18-𝓘𝓭𝓮𝓮 𝓰𝓮𝓷𝓲𝓪𝓵𝓲...
«Dove diamine!?» sbraitai, chiusa nella stanza, dopo un tempo interminabile a cercare quel dannatissimo ciondolo di ossidiana, lasciatomi dall'uomo che più avevo amato nella mia vita: mio padre.
Avevo trasformato quella camera in un campo minato. Abiti, lustrini, pizzi e merletti erano stati catapultati in ogni angolo per svuotare anche la testa, come quei cassetti, e mettere ordine. Niente! La speranza era diventata vana, inutile.
Ero frustrata, disgustata e arrabbiata. Non solo per la pietra che non riuscivo a reperire - da qualche parte doveva pur essere -, ma Killian; lui mi aveva fatta uscire fuori di testa per davvero.
Come aveva osato quel maledettissimo stronzo a prendere il mio bacio, pretenderlo, accenderlo, lasciare che sentissi il calore delle sue labbra per poi... andare a letto con quella dea!?
Avevo appena risposto alla mia stessa domanda. Era una dea quella bionda tutta tette e sedere che, schioccando appena le dita, era riuscita a distoglierlo da ciò che stavamo facendo. Che scema!
Sì, mi ero illusa, per un solo attimo, che lui potesse provare anche una briciola di attrazione nei miei riguardi. Invece, a quanto pareva, avevo appena dato fuoco alle sue fantasie che ardevano per qualcun'altra.
Ero più pronta che mai per allontanarmi da quel palazzo. Volevo riaccendere le sensazioni piacevoli, anche se sbagliate, che provavo per Malakay. Mandare via quel senso di umiliazione che faceva male, assorbendo altro dolore.
Da qualche giorno era solo il ricordo di quelle emozioni che mi portava a pensarlo ancora. Non le sentivo più in realtà. La confusione aveva preso il sopravvento nella mia mente e nel mio cuore con lo stesso disordine che avevo combinato in quella stanza.
Il nervosismo accumulato non faceva altro che accrescere la mia voglia di essere lontana da Killian. Quell'uomo si trovava nella stanza degli arsenali a fare chissà che cosa con quella donna, utilizzando oggetti a me sconosciuti per provocarle piacere. Era questo ciò che immaginavo potessero servire quei cosi che non avrei potuto vedere né usare, soprattutto con lui. Almeno, così aveva detto.
Sola, con le mie adorate peonie a farmi compagnia e una miriade di stoffa accumulata su pavimento e suppellettili, progettavo ogni secondo che avrei passato lontana da quella casa in compagnia di Malakay.
Lasciai tutto com'era e mi sdraiai nel mio enorme letto a baldacchino con le lenzuola profumate di gelsomino, sperando che i miei sogni non mi tradissero.
I giorni trascorsero lenti, cercavo in ogni modo di evitare quella bestia e, no, non mi riferivo a Raith.
«La vuoi smettere di parlare di Killian e ti concentri su come riuscire a farti sentire da me?» sbraitò il mio amico dopo ore passate a parlare di ciò che aveva fatto il suo Signor deficiente. «Ho capito, sei arrabbiata e bla, bla, bla, ma ora devi pensare alle cose importanti.»
«Come, scusa, Raith!?» rimasi inebetita dalla sua affermazione, mentre tentavo di legare i capelli in una coda. «Ti sembra una cosa da niente che io sia stata mortificata, rifiutata e derisa davanti a quella ragazza?»
«Il problema è la biondina tutta curve o il fatto stesso che tu lo desiderassi e lui ti abbia rifiutata?» Mi derise consapevole della furia che avrebbe provocato. «Credo che più che essere stata ferita nell'orgoglio, tu sia rimasta profondamente delusa dal fatto che in quel letto non sia passata tu!»
Riuscì a farmi infervorare talmente tanto da sentire in me salire il calore del fuoco. Non so se Raith stesse giocando a farmi arrabbiare ancora di più o non si accorgeva di ciò che mi stava accadendo, ancora una volta.
«Oh mio Dio, Raith. Il mio corpo, prende di nuovo fuoco, fermalo!» gridai presa dal panico, mostrando le braccia fiammeggianti.
«Va bene, capretta. Non deve terrorizzarti» cercò di calmarmi, utilizzando un tono rassicurante. «Al, devi fare in modo che gli elementi diventino tuoi alleati, non tuoi nemici» continuò, «e puoi farlo solo se prendi consapevolezza dei sentimenti che provi, accettandoli e costringendoli a non esplodere.»
