Capitolo I: The Heroes and the Storm (parte la V, Mariskea Nuryeva)
Capitolo I, parte la V
Navis secondar-leutenantìs mishrè Mariskea Nuryeva, in servizio a bordo della Trono di Spade
"Corvus oculum corvi non eruit, Ra.
Un corvo non becca mai gli occhi di un altro corvo."
-Citazione attribuita al Sacrissimo Dio-Imperatore del Genere Umano dalla Ta-Chronichleia Imperator-Divine, scritta dalle Yaghie di Ishtar Terra tra lo M30.Y043 e lo M30.Y072.
(Puntualizzare che la dicitura del Divino Imperatore del Genere Umano non appare sin da subito strettamente conforme alla sua equivalente in Gotico Alto è un ERETICO peccato di HVBRIS che verrà punito con l'esecuzione sommaria in fasi a partire dal linciaggio seguito dal taglio della lingua, dal taglio delle dita d'ambo le mani, dall'impiccagione e dalla fucilazione, come previsto dalla Lex Decrethalia Nvmera 1, M31.Y216, circa l'Imperiale, Divina Infallibilità e dell'Inammissibile Errore Inesistente, stilata dalla Grand Provost Marshal lady Aisha Hussena Phatimna di Hussy'q.
"La guerra è gloriosa solo per chi non l'ha mai vissuta."
-Attribuito all'Imperialìs Principe Primarch lord Roboute Guilliman, Maestro del Reame di Ultramar e signore della Legionaes Astartes degli Ultramarines.
Imperivm del Genere Umano
Ultima Segmentvm, Frangia Orientale
Nord del Reame di Ultramar, Mar Finalìs Regio
Gladius Astralìs Sector
Svb-Sector Gladius Central, Sistema stellare di Gladius
Alta orbita del Mondo-Fortezza di Gladius III
HMtGEOM-NNacARMA "Trono di Spade", Astra-Vessilla classe Dictator/Dauntless
Stellar-Anchoraghiòn "Link'Oln Hainelenn, Imperialìs Heroe"
M42.Y005, decima-septima notte del mese di martes.
«Qui a farvi compagnia per il tempo dell'ultima canzone della serata è il vostro fedele Vox-Strìm Galactica Limees, Gladivs Victores!» Gracchiò l'inter-vox della cabina-elevatores, picchiandole nelle orecchie un bizzarro accento gladiano tondo ed energico.
Per quanto era strano ammetterlo la sua distanza dai toni dei militarìs con cui aveva parlato era piacevole.
Non riusciva a puntualizzarne il motivo, ponendo il caso che ve ne fosse uno in particolare: poteva essere la differenza, poteva essere la distanza dalle parlate che aveva sentito fino ad allora, forse era quel tono, in sé e per sé, a piacerle.
Dando uno scossone al pavimento zigrinato, la trasmissione maglev dell'elevatores principiò la sua ascesa verso il ponte superiore.
Quattro settimane di mag-lev anchor gettata a Link'Oln Heinelenn, rifletté spostando il peso da un piede all'altro, nervosa per l'attesa e l'evento incombente, avrebbero stancato chiunque del classico, ingrigito abbaiare gladiano.
Lo avevano al naturale oppure si sforzavano? Magari era la seconda e, ancor più magari, lo facevano per essere compresi da tutti.
Affibbiare a loro la colpa d'ogni stortura, bruttura e squallore laggiù nella Frangia Orientale era sbagliato perché, dopotutto, ci stavano e l'abitavano anche i garoniani e gli ultramarini, ma una cosa sicura come le tuniche d'oro dell'Imperatore-Dio era che quel luogo non era affatto il Segmentvm Solar.
Neanche un po'.
All'alba della partenza da Castel Hessan-Lahn, circa quindici mesi prima di quel giorno che scivolava alla sua conclusione, Mariskea aveva immaginato la Frangia Orientale come un luogo più accostabile alla fantasia che alla pratica realtà. Il distante, finale bordo dell'Imperivm, dove il Pharòs della Speranza sfumava nel vuoto cosmico che precedeva la silente oscurità del nulla tra le galassie.
