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LII


🔴🔴

Casa di David non pullula di persone, perciò è facile accorgermi dell'assenza del festeggiato.

Me ne sto immobile, seduta su una poltrona ad ascoltare Chloe ed altre ragazze che chiacchierano dei loro piani per Natale.
Persa come sono ad osservare l'arredamento minimal di quel salotto, ci metto un po' ad accorgermi che stanno parlando con me.

-Juliet, tu ci sei?-

-Per...?-

Corrugo la fronte mentre Chloe mi porge un bicchiere di spumante che rifiuto categoricamente con un cenno del capo.

-Una settimana sulla neve. Con noi.-

La guardo indicare le altre ragazze che lavorano nel nostro ufficio.

-Non so sciare.- mi limito a commentare con una scollata di spalle.

-E quindi? Cioccolata calda, vino rosso e gossip. Cosa vuoi di più?-

-Non saprei... Ci penso, poi ti faccio sapere.-

La mia risposta fa storcere il naso a Chloe, io intanto torno a curiosare in giro.
Con la coda dell'occhio vedo la sagoma di David fare il suo ingresso nella stanza. Arriva con il cellulare all'orecchio, afferra una bottiglia di liquore da una vetrina adibita agli alcolici, poi si allontana dalla folla.

-Cosa c'è da pensare? Non è che devi chiedere il permesso al tuo fidanzato?-

Le ragazze mi stanno prendendo in giro, ovvio. Forse perché non conoscono Alexander.

-Ma che c'è?- chiede a quel punto Chloe, dinnanzi alla mia faccia poco interessata.

Guardo l'ora sul telefono: sono già le dieci. E io mi sento irrequieta.

-Mi sa che torno a casa...-

-Ma la festa non è ancora cominciata?!- salta su lei arcuando le sopracciglia bionde.

-Lo so ma preferisco tornare, sono stanca.-

-Non è vero.-

Il suo rimprovero è accompagnato da due labbra strette e un'espressione diffidente.

Okay non è vero però preferisco tornare.

Così mi alzo in piedi, causando occhiate curiose da parte di tutto il gruppetto.

-Va bene, ci vediamo lunedì a lavoro. Però ricordati di salutare David prima di andare via, ci teneva che venissi, non ti ha neanche vista.- la sento dire tra gli schiamazzi delle altre ragazze che sono tornate a farsi gli affari loro.

Mi sistemo il vestito sulle ginocchia, rivolgo a Chloe un abbraccio frettoloso, poi mi avventuro per il corridoio. Non sono famosa per il mio senso dell'orientamento, ma casa di David non è molto grande, pertanto mi riscopro senza troppi sforzi davanti alla porta d'ingresso.
Esco dall'appartamento e con mia sorpresa trovo David sul pianerottolo delle scale. Sembra abbia appena terminato una telefonata poco gradita.

-Juliet?-

-David, ciao.-

-Dove...?-

-Torno a casa.- ribatto osservandolo di traverso.

Lui se ne sta tutto solo, poggiato con la schiena al muro, a trangugiare alcol.

-Che succede?-

Il mio tono risulta lievemente preoccupato, mi dispiace vederlo in questo stato.

-Niente. Ho appena ricevuto degli auguri di compleanno non richiesti.-

-Oh.-

-La mia ex mi ha appena detto che si sposa.- prosegue con una smorfia sofferente.

-Proprio il giorno del tuo compleanno?-

La mia domanda esce spontanea e no, non è delle migliori.

-Che tempismo, eh.- ricalca lui con una strofinata sui ciuffi castani che gli ricadono in fronte.

Fortuna che ignora completamente la mia mancanza di tatto.

-Non ti merita, non pensarci più.- provo a consolarlo con una frase sterile e concisa.

Non siamo amici, né abbiamo tutta questa grande confidenza, perciò mi trattengo dall'esprimere altri pareri.

David però non sembra volersi limitare alle chiacchiere superficiali che si fanno in questi casi, mi si avvicina repentinamente e io riesco a sentire l'odore del whisky provenire dalle sue labbra socchiuse.

-Pensi sia facile?-

Raddrizzo le spalle, come se fosse appena scattato un piccolo allarme nel mio cervello.

-No. No ho detto questo.-

Poi abbasso gli occhi, lasciandoli scorrere lungo il maglione scuro a collo alto che fascia il suo fisico magro ma slanciato.

-Che sei venuta a fare?-

Mi sento improvvisamente piccola dinnanzi a quella domanda, pronunciata con così tanta risolutezza.

-No, niente. Devo tornare a casa. Volevo salutarti.-

-Però...-

-Cosa?- domando con un filo di voce.

-Perché non ti muovi da lì?-

Ma che domanda è?

-Non lo so.-

David fa accorciare le distanze avvicinandosi così tanto da premere i suoi fianchi contro i miei.

-Cosa vuoi da me, Juliet?-

-In che senso...?-

Sto ancora formulando la frase quando lui riversa il suo viso sul mio, il suo respiro è qualcosa di fortemente alcolico e mi solletica il labbro inferiore.

-David, no.-

Quando capisco le sue intenzioni, balzo all'indietro, andandomi a scontrare contro la porta d'ingresso.
Lui sembra confuso. Estremamente confuso.

-Perché mi guardi così se poi non vuoi baciarmi?- sibila con voce rauca e frammentata.

