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36-𝓛'𝓪𝓷𝓲𝓶𝓪 (𝓹𝓻𝓲𝓶𝓪 𝓹𝓪𝓻𝓽𝓮)

Malakay

Feci la mia solita apparizione teatrale, arrivato nel palazzo di Killian. Mi piaceva darmi delle arie con tutto quel fumo nero, e ammattivo di gioia al pensiero di provocargli uno spasmo. Avrei preferito che soffocasse nella nube densa, ma quel Killuik della malora era abituato a cose ben peggiori.

Gioia? Era da così tanto che non provavo una sensazione piacevole.

Quel giorno mi era sembrato di aver sentito la sua aura nel salotto, ma trovai solo la governante a fissarmi, come fossi un mostro. Portò la mano al petto e mi guardò con gli occhi sgranati per lo spavento.

«Eppure, sono un così bel ragazzo!» la schernii, prima di osservarmi allo specchio.

«Non lo metto in dubbio, Signor Malakay, ma resta il fatto che non potete apparire così, alle spalle delle persone.» rispose stizzita, mentre agitava le mani in modo isterico.

La guardai, piegando la testa di lato. Era proprio una sguattera buffa.

«È stato divertente, lo ammetto, ma non era una serva che avrei voluto spaventare.» commentai infastidito, mentre portavo la mano alla testa per sistemarmi un ciuffo ribelle.

La donna si spazientì, anche se il motivo non lo compresi del tutto. Si avvicinò con aria di minaccia, puntandomi l'indice contro la faccia.

«Sentite, grandissimo pallone gonfiato...» Stava esagerando con i suoi toni irrispettosi, «la qui presente serva ha un nome.»

Le afferrai il dito, per poi piegarlo all'indietro, ma mi guardai bene dal farle male. Avrei potuto spezzare quel pezzo di carne e ossa, riservandole la meritata punizione, ma decisi che non ne valeva la pena.

Oppure...

Mi tolsi il pensiero dalla testa, insieme all'istinto di soffocare qualunque cosa mi spingesse ad essere clemente.

«Sei solo l'ultima nella scala di una società classista. Quell'ultimo piolo che porta nei sotterranei. Un punto del palazzo di cui non frega un cazzo a nessuno. Immagina quando mi possa importare del tuo nome.» commentai, guardandomi intorno.

Non volevo perdere tempo con un ratto qualunque. Avevo necessità di togliermi un piccolo dubbio e solo Killian avrebbe potuto darmi una risposta, ma non è ero del tutto sicuro. Guardai ovunque; nel salotto, sotto e sopra le scale, sul soffitto – anche se non c'entrava niente – il mio sguardo andò in direzione della cucina da dove proveniva un profumo niente male. Lo riconobbi e inghiottii un cumulo di saliva che si era formata mentre pregustavo il sapore di un arrosto succulento, magari accompagnato da patate con salvia e burro.

Ester: era così che si chiamava quella donna. Mi venne in mente, quando riportai lo sguardo sulla piccola figura e la scoprii a fissarmi con gli occhi di una bimba felice.

«Stavo preparando la cena.» disse con fare materno. «Vuole unirsi al Signor Killian?»

«Io? Unirmi al tavolo con Killian?  Mi stai davvero invitando a cena, senza neanche chiedere il permesso al tuo padrone?» Mi stava scombussolando il sistema nervoso.

Non sapevo se riderle in faccia per aver osato chiedermi di accomodarmi a cenare, come nulla fosse, con quel Killiuk o rimproverarla per essersi arrogata il diritto di decidere di avere un ospite a cena, in una casa che non era sua.

Iniziavo a non controllare le emozioni. Non le conoscevo più. Erano anni che non le provavo e non avevo idea di come gestirle di nuovo.

«Signor Malakay, a casa vostra avete le vostre regole, qui ne abbiamo altre. Apprezzo il mio padrone, come vi piace tanto chiamarlo, ma non è il tipo di riguardo al quale siete abituato. Se mi comportassi come una schiava senza lingua e senza libertà, mancherei di onorare i suoi desideri.» Spiegò con tono pagato, mentre mi faceva cenno di seguirla in cucina.

«Cioè, tu mi stai dicendo che lui non ti dà ordini?» Ero quasi disgustato dal comportamento di quel coso.