Pharòs della Speranza.
Quella dicitura l'aveva sentita per bocca di lord Callum Peregrine-Laokrìd, il navigator della Trono di Spade, la prima volta che, sotto cordiale ordine del lord ammiraglio, aveva acceduto con gli altri secondar-leutenantìs al Naos Strategivm della nave. Per divina grazia non aveva avuto la sfortuna di vedere chi aveva parlato, la cui voce era discesa da un monitor.
Se fosse dipeso da lei, avrebbe volentieri continuato ad ignorare l'aspetto e le fattezze di quel signore delle correnti dell'Astronomican.
Mariskea ringraziava con gratitudine il fatto che non le era permesso posare i suoi occhi su di lui senza che egli, per primo, non volesse mostrarsi al resto della nave attraverso i monitores: da ciò che ella sapeva, soltanto il lord ammiraglio aveva la facoltà d'instaurare a sua discrezione un'unione vox-video con il minarat di lord Peregrine-Laokrid e, ancora di più, soltanto l'Over-Lord o l'Over-Lady gli erano signori feudali.
Si distanziò da quel pensiero e cercò il filo del discorso, ascoltando distrattamente l'ascensore che guadagnava piani, andando incontro al castello di poppa.
Nella sua mente, almeno fino alla prima visione d'una charta astralìs specificatamente inerente alla regione, l'intera Frangia era stata un vasto, ma sregolato quadro a quattro sezioni con Gladius e Garon confinanti, i malvagi T'au opposti in sommità verso nord-est e poi Ultramar, ampio e blu, disteso su cinquecento stelle alle spalle dei primi due.
La verità distesa davanti a lei su di una tavola aveva denotato lievi differenze. Sarebbero state soltanto delle minuzie, certo e giustamente, se solo non l'avessero fatta vergognare della sua ignoranza.
Si era resa conto di non sapere molte cose. Gli altri secondar-leutenantìs avevano provato quella stessa sensazione? E i mid-navìs juniores?
L'idea che i ragazzini fossero più istruiti di lei era insopportabile. Il solo pensiero le infieriva nel petto, pungolandola. Non sapevano di più, vero? Sarebbe stato assurdo e, per la buona pace del Dio-Imperatore, intollerabile e probabilmente eretico.
I gradi non esistevano per essere appuntati e basta!
Gladius e Garon non confinavano nemmeno per un filo di gonna. Al contrario, i due si trovavano opposti e su diversi paralleli. Ultramar li separava con molta profondità, ma la cosa divertente era che lo faceva quasi senza accorgersene, estendendo tra di loro un braccio del proprio vasto, obeso dominio.
Il Reame dei Cinquecento Mondi andava diradando verso il nulla man mano che, da centro radiale, ci si spingeva verso est-nord-est, dove un sparpagliato, indeciso agglomerato di stelle marcava tanto la zone della Frontierlantha quanto l'inizio dell'Impero T'au.
Sulle charte astralìs, Gladius appariva come uno dei Sectores più piccoli che lei avesse mai visto, contratto come un insetto con il guscio. Garon si spandeva con la forma d'una pozzanghera fatta tutta storta, calando incontro alle regioni che quasi potevano guardare in punta di piedi l'assoluto termine non solo dell'Astronomican, ma dell'intera Galassia.
Al suo sud-ovest, la Tyrannichea Desolationae era sbarrata dai simboli della Santa Inquisizione Imperiale, mentre il suo sud-est scivolava nel Dominivm dei Cavalieri di Caehm Castrvm.
Ricordò un dettaglio della mappa e le venne da ridere: al di là di Caehm Castrvm Primarys, astral-barda nell'interno della Nebulae di Birsìr', sovraimpressa su cinque mondi abbandonati, nominati come Yià-Thìa da I a V, una dicitura riferita ad una nota con firma a piè di pagina affermava che "... in hoc mvndvses, Tithes Aptvs-Non et Decadvti Ex Civilization Imperial, mayhaps drachores laith-est!"
