37-𝓛'𝓪𝓷𝓲𝓶𝓪 (seconda parte)
Malakay
Mi accomodai sulla poltrona, una di quelle fatte con la pelle di qualche grosso animale. Diceva di non essere sadico, lui. Avevamo una concezione diversa del sadismo. Molto diversa. Mi ero sempre limitato a togliere la vita, ma non avevo mai pensato di portare il trofeo nel palazzo per arredare gli ambienti. Il suo sguardo non era dei più confortanti, mentre accendeva le candele dentro la biblioteca. Mi colpì il profumo della carta di quei libri, l'odore della stanza mi portò a ripercorrere qualcosa nascosto nel cassetto della memoria.
Io amavo scrivere; una volta, tanto tempo indietro, in un posto che pareva lontano un'eternità, inventavo storie. Mi piaceva starmene in giardino, sdraiato sull'erba a passare il tempo a raccontare e romanzare ciò che mi accadeva intorno e a imprimerlo su carta. Passavo ore, giorni interi a intingere la penna nell'inchiostro. Le parole venivano dal nulla e le trasformavo in stupide favole sentimentali. Non sognavo l'amore, non credevo facesse per me un legame così intenso da farmi perdere il senno, ma adoravo vedere la gente sognare.
Un po' mi vergognavo di quella passione, mi faceva sentire strano, diverso. Avevo un animo romantico al contrario. Scrivevo un magico finale per tutti, ma a me non lo avevo mai concesso. Ero un Killiuk a metà. La verità era che, probabilmente, mi mancavano le palle.
«Killian, non voglio perdere altro tempo.» dissi quando lo vidi raggiungere l'armadio dove conservava gli infusi delle memorie rubate. «Ho ospiti al palazzo e sono abbastanza sicuro che non lo ritroverò come l'ho lasciato.» Era pura e semplice consapevolezza, la mia.
Avevo lasciato Aledis insieme alla sorella fuori di testa e incazzata. Avrei potuto utilizzare toni e modi più gentili per buttare quelle due giù da letto, ma Aledis aveva bisogno della sua famiglia e non era da me essere educato per compiacere qualcuno.
«Hai ospiti? Stai trasformando il tuo palazzo in una sala di accoglienza per i senza tetto o Aledis ti ha convinto di non essere un eremita?»
«La seconda, forse. Ho fatto arrivare le due piattole delle sorelle di Aledis. La più piccola è una strega, senza poteri, vero, ma non servono, nel suo caso.» risposi, nascondendo un sorriso.
«Ah, ti sei fatto incatenare i testicoli, a quanto pare.» Mi canzonò con un tono infastidito.
Non ricordo un solo giorno passato in compagnia, se non dei domestici e delle mie concubine. Aledis aveva cambiato anche quel lato, senza volerlo. Era entrata nella mia vita, senza volerlo. Aveva riattivato la mia umanità con un solo sguardo, senza volerlo, ma io, forse, un po' lo volevo, perché, quando ero affondato nei suoi occhi, per la prima volta, avevo desiderato tante di quelle cose che non avrei potuto contarle.
Avrei voluto farla a pezzi e amarne ogni singolo coccio, avrei voluto distruggerla e leccarle tutte le ferite. Avrei voluto entrare nei suoi sogni, sotterrarli per rimanere da solo con lei. Farla soffrire ed essere l'unico a poterla liberare dal dolore. Essere l'unico a rimanere nella stanza con lei, quando la Regina l'aveva drogata con il sangue e provare ad amarla, a proteggerla da qualsiasi patto fatto con chiunque. Riportarla a casa, dalla sua famiglia e non in un palazzo spoglio e lugubre dove non avrebbe mai potuto essere felice. Avrei voluto, ma lei era la metà di Killian, non la mia e, per quanto io potessi essere egoista e desiderare la sua serenità accanto a me, non ero io a poter decidere cosa doveva renderla felice.
