3 - Do you want a man?
Al secondo sorso di birra, preso direttamente dalla bottiglia di vetro ghiacciata, strinsi gli occhi, storcendo le labbra. Stavo provando a divertirmi con tutti gli altri, seduti sui divani ai lati della pista da ballo, già avanti di molto nell'essere ubriachi, ma mi risultava molto difficile capire come potessero svuotarsi in bocca una bottiglia dopo l'altra.
Riaprii lo sguardo su quella fra le mie dita, scorgendo - sotto le mie unghie laccate di nero - un'etichetta che recava il nome del pub e un messaggio diretto all'artigianalità innovativa della nuova birra del Green Mountain. Con tutte le luci, convulse e veloci nell'intero spazio del posto, feci fatica a distinguere le lettere sull'etichetta cartonata e ruvida sotto i polpastrelli.
Una goccia di condensa scorse lungo il mio pollice. Più concentrata, scorsi l'immagine verdastra della regina del Regno Unito, Elisabetta II, stampata sull'etichetta. Ritratta sorridente e con in mano una birra e, sul capo, la tipica tiara, pareva apprezzare quella scelta di marketing figlia dell'ennesimo cliché.
Passai la lingua lungo tutti i denti, cercando di pulirli dall'amarognolo della bevanda che avevo buttato giù per la gola, e la mia attenzione fu attirata da Josh, impegnato in una danza agitata sulla pista da ballo. Era schifosamente ubriaco e aveva, tra le dita, una delle sigarette che Carl era solito arrotolare e chiudere con la lingua in modo veloce e clandestino. Era erba.
La camicia chiara di Josh era aperta per almeno i primi cinque bottoni, lasciando all'aria il petto, poco villoso e pronunciato, per quanto si allenava negli ultimi tempi. Mi ritrovai a guardarlo senza nemmeno averne avuto intenzione. Le luci viola e blu erano quelle che gli stavano meglio attorno. La ragazza con cui stava ballando la conoscevo, ero quasi sicura frequentasse qualche corso con me.
Sorrisi a Josh, sollevando involontariamente un angolo della bocca, e feci roteare la birra nella bottiglia, tenuta sospesa dalle mie dita insicure. Il mio amico, come se l'avesse percepito, mi guardò, trovandomi già ad osservarlo.
"Tutto okay?" gli mimai, gettando un occhio alla sigaretta fra le sue dita, e ritornando subito a sostenere i suoi occhi. Erano semichiusi, rilassati sulle iridi caramellate, e fissi su di me. La musica, adesso più da pub e nottate da ballo ormonale, era cambiata; sul palco c'era un nostro compagno di università, Lukas, impegnato in una delle sue serate da dj. Immaginai fosse stato lui a procurare il tavolo a Carl, data la loro amicizia di lunga data.
Josh inclinò di lato la testa, come a voler sottolineare l'assurdità della mia domanda, e si ficcò lo spinello fra le labbra. In pochi passi, fu lontano dalla ragazza e diretto verso di me. Sospirai, agitata. A stento riuscivo a controllarlo quand'era sobrio, non sarei stata altrettanto gentile ora, così consumato com'era.
"Vieni a ballare con me" urlò, quando mi fu abbastanza vicino. Lo spinello si illuminò alla sua estremità, segno che ne stesse aspirando il fumo.
"Sei fuori di testa" risposi, sbuffando una risata. vagando con lo sguardo, per non tenerlo troppo su di lui, scorsi Ty Anderson, poco lontano da noi e intento a parlottare - con il suo solito fare svogliato - con alcuni ragazzi. Sotto il suo braccio, una ragazza mora e molto impegnata a masticare con enfasi un chewing-gum.
Pensai subito ad Alison, anche lei gettata sulla pista da ballo e presa dalla musica, con le braccia sospese in aria, sul suo capo, e abbandonata in un continuo dondolarsi su se stessa. Mi chiesi se avesse bevuto troppo, poi mi ricordai che non mi pagavano per essere la sua baby-sitter.
"Andiamo, Sam, solo una canzone" insistette Josh, sporgendosi verso di me. La sua collana, la targhetta militare del fratello, luccicò sotto e contro il suo mento sporgente. Lo guardai dal basso.
"Non so ballare" gli dissi, poi rivolsi uno sguardo alle sue spalle, nel punto della pista da ballo in cui era fino a pochi secondi prima, "E c'è qualcuno che ti aspetta". Indicai la ragazza con la birra, ancora piena, ferma a braccia conserte e con lo sguardo fiammeggiante diretto verso di noi.
