Persi nel tempo
Persi nel tempo, 31. 07. 21, disponibile anche in "Riflessioni a tempo perso", sul profilo di DeepVersum .
Granello su granello, nella clessidra: eccolo, il tempo. Secondi, minuti, ore, giorni, anni, tutta una vita. Sembra una riserva infinita, prolissa, a volte. Ma, alla fine, tutto questo tempo dove va? Dove lo mettiamo, con tutti quei "tanto lo faccio domani" o "un giorno cambierò"?
La verità è che ogni secondo stiamo sprecando tempo. Che ci disconnettiamo da soli dal tempo, un autosabotaggio ininterrotto. È tutto un circolo vizioso che non si fermerà mai.
E allora? E allora andiamo avanti, ci arrabbiano con le persone a cui vogliamo più bene, non mostriamo interesse alla persona che ci piace, ci nascondiamo dietro pensieri mai detti ad alta voce.
Abbiamo paura. Tanta paura. E siamo terribilmente vigliacchi, siamo dei codardi paurosi. Eppure continuiamo a non dirlo, a fingere: attori del teatro di noi stessi. Illusi.
Abbiamo paura della vita? Non esattamente: "solo" del suo scorrimento, "solo" di questa disconnessione. E di nuovo si ritorna al punto di partenza, buffo, no?
Alla fine il tempo è un cerchio in continuo movimento, fatto di anelli, di avvenimenti che si susseguono, interminabili.
E noi siamo qua, persi in questo cerchio. Persi nel tempo stesso. Persi nel nulla e nel tutto. A fare cosa non lo sappiamo neppure noi.
Ma siamo qua, in attesa. Per tutto.
E perché aspettiamo? Perché non agiamo? Perché abbiamo paura; perché ci stiamo disconnettendo.
Rinchiusi in loop, nella nostra stessa vita, nei nostri tempi, ma non vogliamo neppure cambiare. Ci disconnettiamo lo stesso, non ci importa più delle piccole cose.
Intrappolati nella fretta, nel mondo, in tutto quello che ci succede. Perdiamo interesse? Non del tutto. Non molliamo mai davvero, ma neppure facciamo sempre del nostro meglio.
È questa la natura dell'essere umano, forse. Essere perso nel tempo, fluttuarci dentro come un'ameba, senza curarsi di nulla fino in fondo. Senza mai dire la propria, con una paura appiccicata addosso di essere etichettati come "diversi" o "strani". Quindi restiamo muti di fronte a cose che dentro ci causano un terremoto. Magari ogni tanto ci pensiamo, persino: "Ma non voglio davvero alzarmi gridare? Non voglio davvero intervenire? Ma... se gli altri non lo volessero?"
Anche se sappiamo già che diamo sempre la colpa è sempre degli altri, persino quando riguarda il tempo: "Saresti dovuto arrivare prima, ora siamo in ritardo!" o "È tutta colpa tua!".
E quindi rimaniamo bloccati in cerca di scuse, arrampicandosi sugli specchi. Sgraniamo gli occhi solo quando vediamo quel riflesso di noi che non ci piace.
E in tutto questo il cerchio continua, gli anelli si aggiungono. Quelli del presente acquistano un'importanza fondamentale, come quelli del futuro per alcuni, mentre spesso quelli del passato quasi si assottigliano.
Ma oggi io voglio davvero gridare. Oggi voglio farmi sentire. Oggi voglio spezzare gli anelli, oggi voglio vivere i minuti, non i giorni. Oggi non voglio avere paura. Oggi voglio essere me.
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