«Killian, sto aspettando.» dissi, fingendo di non aver colto il sarcasmo, mentre picchiettavo le dita sul bracciolo della poltrona.
«Cosa vuoi sapere, di preciso?»
«Tutto quello che sai.»
«Mal, mi avevi fatto promettere, a qualsiasi costo, di non dirti niente.» Le sue parole mi spiazzarono. Non ricordavo di aver detto una cosa simile.
«Perché stai trafficando tra le boccette dei Sospiri?» Il dubbio divenne consapevolezza, quando ne tirò fuori una che conteneva un liquido viola.
Di solito, in quelle boccette del pensiero perduto, il liquido era di un blu intenso con sfumature azzurre che sembravano galleggiare, luminose, in un lago notturno racchiuso in un'ampolla. In quella che il Killiuk mi stava mostrando, c'era la memoria di un altra bestia, come Killian... come me.
Rimasi incatenato, con lo sguardo perso, in quel contenitore di vetro che pareva chiamarmi. Sentivo di voler immergermi nel mare viola di quei ricordi, ma che, allo stesso tempo, sarei dovuto scappare il più lontano possibile dall'ipotesi di una verità che mi avrebbe lacerato. L'immensità delle sensazioni che stavano tornando iniziarono a spaventarmi, dietro alla possibilità che quei pensieri fossero proprio i miei.
«Killian, cosa cazzo c'è in quell'ampolla?» La domanda mi uscii spontanea. Non ero riuscito a frenare la lingua e andare via per non affrontare le conseguenze di ciò che, con molta probabilità, mi ero imposto di non ricordare.
«Sei venuto qua per porgermi delle domande, o sbaglio?» chiese, prima di accomodarsi sulla poltrona accanto alla mia e chiudere il contenitore in un pugno. «Allora... falle!» Con il tono infastidito, abbassò la testa e digrignò i denti.
Fu proprio in quel momento che non ebbi più dubbi: lui si sentiva costretto a parlare, ma non avrebbe mai voluto avere quella conversazione .
«Bene, noto con piacere che, fosse stato per te, avresti portato quelle memorie nella tomba. Piuttosto, le porto nella mia, ora, Killian.» Mi alzai di scatto e mi avvicinai a lui, con l'intenzione di strappare quella mano con tutta la boccia, ma lui non tentennò ad aprirla, lasciandomi interdetto.
«È vero, Mal. L'avrei nascosta per sempre e avrei potuto decidere di continuare a farlo, non avresti mai pensato che potessi nascondere qualcos'altro di tuo.» Quella parola mi entrò nel petto, come una lama affilata, mentre mi guardava con lo sguardo spento e il respiro affannato.
«Qualcos'altro?» ripetei. «Cosa? Cosa cazzo mi hai nascosto?» Ero in preda a una crisi di nervi.
Iniziai a girare per la stanza, come il peggiore dei folli.
Maledette emozioni!
Sapevo che ciò che aveva tenuto custodito mi avrebbe fatto uscire fuori di testa.
«Non sono stato io a scegliere.» Mi guardava, dalla sua poltrona, fare avanti e indietro, indietro e avanti. Puntava i suoi luridi occhi viola, seguendomi passo dopo passo. «Puoi stare fermo, per tutti gli dei» sbraitò, tirando un pugno sul bracciolo della seduta.
«Ah ah, se non sei stato tu a volerlo, chi mai avrebbe potuto? Sei tu ad avere quella boccetta nelle mani, fino a prova contraria.»
I secondi di silenzio che passarono, mentre gli puntavo il dito contro la faccia, rimbombarono sulle assi di legno degli scaffali, perfettamente, spolverati. Lo vidi ingoiare un groppo di saliva, insieme al timore di parlare.
«Sei stato tu, Mal. Tu mi hai costretto a nascondere la verità, dopo aver deciso di spegnere la tua anima e diventare, insomma, quello che sei diventato.»
Arretrai di un passo... poi due, tre, quattro.