«Non proprio. La sorprenderà, ma non c'è bisogno di trattare male un collaboratore per far sì che ti ascolti.»

«Un collaboratore?» Ripetei quella parola così strana, per poi rendermi conto che quel quasi era andato a farsi fottere: ero completamente disgustato.

«Eh già.» La vidi sorridere, dal riflesso di una vetrata, prima di entrare in cucina. «Sa, signor Malakay, quando le cose si chiedono con gentilezza è più facile che qualcuno ti ascolti e le faccia senza sentirsi costretto, ma per il puro piacere di vedere l'altro felice.»

«E quindi?» Stava blaterando e non riuscivo a capire il senso di ciò che usciva dalla sua bocca.

«E quindi cosa?» rispose con un'altra domanda.

«Perchè dovrei preoccuparmi di non costringere una persona a obbedirmi?»

Si voltò verso di me, stava per aprire lo sportello metallico del forno, ma si fermò e mi osservò perplessa.

«Perchè, magari, provate dell'affetto sincero, per quella persona.» Scosse la testa, prima di aprire lo sportello da dove uscì una nube dall'odore intenso e scioglievole.

Ne respirai ogni attimo, rimanendo bene attento a non fare notare il mio entusiasmo. Sarebbe potuto risultare immotivato, inopportuno. Mi sentivo, come una bestia affamata di sogni e conoscenza.

Era come se avessi aspettato un tempo infinito, per poter sentire di nuovo quell'odore che mette appetito, dal sapore di buono.

Stavo assillando la sguattera di domande. Le sue risposte mi incuriosivano, mentre la bocca mi si riempiva di saliva.
Posò la teglia con l'arrosto sul ripiano. I succhi sul fondo ancora bollivano, ma decisi di infilarci comunque il dito dentro.

«Ahi!» Mi scottai.

Mi scottai...

Per tutti era normale sentire dolore, per me no. Potevo morire dilaniato dalle peggiori torture, ma essere un Drasoul mi aveva tolto tutto, ma anche il dolore era tornato, come le sensazioni che mi stavano affliggendo e rincuorando, allo stesso tempo. Era il battito del cuore quello che stavo ascoltando. Aveva ripreso a suonare, ormai da un po' e, mentre prima pareva una musica assordante, in quel momento, con quella piccola bruciatura sull'indice, iniziò a sembrarmi il più magnifico dei concerti. E sorrisi.

«Vi siete fatto molto male?» Ester si preoccupò per la mia salute
Era solo una piccola bruciatura, ma la donna ne fece un affare del regno.

Si avvicinò, prese la mia mano per controllarla e io rimasi impalato, cercando di capirmi. La lasciai soffiare sul rossore e, in maniera incontrollata, le posai la mano sulla testa.

«Sta' tranquilla, Ester. Sta già iniziando a guarire, vedi?»

I nostri tempi di ripresa erano più celeri, rispetto a un comune essere umano. La scottatura non ebbe neanche il tempo di far formare una bolla. Scossi la mano e di quel dolore non rimase più nulla.

La donna tirò un sospiro di sollievo, prima di voltarsi, aprire un cassetto e prendere un coltello e un forchettone per tagliare l'arrosto. Andò verso il ripiano e infilzò la forchetta nella carne succulenta. Rimasi incantato nell'osservare come le fettine che si staccavano a una a una, si ripiegavano, andando a finire nel loro stesso succo. Inghiottii altra saliva, quando, Ester me ne porse una fetta. Non avrei voluto afferrarla, ma sarebbe stato scortese rifiutare.

La presi, la misi in bocca e il suo sapore sembrò esplodermi dentro. La masticai lento, come se non esistesse niente di più buono al mondo, come se non volessi mai finirla per non rischiare di non provare più quella sensazione.

«Cosa ci fai qui?» La voce di Killian mi fece tirar via la bava. «Avevo sentito la tua presenza, ma credevo di essermi sbagliato. Di solito sei più rumoroso.» Strinse gli occhi in due fessure, quando mi vide inghiottire ciò che avevo masticato fino allo sfinimento. «Cosa diamine succede? Perché sei qui? E per quale motivo stai mangiando il mio arrosto?»

