Capitolo 6
Ferdinand uscì dal cancello della scuola e si accese un'altra sigaretta. L'ultima, promise a sé stesso. Si sedette su una panchina sotto l'ombra dei tigli e la respirò a lente boccate: se doveva essere quella finale, meglio gustarsela appieno. Mentre fumava, pensò a quella povera ragazza, stroncata così giovane da quella tragica malattia. Chissà che cosa avrebbe dato lei, per avere un sistema respiratorio sano. Sicuramente, lo avrebbe trattato meglio di come lui faceva con il suo, intossicandolo quotidianamente con catrame e nicotina. Il mondo era ingiusto, pensò, spegnendo il mozzicone sul marciapiede. Alcune persone soffrivano nell'indifferenza, altre potevano addirittura permettersi di sputare addosso alla propria salute. Rendendosi conto di ricadere proprio in quest'ultima categoria, si chiese preoccupato tra quanto la vita gli avrebbe presentato il conto. Poi, se ne accese un'altra. Fumare gli avrebbe dato la scusa per attardarsi nei paraggi della scuola. Non riusciva a smettere di pensare alla studentessa morta. Anzi, a dirla tutta, ciò su cui non riusciva a smettere di rimuginare, erano gli occhi di quello studente incontrato in presidenza. Il suo istinto sbirresco si era messo in moto e adesso lui non riusciva a placarlo. Ma che cosa avrebbe dovuto fare? Con tutte le scartoffie da compilare che lo attendevano in ufficio. No, si disse, doveva per forza tornare alla centrale. Non aveva certo tempo da perdere dietro a fantasiose intuizioni psicologiche. Era evidente che si fosse trattato di una disgrazia, e insistere non avrebbe portato a nulla di nuovo. E allora, perché continuava a intestardirsi? Si stava forse trasformando in un animale guidato dall'impulso? Sì, concluse: una bestia sbirresca che aveva imparato a proprie spese di non poter ignorare la sua più preziosa alleata, ossia l'intuizione. Non riuscì a opporsi a quel sospetto che si era insinuato nel suo cuore. Tornò a passi veloci all'aula di musica e arrivò davanti allo studio con il fiatone. Sollevò il nastro giallo e fece per aprire la porta, ma non trovò la maniglia. Già, che sbadato, pensò, picchiandosi la mano sulla fronte: per aprirla serviva il badge della scuola. Adesso, funzionava tutto con quelle diavolerie elettroniche. Per fortuna, si accorse di averlo ancora in tasca, perché questa mattina si era scordato di restituirlo in segreteria. Il tenente strisciò la tessera magnetica contro la fotocellula. Non si aprì. Stava già per iniziare a inveire quando, con un rumore di ingranaggi, la serratura scattò. Sollevato, sospirò. Non aveva nessuna voglia di chiedere ancora l'aiuto di qualche genietto informatico con meno della metà dei suoi anni. Entrato nell'aula di musica, sorrise soddisfatto per la piacevole frescura. L'ambiente era ben organizzato, pieno di strumentazioni tecniche come mixer e amplificatori, tutte disposte in modo ordinato. Ferdinand si guardò intorno e notò le telecamere sul soffitto: con il loro grandangolo, coprivano tutta la superficie della sala. C'era troppa penombra per esaminare certi dettagli, e si avvicinò alle tapparelle per sollevarle, in modo da fare entrare più luce. Non trovò corde per farlo e le tapparelle erano incassate nei vetri. Eppure, questa mattina lo studio era più luminoso. Vuoi vedere che, adesso, senza un badge non potevi nemmeno aprire una serranda? Vicino all'ingresso aveva notato una piccola consolle con spie luminose verdi e rosse, incassata nella parete. Vi strisciò la tessera e sentì una specie di cicalio. Lo schermo a cristalli liquidi della consolle si accese, mostrando una mappa di simboli geometrici con quadrati e frecce. Premette, con poca convinzione, una freccia rivolta in alto ma non successe nulla. Niente da fare. Annaspava in un mondo di diavolerie moderne, in cui anche le azioni più banali stavano diventando incomprensibili a chi non fosse un ingegnere elettronico. Si rassegnò a tornare dalla preside per chiedere un aiuto, a rischio di fare la figura dell'uomo di Neanderthal.
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