Iniziavo a capire che ciò che mi stava dicendo aveva un senso. Avevo deciso di abbandonare dei ricordi, per trovare il coraggio di perdermi dentro un mondo fatto di nulla.
«Di cosa stai parlando?» tentennai nel domandarlo, ma dovevo trovare il coraggio di sapere e se avessi continuato a ripetermi che lo avevo, sarebbe arrivato.
Mi dovetti costringere, per non sparire e soffocarlo, sul serio, nel fumo denso e nero di un viaggio buio, senza destinazione.
«Del motivo per il quale sei voluto diventare ciò che sei.»
Sorrisi beffardo, per non mostrarmi debole e impaurito, prima di ritornare a sedere sulla poltrona, mentre mi lasciavo andare in uno sbuffo annoiato.
«Secondo te, dovrei credere di aver avuto un motivo diverso dal desiderio di essere un meraviglioso esemplare in via di estinzione?» Mi mostrai il petto gonfio di orgoglio, per poi sogghignare sarcastico.
«Beh, tanti Killiuk scelgono di perdere l'anima. È la via più semplice.»
Era vero. Essere un Drausol ti permetteva di non sentire più alcun tipo di dolore e, mentre ti ritrovavi in un corpo che non valeva niente, ti sentivi più potente che mai, perché nulla poteva scalfire una corazza, senza emozioni.
«Io non capisco, Killian» Mi liberai, per un attimo, di quella finta protezione invisibile che si stava sgretolando, ma tentavo di tenere salda. «Perché è tornato a battere?» Mostrai il petto, dalle parti del cuore. «Perché non funziono più?»
Dovevo avere la faccia da scemo, mentre porgevo la domanda, perché Killian sembrò impietosirsi.
Si lasciò sprofondare nella sedia, per poi alzarsi con un colpo secco, subito dopo.
«Essere un Drausol avrebbe dovuto darti la sicurezza di perdere le emozioni per sempre, ma, nel tuo caso, le tue vogliono tornare.» Spiegò, anche se ancora non riuscivo a stare al passo con il suo discorso.
«Perché?» chiesi di getto «Perché dovrebbero tornare senza permesso?»
«I sentimenti non chiedono permesso. Non bussano; entrano e ti lacerano dall'interno, ti disintegrano, ma, allo stesso tempo, capisci di essere vivo.» Lo disse, premendo il pugno che conservava l'ampolla, sul petto. «I sentimenti sono qualcosa di formidabile, ciò che aiuta la vera forza dell'anima. Hai deciso di lasciarli andare, ma non puoi comunque comandarli, perché lei è troppo vicina.» Sapevo che si stava riferendo ad Aledis, ma non era stata la sua vicinanza a farmi spogliare anche della pelle; era stato il battito del suo cuore, tanto vicino al mio da farlo ripartire.
Lo avevo sentito, la prima volta al lago, mi aveva scombussolato, perché, per un solo istante, la pietra che conservavo nel petto, al posto di quello stupido organo, aveva iniziato a pompare e seguire il suono irregolare del suo. Era stato breve, ma l'inizio di una rinascita che ancora non conoscevo.
«È lei che mi sta facendo morire?» domandai a denti stretti, con la mandibola serrata, stringendo i pugni, fino a farmi diventare bianche le nocche.
La stanza parve chiudersi su se stessa e le assi di legno che reggevano i tomi pesanti, sembrarono crollarmi sul petto. La sensazione di rabbia e frustrazione che provai, mi irrigidì a tal punto da farmi perdere il respiro, la lucidità e, forse, anche il senno. Rischiavo di impazzire al pensiero di essermi perso, a causa di una donna qualunque.
Ma lei non era una donna qualunque, anche se continuavo a ripetermelo, in silenzio, nei meandri di testa e sensazioni. Perché io lo sapevo, lo avevo sempre saputo...
