Capitolo 5
La sala d'attesa, fuori dall'ufficio della preside, era silenziosa. L'ambiente austero, unito alla severità di quelle librerie cariche di volumi pregiati, incuteva sempre un certo timore. Seduta su una poltroncina in pelle, Leila dondolava nervosamente i piedi. Accanto a lei, Filippo guardava nel vuoto di fronte a sé. Si sentiva solo il leggero ronzio del condizionatore e la voce della preside dietro la porta mentre parlava al telefono. «Che cosa vorrà da me?», si chiese Leila, agitata. Filippo alzò la testa e sorrise enigmatico. Si sentiva come inebetito e la sua testa continuava a tornare al ricordo di quel bacio. «Non ci sei mai andata giù leggera con Sabrina», rispose. «Che cosa intendi dire?», chiese Leila, incapace di dominare l'ansia. «Nell'ultima litigata sul gruppo di Whatsapp hai davvero esagerato», cercò di spiegarle lo studente, come se si trattasse di un'evidenza che lei non riusciva a cogliere, «qualche poliziotto avrà controllato i messaggi sul suo telefono e vorrà farti qualche domanda». Leila impallidì. «Non prenderla così sul serio», commentò Filippo, «probabilmente, si tratta solo di un atto d'ufficio», le disse, sicuro che quel colloquio in presidenza dovesse trattarsi solo di una formalità senza conseguenze. La porta si aprì e la segretaria invitò Leila ad entrare. La studentessa fece alcuni passi in direzione della porta, ma poi si girò verso Filippo. «Vieni anche tu», lo implorò Leila, prendendogli la mano. Sorpreso da quella richiesta inaspettata, Filippo la seguì dentro l'ufficio della preside. Seduto alla scrivania, c'era uno sconosciuto, che la preside presentò come il poliziotto a capo degli accertamenti sulla morte di Sabrina. Leila si sedette di fronte al tenente. Filippo stava per accomodarsi, quando Ferdinand alzò gli occhi verso di lui e chiese: «chi è il ragazzo?». Leila, cogliendo tutti in contropiede, rispose prontamente: «è il mio fidanzato», disse, «questa situazione mi rende nervosa e gli ho chiesto di tenermi compagnia». Ferdinand fece cenno con la mano che Filippo poteva rimanere nell'ufficio. «È normale che si senta un po' agitata, signorina», commentò il tenente, «sa chi sono gli unici a non essere nervosi quando parlano con le forze dell'ordine?». Leila scosse la testa in silenzio, come a dire che non lo sapeva. «Solo i criminali non si innervosiscono a parlare con la polizia», commentò il tenente, in tono asciutto. Leila si sedette su una seggiola e la preside invitò anche Filippo a prendere posto. Lo studente, però, era rimasto in piedi. Sembrava frastornato. Le parole di Leila gli erano arrivate addosso come un autotreno che lo avesse investito mentre attraversava la strada, e non riusciva a riprendersi dallo shock. La parola con cui l'aveva definito, "fidanzato", rimbombava dentro il suo petto come l'eco di un tuono. Solo quando la preside gli posò la mano sulla spalla, si ricordò di dove si trovasse, e si abbassò sulla sedia. «Tu e Sabrina non andavate molto d'accordo», esordì Ferdinand, senza preamboli, e appoggiò lo smartphone trovato in sala prove sulla scrivania della preside. Non fece in tempo a finire la frase, che la porta della presidenza si spalancò con il frastuono di una cannonata. Sulla soglia apparve il padre di Leila, paonazzo in viso. A quella vista, Leila si alzò di scatto e corse ad abbracciarlo, rifugiandosi tra la protezione delle braccia paterne. Ferdinand osservò senza fiatare quella scena melodrammatica, mentre il medico si mise ad urlare, minacciando tutti di querela se avessero osato ancora trattare la sua adorata figliola in quel modo. A nulla valsero le scuse della preside, che già aveva acconsentito controvoglia a convocare nel suo ufficio la figlia di uno dei maggiori finanziatori della scuola. Ferdinand ritenne la reazione del padre di Leila fuori luogo, sproporzionata rispetto a quella che intendeva essere solo una bonaria ramanzina. Seccato, congedò padre e figlia, lasciandoli liberi di andarsene dove volevano. Una giornata decisamente no, concluse il tenente tra sé, uscendo dall'ufficio della preside. Si ricordò all'improvviso di dover fare una telefonata importante al questore ed estrasse lo smartphone dalla giacca. Niente campo. Iniziò a inveire contro quel diabolico aggeggio, che decideva sempre di smettere di funzionare nei momenti meno opportuni, quando si sentì chiamare alle spalle. Girandosi, si trovò davanti allo studente che aveva accompagnato in presidenza la figlia del medico. «Lasci vedere a me», disse Filippo, facendogli cenno di passargli lo smartphone. Ferdinand gli diede il telefono, sospirando esausto. Aveva tutta la camicia sudata appiccicata alla schiena e desiderava soltanto tornare a casa per buttarsi sotto la doccia. Il ragazzino spense il cellulare, lo aprì, staccò e riattaccò la batteria, lo riaccese e glielo restituì. Quattro tacche belle piene. «Grazie, giovane», lo ringraziò Ferdinand, alla maniera militare, «in effetti, avevi proprio l'aspetto di un piccolo nerd». Sentendosi appellare in quel modo, Filippo fece una faccia offesa. Al tenente spiacque che lo studente si fosse risentito per quel commento che, nelle sue intenzioni, intendeva solo essere un modo cameratesco di simpatizzare. Probabilmente, oggi era la giornata in cui tutti i suoi propositi venivano fraintesi. Stanco, Ferdinand fece spallucce e decise di tornarsene in centrale, ma si sentì tirare per un braccio. Lo studente lo aveva afferrato con forza per la manica della giacca, e lo stava fissando con il viso accigliato, carico di risentimento. Vedendo il viso dello studente stravolto dalla rabbia, Ferdinand indietreggiò, turbato. E fu un attimo. Un velocissimo, quasi impercettibile scintillio in fondo agli occhi di quel ragazzo gli fece sentire, per la seconda volta in quella giornata, una scarica elettrica nella spina dorsale. Era lo stesso barlume di odio che aveva già visto in fondo agli occhi di assassini e stupratori durante i tanti interrogatori della sua carriera, carico di una rabbia istintiva, radicale, animale. «Scusi», disse Filippo, lasciandogli andare la manica, «è che, quando si parla di informatica, mi infervoro subito; sono molto appassionato della materia». «Ho notato figliolo», commentò Ferdinand in tono distaccato, mentre cercava di elaborare dove quell'intuizione psicologica potesse condurlo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro