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Il legame che va al di là di tutto


Mai avrebbe pensato che il destino potesse essere così buffo, lui e Hinata si erano sfidati per la prima volta alle medie e quelle partite avevano inciso molto nella vita di entrambi. In quel primo anno di liceo si erano trovati a combattere insieme, dallo stesso lato della rete ed erano stati soprannominati  “duo bislacco” ed erano imbattibili almeno così li vedevano i loro compagni di squadra. Hinata lo aveva sorpreso riponendo in lui tutta la sua fiducia, neanche i suoi compagni delle Kitagawa Daichi  lo avevano  fatto. In quella partita aveva sentito qualcosa infrangersi dentro di sé. I suoi compagni si erano rifiutati di giocare con lui,  e non c'era stato bisogno di aggiungere altro perché poi il coach gli aveva impedito di giocare e di partecipare agli allenamenti. Era diventato il prodigioso “Re del campo”. Se c'era una parola che più odiava, oltre al nomignolo che grazie a Hinata era riuscito ad accettare in parte, era “Prodigio”. Era stato isolato alle elementari perché nella pallavolo riusciva sempre in tutto, pur sperimentando cose nuove lui le faceva sembrare  facili  pertanto pretendeva il massimo da tutti. La realtà era ben diversa, lui non era affatto fantastico. Odiava ammetterlo: non era perfetto. Ed era quella consapevolezza lì, che ogni mattina lo spingeva a correre per allenare la resistenza. Era il palleggiatore, il secondo giocatore che dopo Hinata saltava da un lato all'altro del campo non che gli altri fossero immobili, ovvio. Lui toccava la palla per più tempo ma non poteva e non voleva adagiarsi sugli allori, non era giusto nei confronti del suo senpai. Sugawara era il suo senpai, un palleggiatore eccezionale e un ragazzo dal cuore d'oro che metteva la squadra al primo posto. Per la squadra si era fatto da parte, lasciando a lui quel ruolo.
Forse era egoista, forse era solo una banale scusa però sentiva dal profondo del cuore una sensazione ardente che lo spronava a dare il massimo, a meritarsi quel posto. Il talento si  coltiva, prodigi si nasce. E lui non apparteneva alla seconda categoria, era una cosa che suo nonno gli aveva ripetuto allo sfinimento fin da quando era ancora bambino.   Sospirò riponendo l'ombrello in borsa, in seguito alla vittoria contro lo Shiratorizawa avevano deciso di intensificare gli allenamenti e dato che la palestra era aperta ne avevano approfittato. « Kageyama, hai visto Hinata?» chiese un po' preoccupato il ragazzo dai corti capelli castani lasciando interdetto Kageyama. « È strano che non sia già qui. » esclamò Tanaka passandosi una mano sulla testa rasata per non fare trasparire più agitazione del dovuto. Era preoccupato anche lui in realtà. Lui aveva aspettato Hinata nel loro posto, il piccolo parchetto in cui si erano allenati per il tre contro tre iniziale e lui non si era presentato. Aveva pensato, conoscendo l'idiota in questione, che avesse scordato il loro appuntamento ma se non era in palestra… «Non è arrivato? Magari è con i senpai Azumanee Sugawara?» chiese ritrovandosi a sperare che non gli fosse accaduto nulla di male.

Aprì lentamente gli occhi castani ma non riusciva a scorgere nulla oltre alle tenebre. Intorno a sé era tutto nero e non comprendeva come un simile evento potesse essere reale. Sentì le lacrime pizzicare i suoi occhi per uscire ed il dolore alla caviglia era molto forte.  Un flebile suono  giunse alle sue orecchie, inizialmente pensò di esserlo immaginata e di essere intrappolata all'interno di un profondo incubo. Poi realizzò, la canzone era : Rewrite the stars ed era la suoneria del cellulare di suo fratello. Tentò di divincolarsi dalla sua presa, nel tentativo di ricordare cosa fosse successo.  Leggermente seppur dolorante riuscì nel suo intento e cercò di alzarsi ritrovandosi nuovamente in ginocchio. Guardò il luogo nel quale erano finiti, era una piccola sporgenza di una rupe e questo decisamente non era d'aiuto visto che soffriva di vertigini. Iniziò a scuotere suo fratello che ancora restava inerte sul terreno fangoso ma non ottenne altro che un gemito soffocato.
Portò le mani alla fronte, erano in trappola. Non c'era via di scampo, anche perché la loro mamma non era a casa e nessuno avrebbe pensato che potesse essere accaduto qualcosa. Se solo avesse dato retta a suo fratello, forse nulla di simile sarebbe successo. Tirò su con il naso, mentre tentava di richiamare Hinata sporcando il suo candido viso col marrone del fango.