«Lei ti sta facendo rinascere.» Bloccò pensieri e parole, con quell'affermazione tanto vera, quanto impensabile. «Per questo non ero disposto a fartela vedere. Sapevo di rischiare, ma credevo che un Drasoul fosse più forte del destino.»
Lei era...
«Non può essere...» Uscirono solo quelle parole, insieme al primo fiato, dopo aver trattenuto il respiro.
Killian portò la mano libera alla fronte, per massaggiare le tempie. La passò tra i capelli neri che tirò, come a volerli staccare dalla cute.
«L'abbiamo vista insieme, la prima volta. La stessa notte che aggredimmo Lantus. Successe qualche ora dopo. Era poco più di una bambina.» Mi diede le spalle, si avvicinò alla libreria, strinse una tavola tra le dita di una mano e poggiò la testa sopra, per poi prendere un grosso respiro e sputare il resto. «La sentimmo piangere e il richiamo di quelle lacrime ci portò fuori un capanno. Faceva molto freddo, la porta era socchiusa e lei era lì; esile, fragile e infreddolita, con gli occhi più grandi e tristi che avessimo mai visto.» Si voltò dalla mia parte e guardò un punto sul muro, come se potesse ancora vedere quell'immagine. «Singhiozzava, mentre fissava uno scaffale pieno di attrezzi e quei riccioli scuri le si poggiavano sulle guance, raccogliendo le lacrime. Anche noi volevamo raccoglierle.» Fece un passo verso di me, poi un altro e un altro ancora. «Ma era troppo piccola e noi delle fottute merde. L'avevamo riconosciuta entrambi, Malakay: era lei, e non avremmo potuto dividercela.»
Lei era la nostra metà... la mia metà e io avevo rinunciato.
«È per questo che ho deciso di diventare un Drasoul?» chiesi scettico. «Non volevo legami?»
«No, non è per questo. Tu hai rinunciato per me, ma il dolore che ti provocò la tua scelta era talmente forte che non riuscisti più a sopportarlo. Non hai avuto il coraggio di affrontarlo.»
Un dolore così potente e così reale che preferii perdere tutto, pur di non sentirlo più scavare nelle ossa.
«In quella boccetta, ci sono i miei ricordi, vero?» domandai, senza più fiato in gola.
Non riuscivo a reagire, anche se l'universo mi stava crollando addosso. Forse non volevo spostarmi. Forse avrei voluto solo che mi sotterrasse tra cumuli di legno e libri. Avrei avuto non più di qualche graffio che si sarebbe rimarginato in poco tempo, ma almeno, per un po', avrei distolto l'attenzione su un altro tipo di dolore che non sarebbe stato quello che stavo provando in quel momento.
Mi stavano staccando il cuore dal petto, il cervello dal cranio. Mi stavano spogliando dalla pelle. Di me stava rimanendo il niente che ero sempre stato. Era quella la sensazione... almeno credevo.
Me la porse, quella boccetta dal liquido viola: «È tua, ma mi hai chiesto di non fartela bere. Mi hai pregato di non farlo e io ora sono a un bivio. Non so se fidarmi di te.»
Al suono di quelle parole, capii che c'era qualcos'altro che nascondeva dentro quell'ampolla.
«Non ho voluto perdere la memoria per non ricordarmi di lei, vero?» Non avrebbe avuto senso. Sarebbe bastato perdere le emozioni e decidere di non incrociare più la sua strada.
Scosse il capo, chiuse gli occhi e arricciò le labbra. Conservava una speranza che non sapevo se avrei distrutto.
«Killian, cosa cazzo ho voluto dimenticare?»
«Se vuoi saperlo devi bere, non sarò io a dirtelo.» affermò serio, con il braccio disteso nella mia direzione. Aprì il pugno e la luce che uscì dalla sua mano, mi diede la conferma che non stava mentendo: quelle erano davvero le mie memorie dimenticate.
