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4-𝓣𝓲 𝓯𝓪𝓻𝓸' 𝓿𝓮𝓭𝓮𝓻𝓮 𝓾𝓷 𝓹𝓸' 𝓭𝓲 𝓶𝓪𝓰𝓲𝓪

Mi ritrovai a terra, mentre il Sospiro veniva scaraventato dall'altra parte della radura. Accadde tutto in un attimo. Un momento prima ero bloccata, inerme alla stregua di un alito che sembrava volesse divorarmi dall'interno per controllare ogni fibra del mio essere e succhiare via l'anima. Subito dopo, le cose erano cambiate in maniera drastica. Di quella creatura rimaneva solo una scia di risate malefiche che echeggiava nei dintorni, mentre continuava a ripetere: io non mento mai, ricordalo.

Guardai Raith interdetta, cercando di capire da dove provenisse tutto quel potere e perché non lo avesse utilizzato contro di me invece di tentare di convincermi a seguirlo. Si sarebbe risparmiato un bel po' di lamentele.

Mi guardai intorno, ancora scossa da ciò che era appena successo. Quella presenza che era riuscita a violarmi da dentro, mi aveva scombussolata nel profondo, portandomi, per un attimo, a pensare alla mia famiglia.

Ancora non sapevo quanto mi sarebbe mancata.

Nella mia testa rimbombavano quelle parole che parevano dette a caso: sei morta!

Ero più viva che mai, non m'importava di niente e di nessuno. Forse la sua era solo una minaccia oppure...

«Ti avevo detto di non guardarlo negli occhi o sbaglio?» disse Raith, scuotendomi dallo stato in cui mi trovavo. «Alzati da lì, testa di capra!»

«Testa di cosa?» chiesi non avendo capito a cosa si riferisse, mentre mi alzavo dal tappeto di foglie sul quale ero caduta, perdendo le forze durante il conflitto.

Foglie? Dov'era finita la neve? Il tepore del sole mi stava riscaldando dal freddo di Airsa, ormai alle spalle. Non era solo uno sbalzo termico, ma un vero e proprio contrasto netto. Da un lato, a pochi passi da noi, regnava un gelido inverno; dall'altro, nel punto esatto in cui ci trovavamo e a seguire, una distesa magnetica di verde, tempestata da miriadi di fiori di ogni colore esistente che cambiavano le loro sfumature a seconda della posizione del sole.
Mi persi, incantata da quella meraviglia.

«Testa di capra!» rispose arricciando il muso, risvegliandomi dal torpore. «Sei testarda come quelle bestiole, ma almeno loro sono carine,» rise della sua stessa battuta senza provocare in me alcuna ilarità.

«Credi di essere simpatico? So guardarmi allo specchio, Bestia! Al contrario di te... non lo rompo.»

Rise di gusto dopo la mia affermazione. Una risata profonda, rauca e gutturale che avrebbe spaventato chiunque... ma non me. Si sistemò la folta chioma per poi voltarsi e incrociare il mio sguardo.

«Non hai idea di ciò che stai dicendo.» Affermò con un ghigno che non potevo comprendere, prima di tornare serio e minaccioso. «Devi ascoltarmi quando ti parlo. Non puoi fare quello che ti dice il cervello in questa foresta. Non voglio dettare ordini, non sono io il tuo... chiamalo come vuoi. Ti vorrei solo portare sana e salva alla sua dimora. Quindi, se ti dico di non guardare negli occhi uno spirito che si nutre di paure, annientando la psiche, tu non lo devi guardare, mi hai capito?» continuò, afferrandomi dalle braccia per scuotermi dalle mie idee malsane.

Mi ritrovai a mezz'aria con le sue mani possenti ancorate alle spalle a sollevarmi. Lo osservai incuriosita più che spaventata e, dall'alto della mia persona che, per la prima volta, superava la sua testa gli chiesi piegando la mia da un lato:

«Perché non hai usato i tuoi poteri su di me?»

Mi guardò torvo, scrutandomi, cercando il modo di comprendermi, credevo. Mi lasciò, leggera, poggiandomi sul manto erboso con delicatezza.

«I miei poteri? Diciamo che per molto tempo non ho potuto goderne e ora devo riabilitarli, poco alla volta.» Si crucciò, cercando di nascondere un'aria pensierosa. Ma i suoi occhi dicevano tanto senza che la sua bocca emettesse alcun suono. Mi avvicinai a lui e d'istinto gli sfiorai la zampa, ma mi ritrassi subito a causa di una forte scossa che mi costrinse ad allontanarmi di un passo o due.

«Cos'era?» chiesi curiosa.

«Magia...» rispose perplesso, osservando il palmo e poi il dorso della sua zampa.

«Per quanto tempo non hai potuto godere dei tuoi poteri?»

«Anni, tanti anni... troppi!» affermò accigliato.

«Vuoi parlarne?» chiesi, mentre cercavo di seguire il ritmo dei suoi passi svelti.

Non capii quale fosse il motivo che mi portava a empatizzare con quel mostro. Sensi di colpa, forse? Leggeri, sì, ma nel mio stomaco si stavano aggrovigliando sensazioni strane, che mi portavano a pensare di aver odiato per una vita qualcosa che neanche conoscevo.

«Vedi, Aledis, il mondo è controverso, anche se parliamo di magia. Per quanto se ne voglia dire e ci vogliate accusare dei vostri peccati, noi non attacchiamo gli esseri umani, non ne abbiamo il permesso. La natura non desidera questo. Io...ecco, io ho commesso un errore, diciamo.»

«Hai ucciso un essere umano?» chiesi disgustata.

«Non proprio, ma non mi va di parlarne, te ne prego.»

I suoi occhi, prima bassi alla ricerca del nulla, si issarono trovando nuovamente i miei a osservarli. Per un attimo che parve infinito, quello che riesce a fermare il tempo, il cuore e il respiro, si perse nel mio sguardo e io feci lo stesso nel suo.

«Dai, dai, dai, ti supplico!» dissi imbronciata, incrociando le mani a mo' di preghiera mentre continuavo a camminare, ma al contrario. Urtai, senza volerlo, un tronco di uno strano albero e d'un tratto mi ritrovai a testa in giù, sospesa a mezz'aria con le caviglie intrecciate nei rami infogliati dello stesso.

«Sul serio?» urlai indispettita. «Cosa diavolo...»

Il Killiuk, gustandosi la scena dal basso, cominciò a ridere di gusto tenendo le mani sull'addome ripiegato.

«È un Dissalciuk: un salice dispettoso. È innocuo, tranquilla. Solo che è un po' testardo e non sarà facile convincerlo a farti scendere da lì!» spiegò, rispondendo con un'altra profonda risata.

«Cosa dovrei fare? Inginocchiarmi? Beh, guarda un po', non posso!» sottolineai, mostrando le mie gambe legate in un groviglio.

«Sei buffa, sai, capretta?» continuò a sbeffeggiarmi tra risate incontenibili, ma che, in fondo, mi solleticavano gli angoli della bocca.

«Mi fai scendere, invece di prendermi in giro? Usa la magia, fa' qualcosa! Il sangue mi sta andando alla testa, potrei morire, lo sai?»

«Sei appesa da cinque minuti... la morte, seppur reale, non potrebbe arrivare così presto.»

Capii che non ne avrei cavato un ragno dal buco. Raith continuava a ridere ogni qualvolta tentava di avvicinarsi, sprofondando con le ginocchia sul selciato.

«Ok, Bestia! Ho capito che non sei molto utile. Farò da sola.» Dissi sbuffando prima di rivolgermi al Dissalciuk. «Senti, come diavolo ti chiami, fammi scendere immediatamente!» digrignai i denti nel mio monologo concitato. «Sei sicuramente un albero maschio. Del resto avete la fama di essere ottusi, prepotenti ed eterni bambinoni.»

«Non credo sia il modo corretto per convincerlo. Che poi cosa ne vuoi sapere degli uomini? Voi donne non siete poi tanto diverse da noi. Almeno credo. Non mi sono mai soffermato nella conoscenza di voi esserini malefici.» Blaterò l'ultima frase sottovoce, mentre giocherellava con la corolla di un fiore dal colore sgargiante. Feci finta di non sentirlo perché, in verità, vederlo seduto sul prato, perso dietro i suoi pensieri, mi incantava, ma ancora non sapevo quanto.

«Quindi? Starai seduto lì tutto il giorno o ti deciderai ad aiutarmi?» gli chiesi in un moto di timore che iniziava a farsi spazio tra le costole.

La mia matassa scura e lunga di ricci ribelli cascava accarezzando il prato e batuffoli di pelo fulvo, si avvicinarono incuriositi per pettinarmi la chioma. Facevano a gara, con le loro minuscole zampette, a chi avrebbe staccato per primo una mia ciocca.

«Loro, invece? Chi o cosa sarebbero?» chiesi con estrema curiosità.

Raith si voltò e vidi il suo sorriso mutare in un accenno di sdegno.
Sì alzò funesto, raggiungendomi, cercando di scacciare quei dolcissimi cuccioli.

«Oh, no, no, no...via, bestiacce!» sbraitò, agitando le zampone verso quegli esserini così piccoli e indifesi.

Indifesi un corno!

Gli occhi di quei cosi, dapprima coperti dal pelo, uscirono fuori dalle orbite. Erano occhi infuocati, assetati di sangue, come le loro fauci che fecero spuntare fuori denti aguzzi e affilati, aggressivi, per difendersi dall'attacco del Killiuk.