Kageyama imprecò mentalmente. Non era superstizioso ma quella mattina aveva preso una tazza di tè caldo, la ceramica aveva iniziato a creparsi. Era un brutto segno, per questo sua nonna gli aveva chiesto di prestare particolarmente attenzione. Sua madre aveva dato la colpa alla fragilità della tazza: “Magari era già caduta in precedenza e ora sta mostrando i segni di cedimento” erano state le sue parole in risposta all'anziana. « Kageyama…» provò a richiamarlo il professore Takeda. Il coach Ukai non aveva detto nulla perché era strano che proprio Kageyama si scusasse chiedendo di fare entrare in campo Sugawara al suo posto.  “Scusi coach Ukai, ma senza Hinata dubito di potermi concentrare sul campo è meglio che io resti in panchina per ora.”  Aveva pronunciato davanti a tutti creando un silenzio allucinante. Fortunatamente l'allenatore aveva messo fine a quel momento ed invece di rimproverarlo aveva deciso di assecondare tale richiesta puntando sul fatto che non potessero puntare sempre su Hinata e Kageyama per mettere a segno il maggior numero di punti.  «Ascolta »continuò sistemandosi gli occhiali rettangolari sul naso per poi mettergli una mano sulla spalla.  «MALEDETTO IMBECILLE SI PUÒ SAPERE DOVE DIAVOLO SEI!» Aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola sentendo quel nodo venir meno ed attirando l'attenzione di tutti su di sé. «Mettilo in vivavoce!» propose Noya mentre la faccia del palleggiatore titolare  assunse una smorfia molto strana. «Non ho capito una sola parola, fai un respiro profondo e ripeti. » esclamò il ragazzo dai capelli corvini mentre il suo stomaco si attorcigliò in una strana morsa. La riconosceva, gli accadeva anche in partita quando non riuscivano ad ottenere un break o un dius. Era paura, anzi terrore.
«Natsu, Hinata è ferito? Vedi del sangue?.» chiese passandosi una mano fra i capelli ignorando i suoi compagni che ora erano decisamente preoccupati.

Natsu si asciugò le lacrime continuando a guardare suo fratello. « No, non saprei dirti se è ferito. Non c'è traccia di sangue ma non si sveglia. » affermò affranta tentando di scuotere ancora il ragazzo. «Mi puoi dire esattamente cos'è successo e dove vi trovate prima di precipitare?» esclamò correndo via dalla palestra sotto lo sguardo preoccupato e allibito di tutti. « Restate qui col professore! » esclamò Ukai correndo dietro al ragazzo dai capelli corvini. Kageyama sospirò restando al telefono con Natsu mentre l'uomo biondo percorreva la strada che collegava il liceo Karasuno ai monti del Nord. L'uomo dai capelli biondi non aveva proferito parola, e al contempo non ascoltava neanche la conversazione focalizzato com'era nel cercare una bicicletta rossa.  Immaginava bene l'ansia provata dal ragazzino, lui l'ossessionato dalla pallavolo si stava mordendo l'unghia del pollice. Una cosa inaccettabile per un palleggiatore come lui che faceva persino ricorso alla manicure. «Li abbiamo trovati! » esclamò Ukai mentre indicò l'albero che faceva da sostegno alle biciclette.

« Lo so che siete preoccupati ma ora come ora non potete fare nulla ragazzi, inoltre vi ricordo che sta arrivando la squadra dell'associazione di quartiere. Adesso potete solo dare il massimo anche per loro. Ho allertato i soccorsi e il coach Ukai e Kageyama sono andati alla loro ricerca. » esclamò il professore mentre Yamaguchi strinse i pugni. «Come…come può pensare alla pallavolo in un momento simile?» squillò la voce di Hachi ma fu Kyoko a prendere la parola. « No, hai frainteso. Il professore voleva dire che bisogna aver fiducia in Kageyama e nel coach, e che l'associazione di quartiere ormai sarà qui a momenti e sarebbe ingiusto nei confronti loro spostare la partita senza preavviso. Certo, non era calcolato è stato un incidente quello di Hinata ma ora dovete lottare anche per i vostri compagni che non possono essere qui.» Il professor Takeda si ritrovò ad essere profondamente grato alla ragazza dai capelli corti. Kyoko con la sua calma riusciva ad avere un effetto stimolante sul ragazzi in ogni situazione compresa quella. «Scusate il ritardo.» annunciò Shimada entrando in palestra seguito dal resto della squadra al gran completo.

«Hai mai provato a scalare una parete?» chiese l'allenatore guardando bene la distanza fra il punto in cui si trovavano e lo spiazzo con i due fratelli della famiglia Hinata. « No signore!» esclamò colto letteralmente alla sprovvista per poi mordersi un labbro. «Allora andrò io, dovrai afferrare la bambina non appena sarà alla tua portata ma non sporgerti troppo, ci siamo compresi? » esclamò Ukai per poi scendere. Effettivamente per lui scalare quella parete sarebbe stato un gioco da ragazzi dato che le sue mani sporgevano oltre  la sua altezza. Il problema era scalarla con Hinata privo di sensi, a quello avrebbe pensato dopo. Prese Natsu sulle spalle in modo che i suoi piedi avessero potuto usare il suo corpo come appoggio e renderla più alta facilitando il compito al ragazzo. Dopodiché si avvicinò a Hinata, il quale giaceva a terra privo di sensi ma come aveva constatato anche Natsu sembrava star bene. Il battito era normale, il respiro pure, di sangue non vi era alcuna traccia. Molto probabilmente doveva aver battuto la testa ma quelle erano supposizioni che poi i medici avrebbero confermato. Kageyama afferrò il coach aiutandolo nell'impresa di salire con quel peso morto sulle spalle mentre in lontananza si udirono le sirene di un ambulanza.

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