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16-𝓛𝓾𝓲 𝓬𝓱𝓲 𝓮'?

Prima di cena decisi di farmi una doccia veloce e cambiarmi. Dopo quella giornata stressante, Killian poteva andare a farsi benedire. Avrebbe assaporato, di lì a poco, il piacere dell'attesa.

Lo immaginavo battere le nocche sul tavolo, spazientito a causa del mio ritardo. La cena? Bah! Avevo lo stomaco chiuso. Mi stavo ponendo troppe domande a cui neanche lui avrebbe dato risposta, di sicuro. Non potevo arrancare ipotesi astratte per il gusto di uscire fuori di testa.

Salii le scale passando dalla porta della cucina che affacciava al giardino sul retro per evitare il salone centrale, dove sbirciando, vidi Killian discutere con la signora Ester. Era una discussione accesa, ma fatta di bisbigli. Non avevano intenzione di farsi ascoltare da orecchie indiscrete. Peccato. La rampa di scale parve interminabile, mentre mi sporgevo dal corrimano, rimanendo attenta a non farmi vedere. Inciampai su uno scalino proprio all'ultimo passo. Killian, dal basso, si girò di scatto e io mi lanciai nel corridoio in una scivolata.

Se il primo giorno avevo avuto la sensazione che i quadri appesi alle pareti mi stessero osservando, ora ne avevo la conferma.

Gli occhi inquietanti delle persone e degli animali raffigurati in quei dipinti, guardavano tutti nella mia direzione. Seduta sul pavimento fresco, abbracciai le gambe, leggermente intimorita, continuavo a fissare quegli occhi che mi ricambiavano.

Rumori di passi che salivano veloci mi liberarono da quella sorta di soggezione che stavo provando. Mi alzai non curandomi di non fare rumore. L'unica cosa che volevo era scappare via da quel corridoio e mettermi al riparo nella mia stanza.

Killian non doveva arrivare a pensare di essere spiato. Ok, lo stavo facendo, ma quei due stavano battibeccando, ne ero sicura e io dovevo conoscerne i motivi. Dovevano essere gravi se una domestica si permetteva di interagire in quel modo.

I passi si facevano sempre più sicuri e vicini e io, sempre più fulminea, riuscii a raggiungere la porta a me più vicina che, per mia sfortuna, era chiusa a chiave.

«Cosa diamine stai facendo qui?» tuonò Killian dietro le mie spalle, prima che potessi pensare a qualunque altra via d'uscita. «Ester non ti ha detto che ti stavo aspettando per cena?» chiese, fingendo di non conoscere la risposta.

Avevo ancora la mano su quel maledetto pomello serrato. Pensai che sarei diventata invisibile se non lo avessi lasciato per girarmi verso quell'uomo.

«Sì, me lo ha detto e, credo, tu ne sia già stato informato» risposi, prima di girarmi per guardarlo in faccia. «Ma, ti ricordo, che non sono la tua schiavetta e, dopo la giornata sfiancante di oggi, avrei bisogno di una di quelle docce rigeneranti per poter riprendere a respirare. Sono sfinita.»

«Se fossi la mia schiavetta non ti avrei invitata a cena, non credi, cappuccetto?» domandò pomposo, mentre sembrava avvicinarsi a me, un passo alla volta.

I suoi atteggiamenti e i toni mutarono di punto in bianco.

Mi bloccò con le spalle alla porta, portando le mani ai lati della mia testa, appena prima degli stipiti. Sì avvicinò lentamente al mio viso e io... lo persi di nuovo quel battito. Lo smarrii, come mai prima di quel momento. I respiri affannati di Killian, mentre mi osservava in silenzio donandomi un sorriso malizioso, portarono i miei a fermarsi.

Da fuori non lo davo a vedere, ma dentro ero un tremito che non riuscivo a controllare. Se avessi dato fiato alla bocca, se solo avessi osato respirare, sarei scoppiata.

Quello che stavo provando in quel preciso istante, non avrebbe avuto bisogno di essere visto, si sarebbe sentito, lo avrebbero ascoltato tutti in quel palazzo. Nessuno escluso.

Sì avvicinò ancora di più, fino a raggiungere il mio orecchio. L'alito che lo sfiorò, mi fece venire i brividi su tutto il corpo.

«Ascoltami bene, cappuccetto...» sussurrò sensuale. «Non devi mai e ripeto, mai farti venire in mente di aprire questa porta. Intesi?» ringhiò solo l'ultima parola.

Quel tono calmo ma, allo stesso tempo, perentorio, mi fece sussultare. Un milione di falene mi mossero lo stomaco, lasciandomi in balia di sentimenti contrastanti.

«Cosa nascondi dietro questa porta, Killian?» domandai, tentando di mantenere un tono neutrale.