Josh gettò di poco la testa all'indietro, scocciato, " Cosa vuoi che me ne importi?".
"Josh, sei ubriaco" lo rimproverai, spostandomi a disagio sul divanetto. Mi accorsi che Darla ci osservava da lontano, interessata e preoccupata, con in mano la sua birra. Accanto a lei Carl e Frankie.
"E questo quanto cambia le cose, Sam?" mi accusò, improvvisamente più cupo e aggressivo, facendomi un cenno impaziente con il mento.
"Hai ragione, potrà non cambiare nulla" dissi, alzandomi prontamente dal divanetto, così da fronteggiarlo. Anche lui si sollevò dalla precedente posizione, di poco ribassata per sporgersi su di me. Prese un respiro a metà, vedendomi così vicina a lui, e sentii la puzza del suo alito: birra, fumo di diversi tipi.
Mi trattenni dallo storcere il naso. La birra ticchettò contro le pareti di vetro della bottiglia, contro il mio palmo destro.
"Ma rimane il fatto che sei ubriaco e che quella ragazza sta urlando il tuo nome" continuai, facendo un cenno alla pista da ballo, con sguardo fermo e irremovibile contro il suo.
Le sue narici si allargarono, per un respiro nervoso e un'espirazione secca dalle labbra lucide e arrossate, e i suoi occhi percorsero freneticamente il mio viso.
"Mi fai solo male" disse solo, vagando con gli occhi contro il pavimento per qualche breve secondo, prima di levarmeli del tutto da dosso e allontanarsi da me, repentino, come se volesse scongiurare il pericolo della nostra vicinanza.
Feci per dire il suo nome, mentre si allontanava - furioso - verso la ragazza di prima, ma mi ricredetti in pochi attimi. Quella storia della cotta che aveva nei miei confronti era la causa di tutti i litigi che avevamo avuto negli ultimi due anni, perché ritornava a galla con prepotenza e frustrazione cieca ogni qual volta beveva, e Josh beveva molto.
Sospirai brevemente, con poca forza e il petto già chiuso dal nervosismo, e mi allontanai dal divanetto da cui mi ero alzata, raggiungendo quello opposto e girandoci attorno. Appoggiai il sedere al bordo dello schienale, ora rivolta direttamente alla pista da ballo, e contrassi la mascella. Non sarei dovuta andare.
Senza nemmeno pensarci, mi portai di nuovo la birra alla bocca, prendendone un lungo, disgustoso sorso. Il vestito sottile, attaccato alle mie cosce, si spostò di poco verso l'alto, quando mi sistemai meglio contro il divanetto, e io mi sforzai di non storcere troppo il viso in reazione alla bevanda amara che mi scendeva dalla lingua alla gola.
A pochi passi da me, Alison ballava con disinteresse per qualsiasi cosa non fosse se stessa, forse senza nemmeno accorgersi del ragazzo che le teneva i fianchi, in una danza più lenta rispetto al ritmo della musica. I capelli rossi e lunghi svolazzavano in giro, ribelli; i tacchi vertiginosi non le permettevano di muoversi in modo più sciolto di quello che si era imposta.
Per caso, ci incontrammo con gli sguardi. Lei sorrise d'istinto, salutandomi con il braccio; io mi grattai la tempia sinistra, a disagio. Sarebbe stata una fortuna se almeno uno di noi fosse stato sobrio, a fine serata; io avrei con molto piacere svuotato la mia birra nel lavandino dei bagni.
La mia amica agitò ancora il braccio nudo e chiaro, invitandomi a raggiungerla e intralciando l'attenzione - per il suo corpo - del suo partner di ballo, un bel ragazzo dalla pelle abbronzata che le ballava contro il sedere. Sollevai un palmo, scuotendolo, e sperai bastasse a declinare l'invito; non potei controllare il mio sorriso stranito. Bere altra birra mi sembrava, improvvisamente, più entusiasmante.
"Samantha!" urlò qualcuno al mio orecchio, facendomi voltare; un pizzico di stizza mi fece tremare il labbro per l'intrusione vocale, la birra rimase a mezz'aria.
Frankie, con ormai il cardigan stropicciato, macchiato da qualcosa di cui non volli indagare o immaginare l'origine, mi stava affianco con un sorriso stralunato sulla bocca. I capelli chiari, quell'innocente biondo sporco che utilizzavo come indicatore della sua postazione e della sua presenza in aula, quando sceglievo la seduta, erano smossi, insolenti.