Su questi mondi potrebbero esserci dei draghi.
Era un floreale modo che l'Officio Cartographikae aveva di premettere che, tanto in merito a quei sassi oltre-Astronomican quanto alla curiosa linea curva che formavano, non sapeva niente di niente ed era saggio non chiedere.
Se lo dicevano loro, ci doveva essere una ragione, no?
«Proiettandola come sempre fiancvs-mvndvs in imperiale definitio, eccovi il nostro saluto per questa notte! Godetevi un pezzo sempreverde di Enrian-Iohannes T'Dahnver!»
Un motivetto d'elettro-bassi e lunghi avto-liutei fluì dalla cassa dell'intervox, in sottofondo alla voce dell'annunciatore: «Direttamente da Virgos-F7A6 Thesbeda di Claymoria Atalantika! »
Mariskea incrociò le braccia, premendo contro la rigidità delle maniche e del panciotto dell'alta uniforme di rappresentanza. Dopo un paio di volte che ci si ritrovava ad ascoltarla, quella chansonetta allegra non era in sé troppo malvagia.
Se aveva un pregio, era la sua leggerezza. Le lyriches del testo non declamavano versi pericolosi o da additare come nemici dell'ordine giornaliero, anzi; era la concettuale richiesta, fatta da una voce d'uomo alla sua terra, il suo era un tono caldo e vibrante, di riportarlo da dove era venuto.
A casa.
Dovendo essere completamente onesta, quello non era affatto un brutto messaggio. La faceva pensare alla sua casa, in Kar-Dànn Eughena. Una bella città di mare e con gli occhi alle stelle, fornita di molti porti e di grandi atmòs-anchoraghiòn.
Lei non dormiva mai, anzi era sempre laboriosa sulle chiglie delle navi da varare perché incrociassero lungo le correnti degli oceani di Armageddon Polaris V, oppure all'opera lungo gli scafi delle astra-vessilae.
Un'immagine cara della sua città natale era quando al tramonto il quotidiano traffico aereo, scivolando al di sotto delle nubi, dettava ombre veloci sui pinnacoli dell'Arch-Cattedral degli Eroi, oscurando i torrioni del Palazzo degli Over-Duchi Eughenian e allungando dita scure sui bastioni dell'Akropoelìs-Castrvm di Kar-Dànn.
La guardia cittadina smontava dal turno diurno, l'aria sapeva di pesce e spuma d'acqua di mare mentre dal cielo cadevano strali d'incenso e residuali, pungenti aromi di plasma e promethivm esausti, lasciati dalle navis in movimento nel cielo.
Prima dell'imbrunire, i cannoni dell'Akropoelìs esplodevano una singola, ritmata salva d'artiglieria fissa verso il golfo, al di là della costa interna. Quella salva era l'annuncio che un'altra giornata era finita.
Ora, come ricordava detto dalla sua maestra alla scholam, si poteva pregare perché l'Imperatore-Dio e tutti i suoi Santi portassero l'alba.
Non l'ultima del continente o del pianeta, preferibilmente.
Alla sesta volta che capitava quella canzone in eter-trasmissione, pensò la donna guardando la cassa ottonata dell'intervox, però diventava più che legittimo chiedersi se i gladiani avessero qualcos'altro in magazzino!
Ce l'avevano, vero?
Un pezzo dei Sabathon di Sabath, magari! Uno qualsiasi! Era chiedere tanto?
Il sottufficiale si rassegnò all'ascolto, soffiando tra i denti la sua noia. Appoggiò la nuca al rivestimento a pannelli della cabina, tutto in lucido ottone freddo come un blocco di ghiaccio.
Concentrandosi ad occhi chiusi, sentiva le trazioni dell'impianto elevatores che scorrevano incontro alle massime ascese del castello di poppa. Spinte forte e regolari, con un proprio ritmo. Un tecno-prete avrebbe potuto dire molto di più, quello era certo, ma aveva maturato una sua privata scintilla di familiarità con la nave e i suoi ambienti.