«Come posso fare?» chiesi, mentre fissavo la mia mano tremante, lasciare cadere in basso proiettili infuocati.
«Prova a fingere di avere una scatola al tuo interno, immaginala. La vedi?»
Chiusi gli occhi e la scolpii nella mia mente quella maledetta scatola. Era rossa, grande e... a forma di coniglio.
«Sì, ora la vedo, ed è decisamente strana...» dissi, inarcando un sopracciglio.
«Bene, ora materializza ciò che stai provando. Fai diventare l'emozioni qualcosa di tangibile.»
«Va bene se le faccio diventare dei fiori?» domandai ingenua.
«Va più che bene, l'importante è che entrino in quella scatola. Concentrati e infila lì dentro qualsiasi cosa tu veda.»
Nella mia testa le piante erano delle rose rosse e la scatola la feci diventare rettangolare, per comodità. Infilai i boccioli lì, dove mi aveva detto la bestia e, quando riaprii gli occhi, trovai il suo faccione sorridente soffiarmi sulle dita, come a spegnere una candela.
«Hai visto, capretta? Ha funzionato. Facile, facile, no?»
Nascose le sue enormi zampe dietro la schiena, quasi fosse orgoglioso del risultato che avevamo ottenuto e ne pretendesse i ringraziamenti, mentre continuava a fissarmi entusiasta.
«No, voi non siete normali!» pensai ad alta voce. «Tu e quell'altro avete problemi seri, ammettilo. Continuate a provocarmi per farmi fuori o per raggiungere qualche scopo in particolare, tipo...» schioccai le dita solo per scherzo, ma la fiammella si accese per davvero e nel momento stesso in cui decisi di spegnerla, quella lo fece. «Era per questo, Raith? Volevi farmi uscire fuori di testa per questo?»
Rimasi incantata dall'armonia che riuscii a creare, facendo ardere una danza di lingue di fuoco che accarezzavano la mia pelle, senza mai scottarmi. Le mani e le braccia vestite di rosso, bruciavano fiere, senza più alcuna paura, io non ne avevo. Non stavano regalando il loro calore per i miei sentimenti d'ira. No, non ero arrabbiata, ero estasiata. Io, solamente io, ero l'artefice di ciò che stava accadendo. C'ero riuscita e fremevo di provare a farlo con gli altri elementi.
L'energia, i fulmini, la paura... In quel momento non avevo timore di niente. Come avrei potuto fare per mettermi in una condizione tale da averne?
«Sei stata bravissima, capretta. Allora lo vedi che quando vuoi ci arrivi?» Mi prese in giro, posando una zampa sulla mia testa per scuoterne i capelli, come si fa quando i bambini fanno qualcosa di giusto. Quelle carezze che ti aspetti, senza alcuna pretesa e che riescono a farti gonfiare il petto di orgoglio. «Ora va a riposare, Aledis. Domani ci occuperemo del resto. Questa notte farà buio e il tuo sonno sarà più rigeneratore degli altri, ormai lo hai imparato.»
«Allora... Buonanotte, Raith.» Lo salutai con tenerezza.
«Buonanotte, capretta!» rispose gurdandomi allo stesso modo.
Uno sguardo fatto di attimi che non volevano finire, nell'immagine di noi che non riuscivamo a smettere di farlo o che, più semplicemente, non volevamo.
Questa notte farà buio!
E fu proprio per quella frase, in quel determinato momento, che mi venne in mente di fare la cosa più sbagliata del mondo. La stronzata del secolo...
«Vieni con me, ti prego!» La mia era una supplica vera e propria. Stavo pregando Lantus di non lasciarmi sola con la mia follia.
Ero riuscita a sgattaiolare via dalla mia stanza, senza farmi sentire da nessuno. Silenziosa, avevo raggiunto le stalle dove il lupo, stranamente, non era in uno stato d'incoscienza causato del sonno. Era vigile e attento, come una sentinella sul posto.
«Assolutamente no, uragano. È una stronzata, lo sai vero?»
«Andrò lo stesso, con o senza di te. Tu lo sai questo, invece?» risposi con toni minacciosi. Speravo di far leva sul suo istinto di protezione naturale, mentre continuavo a tenere le mani giunte a mo' di preghiera.
Le mie parole non corrispondevano ai fatti, per nulla.
«Non andrai, bugiarda! Hai troppa paura per affrontare la notte, il bosco e le creature che si nascondono al suo interno, tutto da sola.»