Faccio un ulteriore passo indietro, ma sono imprigionata sulla porta e siamo così vicini che gli è bastato chinare la testa alla mia altezza, per cercare la mia bocca.

-Scusa ma... non voglio.-

Le mie parole perdono completamente di significato perché qualcosa alle spalle di David richiama la mia attenzione.
Metto a fuoco la sagoma che mi appare davanti, il cuore comincia a palpitarmi nel petto come fosse impazzito, perché la riconosco immediatamente.

-Alexander?-

Mi allarmo immediatamente, il mio sguardo si posa sul suo viso contratto in una smorfia adorata.

-Ma cosa ci fai qui?-

Lui però non sta guardando me.
Vedo le vene del collo tendersi e svettare sotto alla sua pelle chiara, gli occhi color pece si fanno così piccoli che per un attimo non lo riconosco.
Non arriva come una forza, ma lento, calibrato, quasi calcolato.
Forse premeditato. In un attimo la figura di David mi sparisce da davanti, Alexander lo spinge contro il muro, afferrandolo dalla gola.

-Alexander!- urlo con tutto il fiato che ho in gola.

Il mio sguardo è ipnotizzato dalle sue dita affusolate, strette intorno al collo di David e dai suoi occhi, attraversati da lampi di rabbia.

-Cosa volevi farle?-

David annaspa, non è in grado di rispondere sotto alla morsa che si fa più soffocante intorno alla gola.

-Alex, ascoltami...-

Ma ovviamente lui non mi sta ascoltando.

-Cosa pensavi di farle, mhm?-

Lo strattono appena dalla manica della camicia, causandogli una presa più fiacca, che lascia respirare David per qualche istante.

-Sta tranquillo, tua sorella non è in pericolo.-

Quest'ultimo soffoca un lamento, ma Alexander si avvicina al suo viso per ringhiargli addosso.

-Non è mia sorella.-

Rabbrividisco nell'udire la sua voce così cupa e profonda pronunciare quella frase.

- Alex!-

Ma lui ovviamente non mi ascolta. Mai.

-Ti prego, è ubriaco e sta male. Non è in sé, lascialo.-

La mia supplica sembra riportare Alexander alla realtà, molla la presa ma lo sguardo spento e furibondo non promette niente di buono.

Senza neanche guardarmi, mi volta le spalle e scende le scale.
Con la coda della occhio vedo David tossire per poi massaggiarsi il collo, io intanto inseguo Alexander che si è già dileguato oltre il portone.

-Alexander!-

Lo richiamo invano un paio di volte, finché lui non si gira verso di me con uno scatto improvviso.

-Hai avuto paura, Juliet?-

-Sì, pensavo gli volessi fare del male per davvero.- annuisco agitata.

-Lo volevo infatti.-

-Ma che stai dicendo?-

Lo afferro nuovamente dalla camicia che gli fascia il braccio, come se potessi fargli cambiare idea con un semplice gesto.

-Non mi toccare.-

-Alex! Non puoi avercela con me ora!-

-Tu non esisti più per me, non voglio più vederti. Hai capito?- soffia furente, rivolgendomi uno sguardo di disprezzo.

-No!- esalo lasciando una nuvola di valore acqueo che si disperde nell'aria fredda e autunnale.

-Aspetta, vengo a casa con te.-

-Fatti accompagnare da lui.- taglia corto Alexander, quando siamo già davanti alla sua auto.

-Non dici sul serio...-

Questa volta mi incenerisce con un'occhiata furibonda.

-Ah, perché puoi stare ad un millimetro dalla sua cazzo di faccia, ma non ti puoi fare accompagnare a casa?-

-Vuoi questo? Davvero?-

Allargo le braccia con fare incredulo.
Siamo per strada, stiamo entrambi alzando la voce e senza volerlo, stiamo attirando gli sguardi indiscreti dei passanti.

-Certo che no, muoviti. Torni a casa con me.- taglia corto indicandomi la portiera.

Ad Alexander sembra importare poco che alcune persone ci stiano guardando, mi afferra dal braccio, trascinandomi più vicina alla sua macchina.

-Sì però puoi anche calmarti.-

Lui molla la presa, ma l'espressione scura dal viso non gli è ancora passata.

È saltato conclusioni affrettate e ovviamente per lui non c'è beneficio del dubbio.

-Per favore non fare così, non è successo niente.-

Ci infiliamo entrambi in macchina, dove lui non apre bocca neanche per sbaglio, così decido di stare in silenzio anch'io. Mi chiedo quando io abbia cominciato a sentire questa sensazione di solitudine quando sto insieme a lui.

Provo a scacciare via i pensieri negativi, ma sento un peso nello stomaco che non riesco ad ignorare e questa sensazione peggiora non appena rientriamo in casa. Lui si sfila il cappotto, io faccio lo stesso e quando entro in cucina, lo sorprendo fermo contro l'isola a fissarmi con aria torva.

-Puoi ascoltarmi?-

Mi avvicino con l'intento di sfiorargli la mano, ma lui la ritrae prontamente. Ha un'espressione apatica sul viso che mi è impossibile da decifrare.

-Avevi paura gli facessi del male?- domanda ad un certo punto, dirigendosi con gli occhi verso il pavimento.

-Sì.- rispondo senza neanche pensarci.

-Lo vedi, Juliet? Neanche tu ti fidi di me.- asserisce tagliente.

-Beh, grazie tante! Per forza che non mi fido di te quando fai così! Sei completamente fuori!- erompo istintivamente.