Forte dei suoi cinque chilometri e settecento-ottantuno metri di lunghezza dal fondo dei conici plasma-reactores alla testa d'aquila della prua, la Trono di Spade ospitava un complesso, radiale sistema cardio-vascolare di maglev-viae, elevatores, mono-rayl e fionde magnetiche inter-segmento.
Senza di loro, attraversare certi rettangoli della 'Trono avrebbe richiesto ore. Giorni interi per transitare lungo i ponti mediani, laddove le fila della macro-artiglieria di bordata avevano base.
Una volta aveva provato a passeggiare dalla poppa fino all'inizio delle postazioni di mezzanave, cominciando nel primissimo mattino con un tascapane e una catasta-charta per potersi orientare nel dedalo di passaggi telescopici, cunicoli e transiti.
Dieci ore dopo, seguendo le indicazioni della 'charta, Mariskea era emersa più vicina a dov'era partita che dove aveva voluto andare, in mezzo ad una folla di manvtentores e sporchi ratinghaes, i loro volti pallidi e sconosciuti provenienti da un qualche dimenticabile, buio angolo della nave.
Un posto del quale riteneva fosse meglio non chiedere troppo in giro.
«Qvasi Terran Caelvm, ! Hyacinthe monses, hoc Sheen Amnis, roche aqve libere! Colonikea vita est senexa in-hìres, senior quam thae arbores...»
Inspirò cercando qualche grammo di sopportazione con cui contrastare il fastidio che sentiva alle tempie, sentendo sul palato il sapore stantio e crudo dell'aria riciclata. Settima volta. Settimo ascolto.
Settima immensa, ripetuta scocciatura. Tamburellò contro il pavimento, sentendo il pavimento rintoccare i suoi colpi addosso alle pareti. Come aveva iniziato, così smise.
Avrebbe rovinato le scarpe dell'uniforme di rappresentanza. L'Imperatore-Dio sapeva in cuor Suo quanto la odiava, quelle calzature erano basse e signorili contro la durezza e la stolida corteccia degli stivali d'ordinanza, però non stava a lei decidere quando vestirla e quando liberarsene.
Gli ordini del vecchio lord-ammiraglio erano chiari. Inderogabili. Tutto per uno stronzo eccentrico e la sua cricca di pantaloni pagatissimi.
Augurando in silenzio a quel corsaro signore di commerci di valere almeno la metà di quello che dicevano di lui, Nuryeva alzò gli occhi incontro al monitores innestato sopra alle ante di destra, dentro una cornice di obsivorio che ad occhio le sembrava originario di Vik'chton. Il contatore teneva il passo, segnando con noiosa monotonia i piani che superava nel mentre della sua super-sonica crociera.
La vetta era ancora lontana, purtroppo.
«Ivniorem qvam thae monses, evsqae gro-wuei-ntìs in veritas somigliantia ac unam amnis...» Lontano, immerso nella realtà della sua chansonetta, il cantore gustò un proprio sospiro. Un verso caldo, a modo suo piacevole.
Lasciava intendere bene quanto egli amasse la terra di cui litaniava e come cantarne lo facesse sentire bene, con buona pace di chi doveva sopportarlo. « Ad placem familiar, miei! Ovesta Virgos Lantham! Mater monsam, condvxit me in patria meam! Terra avtoviae-Bahn...»
Stretto l'incrocio delle braccia, Mariskea seguì la narrazione della cornice. La giovane sottufficiale era tornata a tamburellare con il piede, seguendo il ritmo dettato dagli strumenti. Si sciolse in un ondeggio storto e un po' goffo, inseguendo il fluttuare della canzone.
«My-meam mneomosyme, sunt in merra gatheringatione, in testvda, circum sheia!» Colpì i pannelli alle sue spalle con un ancheggio e schioccò la lingua. «Pvdikae ancilla, Esterna ac aqve marinera. Obscvria et al-dastìs, picto-dipintra vnto hyacintha caela!»
