Capitolo 4
Quella mattina sentivo i rumori a cui, ormai, ero abituata, sedie che si spostavano, acqua che scorreva, porte che si aprivano e richiudevano cautamente, passi che cercavano di essere delicati, ma che non ci riuscivano. E come l'inizio di ogni giornata, la mie palpebre erano pesanti e non avevano alcuna intenzione di schiudersi, ma i miei occhi erano ansiosi di vedere. Con lentezza mi alzai e, con gli occhi semiaperti, mi diressi verso il bagno. Sciacquai il viso, e lo asciugai, quindi alzai lo sguardo verso lo specchio, e per la prima volta da quando mi ero svegliata cominciai a capire perché mi sentivo così strana.
Il mascara era tutto colato, come se avessi pianto per tutta la notte fino ad addormentarmi, i capelli scombinati e gli occhi ancora leggermente rossi. Ricordando che la sera prima ero andata a festeggiare il mio compleanno al Dreamlike, cominciai a rievocare dalla mia memoria quello che era successo. L'incontro con Jeremy, il ballo con Noah, l'inseguimento di Tyler e la conversazione con lui, il divertimento con Paige, la devastazione che si era creata dentro di me vedendo Jeremy baciare Kelly, e la tensione quando ero risalita in macchina all'arrivo di Mike.
Era stata una serata piena di inconvenienti e sbalordimenti, troppe emozioni per una sola sera, infatti, alla fine non ero riuscita a reggerle tutte, avevo avuto bisogno di sfogarmi, ecco spiegato il pianto e l'agitazione quando ero crollata sul letto.
Senza avere una precisa idea di quello che avrei dovuto fare, scesi al piano di sotto, e mi diressi verso la cucina. I miei, come ogni mattina, stavano preparando la colazione tra battute e scherzi, erano sereni. Mike non era ancora lì, probabilmente aveva tardato ad alzarsi.
Se ripensavo a quello che era successo la sera prima non riuscivo a capire quale sarebbe stata la cosa migliore da fare. E se le parole di Tyler, sempre ammesso che questo è il suo vero nome, sono vere? E se la mia famiglia fino ad oggi ha continuato a mentirmi spudoratamente, dovrei restare con loro o andarmene? E se invece Tyler si è inventato tutto?
Non volevo assolutamente rischiare di accusare la persona sbagliata, ma allo stesso tempo dovevo scoprire quel'era la verità. Cominciai a ripensare al modo insolito in cui si era comportata la mia famiglia nell'ultimo periodo. Le parole di mia madre mi fecero riflettere aveva ammesso di avere paura della mia reazione, ma io non potevo comunque sapere a cosa si stesse riferendo. Iniziai a pensare che in realtà i miei potevano anche solo mettermi in guardia da Tyler. Insomma se il segreto che mi stavano nascondendo, perché ormai ero sicura che mi stessero mentendo su qualcosa, riguardava proprio Tyler, nessuno poteva garantire che fosse lui quello che diceva la verità. Magari poteva anche darsi che si fosse inventato tutto.
Alla fine decisi che io non avrei detto niente finché qualcuno non si fosse deciso a vuotare il sacco, perché se i miei mi volevano davvero bene mi avrebbero di certo detto la verità.
Solo una cosa era ormai chiara, io ero divisa in due, una parte di me sperava che le parole di Tyler fossero vere, perché desideravo poter fuggire dalla mia vita, ma l'altra voleva che fossero solo menzogne, perché speravo che a mentirmi non fossero state le persone a cui più tenevo.
-Buon giorno tesoro,- mia madre mi colse nel bel mezzo dei miei pensieri, -cosa fai lì in piedi e immobile?-
Io non mi ero nemmeno accorta di essere rimasta a guardare la scena da lontano mentre i miei pensieri si facevano largo nella mia testa. -Niente mamma, riflettevo.-
-E su cosa se posso chiederlo?- Quando mio padre si intrometteva in quel modo, e aveva quel tono, voleva dire che era in una fase iperprotettiva che adottava perché credeva stessi per parlare di ragazzi.
-Lasciala stare, Tim, non penso che sia come credi tu, perché tu pensi sempre in modo negativo?- Mia madre, invece, cercava sempre di difendermi come poteva.
-Non credo che i suoi pensieri possano essere definiti negativi, mamma.- Ed ecco arrivato anche Mike, che prendeva le difese di papà, ma solo in questi casi, perché in fondo lui si comportava nello stesso modo con me. -Papà ha solo paura che la sua piccola stia crescendo troppo in fretta, non è vero?-
-Certo che è così, non esiste una spiegazione più plausibile.- Papà stava sempre al gioco di Mike.
