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CAPITOLO 36

" Eppure lei sapeva, che i fiori salivano, quando il diluvio scendeva".

-J.Kai

JACE

Il giorno seguente venne con il caos, e
vederla fu per me una sorpresa, non l'avevo previsto né lontanamente immaginato. Mi aveva chiamato al telefono, dicendo di voler parlare, di voler venire da me. Il tono incrinato, prosciugato, come se l'asma la stesse sormontando. Simile a una supplica, più che una richiesta. E la cosa mi aveva scombussolato quel tanto da cambiare i miei piani, tant'è che con una scusa studiata, avevo allontanato Demerya, gli avevo chiesto di andare a occuparsi di alcune mansioni a mio nome. Senza però rivelarle, il vero motivo del perché volevo essere lasciato da solo.

E poi, come uno scolaro prima di un esame importante, la avevo aspettata in soggiorno, immerso nel mio silenzio. In uno stato di riflessione costante.

Tuttavia, una volta giunto davanti alla porta, ne rimasi frastornato.

Le guance di Beatrice erano rigate, attraversate da copiose lacrime amare, simili alla rugiada sulle foglie. Le righe lasciate sulla neve, nell'erba alta. Chiusa nella sua giacca a vento, con i capelli raccolti in due lunghe trecce nere. L'aspetto grazioso, innocente. Quell'innocenza selvaggia che solo pochi erano in grado di possedere. Quella purezza dell'anima, che si intravedeva solamente al mattino, nel momento in cui il sole ritornava a occupare il posto più alto nel firmamento.

-Bea...!-

Mi ero da poco svegliato, giusto il tempo per lavarmi e prepararmi per un'eventuale uscita, completamente impreparato davanti alla situazione presente. Incapace di gestirla.

-Che cazzo è successo?!-

La attirai contro il mio torace, chiudendo la porta principale con il braccio libero.
Lei scosse il capo, nascondendo il volto sul mio petto, rivolgendolo lo sguardo verso il pavimento a scacchi del corridoio.
-Beatrice?-
Spostai le mani sul suo viso, costringendola a guardarmi, abbassando le sue difese, il vano tentativo di nascondere la sue debolezze.

-Jace... Mi dispiace, mi dispiace tanto...-
parlò tra un singhiozzo e l'altro.

La fissai confuso, le pupille in movimento, nel tentativo di scavare, capire quello che stava cercando di dirmi. Osservai le sue orbe, i cumuli di nebbia che occupavano lo spazio nei suoi occhi. Sconfitto dalla tristezza che vi leggevo.

-Prometto di non farmi più vedere...-

Socchiusi gli occhi gravemente provato, non riuscendo a capirla, preda di un attacco impaziente. Irruente.
E senza alcun indugio, la sollevai tra le braccia, spostandoci nella mia stanza. Salii le scale con fretta, per poi adagiarla sul letto matrimoniale che occupava il centro della mia camerata.
-Mi vuoi spiegare che merda sta succedendo...?-
La testa mi stava letteralmente scoppiando.
Una voragine di assoluta perplessità, tra le tante e varie probabilità.

Qualcuno le aveva detto qualcosa?
O peggio, fatto qualcosa di male? Dovevo spaccare la faccia a qualche bastardo?
Perché piangeva...?

-Beatrice! Che hai?-

Appoggiai le mani ai lati del suo viso, il ginocchio premuto sul materasso, di fianco alla sua coscia.
-Mi dispiace tanto... Scusami Jace, scusami per avervi strappato vostra madre...-

BEATRICE

-Scusa per averti dimenticato, per essere stata una persona così orribile. Sono imperdonabile...-
Un altro singhiozzo smorzò le mie parole, rendendo il tutto ancora più soffocante.
Jace si staccò da me, allontanandosi di qualche passo.
Visibili frammenti di esaurimento negli occhi chiari, scintille di avvilimento fin sotto la pelle, impresse nella carne, dentro le vene.

-Scusami per aver cercato di fare irruzione nella tua vita, nonostante tutto...
Per essere stata abbastanza egoista da pretendere le tue attenzioni...-

Tirai su col naso, asciugandomi la faccia con il dorso della giacca, mettendomi a sedere. Il corpo leggermente scosso, oppressa dai conati d'ansia e le leggere vertigini alla testa.

-Ci tenevo a darti... A darti un addio meritevole, è meglio che le nostre strade si concludano qui...-

Lui restò in silenzio, lo sguardo posato su di me, ponderoso. L'espressione meditabonda, afflitta. In qualche modo stizzita, come se non credesse alle mie parole. Alle frasi straniere che stavano uscendo dalla mia bocca. Parole che anch'io, non avrei mai sognato di dire.