Alexander si muove lento, compie un giro su sé stesso per voltarmi le spalle.

-Dove vai?-

La mia domanda è sufficientemente forte da indurlo a tornare sui suoi passi. Mi sovrasta con la sua altezza, perforandomi con uno sguardo bruciante.

-Juliet, forse non hai capito... tu non mi vedi più.-

Apro la bocca in un'espressione allibita. Non esce un suono.

-Ma...-

Alexander curva il capo, facendo scontrare i suoi occhi di ghiaccio nei miei.

- Ma cosa? Mhm? Eri pronta a metterti in ginocchio per lui?-

Mi sento sprofondare, la mia pressione sanguigna cala rapidamente, potrei svenire.

-Alex stai chiaramente delirando, non stava succedendo niente. Lui ci ha provato e io mi sono scansata.-

Le mie parole escono confuse, non posso credere a quello che ho appena sentito.

-No, certo. Peccato che te l'abbia letto in faccia, Juliet.-

Non so se chiamarlo istinto di sopravvivenza o semplicemente amor proprio, ma è come se in questo momento si fosse rotto qualcosa.
Che neanche un scusa potrebbe riparare.
Scusa che, oltretutto, Alexander non direbbe mai.

-Perché stai lì impalata?- chiede fissandomi dall'alto.

-Cosa dovrei fare? Nella tua testa dovrei farmi perdonare per qualcosa che non ho fatto?-

-Non l'hai fatto perché sono arrivato io.-

Sento le lacrime sopraffare le mie iridi.

-Tu non te ne accorgi, vero?- riesco a chiedere prima di scoppiare definitivamente a piangere.

-Cosa, Juliet?-

-Del male che fai alle persone.-

Non mi importa di avere la voce rotta dalle lacrime, per una volta voglio che veda l'effetto devastante che è in grado di provocare su di me.

-O forse te ne accorgi, ma non te frega niente.-

-Non fare la vittima.- sussurra distogliendo lo sguardo dal mio. -Non piangere.-

-Sai che ti dico? Se continui a trattami così, sei tu che non mi vedrai più, Alexander.-



Il giorno seguente Mini viene a trovarmi. É domenica e siccome non lavoro e lei non ha scuola, decidiamo di stare un po' insieme.
Visto il mio morale a terra e la mia voglia di uscire pari a zero, il piano è di stare a letto a guardare un film, mangiando patatine fritte e caramelle.
Non c'è nient'altro che mi tirerebbe su.
Ho l'umore sotto ai piedi, sono nervosa, stanca e triste. Provo tante cose tutte insieme ed è veramente difficile scindere il mio stato emozionale attuale. Mini però se ne esce con una proposta del tutto improvvisata.

- Abbiamo cazzeggiato a sufficienza. Facciamoci belle e usciamo.-

Faccio segno di no, rintanandomi ancora di più nel mio letto.

- C'è un concerto, poco fuori da Londra. Tutte le ragazze della nostra classe saranno lì. È un'occasione per rivedere un po' di facce conosciute, no?-

Continuo a dissentire scuotendo il capo, Mini scoppia a ridere.

- Ormai tu frequenti solo più adulti che fanno feste noiose a base di rosé e discussioni di finanza?-

- Ma no...-

E prima che io possa dire la mia, Mini sta già litigando al telefono con sua madre.

-Mamma ti avevo chiesto di prestarmi la macchina per questa sera!-

Ovviamente sua madre si è dimenticata di lasciarle l'auto come le aveva promesso.

-Siamo a piedi, niente concerto.- dice con il broncio quando mette giù la chiamata.

-Beh, meglio... perché non avevo voglia di uscire.-

I miei borbottii si dissipano quando scendiamo in cucina a farci un caffè, i miei occhi s'imbattono in chi non vorrei vedere.

-Sì ma uscire ti farebbe bene.- prosegue Mini incurante della presenza di Alexander.

Sta svuotando la lavastoviglie, probabilmente ha sentito le nostre voci ma questo non l'ha dissuaso dal continuare a fare le sue cose con una meticolosità quasi fastidiosa.
Una persona normale ci metterebbe due minuti ad estrarre le stoviglie per poi riporle negli appositi ripiani, ma lui invece ci dedica il suo tempo, dato che deve allineare tutte le tazze in un ordine maniacale.

-Ho cambiato idea, non voglio stare qui.- bisbiglio a Mini quando vedo le sue spalle racchiuse in un golfino scuro.

-Allora... Che ne dici se iniziamo oggi?- propone lei.

-Cosa?- chiedo confusa.

-Andiamo in palestra, ci siamo iscritte lo scorso mese e non ci siamo andate una volta! Ci possiamo andare a piedi, è a due passi.-

-Eh... ma...è domenica.- mi lamento con poca voglia.

-E dai! Non ci sarà nessuno oggi, così se ci facciamo una figuraccia, non daremo modo ai manzi che la frequentano di ridere di noi.-

-Di cosa state parlando?-

La sua voce fredda è in grado di farmi rabbrividire. Reprimo lo scossone che mi attraversa la spina dorsale, tentando di restare impassibile.

-Niente che ti riguarda.- ribatte Mini incrociando le braccia con tono di sfida.

Alexander sbuffa con la sua solita aria di superiorità, come se fosse davanti a due bambine.

-Che avete da fissare?-

-Io non ti sto proprio calcolando ...- bofonchio senza sollevare gli occhi dal caffè.

