LIII
Juliet POV
Muovo due passi ma ho la visuale completamente bloccata dai grossi scatoloni che sto trasportando a fatica. Qualcosa si muove tra le mie caviglie e ben presto i miei piedi incespicano facendomi cadere rovinosamente faccia a terra.
"Merda!"
Gli scatoloni crollano al suolo, alcuni di questi lo fanno creando un fragore poco rassicurante.
Sicuramente ho appena rotto qualcosa.
Vengo assalita dal disgusto quando mi accorgo d'avere la guancia spiaccicata sul pavimento.
Faccio per tirarmi su, ma sento una lingua cominciare a leccarmi la faccia copiosamente.
"Che schifo!"
Quando mi isso a sedere però, un cagnolino adorabile mi sta guardando con i suoi occhioni scuri. Provo a fargli una carezza, ma questo mi si getta addosso facendomi cascare all'indietro.
«Le passi così le domeniche pomeriggio?»
Una voce maschile mi prende alla sprovvista. Quando alzo gli occhi vedo un ragazzo sul metro e novanta che mi scruta dall'alto. Porta un cappello al contrario da quale fuoriescono dei ricci castani.
«Scusami?»
«Sul pavimento del pianerottolo del palazzo» dice lui con un ghigno.
Il cane gli scodinzola tra le gambe fasciate da un paio di pantaloni della tuta, mentre il suo sguardo è di totale indifferenza.
«Sono solo inciampata» farfuglio con le guance scarlatte. Poi mi alzo massaggiandomi il ginocchio dolorante.
«Scommetto che sei una di quelle che non guarda dove mette i piedi»
"Il tuo cane mi ha fatta cadere" vorrei dirgli indicando quell'ammasso di pelo che continua a correre avanti e indietro felice come non mai.
Intanto che recupero le forchette sfuggite dagli scatoloni, mi perdo a coccolare quel batuffolo vivace, il ragazzo invece socchiude la porta alle sue spalle, indicando quella alla sua destra.
«Sei la nuova vicina?»
Annuisco e provo a farmi carico di uno degli scatoloni, mentre mi appresto al mio appartamento.
Poi però lo sento sogghignare maliziosamente, dopo aver afferrato qualcosa da per terra.
Oh no, dimmi che non sono quello che penso.
Squadra attentamente delle mutande che molto probabilmente sono fuoriuscite dallo scatolone dei miei vestiti, durante l'impatto.
«E queste ti si sono ristrette in lavatrice?» ridacchia divertito, prima di lanciarle nel cartone semi aperto dal quale sono sgusciate.
Vorrei correre a nascondermi per l'ennesima figuraccia appena fatta, ma il ragazzo mi aiuta a spalancare la porta per permettermi l'accesso. Poi lo vedo agguantare i due scatoloni rimanenti e senza dire altro, me li trasporta dentro casa.
Poso a terra quel macigno insostenibile, mentre lui con tutta la tranquillità del mondo fa lo stesso ma con il doppio del peso.
Tiro un sospiro di sollievo, il ragazzo invece mi guarda.
«Beh potresti chiedere il permesso prima di entrare in casa altrui» lo rimprovero.
«E tu potresti ringraziare, signorina mutandine microscopiche»
Lui scoppia a ridere mentre il mio viso viene attraversato da tutti i colori possibili e immaginabili.
«Ciao. E grazie»
Lo spintono via da casa mia piantando le mani nella sua schiena muscolosa, mentre lo sento continuare a ridacchiare.
🖤
L'ho fatto io, come probabilmente l'avrà fatto anche Alexander.
Trovare scuse, tutte le volte che mia madre prova a chiederci di tornare a casa per le vacanze di Natale.
Il mio nuovo appartamento è un cumulo di scatoloni colmi di vestiti, questi sono accatastati alla rinfusa qua è là, in mezzo ad oggetti ancora ricoperti dagli imballaggi e cianfrusaglie che mi appartengono, ma di cui non ricordavo nemmeno l'esistenza. Per dormire c'è solamente un piccolo materasso poggiato sul pavimento, eppure, nonostante tutto, è il mio piccolo universo, nonché l'unico posto in cui riesco a stare.
Ho dormito un paio di notti da Mini, poi ho cominciato il trasloco, pertanto non metto piede in quella casa da quando io e Alexander abbiamo avuto la nostra ultima discussione. Discussione che non ha causato strascichi, né ripensamenti.
Nè telefonate o messaggi a seguito.
E non è stato l'orgoglio a farmi desistere dal chiamarlo o dal chiedergli di vederci, bensì quel briciolo d'istinto di sopravvivenza che mi ha indotta a stare lontana da lui e da quella casa che non fa altro che evocarmi ricordi riconducibili a noi due, insieme.
Ma Natale arriva una volta l'anno e non posso neanche prendermi il lusso di dire a mia madre che trascorrerò questo giorno in montagna con le mie colleghe, dato che ho rifiutato l'invito. Mini andrà una settimana in vacanza con Norman e io di certo non voglio restare a casa, con sua madre, ad affogarmi nel vino bianco.
Così vago per la stanza in cerca dello scatolone dove ho riposto i vestiti eleganti, recupero della biancheria decente e dopo essermi fatta una doccia, indosso il solito vestito rosso che metto tutti gli anni per l'occasione. Sono troppo nervosa persino per dedicarmi ai capelli, perciò li asciugo velocemente e li tiro sù in una crocchia composta. Evito di truccare gli occhi perché ho come l'impressione che starei solo a sottolineare il gonfiore che li pervade, mentre decido di stendere solo un velo di rossetto sulle labbra.
Ho il morale a terra, mi sento un militare arruolato che non ha nessuna voglia di andare in guerra, eppure lo devo fare, mi devo immolare per la patria.
Mi chiedo se il Natale sia una motivazione sufficientemente importante per affrontare ciò che mi toccherà sopportare oggi. Probabilmente no, ma è pur sempre della mia famiglia che parliamo, che io lo voglia o no. E mia madre non me lo perdonerebbe mai se non mi presentassi, sopratutto non sopporterebbe di sapermi in tuta, su un materasso buttato a terra, a mangiare gelato confezionato immerso nella cioccolata calda in bustina. Lancio un'ultima occhiata allo specchio prima di uscire.
Un paio d'ore, che sarà mai
Mi faccio questa piccola promessa.
Chissà se ci riuscirò per davvero a non scoppiare a piangergli in faccia
Perché non ho fatto altro ultimamente e non solo in queste ultime due settimane, sono ormai mesi che mi sto prosciugando di lacrime, senza arrivare mai ad una conclusione. Un attimo prima vorrei non vederlo mai più, l'attimo dopo vorrei chiamarlo per supplicarlo di ritornare da me. Ma poi mi accorgo che è egoismo puro il mio. Perché sì, mi manca Alexander, ma è più forte il dolore che provo nello stare senza di lui. Ed è quello stesso dolore ad essere così insopportabile, da farmi vacillare spesso, tanto da essere sul punto di chiamarlo, per far smettere alle mie ferite interne di sanguinare.
«Juliet, sei splendida»
John se ne esce con la sua solita frase fatta, mentre scorro davanti allo specchio appeso nel corridoio, questo lascia intravedere una sagoma tutt'altro che splendida al momento.
Mi sfilo il cappotto e abbozzo un sorriso di circostanza.
Sento la risata di mia madre provenire dalla cucina e a meno che lei non abbia cominciato a ridere da sola, lui già qui.
«Oh Juls, finalmente ti vedo»
Ci abbracciamo e mentre faccio due carezze al bambino, sento i suoi occhi su di me.
«Alexander»
Pronuncio un saluto freddo senza sollevare lo sguardo dalle manine paffute che mi stringono l'indice.
Saluto che mi viene restituito con la medesima freddezza.
«Juliet»
Lo vedo con la coda dell'occhio, si volta di schiena per afferrare dei tovaglioli natalizi dall'isola della cucina che mia madre ha imbastito di vassoi e bottiglie.
Indossa dei pantaloni scuri e un maglione altrettanto scuro che fascia il suo fisico slanciato.
«Stai bene?» mi rapisce mia madre.
Annuisco velocemente, sperando non cominci con l'interrogatorio proprio davanti a lui.
«Stai mangiando?»
«Certo»
«Quella robaccia scaldata in microonde non vale, Juliet»
«Sì mamma» taglio corto perché non voglio che questa ramanzina duri ancora per molto.
«Ti vengo a dare una mano nel sistemare casa, se hai bisogno»
«Vedi tu. Se riesci a farlo senza che il piccolo figlio di satana pianga in continuazione...»
E ovviamente proprio in quell'istante, il bambino inizia a disperarsi.
«Ecco, a tal proposito... Lo vado a consegnare a John, intanto comincio a mettere queste in tavola» sorride lei, agguantando un vassoio di antipasti.
Ho lo stomaco chiuso solo a guardarlo tutto quel cibo e il mio appetito si riduce ancora di più, quando Alexander torna in cucina per prendere i bicchieri come gli ha chiesto mia madre.
Abbasso immediatamente lo sguardo sulle mie stesse mani, che giocherellano con il bordino dell'abito.
E quando lo sento mormorare un distaccato «Tutto bene?», i miei occhi cominciano a bruciare all'improvviso.
Come può fare finta di niente ora?
Certo che si comporta così, l'ha voluto lui, Juliet...ricordatelo
«Sì grazie» rispondo con un tono che dice tutt'altro.
«Ho notato che camera tua è vuota»
«Sì ho già traslocato»
Riesco a percepire la sua perplessità da qui.
«E ti ha aiutata mio padre a portare le cose più pesanti?»
Chiudo gli occhi per contare fino a dieci, ma ovviamente erompo ancor prima di arrivare al tre. Il suo sguardo d'indifferenza mi urta nel profondo, mi è impossibile nasconderlo.
«Mi chiedi come sto, ma in realtà quello che ti interessa è sapere chi mi ha aiutata con il trasloco?»
«Cosa c'è di male nell'interessarmi ad una cosa così banale, come un trasloco?»
Niente, se non ci fossero secondi fini... ma io lo conosco fin troppo bene.
Mi sigillo le labbra, prima di dire qualcosa di offensivo, ma Alexander approfitta di quel momento di silenzio per avvicinarsi a me.
«Non posso chiederti più nulla adesso?»
«Non ho detto questo...» sussurro osservando la sua sagoma alta fermarsi davanti alla mia.
«Cosa c'è Juliet?»
Scrollo il capo, poi lo inclino nel tentativo di seguitare ad evitare i suoi occhi cupi.
«Niente. Davvero»
Con gli occhi bassi cerco le sue mani affusolate che spariscono lentamente nelle tasche dei pantaloni.
«Sicura?»
«Sto benissimo Alex, non vedo perché...»
E quando il mio sguardo incrocia il suo, così affilato e tormentato, mi sento morire. E ovviamente non riesco nemmeno a finire di pronunciare una frase.
«Perché mi fissi così adesso?»
Egocentrico.
«Non ti fisso. Sto pensando»
«A cosa pensi? A quale altra bugia raccontarmi?»
«Bugia? Che bugia ti avrei detto?»
Non posso più eludere il suo sguardo, quando si fa così pressante sul mio viso facendomelo avvampare. Senza proferire parola, compie un altro passo verso di me e io mi ritrovo ad indietreggiare, finendo per aggrapparmi al bancone della cucina con entrambe le mani dietro alla schiena.
«Tu... io non ti capisco, Alexander. Prima dici che vuoi finirla...»
«Quando avrei detto o dimostrato il contrario? Non posso neanche parlarti? Sul serio, Juliet?»
«Perché non sei sincero e non mi dici tu, quello che pensi?»
Dato che hai voluto tu tutto questo, dimmi almeno il vero perché
«Devo essere sincero? Sei sicura?»
La sua domanda suona quasi come una minaccia, perciò mi limito ad annuire con esitazione.
«Io a qualcosa penso, Juliet»
Alexander si allontana di poco dalla mia figura, sembra prendere le misure perché mi sta squadrando il volto con un'espressione enigmatica, lancia un'occhiata intensa alla tavolata imbandita, poi ritorna su di me.
«A cosa pensi?»
«A come ti ho fatta urlare, proprio lì sopra»
Quella frase mi riscuote immediatamente dalla mia tranquillità. Comincio ad agitarmi.
Con lo sguardo titubante, punto imbarazzata il tavolo del soggiorno, mentre lui gode compiaciuto della mia reazione impacciata.
«Sei soddisfatto?» bisbiglio con le guance in fiamme.
«Ora che ci penserai anche tu, per tutto il pranzo di Natale... Sì, sono soddisfatto»
«Non so dove tu possa trovare la voglia di comportarti in questo modo» ammetto con voce spezzata prima di scivolare via da quella posizione che mi vedeva intrappolata tra lui ed il mobile della cucina.
Alexander però solleva un sopracciglio, poi mi blocca parandosi davanti a me, sembra che la mia frase l'abbia sorpreso particolarmente.
«Juliet, non...»
«Lascia stare. Davvero» sputo infastidita.
E senza aggiungere altro torno a tavola, dove il primo pomeriggio procede lento.
Prima del dolce ci raggiungono i miei zii che non parlano d'altro che di lavoro e di politica. John e mia madre sono abili a ruotare intorno agli argomenti, senza sfiorare mai quelli più scottanti.
Io sto morendo di noia, Alexander ovviamente non mi guarda nemmeno per sbaglio.
Forse meglio così - mi dico evitando di intraprendere una lotta interiore per attirare a tutti i costi la sua attenzione preziosa.
Ma più i bicchieri si moltiplicano, più i miei occhi si posano su di lui. È solo uno sguardo, fine a sé stesso, come a costatare che non ho mai visto nulla di così bello come il suo viso.
O forse lo faccio perché sono visceralmente attratta da lui.
Da ogni cosa.
Da ogni suo gesto o parola. Da come ruota lentamente il polso esile per liberarlo dall'ampia manica che vi ricade sopra, da come parla con mia madre. Da com'è autoritario con tutti. Da come stringe le dita affusolate intorno al bicchiere.
Ad un tratto si alza in piedi, con l'intento di aiutare mia madre. «Faccio io, sta tranquilla. Sarai stanca» le dice mentre lei culla il bambino con vigore pur di zittirlo.
«Mi dà una mano Juliet»
Così, controvoglia, lo seguo in cucina senza fiatare, mentre John chiama i vicini per sapere se si uniranno per il dolce.
«Capisco che tu sia riluttante nei miei confronti»
Sollevo gli occhi al soffitto.
«Che vuoi adesso?»
«E capisco che tu voglia tenere le distanze, ma... allora non trovo una spiegazione ai tuoi atteggiamenti, Juliet»
Incrocio le braccia al petto, in attesa che si spieghi meglio.
«Pensi di potermi guardare per ore, in quel modo?»
Che melodrammatico, ci saremo scambiati due occhiate in tutto il pranzo.
«Sì perché? E poi ti guardo come mi pare»
Mi volto di scatto con gli occhi piantati nel lavandino, per non mostrargli le mie guance arrossate dall'alcol e dall'imbarazzo.
Ma prima che io possa dire altro, Alexander posa un piatto nel lavello e il suo corpo rigido si modella contro il mio sedere, facendomi sentire tutta la sua durezza.
«Ma poi queste sono le conseguenze, Juliet. Puoi fartene carico?»
Mi volto a fatica, schiacciata dal suo corpo.
«Ti ho detto che non...»
«Che non....?
Ed è inevitabile che il mio sguardo ricada fisso sulle sue labbra.
«C'è una cosa vorrei facessi per me»
No, assolutamente no
Curvo il collo allontanando gli occhi dal suo viso per scacciare quella tentazione proibita che sarebbe il bacio, ma il mio gesto per Alexander diventa un invito.
Incunea avidamente il suo sguardo torbido nella mia gola, lo fa in modo famelico e io mi sento scottare.
Maledizione, voglio saperlo
«Cosa devo fare?»
Lui non perde tempo, s'inclina verso il mio orecchio per lasciarvi un sussurro.
«Va' in camera tua, spogliati e aspettami in ginocchio»
Sono costretta a stringermi nelle spalle per sottrarmi al calore del suo viso così vicino al mio.
«Tu sei pazzo, non lo farò mai»
La mia voce è debole sotto alla sua occhiata dura, ma non ho nessuna intenzione di cedere questa volta.
Non importa quanto proverà ad essere convincente o quanto io lo voglia.
«Mhm»
Alexander scruta la mia scollatura prima di far strisciare il pollice per tutta la lunghezza della mia gola. La carezza è così delicata che mi causa dei piccoli fremiti nello stomaco, ma ben presto con la mano mi accerchia il collo. E non c'è nulla di innocente nel suo gesto.
Lancio uno sguardo preoccupato al salotto per paura che qualcuno ci veda, poi bisbiglio sottovoce «E poi, scusa?»
«E poi basta» asserisce tornando con entrambe le mani nelle tasche.
Lo fisso con aria interrogativa.
«Non verrei in camera tua, mi piace solo l'idea che tu lo faccia per me»
«Sei uno psicopatico del cazzo»
«Ma non riesci a smettere di guardarmi»
È che così me lo rendi difficile...
«A dirla tutta, sono stata benissimo in queste settimane... Senza di te»
Mento spudoratamente, nella speranza che la bugia possa cancellare dalla mia testa le immagini di tutta la sofferenza che ho sputato nella sua assenza.
Alexander ovviamente non crede ad una singola parola, ma il mio respiro comincia a vacillare quando le sue labbra, già vicine alle mie, scivolano giù lungo il mio collo, causandomi dei sussulti piacevoli. Sto per abbandonarmi a lui, quando lo vedo sospirare, per poi trascinarsi una mano tra i capelli.
«Potevi chiamarmi, Juliet»
«Per cosa?»
«Per il trasloco...»
Sbuffo. Di nuovo.
«Non mi sembrava il caso di chiamarti»
«Sai, c'è una cosa che non riesco a comprendere...» annuncia incrociando le braccia contro il petto fasciato dal golfino di lana.
«Cosa?»
«Come tu possa continuare ad andare a lavoro e fare finta di niente, dopo che il tuo capo ci ha spudoratamente provato con te»
E non accade con le sue richieste assurde, ma è con queste parole taglienti che mi ferisce senza neanche accorgersene.
«Alex...»
«A meno che non ti abbia fatto piacere, allora in quel caso...»
Potrei dargli mille spiegazioni, ma non è quello che si merita al momento, né che gli spetta.
«Non sono affari che ti riguardano. Non più»
Ma le cose non erano state così semplici.
Il lunedì seguente alla festa, David mi aveva convocata nel suo ufficio.
Qui mi aveva indicato un foglio che poggiava sulla sua scrivania.
L'avevo guardato confusa, con diffidenza.
«Cos'è?»
«Juliet, questa è una lettera di dimissioni» aveva detto lui con aria angustiata.
«Cosa?»
«La posso consegnare se tu mi dici che lo ritieni più giusto»
La sua decisione mi aveva colto alla sprovvista.
«Vuoi lasciare il lavoro per colpa mia?»
«Non è stata colpa tua, ma mia. È stato inappropriato il modo in cui mi sono comportato con te»
«Okay sì ma... Eravamo fuori dall'ufficio, fuori dall'orario di lavoro e avevi bevuto. Non... non c'è motivo di prenderla così seriamente» avevo provato a spiegargli il mio punto di vista.
«Mi dispiace»
E dal suo sguardo mesto potei notare quanto fosse realmente dispiaciuto.
«Davvero. Non preoccuparti» aggiunsi io.
Poi lo salutai, sperando che la cosa finisse lì, ma prima che io potessi uscire dall'ufficio, David mi bloccò.
«Quel ragazzo...»
Oh no
«So che è tuo fratello, fratellastro» si corresse subito.
«Ma...è tipo innamorato di te o qualcosa del genere?»
«No. Perché dici così?» fui costretta a dire.
«No, niente... »
David si fece vago, prese a sfregarsi il retro del collo con un gesto nervoso, per un attimo pensai che stesse nascondendo qualcosa.
«È per caso un violento o...?»
«No ti prego, non dire così»
«Juliet mi sto preoccupando per te»
«Lui è solo protettivo» mi accinsi a difenderlo, come ogni volta che qualcuno provava a fare anche solo una supposizione negativa sul suo conto.
Ma tutto ciò che è accaduto con David non riguarda Alexander, per questo decido di non renderlo partecipe.
«Io... è meglio se torno a casa»
Mi defilo lateralmente, in cerca di una via d'uscita.
«Juliet...»
«Alex, davvero non è il caso di...»
Lui però mi cinge le spalle con entrambe le mani, fermando la mia camminata. La sua presa è ferma e la sua voce così tranquilla che mi dà i brividi.
«A parte tutto, dimmi che stai bene»
«Sto bene»
«Guardami. È la verità?»
Reprimo l'impulso di rollare nuovamente gli occhi al soffitto, pur di non incontrare i suoi.
«No, ma mi hai detto di dirtelo e io lo sto facendo»
A quelle parole lo vedo indietreggiare per nascondere una mano in tasca. Mi squadra dall'alto. Sembra trattenuto, forse arrabbiato.
«Voglio solo essere gentile con te»
«Immagino»
«Dico sul serio Juliet, sto provando a mostrare un po' interesse nei tuoi confronti ma sembra non andarti bene»
«É davvero ammirevole da parte tua, Alexander. Abbassarti a tanto»
Lo sorprendo corrugare la fronte.
«Preferiresti non lo facessi?»
«No figurati, è fantastico il tuo modo di esprimere preoccupazione per me. Solo dovresti aggiungerci i sottotitoli ai tuoi atteggiamenti, perché ti giuro, sembra tutt'altro»
Il suo sguardo si scurisce di un'espressione infastidita.
«Cosa sembra? Sentiamo, Juliet»
«Che non t'importa niente di me!» esplodo senza pensarci neanche per un attimo.
Missione fallita
La mia voce è un rantolo che lui non sembra apprezzare particolarmente.
«La solita bambina»
Mi guarda sprezzante, come se non gli avessi appena confessato la mia debolezza.
«La solita risposta quando non sai cosa dire»
Mi divincolo da quella morsa e faccio per andarmene, ma lui mi ferma nuovamente dal polso.
«Voglio solo che ti sia chiaro che se siamo in questa situazione, non l'ho voluto io, Juliet. Mi ci hai portato tu, giorno per giorno»
«Come? Con i miei atteggiamenti sbagliati, immaturi e tutte quelle altre cazzate che ti piace raccontarti per avere la coscienza pulita?»
«A me bastava che tu...»
«Non ci credo, Alex. Prima dici che dobbiamo finirla, poi pretendi come sempre che io faccia un passo verso di te. Per cosa poi? Per rifiutarmi ancora una volta, ricordarmi tutto ciò che ho sbagliato, così da sentirti bene con te stesso? Non voglio più essere un mezzo per farti stare meglio»
Alexander solleva entrambe le sopracciglia, sembra colpito dalle mie parole dirette.
«Ragazzi...»
Ma mia madre non solo ha un tempismo terribile, ha anche bevuto qualche bicchiere di troppo e ovviamente non ha saputo resistere dal venire a parlarci.
«Mamma, stavamo...»
«Per favore lasciate da parte queste brutte facce, è natale»
«Come se bastasse a risolvere tutto» sbotto con un lungo sospiro.
«Juliet» mi zittisce lui con un'occhiataccia.
«Da che avevo due figli, ora mi sembra di non averne più nessuno»
«Mamma risparmiati queste cavolate per quando siete solo voi due»
«Litigate sempre, non venite più qui a casa e io non vi vedo più...»
«Di sicuro io non ci torno più qui se c'è anche lui» sputo acida.
Abbraccio mia madre e dopo aver salutato rapidamente gli altri invitati, mi dirigo in corridoio per recuperare borsa e cappotto.
Noto che Alexander ha lasciato una valigia all'ingresso, probabilmente si fermerà a dormire, io invece vorrei solo sprofondare da qualche parte il più lontano possibile da qui. Estraggo telefono dalle tasche e ascolto il messaggio di auguri di Chloe. Ha la voce allegra, forse avrei dovuto accettare il suo invito e andare in montagna, o forse avrei dovuto accettare quello di Mini e stare con la famiglia di Norman.
Forse non mi sentirei così sola in questo istante.
«Ti riaccompagno a casa, Juliet»
Sussulto dinnanzi alla profondità della voce di Alexander.
«Meglio di no»
Scuoto la testa facendo cenno di dissenso, ma lui mi sta già porgendo il cappotto.
«Ti accompagno a casa ho detto»
Le sue dita fredde mi solleticano il collo quando mi aiuta a liberare i capelli impigliati nella sciarpa, poi mi cinge con un braccio obbligandomi a farmi stretta contro il suo petto.
«Io...»
«Vieni qui»
«Cosa c'è che non va in noi, Alex?»
«Non lo so, ma di sicuro qualcosa c'è»
Resto ad accarezzare il suo maglione morbido con la guancia, finche lui non mi fa sollevare il mento applicandovi un po' di pressione con le dita.
«Vorrei sapere che stai bene»
«Sto meglio, ma poi torno qui... ti vedo e mi sembra di tornare indietro nel tempo»
Lo guardo afferrare il suo cappotto, poi le chiavi della macchina.
«Voglio solo vedere dove vivi, Juliet. Ti accompagno e poi vado via»
«Va bene»
Alexander POV
Juliet mi mostra l'appartamento e io l'unica cosa che riesco a notare è che poco più grande di camera mia.
È un buco.
«Ti piace qui?» le ho chiesto osservandola con attenzione.
Lei si è stretta nelle spalle, poi ha cominciato a cercare tra gli scatoloni un maglione da infilarsi sopra al vestito per coprirsi dal freddo.
«Sì ho la mia indipendenza»
Mi accosto a lei e l'aiuto a sistemare il collo di lana intorno alla sua gola affusolata. Non riesco a farne a meno di sfiorarla, anche se è solo con una scusa.
«Mhm»
Resto in silenzio, annuisco solo quando mi chiede se gradisco un tè caldo.
«E poi? Sei vicina al lavoro?»
«Sì, sono vicino a lavoro, ho...»
Le comincia a parlare, ma io l'ascolto a fatica.
Mi sono fatto strada in quel disordine, l'ho presa dal fianco e l'ho spinta contro il muro di quella cucina minuscola, poi ho forzato i miei occhi nei suoi.
«Cosa devo fare per renderti felice?»
Perché così non lo siamo.
Non lo è lei, come non lo sono io.
«Alex no, non devi fare così ora»
«Perché?»
Sento il bollitore cominciare a gorgogliare, poco distante da noi.
«Perché sto iniziando a vedere le cose con più chiarezza e...»
Con riluttanza esamino le sue mani che fanno una pressione sul mio petto, per indurmi ad discostarmi da lei.
«Tu mi rendevi felice ma...»
Non riesco neanche ad ascoltarla.
Mi ha appena allontanato?
Sbalordito, indietreggio, lasciandole lo spazio che ha appena reclamato.
«Il fatto che non stiamo insieme non significa che smettiamo di provare quello che proviamo. È corretto, Juliet?»
Lei si acciglia, intanto seguita a versare l'acqua bollente nelle tazze.
«Che cosa mi stai chiedendo, Alex?»
«Ti sto dicendo che ti amo e questo non cambia. Che per me ci sarai sempre e solo tu e per te ci sarò sempre e solo io»
Il mio ragionamento sembra non fare una piega, tant'è che Juliet sembra pronta ad annuire, quando però inaspettatamente si blocca.
«Ma se non stiamo insieme... Cioè aspetta un attimo. Sei tu che non vuoi stare con me» si massaggia le tempie in preda alla confusione.
«Questo non significa niente» asserisco io con voce fredda, quando mi porge la tazza.
«Quindi in pratica mi stai dicendo... che cosa? Che pretendi che io non abbia altre frequentazioni?»
«Beh mi sembra il minimo. Lo stesso vale per me, non mi interessano le altre»
Non mi sembra difficile, Cristo
«Sì ma non è... normale. Io potrei avere desiderio di avere una persona a fianco»
Sentirla pronunciare quella frase con così tanta leggerezza, mi fa perdere le staffe tanto velocemente da indurmi a sbattere la tazza sul ripiano della cucina, creando un impatto stridente sul marmo.
«Alex lo so che detta così sembra... Volevo dire... Non voglio passare anni da sola con la speranza che le cose tra di noi si rimettano a posto. Non sono felice così. Ho diritto ad esserlo, no?»
«Certo che hai diritto ad esserlo. Ma con me. Lascia questo buco, prendiamo casa insieme»
E glielo impongo, quasi infastidito dal fatto di doverlo ripetere ancora una volta.
Non voglio supplicare nessuno, tantomeno una persona che dice di amarmi e poi si comporta in questo modo.
«Dio mio non capirai mai! Tu mi stai dando il tempo necessario affinché io ceda e finisca per fare come dici tu! Ti rendi conto?»
«Puoi stare vicino alla mia università, troverai un altro lavoro, Juliet. Non riesco a capire che cosa ci sia di così assurdo nella mia richiesta, ti chiedo solo di venirmi incontro»
«Proprio non lo capisci?»
Ma cosa sto sbagliando?
«Quando ti avrò accontentato, poi ci sarà dell'altro che arriverai a chiedermi. Tu troverai sempre delle cose di me che non ti stanno bene, ma devi capire che non puoi decidere per gli altri»
«Hai finito?»
«Non cambierai mai, Alex»
«Ma tu sì. Tu non mi ami più come prima»
«Non nello stesso identico modo»
Questo è troppo. Con due passi più spediti raggiungo il soggiorno per afferrare il capotto poggiato sul divano con fare brusco.
«Alex»
Non l'ascolto, ma mi dirigo verso l'uscita.
«Alex ti prego»
«Io credo di aver fatto il possibile. Più di questo non posso, mi dispiace. La verità Juliet, è che tu desideri questa rottura molto più di quanto la desideri io»
«Non puoi dirmi una cosa del genere. Non puoi dirmi che non posso stare con nessun altro se non con te, è sbagliato e al limite... Farebbe paura a chiunque» sussurra lasciando collidere il suo corpo con il mio.
La sento cercare un appiglio, così la sorreggo tra le mie braccia, prima che possa perdere l'equilibrio.
«A te faccio paura?» domando senza filtri.
«No. Assolutamente no»
Il mio sguardo si addolcisce e sembra avere lo stesso effetto sul suo, che si fa più docile sotto di me, nonostante l'arrabbiatura che al momento ci caratterizza entrambi.
«Non puoi lasciarmi libera a metà, Alexander» prova a spiegare ad un centimetro dalla mia bocca.
«Ma tu sei Juliet. E sei mia»
Osservo i suoi occhi precipitare dolorosamente verso il basso.
«Non è più una motivazione valida» dice con un soffio di voce.
«Juliet, c'è una piccola possibilità che tu non stai neanche considerando»
«Sarebbe?»
Deglutisco con amarezza.
«Quella per cui io ti amo e mi sto solo proteggendo per ciò che tu mi farai»
«Alex... Io te l'ho già detto, vorrei solo una vita normale. Un rapporto normale»
Cristo, non ce la fa a non dire queste cazzate.
«Con te è tutto così complicato... E forse esiste un modo, per cui le cose non lo siano» aggiunge poi.
«Con un altro intendi?» la punto con occhi serrati.
«Non ho detto questo»
«Ma è quello che sottintendi. Con quello stronzo? Con quello che ti riempie di messaggini e cazzate, solo perché sta contando i minuti che lo separano dal momento in cui ti avrà scopata nel suo ufficio?»
«Stai esagerando» si lamenta lei voltandomi le spalle.
«No. Sto dicendo le cose come stanno e se vuoi mentire a te stessa, va bene. Ma lo sai anche tu che è così»
«Cosa dovrei sapere? Che una persona non può avvicinarsi a me per altri motivi? È questo che stai dicendo?»
«No, non è il suo caso»
«Tu sei stato geloso di qualsiasi essere maschile mi sia stato vicino»
«E avevo torto?» l'aggredisco con un'occhiata torva.
Juliet chiude gli occhi.
Vorrei non ferirla, ma sembra essere la mia specialità.
«L'hai detto tu stessa. Ti piace essere corteggiata, chiamata...»
«Ma sei tanto l'intelligente, passi tutti gli esami con la lode e poi quando si parla di cose così semplici, tu non capisci?»
La fisso confuso.
«Vorrei che fossi tu a farlo! Non un altro!» strepita allargando le braccia, come se dicesse la cosa più ovvia di questo mondo.
«E siccome io non lo faccio, lasci che sia un altro a farlo, vero?»
«Alexander, basta»
«Rispondimi» insisto.
«É solo un amico, te l'ho già detto!»
Ho trattenuto la gelosia, ho ingoiato tutto il mio orgoglio e ora lei se esce di nuovo con questi discorsi del cazzo.
«E ora è meglio se te ne vai» la sento bisbigliare indicandomi la porta con occhi oscurati dalle lacrime.
La vedo ridotta ad un mucchio di tremolii, forse dovrei abbracciarla.
Invece le volto le spalle e me ne vado.
🖤
Tra me e Juliet il silenzio dura per una settimana, finché Norman non mi invita alla festa di capodanno a casa di Mini. Lo so che ci sarà anche Juliet e sebbene forse vederla non è ciò che vorrei, preferisco guardarla mentre passa la serata ad ignorarmi, piuttosto che trascorrerla con Andrew e gli idioti del campus.
Casa di Mini è un appartamento dalle dimensioni modeste e probabilmente il numero d'invitati supera la soglia consentita per permettere ad ognuno di avere uno spazio vitale, dato che stiamo tutti ammassati perché lei ha deciso di chiamare più gente del dovuto.
Juliet è più piccola della media delle sue coetanee, mi è difficile individuarla tra le ragazze di gran lunga più alte di lei, ma quando trovo i suoi capelli morbidi e fluenti in mezzo a quelle teste sconosciute, vengo assalito da una sensazione d'improvvisa debolezza.
Ogni tanto la sorprendo a fissarmi e prima che possa perdermi nei suoi occhi profondi, discosta lo sguardo e torna a parlare con Mini e le altre. Il quantitativo di ragazzi che le gira intorno è innegabile e forse, inevitabile.
Dovrei stare nel mio, ma non ci riesco.
Non voglio che le parlino.
Che la sfiorino.
Che la guardino.
«Tieni. Fidati, è un toccasana in situazioni come queste»
Norman mi vede con la mia faccia da funerale, perciò si prodiga a servirmi da bere e io non posso fare altro che accettare. Se questo è l'unico modo per smettere di ossessionarmi, almeno per una serata, ben venga.
Juliet POV
È assurdo come la maggior parte dei ragazzi in questa sala non faccia altro che dannarsi l'anima per parlare con una ragazza, magari conoscerla, provarci o offrirle da bere. Lui invece se ne sta lì, senza fare assolutamente nulla, se non fingere di ascoltare Norman che è particolarmente logorroico quando esce una nuova serie che gli piace su Netflix.
E mentre se ne sta immobile, le ragazze gli ruotano intorno: alcune gli vanno a parlare, altre gli sorridono senza dire nulla, poi però si allontanano, perché ovviamente il loro sorriso è stato ricambiato da un'occhiata così gelida da far dubitare loro di avere qualcosa fuori posto.
Occhiata cinica con la quale le ha esaminate da capo a piedi, neanche stesse scegliendo quale paio di pantaloni comprare.
Provo un po' di gelosia sì, ma sopratutto tenerezza per tutte quelle che si avvicinano a lui. Illuse, credono basti mettere in mostra mercanzia e sorrisi smielati per conquistarlo. Ignare di tutti i requisiti che dovrebbero superare per stuzzicare anche solo lontanamente il suo interesse.
Non sanno quali parti del corpo devono avere in un certo modo, per meritarsi un'occhiata apatica, seguita da una risposta fredda e distaccata.
Ma soprattutto, non sanno che cosa dovrebbero essere disposte ad accettare, pur di averlo.
Vengo percorsa da un brivido pungente e fastidioso, al solo pensiero che Alexander possa stare con un'altra, per un attimo credo di scoppiare a piangere lì, davanti a tutti. Il pensiero che dia ad un'altra persona le mie attenzioni, quelle che solitamente riservava a me, mi devasta.
Perciò vado da lui quasi imbronciata. Forse gelosa.
«C'è anche da mangiare se vuoi» borbotto innervosita.
«Grazie Juliet»
«Non mi avevi mai parlato del tuo fratellastro»
Guardo male Jude, la ragazza del mio ufficio addetta alla contabilità, che ormai pende dalle sue labbra.
«Sì, certo. Ora... se ci puoi scusare»
Afferro Alexander dalla manica della camicia per portarlo via da lì.
«Ti stai divertendo, Juliet?»
Lo guardo negli occhi per cogliere le sue intenzioni, ma mi accorgo che le sue iridi nere sono più lucide del solito.
«Ma quanto hai bevuto?» gli chiedo preoccupata mentre lo trascino sul terrazzo, luogo meno affollato.
Lui scrolla le spalle. «Ti stai divertendo, Juliet?» lo sento ripetere.
«Sì Alex. Tu?»
«Non lo so. So solo che dovrò prendere un taxi per tornare» biascica reggendosi con una mano sulla parete alle mie spalle.
E in un attimo mi faccio piccola sotto di lui.
«Resti a dormire da me?»
Chiudo gli occhi, strizzando le palpebre pentita di quello che gli ho appena chiesto.
«Juliet...»
Fa un freddo lancinante lì fuori, ma comincio a sentire uno strano calore nella pancia. Il suo rimprovero è stranamente dolce, di certo l'alcool lo rende meno autoritario.
«Non vuoi?» domando continuando a maledirmi per la mia linguaccia.
Con l'interezza della mano mi cinge la guancia, affondando i polpastrelli nei miei capelli sciolti.
«Certo che voglio, Juliet... è che...»
«É solo per stare con te, non è per...»
E basta un attimo che un gesto semplice come sfiorarmi i capelli, fa fuoriuscire tutta la sua indole. Le sue dita s'insinuano più a fondo, aggrovigliano le mie ciocche con fermezza, strattonando delicatamente la presa, facendomi aderire il capo verso l'alto.
«Prima però toglimi una curiosità. Con il tuo amico? Novità?»
«Essendo un amico, nessuna novità»
Lo sento irrigidirsi sotto alla mano, ho ancora le dita aggrappate al suo braccio.
«Stai ancora facendo palestra?» domando sorpresa della consistenza del suo bicipite.
«Mhm. Se così vuoi chiamare quella mezz'ora di flessioni che provo a fare»
Scoppio a ridere davanti alla sua sincerità, il fatto di vederlo più vulnerabile del solito mi fa quasi intenerire.
E non mi sottraggo, quando compie un passo verso di me barcollando e le sue labbra finiscono vicine alla mia guancia. Non oppongo resistenza, ma ruoto il viso di poco e i nostri nasi si sfiorano.
Lo vedo chiudere gli occhi per un istante.
«Stai sempre a studiare vero?» lo prendo in giro.
«E quindi?»
«Niente feste?»
Lui però non ride, mi fissa serio.
«Juliet...»
«Sì?»
Raddrizzo la schiena, ha tutta la mia attenzione.
«Vuoi per caso sapere se mi sono preso la briga di fottere qualche studentessa di medicina?»
La sua domanda accompagnata da un sogghigno mi fa dapprima sobbalzare, poi arrossire.
«No! E poi scusa, perché dovrei.. ehm?»
«Non rientra nei miei piani» ammette senza manifestare troppe emozioni.
Mi guardo intorno, poi evitando di guardarlo negli occhi, glielo chiedo.
«Perché no?»
«Perché non ho voglia di preoccuparmi di malattie veneree, chiacchierate superflue e lamentele il giorno seguente»
Mi è impossibile mascherare la punta d'imbarazzo mista a furiosa gelosia che mi si disegna in volto.
«E soprattutto, perché non mi interessa il sesso come lo vogliono gli altri. Credevo l'avessi capito» aggiunge fissandomi intensamente.
«Sì ma le ragazze faranno la fila per te...» sospiro con un po' di amarezza.
«È esattamente così, Juliet»
Viva la modestia
«Potresti avere qualsiasi ragazza»
«Mhm. Probabile. Eppure credo che la cosa non ti riguardi»
La sua risposta mi destabilizza così tanto che per un attimo credo di essere ubriaca anch'io, sento le vertigini.
«Posso girarci intorno ma la verità è una sola, Juliet»
Trovo la forza di puntare gli occhi nei suoi, che si avvicinano al mio viso per sussurrare lentamente.
«Ti amo e non c'è spazio per nessun'altra»
Il suo profumo mi stordisce, così come il tono calmo e profondo della sua voce.
Vorrei chiudere gli occhi e baciarlo, ma poi mi ricordo di tutte le promesse che mi sono fatta. Di stargli lontano, di non cedere alle sue provocazioni e, soprattutto, di non avere contatti intimi con Alexander.
«Hai bevuto vero? Sennò non lo diresti con così tanta facilità...» lo punzecchio.
«Un po'» sorride lui.
Ma è inevitabile, le nostre labbra si sfiorano. Sembrano dotate di una forza tutta loro. Le apro lentamente quando ad un certo punto lo sento dire
«Il tuo vestito, Juliet»
Fisso confusa l'abito nero ed aderente che mi fascia il corpo.
«Ti piace?»
«È molto molto corto»
«Non era questa la domanda» puntualizzo acidamente.
«Mi piaci sempre»
Lo osservo dal basso, mentre la sua bocca disegnata torna a convergere sulle mie clavicole lasciate scoperte dal vestito.
«Non riesco a guardare la tua pelle, è così perfetta...»
«Sei ubriaco»
Rabbrividisco, quando abbassa la voce in un mugolio seducente.
«Cristo, vorrei riempirtela di lividi»
La saliva sembra incastrarmisi in gola.
«Lo sai che questo non puoi dirlo, Alex. Ehm... È meglio se non torni a casa in macchina»
«Già» ammette lui continuando a fissarmi con i suoi occhi spenti.
«Resta qui a dormire»
La mia richiesta non sembra sorprenderlo.
«Mhm»
«Ti prego» mormoro con un filo di voce.
«Juliet...»
«Voglio solo passare la serata a parlare con te» spiego mentre sto già sorridendo soddisfatta, perché è bastata quella parolina magica a farlo cedere.
🦋
Alexander fatica a sbottonarsi la camicia e io mi addolcisco nel vederlo così vulnerabile.
«Aspetta, ti aiuto»
Lui mi fissa le labbra dall'alto con aria leggermente circospetta. «Non so se...»
«Cosa Alex?»
«Se vorrò saperlo o meno»
«A cosa ti riferisci? Non c'è niente da sapere» lo rimbecco io, mentre gli do una mano a sfilarsi i pantaloni.
«Quando ci sarà qualcun altro»
Mi guarda riporre i suoi indumenti sulla poltrona, mentre io abbasso la zip del vestito prima di togliermelo.
«Anzi no, ho deciso. Non voglio sapere, tienimi all'oscuro» aggiunge con voce tentennante, prima di sedersi sul letto.
Conoscendolo non lo ammetterebbe mai, ma visto che è particolarmente brillo, approfitto per chiederglielo.
«Perché?»
«Perché non potrei sopportarlo, Juliet»
Lascio che i suoi dubbi si sciolgano nel nulla, mentre si guarda intorno con aria confusa.
«Ti stai chiedendo dove siamo vero? Siamo a casa di Mini, ma quanto hai bevuto?» ridacchio e intanto lo aiuto a stendersi sul letto.
La camera degli ospiti di Mini non è molto spaziosa, ma il letto è un ampio matrimoniale e quando mi sdraio accanto alla sua figura, Alexander mi cinge con un braccio, facendo aderire i nostri corpi coperti solo dalla biancheria intima.
Poi mi lascia qualche bacio sulla spalla e io non riesco a non dirglielo.
«Nessuno mi fa sentire protetta come te»
«Lo so. E non hai bisogno di nessun altro che ti protegga, solo di me»
Sono ancora avviluppata nelle sue braccia, quando al buio spingo il viso contro il suo, per cercare un conforto nelle sue labbra.
Percepisco il forte sapore di menta, ma prima che le nostre lingue s'incontrino, Alexander mi priva di quel contatto.
«No»
Lo sento dire prima di accendere la luce della lampada poggiata sul comodino.
Sbatto le palpebre nervosamente, incapace di reagire dinanzi a quel rifiuto scottante.
«Juliet, torniamo di nuovo allo stesso punto. E io non voglio e neanche tu. Forse non è stata una buona idea restare qui...»
«Perché?»
«Quando ti ho detto basta, intendevo sul serio. E non perché non sono più innamorato di te»
«E perché allora?»
«Siamo diversi e io non riesco a sopportare alcuni tuoi lati...»
Sbuffo nascondendo l'espressione imbronciata con il bordo del piumone.
Colpa mia, ovvio
«O meglio, non sopporto come mi fanno sentire alcune parti di te. Non una persona migliore»
«Stai di nuovo dicendo che è colpa mia?»
«L'amore dovrebbe farti sentire una persona migliore, no?»
La sua domanda mi arriva più sincera del previsto. Sembra stia cercando per davvero una risposta al suo quesito. Ma io questa risposta non ce l'ho.
Mi acciglio e col viso sguscio via dalla coperta per tirarmi a sedere sul materasso con aria scettica.
«E invece io come ti faccio sentire, Alex?»
«Non ragiono quando si tratta di te»
Spiega serio «Divento geloso e...»
Una breve pausa, poi lo dice.
«Magari l'avrei ucciso, Juliet»
Per un attimo il battito del mio cuore sembra fermarsi. Cerco la sua mano abbandonata sul lenzuolo, attorcigliando le mie dita con le sue, fredde e rigide.
«Alex e dai, non dire cavolate...»
«Se penso che lo vedi ancora a lavoro, vorrei...»
«Alexander»
«Lo vedi?»
Sospiro.
«Sì. Lo vedo»
«È una situazione che non posso sopportare. E se ti faccio richieste assurde, è perché sembrano essere l'unico modo per sentirmi meglio»
«Allora ne sei consapevole...» mormoro stringendomi nelle spalle.
Lo vedo curvare la schiena bianca prima di proseguire.
«Sì ma quando te ne parlo, tu non capisci»
«Se non capisco è perché tu non parli, tu imponi delle cose, c'è una bella differenza. Si può anche parlare civilmente, compiendo delle scelte insieme»
«Tu pensi che mi piaccia essere così, Juliet?»
La sua domanda mi spiazza. Immergo lo sguardo nei suoi occhi scuri e profondi, lasciandomene risucchiare completamente.
«Non lo so... Quindi stai ammettendo che è anche colpa tua Alex?»
«Beh... Se le cose non hanno funzionato, io ho fatto la mia parte»
I suoi difetti sono debolezze enormi che lo rendono umano. E io lo amo.
«Ti amo, Alexander» soffio annullando qualsiasi pensiero razionale.
«Anch'io piccoletta, più di quanto avrei immaginato»
Avverto la fatica delle sue parole, mentre deglutisco un respiro amaro.
«Quindi... non dicevi sul serio»
Tentenno, perché riferirmi a quando mi aveva detto che tra noi era finita, mi fa ancora male.
«Dicevo sul serio, Juliet. È per il bene di entrambi»
Resto a bocca aperta, le sue parole mi strappano via quel poco di speranza che avevo riposto dentro di me.
«Non ci posso credere...» biascico confusa, mentre mi tiro su in piedi.
«Quindi non sopporti che rifiuto una persona che ci prova con me, ma accetti di non vedermi più?»
Lui mi osserva con un'espressione indefinita, non sono abituata a vederlo sbronzo in questo modo.
«Accetti che io possa avere altre relazioni?» lo provoco in modo sfacciato, cosicché anche un Alexander intossicato possa capirmi.
Il suo sguardo però si scurisce incredibilmente, aspetta che mi sieda sul letto vicino a lui, prima di dire «No che non lo accetto.»
«Forse hai ragione, Alex. Forse siamo sbagliati l'uno per l'altro» ammetto con occhi bassi sul copriletto stropicciato.
Alexander si rilassa con la schiena contro la spalliera del letto, poi la sua mano avvolge la mia coscia, stringendola forte.
«Ahia» emetto un lamento che però lui non recepisce, sembra perdersi nei ricordi.
«Che c'è Juliet?»
«Niente. Mi fai male»
«Tu l'hai voluto. Sempre. O mi sbaglio?»
«Non ti sbagli, ma... Immagina se non ti avessi assecondato sin dal primo giorno»
Ipotizzo osservando il suo profilo perfetto e delicato, rischiarato dalla debole luce che proviene dal comodino.
«Io non rinnego niente, Juliet. Tu?»
«No assolutamente» asserisco convinta.
Poi però mi scappa un sorriso.
«Vabbè... A parte due o tre episodi ...»
«Non ti è piaciuto voltare pagina con i denti?»
Trattengo una risata nervosa. «Alex...»
«O spogliarti nella lavanderia di Karoline?»
«Era solo una scusa per guardarmi mezza nuda, vero?» gli lancio un pugno affettuoso sul braccio che gli causa un sorriso accennato.
«Anche. Ma tu non facevi altro che darmi dello sfigato... umiliarti era l'unica cosa a cui pensavo. Giorno e notte»
«E io che non riuscivo a credere che ti piacessi, cioè che mi vedessi in quel modo... mi sembrava un sogno»
«Che vuoi dire Juliet?»
«Che non credevo di piacerti. Poi secondo te Chuck non ci aveva già provato in tutti i modi? Gli ho sempre detto di no. E lo stesso vale per te, se io non avessi voluto, non ti avrei assecondato. Anzi, visto com'eri stronzo, ti sarebbe arrivato uno schiaffo»
Lui sorride, poi la presa intorno alla mia gamba si serra così tanti da farmi sentire la forza delle sue dita impresse nella pelle.
«Devi stare così distante?» mi lamento sottovoce.
«No vieni qui»
Mi abbandono sul suo petto calmo senza dire una parola, Alexander mi abbraccia. Lo sento lasciare qualche timido bacio tra i miei capelli, intanto io mi accoccolo con la testa annidata tra il suo braccio e il torace.
Con la mano continua ad accarezzarmi la fronte, lo fa finché non mi addormento, o forse lo fa anche oltre, perché conoscendolo, lui non si addormenterà così facilmente.
La mattina seguente mi stropiccio gli occhi, e la sagoma di un Alexander già in piedi mi sorprende.
«Quando ti rivedo?»
Lo guardo abbottonarsi la camicia in rigoroso silenzio. Sembra fingere di non aver sentito.
«Verrai al mio compleanno?»
«Non lo so, Juliet»
«Mi renderesti felice, però...»
«Sei sicura?» Mi fulmina con i suoi occhi sottili.
Non annuisco, non faccio nulla. Spero solo che le cose si rimettano a posto da sole.
🦋
«Diciannove anni si fanno una volta sola» ha detto mia madre quando mi sono presentata alla cena che ha organizzato per il mio compleanno.
«Mamma appunto, non ne compio quattro. Perché hai invitato anche i parenti?»
Non sa più che scusa trovare per avermi tra i piedi.
«Ma qual è il problema? Mangiamo qualcosa poi esci con i tuoi amici»
Già, peccato che l'unica persona che volevo si presentasse, non è venuta.
«Alexander aveva da studiare, sai...»
Annuisco scontrosamente davanti alle parole di John che decide di tacere quando si accorge che non ho voglia di stare ad ascoltarlo.
Sono uscita sul tardi per raggiungere il locale in cui ho appuntamento con Chloe e le altre ragazze. Hanno insistito fino allo sfinimento pur di organizzare qualcosa per il mio compleanno, perciò nonostante non ne avessi voglia, alla fine ho acconsentito.
«David non verrà. Gli ho detto che è una serata di sole ragazze. Ho fatto bene?» domanda Chloe sondando attentamente il mio viso, per capire di che umore sono.
«Certo»
«Ci manca ancora che vi ritrovate ubriachi entrambi, quello sì che sarebbe un bel problema» sogghigna lei.
«Ma che dici?» Mi indispettisco.
«Avanti Juliet... ha un debole per te da quando ti ha conosciuta» aggiunge un'altra ragazza.
«E non dire che non te ne sei accorta perché noi donne queste cose le capiamo subito»
Scrollo le spalle poi mi tolgo la giacca.
Fa davvero un caldo insopportabile qua dentro, ma alla gente intorno a me non sembra importare.
«Ci siamo mai...»
Un ragazzo sconosciuto mi si accosta tentando un approccio, io mi scanso quando prova ad avvicinarsi per parlarmi nell'orecchio.
«Ma quello chi è?»
La voce cristallina di Chloe spicca a malapena, la musica è davvero troppo alta.
Indica qualcuno in lontananza e non serve che io metta a fuoco per capire di chi stia parlando.
Scorgo una sagoma conosciuta tra la folla, sta guardando nella nostra direzione.
«Okay che avevo detto serata di sole donne, ma quello ha l'aria di uno che ti manda in paradiso con uno sguardo»
Il paradiso, certo... peccato che la sua specialità sia l'inferno.
«Che cosa ci fa qui?» borbotto tra me e me.
«Juliet ma l'hai invitato tu?» chiede Chloe quando si accorge che Alexander mi sta fissando da lontano.
Faccio cenno di no con la testa, mentre qualcosa di oscuro mi trattiene intrappolata nel suo sguardo.
«Vieni andiamo in bagno» dice lei.
«Ma non mi scappa la pipì»
«Juliet, non andiamo a fare pipì. Voglio solo darti il mio regalo per il tuo compleanno»
Fisso i suoi capelli dorati e lunghe ciglia che incorniciano il suo viso magro.
Non capisco bene a cosa si stia riferendo, ma decido di seguirla.
Alexander POV
Porgo i miei auguri a Juliet, ma lei è particolarmente strana questa sera.
Aspettavo di vederla fredda, distante e perché no, magari felice di vedermi, invece quando mi avvicino per salutarla, lei si mette in punta di piedi aggrappandosi con le manine alla mia camicia.
«Ti dico un segreto...» sussurra nel mio orecchio.
«Dimmi Juliet» ribatto preoccupato per via del suo tono di voce, più oscillante del solito.
Lei compie un cerchio intorno alla mia figura, per poi piantarsi nuovamente dinnanzi ai miei occhi che la bramano con sguardi attenti.
«Non indosso le mutande»
Sento il battito cardiaco schizzarmi in gola.
«Cristo» ringhio serrando duramente la mascella.
«L'importante è che tu lo dica solo a me questo segreto» mormoro poi, rastrellando con lunghe occhiate il locale intorno a noi, in cerca di qualcuno che preferirei non vedere.
Ma invece che rispondere, Juliet ridacchia come una bambina piccola.
«Hai assunto droghe?»
Passo in rassegna le sue guance arrossate, poi le sue labbra piene e invitanti.
«Può essere... comunque stavo scherzando. O forse no. Però non potevo sapere che saresti venuto» biascica confusa.
«Andiamo ti porto a casa» asserisco senza indugiare oltre.
«Ma come? Sono appena arrivata. Sono appena arrivata vero?»
Sospiro silenziosamente, intanto le avvolgo le spalle con il braccio e le faccio strada tra la calca, finché non giungiamo all'esterno del locale, dove Andrew e Nicole che hanno acconsentito ad accompagnarmi, mi aspettano.
Dovevo venire qui, darle il mio regalo e andarmene, ma ovviamente la serata ha preso una piega differente.
«Chi sei?» salta sù Juliet guardando la mora di traverso.
«Sono Nicole, mi conosci»
«No. Non ti conosco»
«Ma è proprio stupida» sento dire a Nicole.
«Sì che ti riconosce, lo fa apposta» m'intrometto io.
«Uhhh Nicole la verginella!» esclama Juliet divertita.
E io so già che sta per mettermi in imbarazzo.
«Speri di essere la prossima, vero?»
Compie una pausa, ma solo per spingersi ad un soffio dal viso di Nicole.
«Beh tanti auguri...Preparati a sottoporti ad un esame ginecologico, perché vorrà assicurarsi che tu sia vergine per davvero. Sai, il giocattolo lo vuole nuovo, non usato»
«Juliet. Cristo»
Nicole spalanca la bocca inorridita poi si allontana, portandosi via Andrew.
«Ma l'hai sentita? Dici che parlava sul serio?»
«Ma no...» minimizza lui.
«Ho i miei dubbi, secondo me lei lo conosce bene...»
Mi distraggo un attimo e un ragazzo si avvicina a Juliet con la scusa di offrirle una sigaretta, ma solo lo sguardo omicida con cui lo fulmino, lo induce ad allontanarsi alla velocità della luce.
La osservo passarsi una mano tra i lunghi capelli per districarli con le dita.
«Mi sento una dea» sibila ad un certo punto.
É chiaramente intossicata e prima che io possa impedirglielo, si appoggia con le spalle al muro sporco, il suo abitino si alza rapidamente.
«Mhm. Magari abbassiamo il vestito alla dea, che ne dici?»
Mi chino per far strisciare il tessuto aderente fino alle ginocchia.
«Sicura non di non aver preso qualcosa, Juliet?»
«Tu sembri sempre il solito, responsabile e noioso» sbuffa lei arricciando il naso.
«Anzi, forse non sembri, lo sei. Dato che mi stai abbassando il vestito, invece che alzarmelo»
Mi irrigidisco, poi la prendo per mano con l'intento di trascinarla verso la mia macchina.
«Anche tu lo sei per davvero, Juliet»
«Cosa?»
«Una dea»
«Ma finiscila Alexander»
La sua sfiducia mi offende.
«Sei sempre stata perfetta ai miei occhi» aggiungo mentre ci incamminiamo nel parcheggio buio.
Lei ad un tratto però si arresta.
«Quando? Quando mi facevi gattonare ai tuoi piedi o quando mi facevi aspettare ore in ginocchio, dopo avermi lasciato lividi che mi sarebbero rimasti per settimane?»
La mandibola mi s'incastra in una posizione innaturale e la mia bocca resta aperta per un istante.
«Ma che stai...»
Mi dispiace sentirla parlare così, questo cinismo non le appartiene.
«É solo la verità, è quello che tu mi hai fatto» continua tremando nell'oscurità.
«Juliet però questo non è corretto da parte tua. Non è quello che io ti ho fatto, ma quello che ho fatto insieme a te» la riprendo. «E che a te è piaciuto da morire»
«Già, sai sempre meglio di me come mi sento....»
«Ascolta...»
Provo ad avvicinarmi per lasciarle il mio cappotto sulle spalle, ma lei evita il contatto divincolandosi.
«L'hai sempre detto. Tu sai cos'è meglio per me»
«Juliet...»
«Dall'alto dei tuoi ventisette centimetri di virilità»
Ispeziono velocemente lo spazio intorno a noi.
«Mi sta mettendo a disagio e non poco»
«Ah davvero?» mi sfida lei.
«Le cose che hai detto su di Nicole, non sono vere» puntualizzo, provando a cambiare discorso.
«Cos'è, non te la faresti?»
«Sono innamorato di te e non ti tradirei mai» confesso con una morsa stridente nel petto.
«E questo te lo ripeti prima di andare a dormire, per ricordarti di essere una brava persona, Alexander?»
Non riesco più a trattenermi, mi fa perdere il controllo dover subire la sua sfacciataggine.
La spingo contro la carrozzeria dell'auto, facendola aderire con le spalle al finestrino.
«Hai parlato troppo, non trovi?»
«Che vuoi fare?»
Il suo tono di sfida potrebbe anche interessarmi, se solo non fosse fuori di sé in questo momento.
«Mhm»
«Sei sprovvisto di strumenti» mi provoca lanciando un'occhiata seducente lungo il mio corpo.
Mi avvicino a lei facendole percepire quello che non riesco più a contenere.
«Avrei da dissentire»
La guardo mordersi il labbro per mascherare un'emozione troppo istintiva.
«Ricordati che il tuo dolore è direttamente proporzionale al mio piacere, Juliet»
«E come dimenticarselo...»
«E sarebbe davvero un piacere sentirti piagnucolare mentre mi spingo dentro di te»
La guardo fissa negli occhi mentre s'imbarazza, ma presto torna a provocarmi.
«Chissà quante ragazze conquisterai con queste frasi romantiche»
«Smettila per favore»
«Mi stai supplicando adesso? Strano, perché tu non hai mai dovuto supplicare, Alexander»
Arriccia le labbra in un'espressione buffa, come se ci stesse pensando su.
«O forse sì. Eri così patetico.»
«Juliet» l'ammonisco per l'ennesima volta, ma con più fermezza, prima di afferrarla dal braccio e aprire la portiera della macchina.
«Ti riporto a casa»
Lei mette su una voce grossa, con il tentativo di imitare la mia.
«Ti prego lasciami fare più forte, Juliet. Lasciati mordere, questa volta non ti non ti farà male...»
«Smettila subito» le ordino stringendola dal braccio.
«Fammelo mettere lì, farò piano» continua a prendermi in giro causandomi un'ira non indifferente.
«E indovina un po'? Tu non hai mai fatto piano» la sento mugolare dolorosamente, mentre si sottrae alla mia presa.
Ci guardiamo per qualche secondo, ad una distanza che però non ci appartiene.
E solo ora mi accorgo che i suoi occhi sono lucidi di lacrime.
«Avrei fatto qualsiasi cosa per te! Questa è la cosa più triste»
Il suo sguardo rabbuiato fa trapelare un rancore che non ho mai visto nei suoi occhi. Ed è tutto per me.
«Cristo, Juliet. Tu mi odi» realizzo mentre una voragine inarrestabile forma una crepa nel mio petto angustiato.
«Sì» dice lei con occhi straboccanti di lacrime.
«Non era mia intenzione ferirti in questo modo»
Juliet non parla più, resta in silenzio a bearsi della mia espressione disorientata.
«Ma...credo di averlo fatto»
«Credi? Tu credi di averlo fatto? Juliet non parlare. Juliet non ti muovere»
«Basta»
Provo a fermarla ma lei non si arresta.
«Ahhhh Juliet shhh....»
Mi mette un dito davanti alle labbra per zittirmi.
«E non bagnarti troppo, sennò non fa male abbastanza»
Detta così è terribile. Juliet mi sta facendo sentire un mostro.
«E poi lì non possiamo andare perché decido io. E questo vestito? No, non ti sta bene. Metti quello che piace a me. E non osare parlare in quel modo a mio padre»
La vedo incamerare aria, come se l'intensità con cui ha appena espresso i concetti le avesse tolto il fiato.
«Questo sei tu» sentenzia infine.
Sta tremando e io con lei.
Sono terrorizzato dalla visione che la ragazza che amo ha di me.
Forse Juliet me l'ha provato ad urlare in tutti modi e solo ora l'ho capito, l'amore non basta.
«Non posso più farti questo, Juliet»
Juliet POV
Mi tiro su di soprassalto. Sono a casa mia, precisamente nel materasso che uso come letto e un intenso aroma di caffè mi pungola le narici.
«Alexander? Sei rimasto qui?»
Mi lancio a sedere e una cascata di capelli scompigliati mi ricade in fronte.
Mi sento uno straccio.
«Tieni. Bevi.»
Con la mano mi porge una tazza bollente, mentre se ne sta seduto sul divano.
«Sei...»
Ancora confusa ed assonnata, prendo ad osservarmi intorno.
«Certo che sono rimasto. »
Sul divano scorgo un cuscino e una coperta, segno che probabilmente lui ha dormito lì.
«Non mi ricordo niente» confesso ancora stralunata.
«Meglio così» ammette con sguardo basso.
Ma qualcosa nel suo viso fa riaffiorare la sfilza di cattiverie che potrei avergli detto.
«Mi... sei stato vicino?»
«Juliet ogni volta che avrai bisogno di me, io ci sarò sempre»
«Mi dispiace per quello che ho detto... le ho dette a voce alta quella cose, vero?»
E dal suo sguardo afflitto sembra che la risposta sia proprio affermativa.
«Non fa niente»
«Che cosa c'è?»
Provo a chiederglielo, ma mi accorgo ben presto che è più chiuso in sé stesso del solito.
«Niente, Juliet»
Indugia per un attimo, facendo scivolare la sua tazza fumante da una mano all'altra, poi solleva lo sguardo nel mio.
«Sei sicura di amarmi?»
Mi sono svegliata da poco e di certo dopo ieri sera, non sono in condizioni per fare una conversazione importante a mente lucida.
«Sì, tu?»
Rimbalzo la domanda, ma Alexander sembra non gradire.
«Come puoi chiedermi una cosa del genere? Farei qualsiasi cosa per te. Lo sai»
Sarò ancora annebbiata, ma la convinzione con cui mi dice certe cose mi fa innervosire e non poco.
«Come andare da David? Sei andato a parlargli, vero?»
Alexander però non nega, si erge in piedi con aria assorta e basta quel gesto a farmi capire che le cose sono andate proprio come pensavo.
«Stai meglio ora? Non ti rendi conto che tutto quello che fai, lo fai per te stesso?»
Lui sbuffa inclinando entrambi gli occhi verso il soffitto, come se quelle che fuoriescono dalla mia bocca fossero tutte cavolate
«È meglio se vado» mugugna senza accogliere la mia provocazione.
Mi alzo di scatto, la testa mi vortica ancora.
«Grazie per ieri»
«É il minimo. Mi prenderò sempre cura di te» ribatte freddo e privo di emozioni.
Senza troppa cautela mi avvicino a lui, sento la pressione calare vertiginosamente, perciò insinuo entrambe le mani nel suo cappotto aperto, facendole aderire al petto che si muove ritmicamente sotto al golfino.
Il calore di quel contatto mi fa rabbrividire.
Chiudo gli occhi, quando con il pollice Alexander segna lo zigomo che verrà sommerso dalle lacrime a breve.
«Quando ti rivedrò?»
«Non lo so, Juliet. Probabilmente tra un mese»
«Per il processo?» domando ancora confusa.
«Sì. Libera di dire quello che vorrai su di me» conclude prima di voltarmi le spalle.
Non riesco a trattenermi, lo seguo nella speranza che possa cambiare qualcosa, ma so già che non sarà così.
«Alex, scusa per quello che ti ho detto ieri, non volevo...»
Lui si arresta prima di giungere alla porta, si volta appena, ma non solleva lo sguardo dalle sua mani impegnate a giocherellare con i guanti.
«Forse me lo meritavo»
Già e forse io non dovrei dimostrarmi sempre così impulsiva, ma non ci riesco quando si tratta di lui. Mi avvicino per cercare ancora un contatto.
«Juliet per favore non guardarmi così. Non torno sulle mie decisioni»
E lui è irremovibile.
«Sono egoista, lo so, ma ho capito una cosa in questi ultimi mesi. E ieri sera, nel vederti in quel modo, ne ho solo avuto la conferma. Voglio che tu sia felice, nient'altro»
Corrugo le sopracciglia, poi finalmente Alexander cerca il mio sguardo. Fisso i suoi specchi bui come la notte, intanto la sua voce cupa prosegue a parlare.
«E se questo significa stare senza di me...»
«No, Alex no»
«Ho fatto tante cose sbagliate da quando ti conosco. Forse questa è l'unica cosa giusta che potrò mai fare per te, Juliet. Lasciamela fare»
Chiudo gli occhi. Se prima credevo che le cose presto o tardi si sarebbero rimesse a posto, ora sembra essersi spenta anche l'ultima speranza.
«Perché se dici di amarmi vuoi lasciarmi?»
Glielo chiedo senza remore, incurante del mio labbro tremolante e della mia voce rotta.
«Perché meriti di essere felice, Juliet»
🖤🖤🖤🖤🖤
🦋 non potete capire la fatica per scrivere questo capitolo 🤯
che cosa dite, quella di Alexander è la decisione giusta?
🦋 non ci sono scene 🔴 anche se nell'idea originale ci sarebbero state, ma ho deciso di rendere Alexander un po' più virtuoso e perché no, fargli fare una piccola evoluzione.
Ci ha messo tanto, ma finalmente l'ha capito che c'era qualcosa che non andava in loro due
🦋 per quanto riguarda la scena in cui Juliet "rinfaccia" certi atteggiamenti ad Alexander... ho tentato di essere il meno melodrammatica possibile e so che molte di voi diranno sempre che "lei lo voleva", ma forse il primo libro non ce lo ricordiamo bene... Alexander ha fatto tante cose sbagliate nei confronti di J
🦋 ah, dimenticavo... farò un annuncio riguardante badlands su Instagram (stefaniasbooks)
Alla prossima ✨
🖤🖤🖤
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