Mariskea schioccò le dita, cominciando da quelle della sinistra. La cabina continuava a salire, lenta al traino delle trasmissioni maglev. «Caliginosvs gvsto in 'grapeis!» Canticchiò chiudendo gli occhi per seguire meglio l'andamento della musica. «In miei ocvla lacrymosa nostoìa! Condvxìt me in patria meam, Terra Avtoviae-Bahn!»
Coordinando le dita alla lingua era arrivata a pareggiare con la canzone, allineata al suo proseguimento.
Ancora sospesa nelle celebrate realtà di Ovesta Virgos Lantham, Nuryeva sentì un sussulto salire dal pavimento. Non era niente di che. Lo licenziò, dedicata al ritmo. Dopo un momento un sospetto le grattò la nuca portandola ad aprire gli occhi. Trovandosi davanti all'imboccatura di un transito telescopico, occhio-ad-occhio con una manciata di tempestvs-marinerìs.
Uno di loro si schiarì la gola con un colpo di tosse. Umettandosi a bocca chiusa i denti con la lingua, Mariskea squadrò il gruppetto, indecisa. Lentamente entrarono nella cabina, prendendo posto contro le pareti, tutt'attorno a lei.
Le ante si chiusero, sospirando un verso di mag-blocchi.
«Se dite una parola, vi ammazzo nel sonno.»
Altri finti colpi di tosse, risposte imbarazzate al suo stesso sorpreso impaccio. Non erano del tutto degli sconosciuti, con alcuni aveva già parlato in passato. Potevano prenderla sul serio oppure divertirsi, come gli sganassoni che erano, a spargere la voce in giro.
Poi una di loro, il suo nome era Mathelda, si tolse il basco azzurro dalla testa e lo cacciò nelle tasche dei calzoni da fatica.
Distintamente, Mariskesa la sentì seguire il ritmo della chansonetta. Usava le dita, schioccandole stringa dopo stringa. «Terra avtoviae-Bahn!» Esclamò. Gli altri presenti risero. Uno alla volta si unirono a lei, stonati e divertiti, soverchiando l'inter-vox. «Condvxìt me in patria meam, Terra avtoviae-Bahn! Ac lides o' mea appartenentìam, Ovesta Virgos Lantham!»
«Va bene, Mathelda. Piantala» ordinò il sergente veteran-maggiore Kromvell. «Abbiamo capito che hai la gola dell'usignolo.»
Accusando l'ordine, la marinerìs si astenne dal canticchiare ancora. Mariskea usò la scusa per ricomporsi, defilata nel ristretto spazio della cabina rispetto ai nuovi arrivati. Uno di loro prese la parola, rompendo un breve silenzio d'imbarazzo.
«È un detto di voi di Chosin Duem, signore?»
«Eh, ci piace citare la natura. Almeno noi il mondo-capitale possiamo guardarlo se alziamo la testa. Quelli come lei hanno un muro d'acciaio, se va bene.»
«Signore, questo è un colpo basso.»
«Così impari ad aprir bocca, Granthem» scandì il sergente. Si colpì la fronte con l'indice e il medio della destra, uniti in un cenno che Mariskea non riconobbe come familiare. «La prossima volta lei terrà chiuso il becco. Una risoluzione brillante, no?»
«Sì, signore...»
Scrollatosi dalla parete centrale della cabina, Kromvell si piantò le mani sul fianco. «E comunque l'imperialìs nomenclatura precisa è Chosin Secvndvs, non Duem! Tempestvs-marinerìs Granthem, sei consegnato per una settimana.»
«Sì, signore...» borbottò la vittima. «Non cambia un cazzo, però...»
«Cambia tantissimo» imprecò il sottufficiale. Aveva perduto l'occhio sinistro durante la Terza Guerra di Armageddon, stando alle storie che aveva sentito raccontare in giro per le affollate sale di quella grande Astra-Vessilla da combattimento.