-Questa sera ci accompagneresti, Alex?- domanda Mini sotto al mio sguardo che si fa all'improvviso funesto.

Le faccio cenno di no con la testa, ma lui risponde prima ancora che io possa dissentire.

-Mi dispiace, sono impegnato.-

- Uh, immagino a fare cosa.- lo sfido senza distogliere lo sguardo dal suo.

Alexander smuove appena la bocca in un piccolo ghigno inquietante.
Sembra sembra infastidito e divertito nello stesso tempo.

-Lascialo perdere, Mini... troveremo qualcun'altro che ci accompagni. Tieni, metti anche questa.-

Porgo la tazza che ho appena usato ad Alexander, indicandogli la lavastoviglie.
Lui non sembra prendere bene il mio ordine e mi squadra dall'alto al basso per qualche istante. I suoi occhi fulminei però, si bloccano sui miei leggins sportivi.

-Dove staresti andando, scusa?- domanda osservando il tessuto aderente che mi avvolge le gambe.

-Mi sono iscritta in palestra.- rispondo a testa alta, senza aver la benché minima intenzione di andarci.

-E ci vai così?- insiste lui con un cipiglio.

Improvvisamente mi è venuta una gran voglia di andarci.

-Certo che sì. Come dovrei andare?-

-Nel borsone abbiamo tutto, metto l'acqua?- si fa avanti Mini, reggendomi il gioco.

-Sì.-

Mini esce dalla cucina per andare a recuperare la sua borsa in camera mia, ed è proprio in quel momento che Alexander mi viene più vicino, sovrastandomi con la sua altezza.

-Non puoi cambiarti?-

-Non credo proprio. Poi cosa c'è... il rosa non ti piace più?-

Lo sguardo pesante che punta dritto in mezzo alle mie gambe mi fa tremare.
Decido di non dedicargli altro tempo e vado a recuperare le mie scarpe da ginnastica.
Alexander muove qualche passo dietro di me, seguendomi, ma quando mi piego davanti a lui per allacciarmele, lo sento mugugnare.

-Cristo.-

Mi ritiro su come se niente fosse, Mini intanto mi porge il mio borsone già pronto.

- Tutto bene?-

Tento di risultare il più innocente possibile, mentre Alexander passa lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra con insistenza.

-Vi porto io questa sera.- sentenzia deciso.

- Ci porti al concerto? Davvero?-

Mini è incredula e sta già per fare i salti di gioia.

-Ci porti e te ne vai però.- contrattacco puntigliosa.

Se Alexander avesse il potere di incenerirmi con lo sguardo, ora sarei ridotta il poltiglia.

-Dai è stato gentile...- sussurra lei sottovoce, quando lui si è già dileguato per il corridoio con le mani nelle tasche.

-Non voglio che stia con noi. Non voglio che mi controlli.-

- Juls ci accompagna solo, non esagerare!- minimizza lei, con la sua solita positività.

- Tu parli così perché non lo conosci! Non lo fa per gentilezza. Fidati.-

-L'importante è che lo faccia, ci godiamo la serata e tu smetti di tenere il broncio.-

Mini fa una pausa, quasi ad assicurarsi che lui si sia allontanato del tutto, poi riprende.

-Rispetto il fatto vi siate lasciati ma... guarda in faccia la realtà, non durerà a lungo questa rottura.-

-Grazie tante.- replico indispettita.

-Beh sono solo realista, non riuscite a stare lontani. L'unico modo per stargli a debita distanza, sarebbe tu che te ne vai via da questa casa.-

Annuisco. -Lo so. L'inquilino della casa nuova va via a dicembre, il tempo di sistemare due cose...-

-Quindi ne sei convinta?-

-Sì... cioè, non lo so. Non so più cosa voglio.- confesso con una punta di amarezza.

Poi usciamo, ma invece che andare in palestra facciamo una piccola deviazione e passiamo a prenderci un gelato gigante.


- Siete pronte o devo aspettare ancora tanto?-

È ormai sera quando io e Mini scendiamo in salotto, con ben cinque minuti di ritardo. Alexander è già impaziente, tamburella con le dita affusolate su un ripiano della vecchia libreria che si staglia in corridoio.

-Sono le nove e cinque.-

Mini apre bocca per replicare ma io le faccio cenno di non dargli corda.

Così saliamo in macchina, dove Alexander stranamente non chiede informazioni sul luogo in cui siamo dirette, imposta la destinazione nel navigatore e resta in silenzio per tutto il tragitto.

Io rimango seduta nel sedile di fianco a lui, con braccia conserte e lo sguardo rivolto al finestrino pur di non guardarlo. Anche se mi è bastata un'occhiata distratta per notare il suo viso pallido, gli zigomi tinti di rosso per via del freddo e le mani, più bianche del solito.

-Dov'è questo posto?-

-Segui le indicazioni, che ti importa sapere dov'è?-

Alexander e Mini battibeccano, finché non lui non si accorge che il posto è più distante del previsto.

-Stiamo andando fuori città.- mormora lui quasi infastidito.

-È all'aperto, Alex. Tranquillo, al massimo ti si sporcheranno le gomme di fango..- lo prende in giro lei.

