quegli anni il contatto si era ristabilito.
Billy allungò la mano speranzoso e quando l'altro la afferrò stringendola con energia sorrise.
«Julian...»
«Dannazione Julian svegliati!»
La voce dell'amico lo raggiunse prima dello schiaffo.
Farfugliò confuso, cercando di muoversi nonostante quello sgradevole intorpidimento. Gli arti gli formicolavano come se stentassero a riprendersi.
Lentamente avvertì le fredde mattonelle della piscina premere sotto la sua pelle, la stretta di Garvin attorno al suo corpo e infine l'odore del sangue che gli fuoriusciva naso.
Voleva rassicurare l'altro, dirgli che era solamente uno dei suoi soliti episodi, nulla di preoccupante, ma era come se la bocca gli si fosse riempita improvvisamente di colla.
E in fondo non era del tutto certo di cosa volesse dire, un secondo prima era sceso in immersione sotto la superficie dell'acqua della piscina e un attimo dopo si era ritrovato in una stanza d'ospedale, a fissare un uomo legato ad un letto.
Aveva il volto fasciato da spesse bende, intrise di sangue, il respiro mozzato da quel drappo che lo avvolgeva come un sudario, ma gli occhi, quelli li avrebbe riconosciuti tra mille. Gli stessi in cui si era smarrito sin dal loro folle primo incontro, due pozzi oscuri avvolti di tenebra.
E poi la voce del passato lo aveva evocata, roca, spezzata, sofferente... Ma era indubbiamente la sua.
«Julian...»
Aveva annuito trattenendo a stento le lacrime, come era possibile che le sue suppliche finalmente si fossero avverate?
Aveva passato anni nel silenzio, temendo di aver perduto il senno, ma aveva continuato a credere e a sperare di rivederlo e adesso William, il viaggiatore dei sogni, era di nuovo nella sua testa.
Avvertiva ancore l'odore dei disinfettanti mescolarsi al cloro quando Garvin lo scosse fissandolo pieno d'ansia.
Julian cercò di tamponare la perdita di sangue e si lasciò accompagnare dall'amico al bagno.
L'altro farfugliava che non avrebbe dovuto lasciarlo nuotare, che visto le sue attuali condizioni fosse troppo rischioso, ma Julian non lo ascoltava.
Il sangue usciva copiosamente e non accennava a smettere, Garvin gli passò nervosamente dei fazzoletti.
«Dovremmo andare in ospedale e avvertire Marco dell'accaduto, sei rimasto sott'acqua privo di sensi per un'eternità, potevi affogare... Ohi Dio! Temevo che non avresti mai più riaperto gli occhi!»
Julian non aveva alcuna intenzione di perdere un'altra giornata della sua esistenza solo per sentirmi dire che la massa era cresciuta, che la terapia non stava funzionando e che si sarebbe dovuto aspettare altre crisi. Non voleva essere compatito ulteriormente così premette una serie di fazzoletti contro il naso e scuotendo la testa si avviò verso lo spogliatoio.
Garvin gli trotterellò dietro scrupoloso.
«Stai sbagliando, merita di essere informato, sai che lo vorrebbe...»
Proseguì zelante.
Con dei fazzoletti infilati nelle narici a tamponare Julian iniziò a vestirsi, avrebbe rimandato la doccia a un secondo momento, voleva solo correre a casa e sdraiarsi per ripensare a quanto successo e assaporare una piccola gioia in quel devastante ammasso oscuro che era diventata la sua vita.
Stentata a crederci.
Davvero William era riapparso?
Dopo tutti quegli anni finalmente tornato nella sua mente!
Voleva crederci, non era stato pazzo da bambino e non lo era ora da adulto, non era un'allucinazione data dal tumore che gli comprimeva il cervello, aveva davvero visto William. Lui era sempre stato reale.
Non aveva rivisto il bambino dei suoi ricordi, ma un adulto.
Un uomo che come lui era cresciuto e che lo ricordava invocando anche il suo nome.
Quando le labbra di William si erano dischiuse il suo nuovo aveva assunto un altro colore, come in passato, era più bello pronunciato da quelle labbra.
Dalla diagnosi niente aveva avuto più senso, lasciare la squadra di nuovo, l'università, cercare un piano b per la sua esistenza e constatare che nessun piano potesse sostituire la dicitura "terminale" dalla sua diagnosi.
Ma dopo tanto tempo si era imbattuto in qualcosa che si avvicinava alla felicità, aveva rivisto i grandi occhi scuri di William.