Presi un grosso respiro per farmi coraggio. Sapevo che doveva essere grave quello che mi ero imposto di non ricordare. Afferrai la boccetta, tolsi il tappo in sughero e la poggiai alle labbra. La mano di Killian fermò il sorso che stavo per fare: «Prometti che, qualsiasi cosa vedrai, la porterai nella tomba. Ti sei voluto cancellare le cose, con lucidità, perché eri consapevole che non te ne sarebbe fregato un cazzo di mantenere segreto quello hai nascosto qui dentro. Avresti minacciato chiunque e ti saresti preso gioco dei sentimenti di molte persone, distruggendo le loro vite. Prometti, Mal.»
La sua mano alleggerì la presa e i gli occhi cercarono una conferma che tentennava ad arrivare.
«Non posso farlo!» dissi, prima di inghiottire il liquido d'un fiato.
Non feci caso alla faccia di Killian, ma ero sicuro di averlo fatto pentire di quella poca fiducia che mi aveva mostrato.
I colori presero il sopravvento; suoni, rumori. Voci che non riuscivo a riconoscere. Un affetto sincero e reale, per la donna accanto a me, mentre scrivevo tra quelle pagine bianche una storia mai raccontata. La stessa donna che piangeva tutte le sue lacrime, mentre il mio corpo di Killiuk lasciava il posto al Drasoul. Ester!
Era stata lei a decidere di non far parte delle mie memorie, di non far più parte della mia vita e io l'avevo capita.
Altre luci, altri suoni e poi il buio. Una notte fredda di luna piena. Era stato tutto organizzato. Un piano costruito ad arte per nascondere il peggiore dei segreti. Un incantesimo. Quella bambina dai riccioli scuri chiusa nel capanno degli attrezzi; la consapevolezza di aver trovato la mia metà, la realizzazione che fosse anche la metà del mio amico fraterno. La presa di coscienza di ciò che avevamo appena commesso. Un abominio che non sarei mai riuscito a perdonarmi.
Capivo bene cosa mi avesse portato a voler dimenticare tutto. Avrei fatto il bastardo. Avrei distrutto Clelia e avrei cercato di far soffrire più gente possibile, se fossi stato a conoscenza di quei segreti oscuri.
Ma, in quel momento, compresi che non avrei minacciato nessuno, ma non avrei mai potuto far finta di non sapere.
«Perché cazzo non glielo hai mai detto, bastardo?» gridai e lo spinsi con tutta la forza che avevo, dopo aver lasciato scivolare la boccetta dalle mie mani. Il vetro si frantumò sul pavimento, mentre il mio cuore lo fece nel petto. «Perché cazzo le hai tenuto nascosto due cose così importanti. Avrebbe potuto essere tutto diverso e lei non sarebbe stata costretta a soffrire.»
Per un attimo pensai di aver inghiottito del veleno, lo stesso che non riuscivo a smettere di sputare fuori.
«L'ho fatto per proteggerla, Mal!» Si giustificò, senza alcun senso.
«No, stronzo, tu lo hai fatto per proteggere te stesso.» Lo dissi mentre avanzavo con l'aria di minaccia e la voglia di sgretolarlo sotto le mie mani.
"Clelia è qui, vuole farci del male"
La voce di Aledis rimbombò nella testa e sembrò occupare tutta la stanza.
Io e Killian ci guardammo e capimmo che l'avevamo sentita entrambi. Non era un'illusione, lei era riuscita a entrare nella nostra mente, nello stesso momento.
"Alzate il culo, idioti. Sta per portare via le mie sorelle"
💥✨
Buona sera, Cicci. Si aprono le scommesse, CuzZ. Che cosa mai avrà voluto cancellare il nostro Malakay? Sono abbastanza sicura che si possa essere capito già da qualche tempo. Ho sparso qua e là un bel po' di indizi che potrebbero avervi messo la pulce nell'orecchio. Non so se Mal riuscirà a tenere a freno la lingua, ma io gli dò ragione: Aledis deve sapere!
(Magari dopo aver menato Clelia, però)
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