Arriviamo sul luogo un po' in anticipo e sostiamo nel grosso parcheggio che costeggia il parco in cui si terrà il concerto.
Continuo a guardare oltre il finestrino
e il pensiero di uscire al buio e al freddo da sola, mi crea una sorta di magone inspiegabile nella pancia.
Forse perché non muoio dalla voglia di vedere Karoline e le sue amiche. O forse perché preferirei starmene con lui, non importa dove.
Mi basterebbe stare con lui.

Ma di una cosa sono certa: Mini ha ragione, ho bisogno di svagarmi.

- Grazie Alex. Se vuoi sapere come torniamo, te lo dico io. Ci accompagna la sorella di Karoline.-

Alexander però non sembra particolarmente interessato a questo dettaglio, si volta verso Mini e le fa cenno di uscire.

-Comincia ad andare, Mini. Juliet arriva subito.- le ordina fissandomi.

E ci risiamo

Il suo tono basso e perentorio mi dà i brividi, mi manda letteralmente in confusione. È un po' come se, infondo, non aspettassi altro, perciò resto in silenzio per qualche istante, mentre dal sedile posteriore Mini mi dà un colpetto sulla spalla.

- Juliet?-

Così mi volto e annuisco a Mini, lei solo a quel punto capisce che ha il mio permesso per abbandonare l'auto.
Guardo la sua chioma bionda e voluminosa disperdersi nel buio, poi mi volto per incontrare lo sguardo affilato di Alexander nella penombra dell'abitacolo.

Sentiamo che ha da dire ora.

Lui in tutta risposta resta in silenzio, mi pianta addosso i suoi occhi neri senza battere ciglio.

Fa uno sforzo dí qualcosa

Gli concedo ancora qualche secondo, ma siccome non lo vedo muovere un muscolo, decido di uscire anch'io. E quando ho la mano pronta ad aprire la maniglia, lui mi blocca dal polso.
Le sue dita fredde a contatto con la mia pelle mi fanno sussultare.

-Che c'è? Vuoi chiedermi scusa?- domando fulminandolo con lo sguardo.

-Per cosa dovrei scusarmi? Perché la mia ragazza stava per baciare un altro?-

-Ah quando vuoi tu, divento la tua ragazza!- esclamo quasi incredula.

-Cosa mai ti ha fatto pensare il contrario?-

-Il mondo irrispettoso in cui mi tratti!-

Per un attimo mi stupisco di me stessa, per come riesco a rispondergli a tono, per come riesco a tenergli testa ma... a quanto pare è sempre Alexander a riconfermarsi l'unico a sapermi stupire per davvero.

-Vai dietro.- asserisce indicandomi con la testa il sedile posteriore.

-Tu sei psicopatico.-

-E a te piace vero?-

-Questo non c'entra... Io...-

Mi perdo a guardare i suoi occhi cupi segnare il mio collo con occhiate infuocate.

-Che stai fissando ora?-

-Mi piace come i capelli restano incastrati nella tua sciarpa.- dice senza pensarci su neanche per un attimo.

- Cosa vorrebbe...-

-Mi ricorda come stavano bene nella mia cintura.-

-Ti sembra una cosa normale da dire?-

-Vai dietro.- impartisce stringendo le labbra in una linea più serrata.

-Fai sul serio?-

-Nel sedile posteriore, Juliet.-

-Ma...-

-Ora.-

Resto interdetta più dal modo in cui mi guarda che dalla richiesta insolita.
Che poi, conoscendolo, tanto insolita non è.
Mi perdo a guardare le sue labbra, quando mi accorgo che anche lui sta marchiando le mie, con uno sguardo penetrante.
Non ci peso due volte, con un balzo mi catapulto dietro, per poi accomodarmi sul sedile.

E ora?

Cerco oltre il finestrino tracce di vita, ma sembra non esserci nessuno.

- E ora?- chiedo con voce impaurita.

-Ora apri le gambe, Juliet.-

Il suono caldo della sua voce sottolinea quelle parole così familiari. Ci guardiamo nello specchietto retrovisore per qualche istante, per momenti che sembrano infiniti. Non so che intenzioni abbia Alexander, ma mentirei se dicessi che non mi aspettavo la sua richiesta.
Lo conosco troppo bene per non prevedere i suoi giochetti.
Discosto le ginocchia lentamente mentre un espressione soddisfatta si fa strada sul suo volto.

-Perché lo fai?-

Mi interroga quando ormai gli sto dando la visuale delle mie mutande.

-Perché... tu me l'hai chiesto.- rispondo titubante, confusa dalla sua domanda.

-E tu lo fai così, senza pensare?-

-Me l'hai chiesto.- ripeto come se bastasse questo a giustificare il mio gesto folle.

Alexander si strofina il viso con la mano, segnando a poco a poco la sua debolezza. Pensavo programmasse la sua prossima mossa, ma così non è.
Lo vedo fissare il volante con aria tesa.
Mi chiede di fare una cosa, poi non ha il coraggio di guardarmi negli occhi.

-Non riesci neanche a guardarmi?- chiedo con voce smorzata.

Lui si riempie il petto di un grosso respiro, finché non incrociamo nuovamente gli sguardi nello specchietto.

-Sei così bella che fa male guardarti.-

Ero delusa.
Ero arrabbiata e amareggiata per ciò che è accaduto con David, sopratutto per il modo freddo in cui Alexander mi ha trattata, ma... in un attimo ho già dimenticato tutto.