Uno dei rami di quell'albero si mosse, raccogliendo le bestioline una a una, per poggiarle sulla sua stessa cima. Si quietarono all'istante, riprendendo a giocare tra il folto fogliame.

«Grazie!» mi rivolsi all'albero dal basso della mia testa in giù. «E scusami per averti urtato e aver avuto la presunzione di credere che fossi solo una pianta. Mi perdoni?»

Cercai, invano, di carezzare il suo mastodontico tronco troppo lontano, facendo peso a destra e sinistra per dondolarmi sino a esso. Immaginai la scena da fuori, pensando a Raith e a tutti i sorrisi che gli avevo rubato mentre mi trovavo a penzoloni. Quando incontrai di nuovo i suoi occhi, scoppiammo in una risata che rischiò di farci perdere il respiro, mentre, senza che me ne rendessi conto, il Dissalciuk mi poggiava dolcemente tra le braccia possenti della Bestia. Mi sentii a casa, protetta come mai prima di allora. Cosa diavolo mi stava succedendo?

Una vita intera passata a odiare degli esseri di cui avevo solo sentito parlare, delle leggende immaginarie nella mia testa e, solo dopo una manciata di ore, mi stavo affezionando a uno di quegli stessi mostri!? Lo erano davvero? Ero diventata io quella spregevole e senza sentimenti?

Quello che provai in quell'istante era qualcosa che scacciai nello stesso momento, spingendomi lontana dal calore che sentivo arrivare dallo stomaco sino al cuore. Era soltanto... una Bestia!

Mi alzai dal terreno pulendomi dai residui di foglie e polvere.

«Non mi ero accorto delle tue lentiggini, sono così chiare» affermò stupito.

«Sono terribili, le odio. Cioè, mi piaccio da morire, non ho niente che non vada, ma queste lentiggini...beh, sembra che imbrattino un capolavoro.» Aggiunsi ironica, mostrando il mio miglior sorriso falso per togliermi dall'imbarazzo che stavo sentendo crescere sempre di più.

Dov'erano andate a finire quelle sensazioni di potenza che non mi facevano sentire nulla? Era bastato un tocco gentile per farmi tornare a provare qualcosa?

«Sono splendide...» rispose in un sussurro.

«Vuoi ripetere, alzando un po' quel vocione che ti ritrovi?» lo schernii.

«Ho detto che sono...splendide, ecco. Sei contenta?»

Mi illuminai dentro, ma non lo feci vedere. Quel calore continuava a irradiarsi fino alla cima dei capelli.

«Io ti piaccio!» risi, prendendolo in giro ancora una volta.

«No, non è vero. Stai delirando! Stare a testa in giù ti avrà provocato danni seri. Spero solo non siano permanenti, capretta.»

«Io ti piaccio, io ti piaccio, io ti piaccio...» cantilenai in un loop che infastidiva anche me.

«Andiamo, Aledis. Come potresti mai piacere a uno come me? Sotto tutto questo pelo, ho un fascino che potrebbe accecarti. Sei bella, sì. Non posso negarlo. Hai un nasino a bottoncino molto carino e quelle lentiggini lo completano. Ma...i tuoi capelli sono una matassa di ricci informi e i tuoi occhi, di uno splendido verde che mi ricorda i colori dell'aurora che si sprigiona alcune notti dell'anno, ma sono enormi e inquietanti. No, direi che non sei il mio tipo, affatto! E poi, cosa non meno importante... sei umana!»

«Sì, e tu sei una Bestia e io ti piaccio. Inutile che arranchi scuse arrampicandoti a specchi rotti. Potresti ferirti!»

«Ti stai sbagliando ti dico. Chiudi quella bocca chiacchierona e andiamo. Qua fa buio ogni tre giorni, anche se questi scorrono.» Si affrettò a dire cambiando discorso. Ci riuscì, ovviamente.

«Tre giorni? Da quando? Da quanto camminiamo? Perché?»

«Abbiamo attraversato il portale, lo vedi?» mi chiarì, indicandomi il punto, ormai lontanissimo, in cui terminava la neve e iniziavano i colori. «Da qui in poi, sarà tutto in discesa.»

«In che senso?»

«Vieni qui, avvicinati. Te lo spiego subito.»

Lo ascoltai, anche se titubante. Teneva le braccia aperte rivolte a me e con le unghie continuava a indicarmi di avanzare.

Mi mostrò il suo petto e capii di dovermici poggiare. Lo feci, lasciandomi cullare dallo strano battito del suo cuore. Le sue braccia mi avvolsero in uno stretto ma non stritolante abbraccio e mi abbandonai a quella sensazione di accoglienza che mi donavano.

«Reggiti forte, capretta. Ti farò vedere un po' di magia, contenta?»

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