Capitolo 1
Il sole batteva sopra la scuola, scintillando attraverso le fronde dei tigli, che si innalzavano maestosi attorno al prestigioso liceo. Gli studenti, per la maggior parte rampolli di famiglie agiate, sostavano accaldati nel cortile dell'istituto, oziando con gli zaini appoggiati ai piedi. A giugno inoltrato, l'anno scolastico era agli sgoccioli e, piuttosto che di esami e debiti, gli scolari chiacchieravano più volentieri delle vacanze e del vero argomento caldo di questi giorni, l'avvenimento atteso da tutti: il concorso musicale di fine anno. Il concerto del Liceo dei Tigli, infatti, era sempre stato un trampolino di lancio per le band locali e, quest'estate, le voci parlavano addirittura della presenza tra il pubblico del talent scout di un famoso programma televisivo. Sabrina non stava più nella pelle. Aveva studiato duramente per raggiungere in pagella dei buoni risultati ma, più di tutto, aveva messo il cuore nella sua amata chitarra, sacrificando tempo libero e svaghi per conciliare la sua adorata passione con gli ottimi voti, in modo da accontentare anche i suoi genitori. Il pomeriggio era afoso e Sabrina aveva sudato a pedalare con quel carico a tracolla ma, per nulla al mondo, avrebbe rinunciato a portarsi anche oggi a scuola la sua adorata Fender. Legò la bici a un palo della luce, davanti alla sala prove, e si sedette sul muretto a ripassare le scale, in attesa che la sala si liberasse. Mentre allentava la chiave del sol, per regolare l'accordatura della chitarra, una risata di scherno la distrasse. Alzò la testa dalle corde e si trovò davanti Leila, la sua più acerrima rivale. Leila era la cantante hip hop più di successo della scuola, difficile dire se grazie al suo talento oppure al viso da bambolina angelica, che infuocava i sogni notturni degli studenti, ossessionandoli a tal punto da far diventare il suo profilo di Instagram quello più seguito del liceo. Figlia di uno dei primari dell'ospedale cittadino, nelle sue canzoni Leila denunciava storie di degrado e ingiustizie sociali che, essendo cresciuta nella villa di famiglia, tra lezioni di equitazione e pomeriggi a prendere il sole a bordo piscina, in realtà non poteva neppure lontanamente immaginare che cosa fossero. «Guarda che sarà un concorso, non un funerale», la insultò Leila, altezzosa, «non potresti suonare qualcosa di meno deprimente?». Sabrina la guardò risentita ma non raccolse la provocazione: conosceva bene l'arroganza della sua rivale e non voleva darle soddisfazione attaccando briga. Leila l'aveva presa in antipatia sin dal giorno del loro primo incontro e non si lasciava sfuggire occasione per punzecchiarla. Come potrebbe essere stato altrimenti? Oltre a essere rivali nel campo musicale, erano davvero due persone molto diverse tra di loro. Leila curava molto il suo aspetto, vestiva sempre alla moda, e suo padre era una delle persone più in vista in quella piccola cittadina di provincia. A Sabrina, invece, non interessavano le apparenze e indossava la stessa t-shirt dei Linkin Park magari per giorni; era figlia di una coppia di piccoli commercianti che da giovani avevano fatto gli hippies, ma l'avevano iscritta a quella scuola al di sopra delle loro possibilità, desiderosi di darle una buona istruzione. Sabrina abbassò lo sguardo sulla sua amata chitarra ma si limitò solo a far scivolare le dita di accordo in accordo, silenziosamente, senza arpeggiare con il plettro. Leila la obbligava sempre a ingoiare un sacco di nervoso, anzi, addirittura sentì che le stava venendo quasi da lacrimare. All'improvviso, il fiato le mancò. Forse, per l'attacco di rabbia o il caldo della prima estate, il respiro le si bloccò in gola. Presa dal panico, cercò convulsamente con le mani qualcosa nelle tasche dei jeans. Finalmente, sembrò aver trovato quello che cercava. Afferrò l'inalatore, lo strinse e se lo portò alle labbra, inspirando una lunga boccata. Leila le passò di fianco, guardandola con disprezzo, mentre Sabrina riprendeva a fatica a respirare. «Ma guardatela», commentò Leila altezzosa, «credi forse di impietosirci?». Sabrina si appoggiò una mano al petto e ritirò l'inalatore nello zainetto, ormai rassegnata a convivere con quella frustrante malattia. Ignorando le provocazioni della sua rivale, Sabrina si rimise la chitarra a tracolla e si alzò per entrare in sala prove. Strisciò il badge contro la fotocellula all'ingresso, e la porta a vetri scorse a lato, lasciandola entrare nell'aula di musica. Grazie alla generosità dei facoltosi finanziatori, il liceo aveva trasformato negli anni quell'aula in un vero e proprio studio di registrazione, dotandolo di mixer e software professionali. Sabrina, come tutti gli altri musicisti della scuola, veniva qui a provare con cadenza settimanale e, soprattutto oggi, alla vigilia del concorso, sentiva il bisogno di riascoltare la sua esecuzione nell'acustica pulita dello studio. Vedendosi ignorata dalla sua nemica, Leila le diede le spalle e digitò nervosamente un messaggio sullo smartphone. Scrisse a un suo compagno di classe, Filippo, chiedendogli dove fosse. La risposta dello studente arrivò immediata. D'altro canto, non poteva essere diversamente, pensò Leila, sorridendo: quel ragazzo era follemente innamorato di lei e, non appena Leila gli faceva un fischio, lui rispondeva scodinzolando come un fedele cagnolino. «Ho appena chiuso l'aula di informatica», le rispose Filippo. «Torniamo a casa insieme?», gli propose Leila. Non che lei provasse qualcosa per lui. Leila, però, si dimostrava sempre amichevole nei confronti di quel nerd, concedendogli l'ambito privilegio di gironzolarle intorno. Le sue amiche non capivano il perché di quella strana amicizia, e avevano finito con il concludere che Leila fosse attratta dai tipi timidi e studiosi. Invece, Leila lasciava che Filippo le facesse la corte solo per un suo scopo ben preciso. La verità era che, essendo il responsabile dell'aula di informatica, Filippo aveva libero accesso ai files di tutti i compiti in classe. Grazie al suo aiuto, infatti, la media dei voti di Leila si era alzata drasticamente, e suo padre, felicissimo, le aveva permesso di dedicare alla musica tutto il tempo che voleva. Dopo pochi minuti di attesa, Filippo arrivò di corsa, con i soliti occhi speranzosi da cane bastonato. Era di corporatura gracile, magro come se non mangiasse da giorni e pallido in viso; indossava t-shirt scure con scritte incomprensibili, sicuramente qualche motto in uno sconosciuto gergo informatico, ed era sempre spettinato come se si fosse appena alzato dal letto. Leila lo salutò svogliatamente, senza dargli nemmeno dei bacini sulle guance. Filippo, però, non se la prese: gli erano sufficienti gli sguardi invidiosi che gli altri studenti, stupiti da quella sua intimità con la ragazza più in vista del liceo, gli rivolgevano increduli.
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