"Hey!" riuscii a dirgli in risposta, impegnata com'ero ad osservarlo. Qualcuno aveva colpa per quella sbronza colossale e, con pochissima probabilità, cercata dallo stesso Frankie.
Lui mi sorrise, gentile, sistemandosi gli occhiali su per il naso piccolo e aggraziato. Notai un anello nero che gli fasciava l'anulare sinistro, mentre lo fece. Frankie era per me un conoscente, fratello di Carl e più grande di tutti noi di un anno, ma mi piaceva la sua compagnia.
Era brillante e gentile e completamente diverso da Carl: avrei descritto il mio amico come sfacciato e strafottente, più marcato nei lineamenti e nel parlare, oltre al colore delle sue iridi, chiare e addirittura quasi nebulose; quelle di Frankie, di contro, erano di un chiarissimo marrone e completavano alla perfezione il suo viso da eterno - ma adesso dannato - bambino. Sulle sue labbra carnose si poggiava sempre un sorriso cordiale.
"Come sta andando il corso di approfondimento di letteratura contemporanea?" mi chiese, forse ricordandosi che mi ero lamentata di come il professor Weasley, burbero e geniale personaggio della UCL, aveva recensito ironicamente un mio compito. Mi aveva definito la Virginia Woolf del capitalismo e della generazione vacante per alcune considerazioni fatte in recensione di Piccole donne, di Louisa May Alcott, e sull'importante ruolo dato alla lotta per la parità e la libertà sociale, tenuta in piedi dalle donne del romanzo.
"Il professor Weasley ha smesso di scrivere i suoi soliti commenti sarcastici sotto i miei saggi" risposi, sollevando un sopracciglio, "Strano ma vero".
"Quell'uomo è di una genialità fastidiosa" commentò lui, vagando con lo sguardo in giro, troppo euforico perché riuscissi a dare il giusto peso alle sue parole. Frankie non aveva di quei problemi, Frankie era Frankie: era eccellente in qualsiasi materia e di sicuro non aveva mai dovuto preoccuparsi di conflitti con quel tipo di autorità.
Appena focalizzai bene quella parola nella mente, i miei occhi corsero oltre la spalla sinistra di Frankie, al bancone, poi al suo sgabello. Lo vidi bere con avidità controllata della birra, ora seduto con il fianco appoggiato al bancone e l'atteggiamento disinteressato.
Il suo sguardo fu quasi come chiamato al mio e, prima di poterlo sfiorare di nuovo, lo distolsi.
"Devo prestarti i miei appunti" disse subito dopo, parlando molto velocemente, e corrucciai la fronte. Il mio cuore rimbalzò per qualche secondo nel mio petto, facendomi deglutire, e una vampata di calore mi arrossì la pelle, costringendomi a prendere un respiro.
Styles aveva adesso il pollice impiantato contro il labbro inferiore, gli occhi su di me, ma continuai a ignorare quella sua presenza. Cercai davvero di calmare il mio corpo dall'accendersi sotto i suoi occhi e avevo la vaga impressione che lui lo sapesse; scorreva col dito contro le labbra perché, magari, aveva capito quanto quel suo esistere e insistere potesse far aggravare il mio respiro affannato.
"Sei gentile come sempre, Frankie" parlai, deglutendo subito dopo una tensione che mi irrigidiva il collo e le braccia, e inclinai la testa per rilassare i muscoli delle spalle. Avevo l'impressione che in quel locale si fosse creato un buco nero apposta per me, piazzato precisamente dove Styles si trovava, e l'attrazione che mi risucchiava da sotto la pelle in quella direzione era provocatoria.
Frankie annuì, ma mi sembrò fin troppo su di giri per poterlo ignorare. Con un sorriso largo, notai quanto avesse aperto lo sguardo sul mio viso e anche che le sue pupille erano dilatate. Feci per appoggiargli la mano alla spalla, per stringergliela e cercare di attirare la sua sobria attenzione.
"Questo vestito ti sta molto bene stasera, Sam" buttò fuori all'improvviso, di getto, facendomi fermare dal toccarlo, e morsi qualsiasi parola gentile nella mia bocca. Sollevò le sopracciglia per accentuare il suo già espresso gradimento, e mi mossi a disagio, chiedendomi se quel continuo ritrovarmi in situazioni del genere fosse una punizione cosmica. Lui pensò a continuare quella conversazione per entrambi.