«Era invitante.» Mi limitai a rispondere.

Sgranò gli occhi e inalò così tanta aria da farmi pensare che il mio intento di farlo soffocare fosse andato a buon fine.

«Ripeto, Mal.» Si avvicinò di qualche passo, mentre mi puntava il dito contro. «Cosa. Diamine. Succede?» chiese, scandendo le parole.

«Non lo so. Sono venuto da te per chiedere spiegazioni» risposi, per poi afferrare un'altra fetta e leccarla, facendo sgocciolare la salsina sul pavimento bianco.

«Signor Killian, credo sia arrivato il momento di parlare.» Le parole di Ester suonarono come un avvertimento e non come un consiglio. «Intanto, finisco di preparare il purè. Potete andare a fare due chiacchiere.»

«Oh, il purè. Io adoro le patate.» dissi con fin troppa enfasi. «Ti dispiace metterci qualche foglia di salvia?»

Acconsentì con un cenno della testa e si diresse verso la dispensa delle spezie, per prende ciò che avevo chiesto.

«Che... che... che.» Per un attimo, Killian sembrò aver perso le parole. «Che significa? Mangeremo insieme?» Il suo senso di disgusto era palese e anche molto divertente.

«Non sei contento?» Lo canzonai, con finto entusiasmo. «Proprio come i bei vecchi tempi.» Gli misi una mano sulla spalla, passandola dietro il collo. «Ora, però, è tempo che tu mi dia delle spiegazioni sensate a quello che mi sta succedendo» continuai, cambiando la mia espressione gioviale in una di minaccia. «Dal consiglio della tua sguattera, pare proprio che tu abbia più risposte di quanto pensassi.»

Lasciai la presa e gli feci cenno di invito per andare avanti. Si incamminò verso il grande salone illuminato a giorno. Prese le scale e io lo seguii, passo dopo passo. I quadri, nel corridoio al piano di sopra, erano inquietanti. Sembrava seguissero ogni più piccolo movimento.

«Ancora con il vizio di non voler uccidere il tuo nemico?» chiesi, quando presi consapevolezza, mentre osservavo una tela con su un volto familiare.

«Lo sai, Malakay. Io non uccido di proposito.» rispose, continuando a camminare.

«Sei solo un sadico ipocrita.» controbattei.

«Come, scusa?» Si arrestò, per poi voltarsi con l'aria di sfida. «Io sarei un sadico ipocrita? Quello sadico che uccide la gente non sono io.»

«Io almeno lo ammetto e pongo fine alle loro sofferenze. Tu li imprigioni all'interno delle tue opere da quattro denari e li lasci marcire lì dentro, immobili, a osservare il tuo corridoio del cazzo per tutta la vita.» Ne presi uno, lo staccai dal chiodo e lo spezzai in due, tenendolo tra le mani, mentre con il ginocchio assestavo il colpo. «Invecchieranno comunque e moriranno soli, come sono sempre stati dentro una tela di merda, Killian. Chi è il più sadico tra noi due?» La mia domanda non ebbe risposta.

Si limitò a voltarmi le spalle e dire: «Lascialo lì, penserà qualcun altro a dargli una degna sepoltura, nel cassonetto dell' immondizia», per poi aprire la porta della biblioteca e farmi cenno di entrare prima di lui.

Lasciai il quadro sul pavimento, gli occhi raffigurati in quell'opera si spensero, come il respiro dell'anima intrappolata al suo interno.

Anche io avevo l'anima intrappolata da qualche parte, fino a qualche tempo fa. Avevo deciso di liberarmene, ma credevo fosse per sempre. Non ho idea dei motivi che mi hanno portato a non volerla, ma stavo bene senza. Cioè, stavo e basta e mi andava bene così.

Sembra che qualcuno volesse renderla libera, ma io no. Magari non sapevo di volerlo. Quello che so è che è stato fatto per me, senza che ne dessi il consenso.

Tutto è finito con lei... o forse è solo iniziato!

💥✨Buonpomeriggio, CuZz. Dopo più di un mese, rieccoci qui. Non vi farò più aspettare così tanto. Il continuo è quasi pronto e vi aspettano un bel po' di rivelazioni. Per ora, vi abbraccio. Ci vediamo domani, con molta probabilità ❤️

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