-Ma smettetela, voi maschi vi coalizzate sempre contro di noi, anche quando avete torto.- Mia madre non si lasciava convincere tanto facilmente dai loro giochi.
-Perché? Quando mai abbiamo torto?- Ed ecco la sfacciataggine di Mike, sempre lì che lo accompagnava in ogni occasione.
-Cercate sempre di farci credere che avete ragione perché non sempre è così.- Le mie parole in quel momento sembravano così vere, come se nulla fosse accaduto, come se quello fosse un giorno qualunque.
La conversazione durò ancora per molto, anche quando cominciammo a mangiare non diede segno di terminare, e nessuno cambiava mai discorso. Era solo un susseguirsi di tesi ed antitesi a nostro o a loro favore. Scherzavamo spesso in quel modo la mattina, perché era l'unico pasto che ci permettesse di stare tutti insieme, negli altri casi c'erano il lavoro, la scuola e gli amici ad impedirci di pranzare o cenare in compagnia di tutti.
Quando però in cucina rimasi solo io, capii che aspettare non era proprio stata la scelta migliore da adottare, forse dovevo solo pensare di più a cosa fare, o forse dovevo semplicemente lasciare le cose come erano e aspettare che succedesse qualcosa. In realtà nessuna delle due possibilità mi andava a genio, non riuscivo a stare con le mani in mano, nemmeno per un altro secondo.
Improvvisamente decisi di andarne a parlare con Paige, adesso so che sarebbe stato l'errore più grande che potessi commettere, ma allora ero piccola e stupida, non conoscevo il mondo e le persone che ci vivono. Credevo che la mia migliore amica potesse aiutarmi, mi aiutava sempre in tutto, mi sentivo persa senza di lei, ma non avevo capito che in fondo anche lei era piccola e non sarebbe stata in grado di affrontare la situazione. Pensavo che mi avrebbe aiutato a capire cosa avrei dovuto fare, che reazione dovevo adottare per affrontare il problema. Non potevo immaginare quanto mi sbagliassi, non sapevo cosa mi aspettava.
Un leggero vento mi colpì e mi fece venire i brividi per qualche secondo. Alzai lo sguardo verso il cielo coperto in parte da alcune nuvole che non facevano pensare a nulla di buono. Un temporale estivo, ci mancava solo questa. Tornai a guardare davanti a me. La porta era ancora chiusa nonostante avessi suonato già da due minuti, e ancora nessuno aveva risposto, ma sapevo che c'era qualcuno, solo, magari non potevano venire ad aprire subito.
Comunque non dovetti attendere ancora per molto. La madre di Paige era più alta di solo quando metteva tacchi, normalmente comunque era quasi della mia stessa altezza, e non è che io fossi molto alta, e neanche adesso la mia altezza è cambiata di molto. In quel momento comunque era alla mia stessa altezza, portava delle scarpe di ginnastica più rialzate del normale, e c'era un motivo se le aveva messa. -Oh, Sarah. Non sapevo che dovessi venire.- Mi disse lei con la sua solita dolce voce.
-Infatti non era previsto. Comunque le dispiacerebbe chiamarmi Paige? Avrei bisogno urgente di parlare con lei.- Risposi io cercando di nascondere la preoccupazione che avevo anche solo nel pensare a quello che avrei dovuto dirle.
-Qualcosa non va? Posso aiutarti in qualche modo, cara?- Mi chiese comprensiva.
-No, la ringrazio, è molto gentile, ma ho solo bisogno di parlare con Paige.- Dissi cercando di essere più decisa che potessi.
-Oh, allora mi dispiace. Non è in casa al momento,- vedendo la mia espressione sconvolta continuò, -ma dovrebbe tornare a momenti, se vuoi puoi salire e aspettarla nella sua camera.-
La proposta non era proprio quello che mi serviva, ma dovevo pur accontentarmi. -Grazie, davvero. È gentilissima.-
-Ma di nulla, prego entra. Conosci già la strada, io stavo andando a fare la spesa, allora ci vediamo dopo.- Quando la madre di Paige chiuse la porta dietro di se, mi ritrovai da sola nell'ingresso della casa di Paige. Diciamo che ci ero abituata, cioè ero abituata a quell'ambiente, non a stare da sola a casa sua ad aspettarla, anche se non era proprio la prima volta che capitava una cosa del genere. I suoi fratelli se non sbaglio erano all'allenamento di calcetto con il padre, mi chiedevo solo dove si fosse cacciata lei. Non mi aveva detto che aveva qualcosa da fare. Non che io sapessi ogni suo programma e ogni suo spostamento, ma questa cosa mi sembrava un po' strana, non potevo certo immaginare cosa ci fosse dietro.