-Senti Alex, non so perché dubiti sempre di me. Vorrei che capissi che ieri non avrei fatto niente...-

-Juliet.-

I suoi occhi cadono lenti come lame appuntite tra le mie gambe. Ne sento il peso, mentre tracciano traiettorie proibite sotto alla mia gonna.

-Comincia da sola.-

Sento il respiro abbandonare le mie labbra con un ritmo affannoso.
Non mi ha neanche sfiorata e già sono un cumulo di tremolii.

-No.-

Il mio rifiuto lo fa sussultare, lo vedo da come stringe le labbra per mantenere il controllo.

- Non è il caso..- bisbiglio guardando fuori, eludendo la sua occhiata.

Stavolta non è più concentrato sul mio riflesso, stavolta si è voltato a fissarmi per davvero.

- Di cosa hai paura?- domanda conoscendomi alla perfezione.

Lo so che fuori non c'è nessuno, che è buio, però non mi sento a mio agio adesso. Non dopo come ci siamo trattati.

-Ho paura che tu mi faccia sentire speciale solo quando lo facciamo.-

Alexander coglie la mia titubanza come un segnale a venire dietro con me. Mi si avvicina lentamente, così gli faccio spazio accanto alla mia figura.
Mi faccio più piccola, ma non cambia l'effetto che mi fa: avercelo così vicino, in un ambiente così ristretto, mi dà i brividi.
Il profumo che proviene dal suo maglione è intenso ed è in grado di inebriarmi tanto da farmi dimenticare perché ero arrabbiata con lui.
Mi lecco le labbra ormai secche sotto al suo sguardo enigmatico e più mi si avvicina, più resto abbagliata dal chiarore del suo collo affusolato.

-Guardami.-

Il potere di piegarmi con uno sguardo lo esercita ancora più forte, quando i nostri respiri sono così prossimi.
E mi basta quello.
Mi avvento sulle sue labbra come se non le avessi mai provate, come se fossi disperatamente assetata del loro sapore. Non so che mi prende, ma comincio mordicchiare il suo labbro inferiore per poi richiedergli l'accesso con insistenza.

- Una cosa alla volta.- mormora lui portando la testa all'indietro.

Il mio istinto viene sopraffatto da un senso di frustrazione insopportabile.

-Perché devi fare così adesso?- domando scrollando la testa.

Non sopporto quando mi rifiuta e sebbene io sappia che nella sua testa vi sono dei motivi specifici per cui lo fa, ci resto comunque male.

-Perché ieri non mi sei piaciuta, Juliet.-

- Ma...-

-Perciò ora mi ascolti bene.- mormora nel mio orecchio facendo scorrere le labbra calde sul mio lobo sensibile.

E non è necessario chiedergli cosa devo fare, lo so già.
Porto entrambe le mani sotto alla gonna e aggancio l'elastico delle mutande da entrambi i lati. Poi mi volto a guardarlo mentre le sfilo lentamente.

- Brava bambina.- soffia tra i miei capelli con voce roca.

- Alex però...-

Mi guardo intorno con faccia preoccupata.

-Non vorrei mai che nessuno ti vedesse in un istante come questo, puoi stare tranquilla. I vetri sono oscurati.-

Le sue dita fredde s'impossessano dell'orlo della mia gonna, lo solleva appena per farsi spazio dove la mia intimità lo accoglie.

- Ora rilassati e non pensare.-

- Come faccio a non pensare a ieri? Mi hai fatta sentire così...-

Lo sento infilare due dita dentro di me con una lentezza dolorosa.
Piagnucolo un lamento senza scollare i miei occhi dai suoi.

-Così... Meglio, no?-

Annuisco, ma poi lui va più a fondo, facendomi quasi male.

-Alex...-

-Sei abituata a molto di più di questo, Juliet.-

È tanto che non lo facciamo e già solo il suo tocco mi sembra eccessivamente ingombrante. Provo a muovere il bacino per andare incontro alla sua mano, ma solo quando inizia a compiere un movimento più rapido e veloce, inizio a sentire il calore piacevole che si propaga dal mio basso ventre a tutto il mio corpo.

- Perché? Che senso ha tutto questo...- balbetto ormai sopraffatta dalle sensazioni così piacevoli che sembrano in grado di liquefarmi.

-Ti stai bagnando.-

Alexander seguita a straziare le mie carni umide con il movimento delle sue dita fredde.

-Sì, ma... perché lo fai?-

-Perché tu ne hai bisogno.- ribatte deciso.

E quando si accosta al mio viso per concedermi un lungo bacio, quasi non ci credo.
Con il labbro inferiore cerca l'ingresso nella mia bocca e lo trova nel momento in cui la mia lingua si unisce con lussuria alla sua, entrambe cominciano a vorticare all'unisono, in un movimento incessante.

-E tu cosa ci ricavi? Ne hai bisogno anche tu?- chiedo ormai in preda all'ebrezza del momento.

Le sue mani fredde percorrono l'interezza della mia schiena, per poi giungere a sollevarmi il maglione.

Il suo bacio sa essere più intenso di qualsiasi contatto intimo, ma quando porta la bocca sulla mia pancia vengo trafitta da un brivido intenso.

-Certo che sì, Juliet. Voglio che tu capisca che sei mia. Solo mia.- lo sento biascicare prima di cominciare a mordicchiare dolcemente la mia pelle.

-E me lo fai... capire così?-

È sbagliato quello che sta dicendo? Sì.
Come è sbagliato quello che stiamo facendo, ma ora non riesco a pensare.