Una raffica dei calibri pesanti imbracciati dagli orki pelle-verde aveva sbrecciato l'angolo dietro al quale lui aveva trovato riparo, accelerando una folata di schegge e frantumi contro il suo viso. L'occhio era stato lacerato, attraversato in diagonale ascendente dalle schegge.
Quando era uscito dal Navis-Medicae della Trono, un paio di giorni dopo, l'aveva fatto con un occhio bionico che si presentava come una singola lente cremisi.
«Debbo ricordarle l'onore e il prestigio dell'Astra Militarvm dell'Over-Archia di Armageddon e l'integrità morale di questa benedetta nave da guerra?»
Alcune vecchie anime di bordo dicevano che Kromvell aveva visto persone come lord Sebastian Yarrick e lo stesso Over-Lord, ma Mariskea non aveva ragione di crederci.
O di dubitarne, al contempo. Se quella vicenda manteneva alto il morale della fanteria di marina stazionata a bordo, perché sgonfiarla?
«Sergente-maggiore», lo apostrofò guardandolo dritto nell'occhio sano. Era maleducato fissare troppo le protesi, tranne quando i loro portatori ci tenevano a sfoggiarle. «La sento pieno di verve.»
«Bisogna esserlo, sehr» rispose lui, toccandosi la fronte con un brevissimo accenno di saluto militare. Era una presa in giro? Le sembrava una presa in giro. Di risposta scoccò un cenno alle paratie della cabina, che saliva autonomamente. «È pronto a combattere questi T'au?»
L'uomo di mezz'età non tardò a prendere la domanda con un assenso del capo. Incrociò le mani dietro la schiena, sporgendo il petto in fuori. I bottoni della sua uniforme, una BTS in due pezzi dall'uniforme colore blu scuro bordato con due righe di rosso e giallo così scuro da sembrare oro, erano lucidi come da regolamento e catturavano i riflessi dei lampadari da pareti. Portavano inciso a las-punta, alternandosi con ordine, lo stemma della Trono di Spade e della Bellvm-Flotta Armageddon Stellarìs II.
«Se sono pronto? Certo che lo sono. Orki, eliksni, t'au... quello che l'Imperatore-Dio passa alla nave, a me va bene. Alla fine, Sua Maestà l'Over-Lord, Lui sul Trono lo protegga, ci paga per uccidere quello che ci dice di uccidere e noi facciamo questo.»
«Una replica puntuale, da pandectae.»
«Sa» Kromvell allentò la stretta del suo attenti. «Quando si capisce la lingua universale tutto diventa semplice, quadrato, pratico e buono.»
Mariskea non glielo diede a vedere, ma era certa d'avere già sentito da qualche parte quel modo di dire. Uno spartitvm-novitaris pubblicitario, forse? «La lingua universale, eh? Questa devo annotarla. Le dispiace se la riuso per me?»
«Nient'affatto! È una maniera, penso, molto accademica per dire di ucciderli tutti e lasciare ai loro eretici falsi dei il compito di riconoscerli.»
«In effetti, ha un tintinno migliore di uccidiamoli tutti...»
«Già!» Puntualizzò il sergente-maggiore. «Questi gladiani non hanno una sola stilla di stile in vena. Neanche una, nemmeno a pagarla con un sacco di vermigli pieno-pieno.»
Sicuro-sicuro, pieno-pieno e certo-certamente erano alcuni degli strani modi di dire di quel sottufficiale. Era la sua natura di agro-abitante a farglieli usare?
«Penso che valga la pena ammettere che ognuno ha i suoi gusti.»
«Io non vedo l'ora di trovare qualche bella lady t'au», commentò Cristoph appoggiandosi con le spalle alla cabina. «Un paio d'ore in corpo a corpo con me, ve lo assicuro eh, poi ameranno l'Imperatore-Dio.»
Il sergente aggrottò la fronte, ma si astenne dal commentare l'eresia pronunciata dal suo sottoposto, decisione della quale Mariskea si scoprì molto grave. Il pensiero di una...
Un incontro carnale tra...
Una...
Tutto ciò è disgustoso.