«Un arsenale di oggetti che non avrai mai l'onore di provare, cappuccetto» rispose, ma non capii a cosa si riferisse. «Almeno... non con me, signorina.» Era stato abbastanza chiaro, come al solito...

Stronzo!

Mi abbassai, passando sotto il suo braccio, per evitare che continuasse a guardarmi con quel fuoco che, spento dalle parole, riusciva a bruciarmi come brace rovente, senza mai incendiarmi del tutto.

Mi allontanai in fretta e, raggiunta la mia stanza, mi voltai un'ultima volta verso quell'essere che, senza alcuna vergogna, continuava a fissarmi e sorridere, come fossi il suo giocattolo preferito. Rimasi incantata per qualche secondo. Gliel'avrei fatta pagare in un secondo momento, forse.

«Hai pochi minuti, ti aspetto sotto!» ordinò senza battere ciglio, volatilizzandosi prima che potessi ribattere.

Cosa avrei dovuto fargli pagare? Lui non mi voleva e non mi avrebbe mai voluta, non lo avrei mai potuto costringere.

Presi un grosso respiro prima di entrare nella mia camera e, aperta la porta, rimasi di pietra.

Incantata per la bellezza che si affacciava in tutta la stanza, non riuscivo a chiudere la bocca e a mantenere un certo decoro.

Quasi squittii quando mi resi conto di cosa intendesse Raith quando mi disse che, le mie amate peonie, avrebbero potuto concedermi il permesso di poter adornare la mia stanza.

Centinaia di quei fiori, di ogni colore possibile, erano posizionati nei numerosi vasi messi a disposizione da Ester, ma mai sfruttati. Erano un incanto e parevano reali, ma non potevano esserlo. Le toccavo, però. Ogni stelo, ogni morbido petalo pareva carezza tra le mie mani e quiete nel mio petto. Riuscivano a donarmi quell'effetto calmante che tanto agognavo in quel periodo. Prendevo il controllo di tutti i miei sentimenti, riuscivo a respirare di nuovo. Mi contenevo grazie a quei magnifici fiori e alla loro sola vista, mi sedavo.

Avrei goduto di quello spettacolo non appena rientrata in camera. Quello che mi aspettava sarebbe stato un pezzo di piombo nel mio stomaco e loro il mio digestivo.

Armata di coraggio e vestita con uno di quegli abiti strani che aderivano perfettamente al corpo, raggiunsi Killian nel grande salone.

La tavola, imbandita di ogni leccornia, pareva aspettare solo me... E anche lui, seduto. Sì, vero, mi stava aspettando per cenare insieme, ma quello che vidi nei suoi occhi, per un solo istante, era puro desiderio. Mi stavo solo illudendo, forse.

Mi accomodai sulle sedie in legno pregiato, rivestite da una stoffa azzurra, bombata sulla seduta, senza distogliere lo sguardo dalle le meravigliose pietanze che avevo davanti. Alla vista di tutto quel ben di Dio, la mia fame era tornata e si faceva sentire anche più del solito. Lo stomaco brontolò prima che io agguantassi un grosso pezzo di arrosto con l'intenzione di divorarlo. Killian lo sentì quel rumore, lo sentirono anche dalla cucina, a essere onesti. Sorrise, lo vidi quando lo fece, ma non mi degnò neanche di uno sguardo.

Dannate fossette!

Sorrise ancora una volta, prima di tornare serio.

«Hai perso più tempo del previsto. Avresti potuto indossare almeno le scarpe, signorina.»

Non avrei mai messo quelle trappole mortali con quegli spilli di almeno cinque pollici attaccati alla parte di dietro della suola.

«Amo girare scalza in casa. Non mi è concesso, sua maestà?» Lo sfidai con il mio tono beffardo e saccente.

Chinò la testa e prese un respiro, mi osservò scuotendo il capo, come ad avere davanti una completa idiota.

«Puoi fare quello che vuoi, Aledis. Casa mia è casa tua.» Avanzò con il busto verso il tavolo, mostrando ciò che aveva intorno.

«Non è vero!» ribattei adirata «Poco fa mi hai vietato di entrare nella stanza degli arsenali.»

«Certo, sei solo una ragazzina, potrebbe sconvolgerti quella roba» ribattè sempre più sicuro di sé.

Mi alzai dal posto, all'altro capo del tavolo, per raggiungerlo e sedermi accanto a lui.

«Sono oggetti che usi con quella bionda?» domandai curiosa, senza rendermene conto.

Avrei dovuto imparare a tenere a freno la lingua. Mia madre me lo diceva sempre. Ma io niente, non ce la facevo, cazzo. Partivo, come un battello a vapore alimentato dal carbone. Quel pezzo rovente mi andava a finire, ogni santissima volta, sulla lingua impedendomi di tenerla a bada.

«Di chi parli?»

Sapeva benissimo di chi stavo parlando, ma non lo dava a vedere.