Guardò la birra nella mia mano, infatti; i suoi occhi si illuminarono, dietro le lenti da vista dalla montatura scura. Fui grata che fosse così impacciato da apparirmi quasi tenero, perché avevo l'impressione che, se non l'avessi conosciuto, l'avrei già liquidato con poca gentilezza.
"Hai quella birra da tantissimo" osservò, scattando in posizione eretta, alto, su di me, "Vado subito a prenderti qualche altra cosa da bere".
"No, Frankie" cercai di interromperlo, sorridendogli anche un po', "Sto bene così, davvero".
Il ragazzo processò lentamente le mie parole, aggrappandosi con le dita al divano a cui ero appoggiata anch'io, e lo notai, guardando di sottecchi i suoi movimenti. Gli appoggiai, finalmente, il palmo sul braccio. Lui parve rilassarsi.
"Perché non ti siedi un po'? Io ti raggiungo a momenti" gli dissi, tenendo la voce alta per riuscire a cavalcare bene il volume della musica. Gli indicai i divani alle nostre spalle con lo sguardo, che lui seguì con il suo, e mi parve prendere davvero in considerazione la mia proposta. Il giorno dopo sarebbe stato così male, più o meno come me ogni qual volta bevevo una irrisoria quantità di alcool.
Riuscii a convincerlo, ad ogni modo. Mormorò un "Buona idea", forse almeno in parte consapevole della precarietà di ragionevolezza che si portava dietro strascicando, e si congedò in maniera frettolosa, energica. Mi sorpassò con un palmo attaccato al retro del collo, quasi stiracchiante, e immaginai avesse molto bisogno di sedersi e calmare i sensi impazziti. Aveva sicuramente bevuto e sperai per lui si fosse limitato a quello.
Non appena fu fuori dal mio campo visivo, riportai la bottiglia fredda alle labbra con un sospiro di sollievo. Mi domandai nuovamente quale potesse essere la mia colpa o perché mi ritrovassi sempre in posti come quelli e ad avere a che fare con allucinati, spesse volte vomitanti.
Attaccai la bocca alla bottiglia, sfregandocela contro, indecisa, come se stessi soppesando se intossicarmi ancora o perdermi in quella crescente sensazione di disinteresse che acquisivo ad ogni sorso. Ne presi uno piccolo, rilassando le spalle, e sperai fosse d'aiuto.
Mi leccai la pelle del centro della bocca subito dopo, inspirando con urgenza e, quasi come se fossi stata fatta per quello, piantai lo sguardo poco più a sinistra rispetto a dove l'avevo tenuto fisso, un po' offuscato, mentre avevo gettato giù quell'ultimo sorso di birra.
Lontano da me abbastanza da parermi irraggiungibile e vicino abbastanza da riuscire a studiare tutti i miei movimenti, Styles se ne stava appoggiando ad un pilastro, con ancora il giaccone sulle spalle. I sui occhi erano su di me, chissà da quanto.
Non capii perché mi sentissi così a disagio, sotto la sua attenzione minuziosa, perché ero ben oltre l'età legale per bere. Nonostante ciò, mi sentivo come se stesse giudicando il mio comportamento, come se stesse rimproverando proprio me, in tutto il locale, con quegli occhi indefinibili. Cercavo disperatamente di calmare il mio corpo dall'accendersi per quello sguardo e avevo la vaga impressione che lui lo sapesse, che stesse scorrendosi col dito le labbra perché sapeva quanto quello aggravasse il mio respiro affannato.
Lo sapeva e gli piaceva. Lo sapevo e mi piaceva.
Tenni lo sguardo contro il suo, riappoggiando il palmo destro - le cui stesse dita stavano ancora stringendo la birra - alla spalliera del divanetto. Mi rileccai le labbra, in un attento disperato di liberarmi della puzza della bevanda, e il labbro superiore mi pizzicò. Lo sentivo più gonfio, forse per come avevo succhiato la birra fuori dalla bottiglia per i miei ultimi sorsi.
L'agente, rigido nell'occhiata che mi gettò lungo tutto il corpo, si portò alla bocca la stessa bottiglia di birra del Green Mountain. Ne tirò fuori dei sorsi con fare aggressivo, risucchiando le guance e increspando le sopracciglia, arrivato con gli occhi all'altezza dei miei fianchi.
Appoggiato con le spalle al pilastro possente, la mano sinistra nella tasca dei jeans neri e le gambe lunghe dritte in una postura consapevole, mi fece attorcigliare le budella. Mi sentii addirittura accaldata, eccitata, a possedere tutta la sua attenzione.