- Non dovremmo chiarire?- domando poi tentando di non farmi schiacciare dalle emozioni contrastanti.

Le sue mani fredde tracciano il percorso dei miei capezzoli, che a breve verranno marchiati dalle sue labbra calde. Ma è quando vi affonda i denti che inizio a dimenarmi, morde con bramosia fino a farmi mugolare di dolore.

-Alex, piano.- sussurro quando scende sul mio fianco a lasciare il marchio del suo morso serrato.

- Perché non hai parlato ieri sera, se avevi qualcosa da dirmi, mhm?-

Con una spinta delicata, Alexander mi induce a sdraiarmi sul sedile, senza mai perdere la presa intorno alle mie gambe, che gli si allacciano intorno al collo.
Il modo in cui lecca e poi morde il mio interno coscia è così intimo e primordiale che mi toglie il fiato. Ho mille pensieri nella testa, ma non riesco a concentrarmi su niente.
Eppure lo amo e lo desidero più di ogni altra cosa, questo di sicuro non è cambiato.

-Sei così bagnata per me?- lo sento chiedere quando ormai il suo respiro è un soffio sulla mia intimità esposta a lui.

-Sì.-

-Solo per me?- chiede tenendo gli occhi ben piantati nei miei.

-Si.-

-Cristo.-

E quando le sue labbra si scontrano con le mie pieghe pulsanti, vengo attraversata da mille scariche elettriche.

-Ti prego fa piano.- lo supplico, conoscendo già i suoi desideri.

-Volevi farti scopare da lui?- tuona facendo strisciare i suoi denti pericolosamente sulla mia carne.

-Alexander... ti prego.-

- Rispondi.-

-No, certo che non volevo.-

La mia affermazione è decisa e Alexander sembra prenderla sul serio perché risale il mio corpo e si avvicina con il viso alla mia guancia.

-E cosa vuoi?- sussurra piano.

-Voglio solo te.-

-Chiedi gentilmente allora.- ordina quando la sua erezione è ormai solida e ricurva dentro ai pantaloni. La spinge contro il mio fianco mandandomi in confusione.

-Non puoi semplicemente...-

Provo ad afferrare la cintura dai passanti, ma lui scansa via la mia mano, lasciandomi intendere che non ha quelle intenzioni con me.

-No.-

Si riposiziona tra le mie cosce, divaricandomele con entrambe le mani, poi mi guarda dal basso e intanto affonda i denti lentamente nella mia carne. Questa volta però non dolcemente. Nè lentamente.
A stento trattengo un urlo.

Ci risiamo maledizione

-Alexander...-

Chiudo gli occhi, scacciando via l'immagine dei suoi occhi duri su di me, come per ammorbidire il dolore del morso, ma non c'è verso, non riesco mandare via quel bruciore. Fa male e lui lo sa. Forse è per questo che le sue dita aumentano la corsa dentro di me.

Il bacio delicato che mi lascia nell'interno coscia è la dolce promessa di una coccola che non durerà a lungo.
Porto la testa all'indietro contro il finestrino abbandonandomi a lui, nonostante io sappia cosa accadrà a breve.
Le sue labbra dure si fanno presto più esigenti, comincia a succhiare lembi di pelle facendomi gemere.

-Sto facendo piano, Juliet.-

Un ghigno erompe sul suo viso, nel buio lo sento sorridere prima di avventarsi sul mio clitoride con quelle labbra gonfie con il solo intento di imprigionarlo con un risucchio bagnato. Il mio corpo ha ormai smesso di opporgli resistenza, è complice della sua tortura.

-Così. Preferisci così, vero?-

E sono ormai sono completamente arrendevole. Annuisco velocemente, sperando non mi obblighi a parlare.

-Dillo.- sospira prima di assestare una leccata calda e decisa sul mio centro sensibile.

-Alex.-

-Voglio sentirtelo dire, Juliet.-

Mi sta girando la testa, mi sento andare a fuoco e vorrei che lui continuasse a dar vita a quelle sensazioni piacevoli, ma Alexander non ci pensa due volte a farmi capire che ha tutt'altre intenzioni.

Affonda denti nella carne, addenta la mia gamba con così tanta forza che mi sento lacerare.
Uno spasmo voluttuoso attraversa la mia intimità pulsante dandomi una scossa piacevole.

Le sue dita arrivano più a fondo, le rotea appena, continuando a muoverle dentro di me con maestria, poi torna a far slittare la lingua tra le mie pieghe, costringendomi a tremare, finché non vengo colta da sussulti così forti che mi portano all'orgasmo.

Ma il grido che emetto poco dopo rimbomba per tutto lo spazio intorno a noi. Ho ancora il fiato corto ed il petto affannoso, quando Alexander immerge i denti nell'altra coscia, con una tale crudeltà da farmi disgregare in mille pezzi.

E quando il piacere dell'orgasmo si affievolisce completamente, il dolore lancinante prende il sopravvento.

-Stai bene?- domanda aiutandomi a tirarmi su.

Si posiziona di fianco a me, intanto scruta il mio viso arrossato e in preda all'affanno.

Io però decido di non fermarmi ad annuire.

-Mi fai stare male quando fai così, come ieri.- sospiro tutto d'un fiato.

Lui mi osserva attentamente, poi il suo sguardo si ferma sulle mie labbra.

-Sono io a stare male.- ammette curvando il capo verso il basso.

E senza pensare gli getto le braccia al collo.