«Di quella che hai fatto scappare dal tuo letto, poco fa» dissi con un ghigno malizioso e irritato allo stesso tempo. «La bionda dalle gambe chilometriche» specificai ancora.

«Mh... non mi viene in mente nessuna donna con queste caratteristiche fisiche» ironizzò portando due dita sul mento, in una finzione di concentrazione.

«Piantala, Killian!» Mi alzai, abbastanza furiosa. Non riuscii a controllare quell'istinto che mi stava tormentando da dentro

Io rifiutavo con tutte le mie forze di volere quell'uomo ma, in sua presenza, non riuscivo a non pensare ad altro.

Malakay diventava solo un'ombra per poi tornare prepotente ogni qualvolta restavo in solitudine.

«Ma cosa sei, gelosa?» domandò con aria di disgusto. «È un sentimento inutile questo, soprattutto nel tuo caso» sottolineò.

«L'ho capito, sai?» Mi indurii, fissandolo negli occhi, seria. «Tu non mi vorrai mai, ma neanche io ti voglio. Io voglio e vorrò solo e sempre una persona soltanto» ammisi senza remore.

«Chi, cappuccetto?»

Per un momento, uno solo che parve infinito, mi sembrò di vedere il suo cuore sgretolarsi, frantumarsi, ridursi in mille pezzettini di vetro e sabbia.

«Malakay...»

Chiuse gli occhi e in un sospiro sembrò nascondere rabbia e rancore.

«Non sai di cosa stai parlando», affermò quasi dispiaciuto per me. «Quell'uomo è il male, non prova sentimenti. Si nutre Di loro e basta.»

Le luci del salone parvero tremare insieme al nostro tangibile nervosismo. Più lui mi respingeva, più il mio cuore si chiudeva, più combattevo per non odiarlo.

«Perchè, tu cosa sei?» domandai, certa della risposta.

«Io? Io non sono niente, piccola stolta. Io sono solo colui con cui dovrai convivere per meno di un anno, ora.»

«E no, voi mi avete ceduta, vorrei ricordarvi, vostra Onniscienza» dissi di rimando alla sua bugia.

«Io non ti ho ceduta, Aledis. Tu dovrai tornare qui. Farai solo una piccola vacanza.»

«Ma tu hai detto...»

«Ma io ho detto cosa, cappuccetto? Io posso dire tante di quelle cose che possono essere più o meno reali, dipende dal mio umore nell'istante in cui accadono e, quando ti ho detto in quel modo, ero decisamente incazzato con te»

Mi stupii di quelle parole che non mi sarei mai aspettata o almeno, non in quel momento.

«Allora non è vero che non ci tieni a me, tu ti stai affezionando, invece.»

«Non sei mica un cane, Aledis!» disse battendosi la mano sulla fronte. «Mi devi ascoltare, però, cagnolino. Malakay non è una persona sulla quale fare affidamento, soprattutto quando si parla di sentimenti. Ti spezzerà il cuore, lo ridurrà in cenere» Ci tenne a specificare.

«Oh, Killian, il mio cuore è già in frantumi e non ho idea di come ci sia finito. Lui potrebbe solo ricostruirlo. Pezzo per pezzo» Lo fissai intensamente per fargli capire a cosa mi stessi riferendo, ma lui distolse lo sguardo, come sempre.

«Io non sono il cattivo della storia, volevo solo spaventarti quel giorno. È vero, non desidero approfittare di te, ma il fatto che non voglia non significa che non abbia sentimenti. Io lo so fare, io so amare, credo. Malakay, non potrebbe mai riuscirci» cercò di trovare un modo per disilludermi. «Lui è un Drasoul, sai cosa sono?»

«Non proprio, so che sono pericolosi, ma...»

Tremai al pensiero di conoscere veramente il volto della persona che desideravo e con cui avrei passato del tempo, da sola.

«Malakay è un essere che, prima di diventare ciò che è oggi, era esattamente come me.» Come lui? «Al contrario di me ha deciso deliberatamente di perdere la sua anima e non provare più alcun sentimento.»

«Come ci è riuscito?» Il cuore martellava nel petto in un vortice di terrore.

«Quando quelli come noi si nutrono per la prima volta di un'anima, mutano. Diventano dei Drasoul; crudeli, vuoti, spenti di ogni briciola di emozione e nessuno è mai tornato da questa condizione» spiegò. «Non so cosa ti porti a desiderarlo, ma sta' lontana da lui, ti prego, Aledis. Non farlo avvicinare.»

«Non so se ci riuscirò!»

«Raith ti sta allenando proprio perche tu possa andare incontro a quel giorno senza preoccuparti più del dovuto.»

«Cosa potrebbe succedermi?»

La risposta era tanto semplice quanto scontata, ma avevo bisogno di sentirla.

«Potresti perdere te stessa!»




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