Quando ricercò i miei occhi, che erano rimasti a studiare ogni spasmo e movimento del suo viso spigoloso, fu come se mi avesse colpito dritto nello stomaco. Sussultai in silenzio, con la musica a coprirmi, ma nient'altro a velarmi al suo sguardo.
L'agente Styles non smise di tracciarmi con numerose e bisognose occhiate e io non desiderai, nemmeno per un secondo, che lui mi mettesse da parte. Succhiò ancora dalla bottiglia, i suoi occhi fissi su di me, e respirai a fondo, gonfiando il petto.
"Qualche problema?" gli mimai, scandendo bene le parole con le labbra, e lui le catturò subito con lo sguardo. La sua bocca, ravvivata dall'essere stata rabbiosamente attaccata alla bottiglia nella sua mano destra, restò schiusa, più lucida.
Ci lessi sopra l'accenno di un sorriso, ben trattenuto dal suo carattere rigoroso, e lo vidi farmi spallucce, poi scuotere la testa. Io non fui abbastanza forte dal trattenere un'espressione divertita. Gli piacque, leggermela addosso.
"Impertinente" mimò lui, in risposta, prendendo subito un altro sorso. Per la prima volta, gettò lontano lo sguardo, sulla folla di persone sulla pista da ballo. Puntellai il canino con la lingua, continuando a guardarlo, e presi un altro respiro profondo. Attaccai meglio le dita attorno alla bottiglia di birra, che avevo quasi dimenticato, e smisi anch'io di guardare lui.
Cercai di seguire la direzione del suo sbirciare fra la folla, riportando la birra alla bocca. I miei occhi si attaccarono ben presto alla figura familiare di Josh, ancora sulla pista, e lo vidi aspirare ancora da quel maledetto spinello, con gli occhi chiusi e la testa dondolante. Subito pensai al fatto che ci fosse l'agente, a pochi metri da lui, con il suo sguardo d'aquila a setacciare l'area. Scattai in piedi.
Josh, con il suo ondeggiare sulla pista - ora da solo, riaccese l'estremità della cicca cartacea per altre due volte, prima di stringerci attorno le dita e guardarmi fugacemente. Alle sue spalle, riuscii a scorgere Ty Anderson che si avvicinava a lui, completamente all'oscuro di quel suo serpeggiare.
Presi qualche passo nella sua direzione, fino a che potei, e vidi Ty tirargli la spalla all'indietro, strattonandolo. Josh, con fare confuso, si voltò a fronteggiare l'intruso, che teneva - adesso - l'angolo sinistro della sua camicia bianca stretto in un pugno. Josh allargò le braccia, probabilmente chiedendo il perché di quella invadenza, e Ty lo spinse con rabbia, urlandogli contro qualcosa di indecifrabile.
Successe tutto in frazioni di secondi: Ty lo colpì al volto, assestandogli un brutto pugno sullo zigomo sinistro, e riuscii solo a vedere Josh perdere equilibrio sul fianco destro, prima che Carl urlasse qualcosa alle mie spalle e si fiondasse sulla scena.
In poco tempo, nulla mi fu più visibile, perché tutti gli occupanti della pista si fermarono nei propri passi, voltandosi ad osservare la rissa, formarono una spessa e esclusiva parete di corpi attorno al mio amico e Ty Anderson. Josh era già stato coinvolto in risse prima di quel momento e i lividi sul suo viso avevano avuto bisogno di settimane e settimane di guarigione solo mesi prima, quindi sapevo quanto potesse essere facilmente irritabile e portato a picchiare duro.
Non ero nemmeno convinta che Carl fosse riuscito a farsi strada, quando cominciai a correre verso la calca, apparentemente insuperabile. La musica continuò a percuotere le pareti, mentre la pista cambiava formazione, e qualcuno urlò addirittura qualche sporca imprecazione in sostegno di Ty, inneggiando alla testa spaccata di Josh contro il pavimento.
Persi la birra senza nemmeno accorgermene, cosa che mi importò poco; con le braccia cercai di farmi quanto più spazio possibile tra i corpi, ora tutti rivolti a guardare i due ragazzi azzuffarsi, ed evitai diversi gomitate sulle tempie.
Riuscii a sorpassare qualcuno, infilandomi in spazi strettissimi e irrespirabili, ma incontrai anche molta resistenza. Nel frattempo, l'orda di persone aveva preso a incitare ogni tipo di violenza, senza risparmiarsi fischi e bestemmie.