«Ti faccio riaccompagnare a cas...»
Garvin non terminò la frase perché Julian lo fulminò con lo sguardo facendolo impietrire.
Julian adorava suo fratello Marco, da quando loro madre era morta e il padre si era dato alla macchia rifugiandosi nel lavoro, Marco era stato il suo mondo, tutta la sua famiglia.
Lo adorava e gli era grato di quanto aveva sempre sacrificato per lui, ma era stanco di essere trattato come un bambino di quattro anni all'età di venticinque, avrebbe accettato di buon grado tutto l'aiuto ma si rifiutava di considerarsi del tutto dipendente dagli altri, non ancora.
Venticinque anni...
Quando aveva incontrato William per la prima, entrando l'uno nella buia stanza dell'altro, Bill aveva tre anni più di lui.
Un ragazzino dinoccolato e smunto, con vestiti troppo corti per il suo corpo lungo, che si nascondeva dai mostri.
Anche in quel loro primo incontro lo aveva visto ricoperto di bende e sangue, poco più grande di lui ma spaventato a morte e spezzato nel corpo e nello spirito.
Julian chiuse gli occhi e si caricò il borsone della piscina in spalla, anche se avesse avuto pochi mesi di vita avrebbe voluto passarli con William.
Lo avrebbe trovato e non solo nelle recondite zone della sua mente ma nella realtà, a costo di setacciare tutta la città di Berlino, tutta la Germania o il mondo intero.
Bill lasciò correre lo sguardo lungo la fredda parete bianca, non desiderava parlare, condividere, esporsi. Pensava solo a rinchiudersi sempre in profondità, la dove gli incubi non avrebbero potuto raggiungerlo.
La dottoressa Dumont chiuse infine la cartella e si congedò con aria afflitta mentre lo obbligavano a sdraiarsi ancora una volta nel suo piccolo letto di metallo e lo fasciavano nelle contenzioni, stringendole tanto da soffocarlo.
Quando le guardie ebbero lasciato la stanza lei entrò posizionandosi ai suoi piedi.
Quella donna era ormai una presenza costante da quando si era risvegliato in quel luogo, la sua asettica prigione.
Dal primo risveglio contrassegnato da quel dolore stordente che dal volto sfregiato si diradava in tutto il corpo a ogni cosa venuta dopo.
Le urlava contro ogni volta.
«Chi sei?»
«Che diavolo vuoi da me?»
«Non ricordo niente, non so neanche chi sei!»
La verità era che non era molto certo nemmeno su chi fosse lui...
Billy Russo, Ex marine, direttore di una compagnia di sicurezza privata? Proprietario? Assassino? Arrivista? Traditore?
Cos'era lui? Un mosaico i carne e sangue, un orfano, un indesiderato.
Parole vuote che non trovavano mai una risposta. Ma quella donna dallo sguardo ferino continuava a tornare, doveva trovare molto divertimento fissarlo per ore guardandolo dimenarsi nel proprio letto.
Alle volte gli chiedeva se rammentasse e a nulla serviva urlarle contro, non si smuoveva, una cariatide di pietra.
Che si aspettava le dicesse? che si scusasse per qualche torto subito? Qualcosa di cui non ricordava assolutamente niente.
Se si fosse mostrato contrito se ne sarebbe andata? Era in grado di mentire, di nascondersi dietro al volto di un altro Billy, che dava esattamente la reazione che volevano. Ne era stato capace, lo sentiva, ma forse quei segni sul volto lo avevano trasformato troppo.
Così le urlava contro e in cambio lei sorrideva soddisfatta.
Un fugace contatto, una gelida mano che si insinuava sotto la stoffa, scivolando come un tentacolo lungo la sua gamba.
Rabbrividì e la realtà lo riagguantò come una secchiata d'acqua gelata.
Lei era là, con i suoi riccioli impeccabili e quegli occhi da pantera, Madani aveva sentito che si chiamava Madani, una detective, un agente speciale.
Ma lei la osservava a distanza, come ogni maledetta volta, non lo aveva di certo toccato eppure poteva ancora avvertire quella pelle gelida scorrere sulla pelle della sua caviglia.
Voleva porgli le sue solite domande di rito?
Le aveva chiesto più volte cosa volesse e quando rispondeva come le sue domande, lui urlava.
No, non ricordava, né lei o gli ultimi avvenimenti che lo avevano confinato in quella stanza, così ruggiva e si dimenava fino a ferirsi.