«È proprio questo che non hai ben capito. Io ho bisogno di avere paura, devo imparare a controllare l'energia» ribattei calcando il concetto. «Ora mi sento invincibile e poche cose potrebbero terrorizzarmi; una di queste è proprio quella foresta lì fuori, di notte.»
«Tu sei fuori di testa, te lo puoi scordare. È pieno di creature strane e sconosciute. Quel bosco è popolato da chissà cosa e tu vuoi andare incontro a morte certa?» domandò, senza aspettare una risposta. «No, no e no! Andrò a svegliare il signor Killian, così vediamo se metterai piede fuori quel dannato cancello!» ringhiò, ma non mi fece alcuna paura, neanche lui, neanche l'idea che Killian potesse farmi una ramanzina.
«Oh, va' pure! Chissà con quale donna dai facili costumi giace nel letto, questa notte!? Se vuoi scoprirlo e scatenare le sue ire per averlo disturbato, accomodati, questa è la strada» dissi, mentre mostravo il sentiero che portava all'entrata del palazzo.
Non lo smossi dalla sua idea malsana di andare a spifferare il mio intento di mettermi nei guai. Era ciò che sapevo fare meglio, d'altronde.
A falcate grandi e svelte si avviò per raggiungere le scalinate, mentre io, presa da un guizzo di stupido coraggio, colsi l'opportunità di scappare sotto lo sguardo attento del malefico Orio che non pareva affatto d'accordo con la mia scelta. Mi sembrò, perfino, di vedergli scuotere la testa in segno di disapprovazione, ma era un'allucinazione dovuta al buio, pensai. Era solo uno stupido cavallo e io... un'umana ancora più stupida.
Riuscii a raggiungere il cancello in un baleno, lo sganciai dalla chiusura e uscii in fretta, lasciandolo semi aperto. Non avevo tempo neanche di pensare. Mi inoltrai nell'oscurità di quella notte che non aspettava altro che un mio passo falso e cercai di scavare nella memoria per trovare la strada che portava a quel meraviglioso lago, per cercare di non perdermi, quantomeno.
Distratta dai miei pensieri, non mi accorsi dei rumori alle mie spalle. Erano ben distinti o almeno lo erano abbastanza. Scricchiolii di foglie sotto zoccoli galoppanti. All'inizio persi un battito, ma fu facile riconoscere da chi provenisse quello zampettare costante e ritmato. Orio mi aveva seguita, continuava a dissentire, lo vedevo, ma lo aveva fatto. Per non lasciarmi sola, per proteggermi... lui, a me!? Faceva ridere solo l'idea, ma lo avevo apprezzato, tantissimo. Più di quanto lo diedi a vedere.
Mi fermai e mi avvicinai a lui che, sotto la luce della luna, riuscivo a vedere solo in parte a causa del colore più scuro della notte stessa, ma i suoi occhioni discriminatori erano fermi, luminosi e giudicanti. Lo accarezzai e quella volta non si spostò come al solito.
«Grazie, Orio.» Mi sollevò la mano con il muso, come ad accettare le tacite scuse. «Posso?»
Era sellato e difficilmente mi avrebbe concesso di salire, ma lo fece, lasciandomi basita. Due spinte mi accompagnarono in direzione della staffa laterale. Salii, prima che potesse cambiare idea e lui iniziò a incamminarsi verso quella che pareva essere la direzione che avrei voluto prendere.
Non ci furono intoppi durante il tragitto, a parte i versi di alcuni animali che abitavano il bosco che, ogni tanto, mi facevano sobbalzare dallo spavento, ma durava un solo attimo.
Arrivammo presto alla laguna che appariva nei miei sogni da quando l'avevo vista la prima volta. Non immaginavo che, da quella sera, mi sarebbe entrata nel cuore per sempre, nel bene e nel male e nella maestosità di ciò che mi aspettava dietro quel cespuglio che mi separava da essa.
La magia di una notte qualunque può scatenare emozioni che non pensavi di provare. Riescono a toccare il cuore. Possono farlo con la delicatezza di una mano gentile o con la violenza di un assassino inconsapevole... Io non avevo avuto l'onore di deciderlo.
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Buonasera, giuoie.
Aledis, come vedete, è una testona di prima categoria. Sapeva che chiedere a Raith avrebbe significato sentirsi protetta. Lei ha bisogno dell'adrenalina per scatenare le emozioni e i suoi poteri, ha bisogno della paura vera. Verrà accontentata? Pare proprio di sì!
Non dimenticare di segnalare se avvistate errori o refusi, grazie!
Un bacione, cuZzoli ❤️
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