Salii le scale che erano poco più a destra rispetto alla mia posizione, quando mi ritrovai al primo piano, percorsi il lungo corridoio fino all'ultima porta e girai la maniglia.
La camera di Paige era come sempre, luminosa, pulita e ordinatissima. L'esatto opposto della mia. Ogni volta che facevo questo pensiero una risata mi scappava, perché ripensavo a quella volta che mia madre non voleva farmi uscire se non davo una sistemata alla mia camera, che per precisare era un disastro, e Paige mi diede una mano, anzi fece praticamente tutto lei. Come faceva ad essere così ordinata e precisa in ogni singolo aspetto della sua vita non l'ho mai capito.
Gironzolai per qualche minuto. Camminare in quello spazio che per me era tanto familiare mi faceva sentire bene. Questa emozione però non durò molto, perché nel giro di pochi altri minuti mi resi conto di aver fatto un errore madornale, non potevo confidarmi a Paige, non questa volta, non avrebbe capito, la nostra vita era così diversa.
Ormai, però ero lì, e sua madre le avrebbe detto che ero passata, dovevo trovare un'alternativa. Forse il problema era solo che non avevo il coraggio di parlarle di persona non in questo caso, era una cosa che al solo dirla ad alta voce mi sarei accorta di quanto fosse vera e terribile e allora tutto il mondo mi sarebbe crollato addosso. Così mi venne un idea. Mi avvicinai alla sua scrivania, presi un foglio dalla stampante e una penna delle sue che era lì vicino e cominciai a scrivere una lettera.
Le dissi che averla al mio fianco in tutto questo tempo era stata la cosa più bella che potesse mai capitarmi, che senza di lei non sarei mai diventata quella che ero e che era una ragazza davvero unica. Poi le raccontai gli eventi della sera scorsa. Tutte le mie paure e tutti i pensieri che avevo fatto mentre parlavo con Tyler,e i sentimenti che avevo provato quando avevo parlato con lui. E le dissi addio.
Solo in quel momento, scrivendo quella lettera, mi resi conto di quello che stavo facendo, della decisione che avevo preso incoscientemente. Tutto fu chiaro, capii che quel posto non era adatto a me, che dovevo andarmene subito, da quella stanza, da quella casa e da quella città.
Mi ricordai del numero che mi aveva lasciato Tyler, allora capii cosa avrei dovuto fare.
Riposai la penna da dove l'avevo presa e lasciai il foglio sulla scrivania, avevo scritto molto, avevo tante cose da dirle, speravo solo che sarebbe riuscita a decifrarlo, la mia scrittura come tutto il resto non era moto ordinata.
Mi voltai e cominciai a fare qualche passo verso la porta per uscire, quando sentii delle voci per il corridoio, una voce femminile, che era certamente di Paige, e una maschile, che rideva, non ero del tutto sicura di riconoscerla anche se ero certa che fosse molto familiare.
Non so per quale motivo, ma non avrei dovuto farmi trovare lì, così indietreggiai, presi la lettera e la portai nell'armadio con me.
Quando la porta fu aperta, non ci fu alcun bisogno di sbirciare per scoprire che fosse il ragazzo con Paige, perché sentii la sua calda e familiare voce. Mike. Mio fratello e la mia migliore amica.
Stavano insieme e non mi hanno detto niente. Ma come avevano potuto nascondermi una cosa del genere? Non riuscivo a credere alle mie orecchie, ne ai miei occhi. Come poteva essere che le persone più care a me mi avevano mentito in quel modo? Senza contare che io sarei stata felice per loro in un'altra occasione, se non mi avessero nascosto la verità. Ero enormemente delusa dal loro comportamento, non me lo sarei mai aspettata da loro.
Mi meravigliai di quei pensieri, come potevo dire io quelle cose che avevo appena deciso di partire senza prima consultarmi con nessuno? Rigirai la lettera che avevo scritto a Paige tra le miei mani, adesso non ero più tanto sicura di dovergliela lasciare, non credevo più in tutte le cose che avevo scritto. Nel buoi in cui mi trovava riuscii a vedere una goccia cadere sulla lettera. Non mi ero nemmeno accorta che stavo piangendo, le lacrime erano arrivate silenziose e inaspettate. Feci una fatica enorme per muovermi in quello spazio angusto, ma alla fine riuscii a infilare la lettera nella tasca posteriore dei miei jeans.
Volevo andarmene da lì, ma non avevo la minima intenzione di essere scoperta.