Mi faceva davvero male vederlo così combattuto, ma dovevo troncare ogni cosa, ogni forte e distinto sentimento che si stava facendo strada nel mio petto. Ogni più risonante e tremenda trepidazione che minacciava di spaccarmi le ossa, il cuore e l'anima.

Le parole di Rosalia erano talmente vivide da non farmi trovare alcuna via d'uscita. Alcun tipo di redenzione. Le sue colmanti parole non mi permettevano nemmeno di sperare in una possibile relazione con lui. E pertanto, aveva assolutamente ragione...
Chi diavolo ero? Come diamine mi ero permessa di solamente pensare di poterlo avere per me? Di nuovo?
Dopo che io stessa aveva fatto di noi, una torre desolata...

"Voi siete responsabili, siete colpevoli di aver tolto la luce nei suoi occhi. Siete degli assassini! Avete distrutto ogni cosa...".

Portai lo sguardo verso il tappeto blu, sotto le nostre scarpe, gli occhi socchiusi per prevenire altre lacrime, altre manifestazioni di dolore.

"Gli errori di tua zia, ricadono anche su di te! E tu non sei esente! Fammi il favore di sparire dalla sua vita, e di restituirgli la felicità che gli hai tolto!".

Le sue pupille erano ancora incollate su di me, e ne potevo benissimo percepire il peso, l'angoscia. Il trambusto di emozioni che stava provando. L'uragano di sensazioni che lo stava divorando, eppure non mi mossi, non feci nemmeno un passo, nulla per smorzare la sua figura in tensione. La mani tremanti. Il respiro incalzato. L'evidente stanchezza del cuore.

-Quando ti è tornata la memoria...?-

Un tono sottile e carico di frustrazione, soggetto al cambiamento della sua irruenta persona. All'incandescenza che predominava ogni suono che lasciava il suo corpo.

-Beatrice! Rispondimi!-

Sobbalzai sul posto, totalmente presa alla sprovvista. Gli occhi ora puntati nei suoi, nella rabbia crescente che trapelava dalla sua figura massiccia. Il pulsare delle vene, il labbro stretto tra i denti. Una parte di Jace che non avevo mai visto, e se invece intravista, allora non più parte dei miei ricordi.
Marciò verso di me, obbligandomi ad alzarmi in piedi. Le sue grandi mani serrate sulle mie braccia.
-Come mai...? Come mai... Tra tutte le cose che potevi ricordare, stai solo pensando a come porre fine a tutto?-
Fece una pausa, portandosi le mani agli occhi, sospirando fortemente.
-Jace...-
Al mio tocco si ritrasse, suscitando un senso di malessere nella mia persona, così tanto da farmi sanguinare.

-'Fanculo Bea!-

Si passò le mani sulla chioma setosa, lisciandoli in un gesto di delusione. Inquietudine.

-Come puoi... Come cazzo puoi dire una cosa del genere...? Dopo tutti questi anni?-

I suoi sfavillanti occhi celesti, erano ora cupi, spenti. Lucidi.
Le ciocche dorate, ricadevano disordine sulla fronte alta, arruffate. Le labbra cedevoli, dipinte di un colore roseo, per come talvolta le mordicchiava irrequieto.

Disarmante persino nella sua sofferenza, nella sua più totale e assoluta confusione.

Non sapevo cosa aggiungere, e per qualche istante lasciai che le sue parole occupassero i buchi nel mio intelletto.
Trascinai invece l'attenzione sui suoi indumenti, sul corpo scolpito e robusto.
Indossava una semplice canottiera bianca quel giorno, e dei pantaloncini neri dell'Adidas, fino alle ginocchia. Un abbigliamento sportivo, di chi si sarebbe presto avviato da lì a poco, per andare in palestra. E chissà, forse aveva persino diverse faccende da sbrigare, e io ero qui a fargli inutilmente perder tempo. Non aveva senso restare, ormai avevo preso la mia decisione. Ed ero convinta che le nostre strade non si potevano più incrociare. Doveva trovare qualcun'altro. Qualcuno degno di lui, della sua meravigliosa persona. Qualcuno con le mani pulite, non responsabile del sangue di sua madre.

-Non ha importanza...-

Mi alzai dal letto con l'intento di uscire dalla sua stanza, venendo invece bloccata sulla soglia della sua porta. Jace mi precedette bloccandomi sul posto. Le sue dita racchiuse sul mio avambraccio sinistro.

-Dove stai cercando di andare?-
Mi fissò furioso, incerto.

Evitai di guardarlo per non scoppiare di nuovo a piangere, stringendo i pugni saldamente. Gli occhi socchiusi e il cuore palpitante. E con un profondo sospiro, raccolsi tutto il coraggio in corpo, esternando quelle acide parole tutto d'un fiato.
-Ho ucciso tua madre, Jace! La mia famiglia ha ucciso tua madre! Io non posso stare con te e far finta di niente! Mi fa male diamine! Mi fa male, lo capisci?-

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