«A proposito di gusti, secondar-leutenantìs!»
«Dica, sergente!»
«Non vedo la sua amica elysiana a bordo, oggi» esordì con un'espressione affabile stampata sul viso. Che cosa voleva premettere con quel a proposito? «Il maggiore, intendo. Sa dov'è?»
«Non sono la sua secretariat» rise Mariskea, considerando la domanda del sottufficiale come una stilettata in simpatia e null'altro. «Né sua madre, ma se non erro è scesa sul pianeta per compiti riferiti al suo battaglione. Perché me lo chiede?»
«Interesse per la lady bruna!»
Ah, ecco l'altare. «Vuole un consiglio? Non è il suo tipo.» Stando ferma a guardare il suo interlocutore, Mariskea considerò a quanti passi lui si trovava dallo sforare. Certo, sarebbe stata un'infrazione diversa da quella del suo sottoposto, ma pur sempre una piccola vendetta...
«È un tulipano?» chiese l'ufficiale, onestamente sorpreso. «Phark. Speravo non lo fosse. Perché pesco sempre i tulipani?»
Non l'aveva chiesto con animo maligno, dunque. Tanto meglio così! «Sa che non ne ho idea? Perché non glielo chiede, se ci tiene a saperlo?»
«No, penso si offenderebbe. Se lo è, mi dispiace per lei, cioè per me. Lei, presumo, sarà contenta con la tortina di pesce.»
Ah-ah-ah. «Termine suo o l'ha sentito in giro?»
«Delle mie parti.»
«È quel genere di cose che si dicono tra belle cugine?»
«Signore, questo era un colpo basso» commentò lui, ridacchiando della battuta ai suoi danni. «E comunque non ci sposiamo tra cugini! Quello lo fanno su Arrini o su Hyrule.»
«Io pensavo che su Hyrule si sposassero le rocce...»
«Mathelda, anche lei è consegnata per una settimana.»
«Ma porca puttana!» esclamò la marinerìs. «Tutto per colpa d'uno stupido agro-sasso!»
L'ascesa della cabina s'interruppe, precedendo lo scorrere delle ante nel muro. Mariskea scavalcò la soglia e principiò a calcare il corridoio, lieta d'essere arrivata a destinazione. «È stata una bella conversazione, sergente-maggiore. Torni pure ai suoi compiti.»
Kromvell bloccò le ante e le superò, facendola fermare. Che cosa stava facendo, adesso?
«Cristoph!» l'idiota si mise sull'attenti, pronto ad ubbidire.
Indicandogli il corridoio, Kromvell si schiarì la gola: «Marinerìs-Guardia, scorti il secondar-leutenantìs. Rispetti l'etichetta.»
Strettosi nelle spalle, il giovane uscì dall'ascensore. Sul punto di ribattere a quel dubbio onore, Mariskea lo guardò passarsi una mano tra i corti capelli, tinti d'uno sporco castano scuro.
«Come comanda lei, sergente-maggiore. Accompagno il tenent...»
Il tuono della pistola rimbombò contro le colonne dell'atrivm, facendosi udire quasi un momento dopo che il cranio dell'idiota era esploso come un pallone riempito con troppa acqua. Stramazzato a terra, il cadavere di Cristoph allargò a partire dalla testa, incavata sulla faccia e semi-sciolta, una polla di sangue e bollita materia cerebrale.
«Schifoso xenophile», schioccò Kromvell. «Mathelda, chiama qualche inserviente perché si sbarazzino del cadavere e puliscano. Non voglio che il lord ammiraglio mi scagli fuori dalla nave perché gli ospiti hanno visto un sacco di vermi davanti a loro!»
«Allora dovremo agire tempestivamente», annuì Nuryeva. «Usate i miei codexesper...»
«No, no: lei vada pure. Ci pensiamo noi a questo idiota. Voleva inquinare il nostro DNA con quello di qualche aliena, ma si rende conto?!»
Terra avtoviae-Bahn! Condvxìt me in patria meam, TerraAvtoviae-Bahn...
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