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Capitolo 2

Leila pensò che, con il caldo che faceva, fosse impossibile passeggiare. Non avendo nessuna voglia di rincasare, per paura di sorbirsi le solite prediche della tata ("Hai lasciato in disordine tutti i vestiti!", "Ieri ho trovato lo scooter abbandonato nel vialetto, ti costava tanta fatica ritirarlo in garage?"), Leila propose a Filippo di fermarsi in un caffè del centro, un bar alla moda arredato in stile Starbucks. Entrarono nel locale, facendosi largo tra gli studenti che chiacchieravano in coda alle casse, e cercarono un tavolino appartato, dove poter discutere senza essere infastiditi da tutto quel brusio. Filippo non cessava di pavoneggiarsi per l'orgoglio di essere a fianco della reginetta del liceo, mentre gli sguardi gelosi degli altri ragazzi lo trafiggevano. Molti degli studenti nel caffè erano socialmente più popolari di lui, più attraenti o attivi nello sport. Si chiedevano, stupiti, come mai Leila si portasse dietro quel topo da aula d'informatica, con cui loro cercavano di non avere mai a che fare, salvo quando avessero un problema con la stampante. «Non la sopporto», iniziò a lamentarsi Leila, dopo che ebbe rumorosamente succhiato dal suo frappè. «Povera Sabrina di qui, povera di là; con questa storia dell'asma è riuscita a intenerire tutti, ma io so a cosa mira: vuole vincere il concorso, è solo un'ambiziosa senza scrupoli». Leila era preoccupata perché, anche se in pubblico continuava a denigrarla, conosceva perfettamente le capacità artistiche della sua rivale. Sabrina era un'ottima chitarrista: sapeva coniugare il virtuosismo raggiunto grazie agli anni di pazienti studi, con l'estro di un'improvvisazione spontanea ricevuta in dono dalla natura. Questo la rendeva un'avversaria davvero temibile, l'unica che potesse competere con lei per la tanto desiderata audizione. Muto davanti a lei, Filippo continuava ad annuire come inebetito, anche se la sua attenzione era assorbita da quelle labbra e da come si stringevano attorno alle righe rosse e bianche della cannuccia. Filippo sembrò ridestarsi da quel sogno solo quando la cameriera gli servì la cheesecake che aveva ordinato. Filippo tagliò lentamente una fetta di torta, facendo attenzione a che la lunghezza della parte da lui incisa fosse uguale alla base del pezzo grosso rimasto sul piatto, in modo che le proporzioni tra i due pezzi di dolce rispettassero la regola aurea. Di fronte a questo atteggiamento maniacale di Filippo, Leila sorrise: ripeteva sempre questa sorta di rituale con qualsiasi cibo gli servissero, fosse un trancio pizza o un tramezzino. Anche quando passeggiavano, le capitava di notare dei suoi tic nervosi, che lui credeva di mascherare ma di cui era impossibile non accorgersi: ad esempio, se camminavano su delle piastrelle con delle fughe molto segnate, Filippo faceva attenzione ad appoggiare i piedi sempre al centro della ceramica e mai sulle righe dei bordi; oppure, le stringhe delle sue scarpe erano sempre di una lunghezza simmetrica perfetta e, se per caso camminando una si allentava, si fermava per riallacciarsi le scarpe fino a che non le avesse equilibrate. Filippo ingoiò la porzione di pan di spagna, con lo sguardo incollato sulla scollatura del top di Leila, fisso sulla linea che i due seni disegnavano schiacciandosi l'uno sull'altro. Mormorò qualcosa ma, a causa della bocca piena, Leila non capì nulla di quello che aveva grugnito. «Che cosa hai detto?», gli chiese Leila, ridendo di scherno davanti alla goffaggine che la sua presenza incuteva nel compagno di scuola. Filippo si schiarì la voce, con lo sguardo fisso sopra il seno della ragazza, che non batté ciglio, e tentò di articolare una frase intelligibile: «sai, avrei un'idea per impedirle di soffiarti il concorso», le propose. Leila appoggiò il frappè sul tavolo e fissò il suo compagno di classe con la massima attenzione. Filippo non apriva mai bocca per niente: quando prometteva una cosa, potevi stare certa che solo una morte prematura gli avrebbe impedito di prestarvi fede. «E come potresti?», chiese Leila, inarcando un sopracciglio, «il concorso è domani». «Ti ho detto che ho un'idea», rispose sicuro di sé Filippo. Leila gli sorrise, sporgendo ancora più in fuori i seni dalla scollatura. «Potrei rivelarmi molto generosa», sorrise maliziosamente, «con chi mi facesse un favore del genere». Filippo, però, non le rispose. Si era messo a disegnare, con la forchetta, strane geometrie sulla torta che aveva nel piatto, come se si fosse perso dietro a un suo pensiero, dimenticandosi del mondo che gli stava intorno.

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