Cercai di mettermi sulle punte, arrivata a scorgere qualcosa dello spazio vuoto lasciato attorno ai due impegnati ad azzuffarsi, e sperai che Josh avesse provato a difendersi, strafatto com'era.
Feci forza nel separare il braccio di un ragazzo dall'essere attaccato a quello di un altro, per crearmi un piccolo spazio per passare avanti, e lui si voltò a guardarmi, quando si accorse di me che tiravo dal suo gomito con entrambe le mani. Rise, nel realizzare, ma si mosse obliquamente per permettermi di passargli contro.
Non mi preoccupai molto di come fossi costretta a strusciargli contro il torso, il ventre, e ignorai i suoi risolini, quando mi feci spazio oltre di lui. I suoi palmi mi furono sui fianchi non appena gli fui davanti, e io lo fulminai con lo sguardo, schiaffeggiandolo, proprio prima di scontrarmi con la spalla di una ragazza.
Fu facile, dopo essermi insinuata attraverso le ultime due file e sotto almeno tre gomiti, per trovare lo spazio necessario ad avanzare, uscire dalla selva di sudore, calore e corpi e ritrovarmi sulla pista da ballo libera, pochi metri distante da Josh e Ty.
Il mio amico piantò un brutto colpo sull'angolo della bocca di Anderson, subito correndo a tenersi la parte sinistra del torso con il palmo. Fece una smorfia di dolore, attorcigliata sul suo volto nei pochi momenti di pausa che riuscì a procurarsi con quell'ultimo pugno.
Ty Anderson si teneva il palmo destro, aperto, a distanza dal mento, come a volerne raccogliere il sangue, che scorreva dall'angolo della bocca storta. Nemmeno il suo occhio sinistro era messo bene, già arrossato e più chiuso dell'altro.
Josh, dal canto suo, zoppicava sul posto in passi indecisi e teneva la mano pressata contro la gabbia toracica, con la mano destra stretta in un pugno e rilasciata contro il fianco.
"Figlio di puttana" riuscii a sentire Ty pronunciare quelle parole, prima che sputasse sangue dalle labbra, di lato, diretto al pavimento.
Calcolai in pochi secondi cosa avrei potuto fare. La musica si era fermata, segno che qualcuno si era finalmente accorto di quello che stava succedendo, e provai ad urlare il nome di Josh. Seppi che mi aveva sentito, ma scelse di ignorarmi. Ty fece una smorfia sprezzante, prima di fiondarsi nuovamente addosso al mio amico. Entrambi caddero a terra, Josh emettendo un urlo.
Al primo passo che presi verso di loro, vidi la folla al mio fianco scostarsi molto frettolosamente, in modo concitato, e mi fermai nelle mie scarpe. Dalle diverse figure accalcate alla mia sinistra, ora più impegnate a dileguarsi che a divertirsi per le botte che due idioti si stavano dando su una pista da ballo, spiccò l'agente Styles, attorno a cui ci fu abbastanza spazio da sembrare stesse sfilando.
Con passo rabbioso e scandito, seguito da un altro uomo alto e deciso nei propri passi, Styles camminò prepotentemente fino a dove Josh e Ty se le stavano ancora dando, trovando Ty con le mani strette in pugni sotto il mento di Josh e assistendo al nuovo colpo sferrato da Josh alla mascella di Anderson.
L'uomo che accompagnava Styles si sfilò dalla cintura, posta sotto il giaccone marrone, un paio di manette, che andarono ad accumularsi al distintivo stretto contro il palmo da quello che - presunsi - era il suo collega.
I miei occhi volarono alle dita di Styles, mentre prendeva gli ultimi passi verso i due, e vidi che anche lui teneva un distintivo nella mano destra. Immaginai fosse quello il motivo per cui erano riusciti a farsi strada nella folla.
"Fermatevi subito, brutti deficienti" urlò l'agente, tuonante, e girò attorno a loro fino a poter arricciare le dita lunghe attorno agli angoli della felpa di Ty che marcavano le scapole, per sollevarlo lontano da Josh, che batteva ormai le palpebre a fatica. Mi accorsi del taglio sul suo naso e mi forzai a stare immobile al mio posto.
Styles, sprezzante, tirò via Ty, "Polizia, tenete le mani a posto" continuò, sbraitando, quando il ragazzo cercò di colpirlo con i gomiti. Anderson si fermò quasi subito, ma Styles non gli risparmiò uno strattone, abbastanza violento, che lo costrinse in ginocchio ai suoi piedi.
Respirando con veemenza, la bocca aperta e gli occhi infuriati, l'agente lo guardò accasciarsi sulle sue stesse cosce. La sua mano grossa corse ai capelli scuri, le dita ci passarono attraverso, nel tentativo di rimetterli a posto sul capo, in quanto più smossi del solito. Nel movimento e sollevamento del giubbotto dalpetto e dal torso, i miei occhi si fermarono sulla pistola tenuta al latodestro dei fianchi da un cinturino scuro.
Gli occhi verdi e stretti si mossero solo per osservare il suo collega, intento a tirare su Josh, in modo da potergli far scattare le manette attorno ai polsi senza ostruzioni di alcun tipo. Lo stavano arrestando. Il cuore prese a battermi all'impazzata.
L'agente Styles, con un movimento liscio e freddo, fece scattare ad aprirsi un paio di manette lucide. Sulla scena comparve un terzo uomo, che si mosse direttamente nella sua direzione, correndo anche un pò. Pareva temesse la reazione di Styles e cercasse di rendersi al più presto disponibile e presente. Tutti gli occhi dei presenti erano su di lui, in silenzio. Styles alzò lo sguardo forante, direttamente alla folla.
Percorse la pista da ballo, incitando le persone a spostarsi "Forza, non c'è nulla da guardare, toglietevi dalle palle", urlò.
Guardai il capo rossiccio del terzo poliziotto abbassarsi all'altezza di quello di Anderson, così poggiato sul ginocchio com'era l'uomo, e Styles gli gettò in faccia le manette. L'uomo dai capelli rossi le prese prima che potessero cadere sul pavimento, per nulla offeso dal comportamento di Styles, e le fermò contro il proprio petto.
L'agente, con uno scatto crudele, infilò le dita nel colletto della felpa di Ty, tirandolo verso di sé, avendo notando che la sua testa soppesava il corpo in avanti, e permise - così - al collega di ammanettarlo.
"Harry" disse il primo uomo, che l'aveva seguito attraverso la calca, facendo subito scattare su di sé il suo sguardo.
Harry. Deglutii, assimilando quella nuova informazione su quell'agente che, da due giorni, pareva tormentarmi i piani.
Osservai il suo collega, collezionando quanti più dettagli possibili del suo aspetto: la chioma scura, la pelle olivastra, gli occhi di un pesante colore scuro e la mascella squadrata. Mi sarebbe potuto tornare utile, riconoscerlo, perché stava arrestando Josh. L'agente Styles rimase in attesa.
"Questo è quasi andato" lo informò, continuando a parlare. Josh, tenuto dall'uomo in posizione dritta davanti a sé, di poco più basso del poliziotto che lo teneva in manette, aveva un volto che pareva ogni secondo più gonfio. I suoi occhi erano a malapena aperti. Lo vidi, comunque, posarli su di me.
"Sam" mimò, piano, sollevando il mento in sconfitta. Era deluso da se stesso, conoscevo quello sguardo. Lo ero anch'io, ma pensai non ci fosse bisogno che lo sapesse in quel momento.
Styles rimbalzò con lo sguardo duro da lui a me, infastidito, e osservò con attenzione il terzo collega, mentre metteva in piedi Ty.
"L'importante è che riesca a camminare fino alla macchina" rispose Styles, facendo cenno di portare via i teppisti dalla pista di ballo e, con molta probabilità, fino alle macchine all'esterno.
Styles prese qualche passo, avvicinandosi di più a me, con le mani sui fianchi che gli sollevavano il giaccone di pelle. Ora visibile, la pistola attaccata alla sua cintura, mi rilasciò un brivido lungo la pelle.
"Se dovesse cadere sulle ginocchia, lo carico sulle spalle" disse ancora, contraendo la mascella.
Quelle parole valsero da congedo definitivo per il secondo collega, che prese a camminare via con Josh, un pò zoppicante; l'agente Styles osservò il terzo uomo portare via Ty con qualche passo di lentezza rispetto all'altro. Stette con le mani sui fianchi, a guardarli, finché non furono più visibili fra la folla, ora sparpagliante e molto meno rada di prima.
Con qualche passo strascicante, ma non indeciso, si mosse fino a starmi davanti, voltato a guardare altrove fino a che qualcuno non ordinò al dj di riprendere a suonare. In quel momento, il suo sguardo schioccò su di me, inchiodante. Respirò con accesa furia, per poi passarsi le dita ai lati della bocca, incitando nuovamente alcune persone al nostro fianco a sgomberare il posto.
