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1. La ballata di Bana


L'oste mi squadrò dall'alto, l'enorme pancia a un baffo dal mio naso.

– Un'altra pinta! – ordinai mostrando il boccale vuoto.

– Tre baiocchi d'argento – protestò lui allungando la mano.

Gettai una rapida occhiata in giro. La sala comune era gremita: una ventina di persone stavano gozzovigliando, tra cui spiccavano un paio di mercanti, un boscaiolo, tre spaccapietre e due soldati a fine turno. Era il momento migliore per tentare la sorte.

– Lasciami fare e ne avrai sei – dissi estraendo il flauto.

– Sapevo ch'eri un balordo!

– Lascialo, Golvio, – intervenne il boscaiolo, fortunatamente lontano dal farsi i fatti suoi – è da molto che non sento un bardo.

– E un altro tale non sentirete per altrettanto – esclamai saltando sul tavolo. – E neppure una novella di pari levatura. – Suonai un breve stornello e l'attenzione fu mia. Un inchino, un sorriso e iniziai il canto:

Codesta storia è di Bana

Che di mestier levava pene

Lo facea alzando la sottana

– Ehi, racconta senza ammorbarci con le canzonette – protestò una guardia, subito spalleggiata dalle risa degli astanti.

– Ma così vi perderete una delle migliori rime alternate nella storia della poesia epica!

– Correremo il rischio – confermò quello per tutti.

– E prosa sia, allora...


Molte professioniste dicono d'aver intrapreso il mestiere forzate dal destino. Certo Bana avrebbe potuto fare lo stesso, perché la nonna con cui era cresciuta aveva intrapreso l'antica professione a tredici anni. Oppure poiché ignorava chi fosse sua madre e l'assioma era inevitabile. O ancora perché il padre l'aveva venduta bambina a un cacciatore di taglie, senza neppure salvarsi, così, la pelle.

Ma la verità era che a Hipaloma solo il Connestabile guadagnava più di una brava meretrice. E Bana era più che brava, era la migliore. Così, durante una carriera lunga venti primavere, non era stata l'esperienza l'unica cosa che aveva accumulato.

Il Massaggio d'Oriente era diretto da Callisto solo per mera apparenza: se gli uomini avessero saputo che il bordello apparteneva a una delle ragazze la clientela si sarebbe dileguata.

Ma a Bana andava bene così: lavorava, guadagnava e spendeva i suoi soldi. Non poteva desiderare nulla di più.

O almeno così aveva creduto fino a quel dì.

Nulla lasciava presagire per quella giornata un karma diverso. Bana era impegnata con un lavoretto nuovo, un mercenario truce così martoriato di cicatrici che pareva una carta geografica. Tutto stava andando liscio e le sarebbero bastati ancora pochi gemiti per guadagnarsi i suoi tre baiocchi d'oro.

Ma un urlo di terrore spezzò l'atmosfera erotica del Massaggio d'Oriente.

Bana lasciò il mercenario solo a trastullarsi e si precipitò al piano di sotto. Nessuno poteva permettersi di fare del male alle sue ragazze.

Aprì la porta con veemenza: Melina, in piedi sul letto come mamma l'aveva stupendamente fatta, sbraitava come un'indemoniata.

«Porco, esci immediatamente!» intimò Bana all'uomo infagottato tra le lenzuola, di cui intravedeva i lunghi piedi tremanti. «Fuori!»

Fece un passo intimidatorio e da sotto il letto schizzò fuori una palla di pelo.

«Il topooo!» strillò isterica Melina.

Bana non si fece intimorire: afferrò la scopa più vicina e inseguì il roditore per tutti i corridoi del bordello.

Una, due, tre e quattro ramazzate.

L'animale stava attaccato alla vita più d'un prete ai baiocchi della questua: con una corsa zoppa ma veloce salì le scale mentre Bana restava indietro sempre un gradino di troppo.

Lo avrebbe anche lasciato vivere, non era per gli animali che conservava il suo odio, ma il topo fece un errore: entrò nella sua stanza.

E quando lo vide sul suo comò, ritto sulle zampe posteriori a fissarla con sguardo di sfida, la rabbia si fece furia.

Avanzò brandendo la scopa con violenza e, quando fu lì lì per colpire, le zampe anteriori del roditore si alzarono come in segno di resa, o in supplichevole richiesta di un ultimo istante.

Lei esitò e il topo ne approfittò per intingere le zampe nell'impasto di minio per le labbra. Poi scrisse sullo specchio. Sì, scrisse. E per un tempo molto lungo, considerando la sua natura di roditore.

Bana lo guardò allibita: «Bel tentativo amico, ma io non so leggere» esclamò caricando il colpo.

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