Quando sentii il mio nome cominciai ad ascoltare meglio il discorso tra le due persone di cui più mi fidavo, che però mi avevano mentito più di tutti gli altri. -Forse è il caso di dirglielo.- Intervenne Paige. Quindi anche lei sapeva che ero stata adottata, ma come era possibile che lo sapessero tutti tranne me?
-Non te l'ho detto perché tu mi intimassi di dirle la verità, è solo che non voglio avere segreti con te piccola.- Mi rivoltai sentendo quelle parole.
-Lo so, e te ne sono molto grata. Ma non credi che stiamo già sbagliando abbastanza nascondendole la nostra storia?- Beh, almeno qualcuno se ne rendeva conto di essere nel torto, forse in fondo Paige era davvero la brava ragazza che avevo lodato nella mia lettera. Eppure questo non cambiava niente mi avevano mentito spudoratamente, senza considerare che aveva già preso la decisione di partire prima ancora di scoprire quello che mi avevano fatto. Fu in quel momento che le mie lacrime si fermarono, avevo accettato la situazione, anzi, ero quasi felice del fatto che mi avessero mentito, così sarebbe stato più facile andarmene.
-Ne sono consapevole, ma non credo che Sarah sarebbe felice di questa relazione lei ti ha sempre voluta tutta per lei..- Non ascoltai oltre, non potevo credere che Mike pensasse questo di me. Che ero possessiva. Non ricordo precisamente quanto tempo passò prima che decidessero di andarsene.
Appena chiusero la porta della stanza di Paige, contai cinque secondi e poi mi catapultai fuori da quello stretto armadio. Per un attimo mi stavo quasi dirigendo di nuovo verso la porta come se niente fosse, poi mi resi conto che non potevo uscire di lì, e una pazzia mi attraverso la testa.
Prima di quel giorno non avevo mai fatto una cosa del genere, ma quando mi accorsi di essere brava in queste cose mi pentii di non aver mai fatto un minimo di sport in quegli anni. Mi avvicinai alla finestra e la spalancai, valutai la situazione: ero al primo piano, c'erano a malapena tre metri a separarmi dal retro della casa di Paige, e lungo la parete c'erano vari tubi a cui potermi aggrappare, e proprio sotto la finestra, solo un paio di metri più in basso c'era un grande tavolo pieno di attrezzi da giardino e vasi colmi di terreno. In fondo non era una cosa così impossibile, pensai, potevo benissimo farcela.
Prima di calarmi dalla finestra, mi voltai a guardare un'ultima volta quella stanza, l'ultimo ricordo che avrei avuto di Paige non era proprio quello che mi ero immaginata mentre scrivevo la lettera, ma non potevo farci niente, non potevo cambiare il passato, ma il futuro sì.
Non so come, ma in qualche modo riuscii a calarmi da quella finestra e ad appoggiare entrambi i piedi sul tavolo ancora illesa. Scesi anche da lì e guardai la strada che avevo percorso, e in quel momento mi meravigliai di me stessa, non sapevo proprio come avevo fatto ad arrivare fino a destinazione sana e salva.
Non avevo, però, tempo di pensare a queste cose, dovevo andarmene subito da lì prima di essere scoperta. Mi diressi verso la recensione alta poco più di un metro e la scavalcai facilmente con un semplice slancio. A quel punto delle strane emozioni mi pervasero, ma non erano delle cose così belle da provare. Frustrazione, tristezza, rabbia, angoscia, disperazione, delusione e umiliazione si mescolarono dentro di me, accavallandosi l'un l'altro, non riuscivo più a capire niente.
Cominciai a correre verso la mia futura ex-casa, senza alcuna sosta, e senza segno di voler rallentare. Arrivai con il fiatone, entrai in casi e salii diretta verso la mia camera, cercai il biglietto datomi da Tyler, e appena lo trovai composi il numero. Dopo un paio di squilli sentii la sua calda voce. -Pronto?-
-Tyler, sono io, Sarah, ho riflettuto e ho deciso che voglio venire con te. Non è che potresti venire a prendermi subito?- Dissi tutto d'un fiato per non rischiare di pentirmi della scelta fatta.
-Certo, dammi dieci minuti e sono da te.- Staccai la chiamata, e comincia a cercare una borsa abbastanza grande.
Successe tutto troppo in fretta.
Infilai qualche vestito e altre cose che potevano servirmi dentro un borsa. Guardai l'orario, erano passati sette minuti, scesi di corsa le scale, evitando lo sguardo dei miei, che vedendomi con quella borsa rimasero scioccati. Sentii la loro voce chiedermi delle spiegazioni arrivare lontana e confusa fino a me. Il rumore della porta che sbattevo dietro di me, e poi più niente.
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