Le sue sopracciglia, man mano più increspate e le labbra leggermente imbronciate, schiuse per permettergli di recuperare fiato più in fretta, gli davano un'aria stravolta. Sembrava stanco. Poco distante da me, si puntellò il fianco con un palmo. Lo vidi torreggiarmi addosso, incombere, e risentii il suo profumo.
"Stai bene?" chiese, la bocca rossa e schiusa.
Annuii, spostando agilmente gli occhilungo la sua figura per controllare fosse lo stesso per lui.
"Dove lo portate?" chiesi, solo, con voce bucherellata e poco chiara. Styles sollevò un sopracciglio, osservandomi con il capo inclinato.
"Sai dove trovarmi" disse. Fu duro, freddo, del tutto diverso dall'uomo con cui avevo scambiato lunghi sguardi e provocazioni poco tempo prima. Intesi che avrei trovato Josh presso l'indirizzo della centrale che mi aveva fornito la sera prima. Bishopsgate.
Fece per andarsene, senza darmi il tempo di replicare, così impegnata com'ero ad ingoiare aria, ma poi ci ripensò. Si fermò dopo il primo passo, ritornando a guardarmi, e fui alquanto impreparata al modo in cui i suoi occhi si indurirono contro i miei, poi lungo il mio corpo, poi di nuovo nei miei.
Ero, allo stesso tempo, ammaliata dai suoi modi duri e autoritari, da come aveva mosso il suo corpo con forza, tuonante, e inquietata dal modo in cui mi stava bloccando con le iridi verdi e tremanti.
"Non credi sia il caso di trovartene uno più uomo, Samantha?" domandò, accusatorio, come se si aspettasse una mia risposta pungente, come se fosse pronto a lanciarmi addosso una seconda supposizione, acida come quella appena sputata.
Affinai lo sguardo su di lui, separando le labbra, studiando bene il suo volto. La mascella si contrasse, le narici si allargarono in respiro più profondo da parte sua.
Pochi secondi dopo, la musica assordante riprese a suonare nel locale, lasciandomi poco spazio e tempo per capire cosa stesse supponendo.
Non disse altro, ma contrasse il viso e la mascella per almeno altre due volte, secco. Poi si sfregò la bocca con le dita, storcendola come se i polpastrelli ci avessero lasciato sopra del veleno, amaro, frustrante, e prese a camminare via senza nemmeno darmi l'opportunità di prepararmi, per la seconda sera di seguito, a quell'assenza improvvisa. Sistemandosi il giubbotto sulle spalle e contro il collo, si guardò intorno, e mi accorsi come evitasse - accorto - di riguardarmi, mentre camminava via.
Il suo profumo rimase nell'aria per qualche altro secondo, prima che scomparisse anche lui fra la folla, con andamento pesante e stanco.
Quando le sue mani permisero al portellone d'ingresso di chiudersi alle sue spalle, tirai un sospiro in ricerca di sollievo, cercando di calmare i miei respiri, l'agitazione e la preoccupazione che ancorami avvelenavano.
Mi sentii quasi in colpa per la poca preoccupazione che ebbi per Josh, guardando Styles camminare via, e l'enorme cruccio che prese a contorcermi la mente, per la paura di dovermi impegnare ancora, a fatica, per dimenticarlo.
Per paura che fosse arrabbiato, per qualche strana ragione, con me. Per paura di essere meno interessante. Per paura che pensasse davvero che fra me e Josh potesse esserci qualcosa.
Mi sentii in colpa e anche stupida.
Darla e Carl furono al mio fianco poco dopo, lui con il cellulare pressato all'orecchio e lei che mi ripeteva, per la seconda volta in cinque secondi, che dovevamo andare. Battei le palpebre, guardandola, e l'ansia per Josh ritornò a colpirmi come un boomerang infuriato per esser stato lanciato troppo lontano, per troppo tempo. Annuii, permettendole di ficcare un braccio sotto il mio, e mi lasciai trascinare via.
Ero sicura ormai, del tutto, che non fosse affatto una cosa positiva lasciarmi trascinare, ma che non lo fosse nemmeno lo stato di confusione e paranoia in cui ero caduta.
Quell'ultima conversazione con Styles mi aveva destabilizzata. Mi pesò molto ammettere al me stessa il motivo: da quando l'avevo conosciuto, infatti, l'unico pensiero che mi aveva tormentato insistentemente era stato proprio che mi sarebbe piaciuto, sì, un uomo. Come lui.
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