Rammentava il dolore, perché quando nei suoi incubi il teschio rosso affiorava, incorniciato di specchi infranti solo quello percepiva.
La sua voce che riecheggiava tra una miriade di schegge che affondavano inesorabili nel suo volto dilaniandolo.
Undici ore gli avevano detto che era durato il suo intervento per drenare il sangue, riparare alla meno peggio il suo volto segnato dai tagli, rimuovere i vetri. Era rimasto incosciente per un tempo infinito e lo avevano dato più volte per morto.
Aveva superato la febbre, le infezioni, scongiurato il rischio di sepsi.
Gli avevano dovuto rimuovere una parte del cranio per permettere al suo cervello di espandersi per poi ricomprimerlo assieme ai suoi pensieri frammentati.
Infine, aveva aperto gli occhi, e anche a quel punto aveva impiegato mesi per parlare, ritrovare la voce, il suo stesso nome, riconquistare il suo corpo, ma ce l'aveva fatta! Era stata quasi una sfida a quella cupa presenza che ogni giorno lo osservava, sempre più inasprita dalle sue conquiste.
«Hai dormito bene stanotte?» gli chiese.
La sua solita domanda, sussurrato con un ghigno soddisfatto stampato in volto, conosceva bene la risposta e ne gioiva.
Billy cercò di rispondere ma il respiro gli si incastrava nella maschera, il volto che aveva scelto di mostrare al mondo in un certo senso un percorso riabilitativo. Avrebbe dovuto farlo sentire meglio eppure ogni giorno avvertiva qualcosa di sbagliato strisciare insinuarsi nel suo spirito.
Era a disagio, voleva urlarle contro il suo solito NO ma prima che la voce si districasse liberandosi una flebile voce era emersa dalle tenebre.
«No! E lo sa bene, quindi la smetta di fargli queste inutili domande!»
Una ragazza minuta, occhi nocciola, capelli ondulati era emersa dal suo nascondiglio.
All'apparenza innocua, una semplice infermiera con una divisa scolorita eppure qualcosa nel suo sguardo duro lo innervosiva, una minaccia non detta che aleggiava attorno a lei.
Billy sbattè le palpebre più volte, era come se non riuscisse a mettere a fuoco il profilo di quella piccola ragazza. Un alone opaco la avvolgeva, più cercava di delinearla più il senso di minaccia aumentava.
Un brivido lo attraversò lungo la schiena.
Madani dovette aver avvertito la medesima sensazione perché, dopo aver dato un colpo alla spondina del letto di Billy si dileguò e nella stanza calò il silenzio.
La ragazza si era avvicinata furtiva come un gatto e si fermò a un soffio da lui in attesa, la domanda che aleggiava sospesa tra loro.
«Perché mi odia così tanto?»
La ragazza era rimasta in silenzio a lungo, tanto a fargli pensare che forse non avrebbe mai avuto una risposta.
«So che le hai sparato in testa, il giorno in cui sei giunto qua, non parlo per esperienza diretta ma immagino che siano cose che inducano a portare rancore...»
Billy trasse un profondo respiro, era rimasto ad attendere per così tanto e adesso aveva la sua riposta, ma non era stato soddisfacente tanto quanto aveva immaginato.
La testa gli doleva più che mai per ogni tentativo di spiegare quella frase.
Si concentrò sulla divisa della ragazza, il cartellino rigato e opaco.
E quel nome
Evelyn
Voleva che si avvicinasse, che scacciasse quella sensazione di gelo che si era fatta strada in lui sin dal risveglio.
Lei si mosse come se avesse udito la sua richiesta.
Le sue mani erano calde, profumava di lavanda ma non solo...
Billy chiuse gli occhi, ricordava quel tocco, lei che si sporgeva verso il suo corpo ardente dalla febbre, che lo liberava dalle contenzioni per aiutarlo a respirare, che lo riafferrava rima che cadesse la prima volta che aveva tentato di alzarsi dal letto, una presenza rassicurante nascosta nell'ombra.
Esitante mosse un dito e ricercò quel calore, lei si protese su di lui.
«È tutto a posto, veglio io su di te...»
Gli scostò la maschera, Billy si sorprese sereno e quando gli sfiorò la fronte per un rapido bacio avvertì misto alla lavanda l'odore di gesso colorato e uno strano senso di quiete calò su di lui.
Saremo sempre con te...
Quella sensazione era così vicina da sembrare tangibile, anche nella sua prigione.
Aveva davvero una possibilità di ritrovare quelle voci?
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