-Mi dispiace.- bisbiglio sulle sue labbra perfette.

Dovebbe chiedermi scusa per come mi ha trattata, lo so, ma non ci sono parole che accompagnano il mio desiderio in questo momento. Ad Alexander non dispiace, ma a me non importa più. Voglio solo che lui si senta amato.
Avvolgo le braccia più strette intorno alla sua schiena, portandolo più vicino a me. Alexander si rifugia con il naso nel mio collo, mentre sento la sua erezione smisurata sprofondare dura contro la mia intimità ancora pulsante e sensibile, per via del piacere appena provato.
Provo ad insinuarmi nella sua bocca con un bacio a stampo e lui accoglie la mia richiesta schiudendo le labbra, lasciando che le nostre lingue prendano a rincorrersi languidamente.

Con le mani mi tiene stretta a sè, mentre le mie dita tracciano il suo addome, per poi scendere al bottone dei suoi pantaloni.

-No, non così.-

Con quel sussurro ferma la mia mano, stringendomela  nella sua.

-Cosa?- domando confusa.

-Non voglio farlo se siamo ancora così... distanti.-

-Non mi vuoi più?-

-Cristo, Juliet. Ti voglio da morire. Solo... non mi sembra la cosa giusta da fare al momento.-

-Ma mi hai appena...-

Lui sembra combattuto e io non riesco più a pensare. La sensazione di dolore che si concentra tra le mie gambe comincia a fare troppo male.
Sollevo appena la gonna, come per cercare l'origine di quel bruciore.

-Alexander?!- strillo impaurita nel notare le chiazze rossastre che macchiano la mia pelle.. -Tu non puoi fare così.-

Lo sento strofinare con la punta delle dita sui segni che ha appena lasciato.

-È sbagliato, lo capisci?-

Lui resta in silenzio, mentre io chiudo gli occhi quando preme i polpastrelli facendomi dimenare per via del male che mi causa la pressione che applica.

Lo so perché lo fa.
L'ha fatto anche quando uscivo con Zack.
Ed è fottutamente sbagliato.
Mi sta marchiando e io glielo sto lasciando fare.

-Perché lo fai ?- domando quasi senza voce.

Lui si raddrizza, guardandomi dall'alto.

-Perché tu apri quelle fottute gambe solo per me.-

Vorrei odiarlo.
Vorrei odiarlo di più.
E sì lo odio, ma lo amo anche così tanto.

- Giusto, Juliet?- incalza poi, piantandomi addosso quei suoi occhi freddi come due fari al buio.
Sono pericolosi perché in grado di ipnotizzarmi con uno sguardo.

E io non riesco più a rispondergli. Sono in uno stato confusionale. Tutta questa situazione mi sta togliendo lucidità, o forse, la lucidità, con lui non ce l'ho mai avuta.

-Juliet, dimmi qualcosa.-

Io dovrei dire qualcosa?

-Cosa vuoi sentirti dire...- pispiglio con lo sguardo perso nel vuoto. Sono disposta a perdonarlo per la scenata di ieri, ma sembra che ad Alexander non interessi il mio perdono.

Mi solleva il mento con due dita, per far collidere i nostri occhi.

- Non so davvero cosa dire. Alex.-

Lui scrolla il capo.

-Lascia stare.- lo sento dire prima risistemarsi i pantaloni e aprire la portiera.

-Cosa dovrei dire? Sto ancora aspettando delle scuse da te.- esclamo quasi sbigottita per la sua reazione.

- Tu ti aspetti delle scuse da me?! Stai scherzando spero. Vengo per farti una sorpresa e cosa trovo? La conferma a tutti i miei dubbi. Ti fa piacere che lui provi qualcosa per te vero?-

- No! Mi ha preso alla sprovvista!-

- Com'era successo con quel tuo amico d'infanzia, James? Come con Zack? Come con Withman?-

Rabbrividisco al suono di quelle parole così ciniche.

-Non ricominciare.-

-Dimmi Juliet, sono tutti impazziti o forse sei tu che dai loro modo pensare di avvicinarsi a te?-

-Io non ho fatto niente. Sono solo gentile con le persone con cui ho a che fare.-

-Beh allora vedila così, a me non va giù tutta questa...mhm... gentilezza.-

L'accento sull'ultima parola che pronuncia è così sarcastico e sprezzante, che mi fa tremare. E non è il freddo di fine Novembre a farmi sentire così.
Sento le lacrime inondarmi gli occhi.

- È sempre questo che pensi di me? Che do troppa confidenza alle persone?-

Lo guardo scrollare la testa, mentre resta immobile a fissarmi.

- Juliet forse non hai capito. Io sono stufo di discutere, di litigare.-

- E cosa dovremmo fare?-

- A questo punto non lo so più. Se tu avessi fatto quello che io ti avevo chiesto, a quest'ora non saremmo messi così.-

- Certo, per te io dovrei lasciare il lavoro e smetterla di avere qualsiasi contatto con gli esseri di sesso maschile, vero?-

-Sarebbe un inizio.-

La sua risposta mi colpisce dritta al cuore, così come la freddezza che mi riserva quando parla.

-Questa è follia. Io non posso fare sempre quello che desideri tu, mi dispiace.-

E quando pensavo non potesse dire di peggio, Alexander compie un piccolo passo verso di me, intrappolandomi contro la macchina.

-Ma io so quello che è meglio per te, Juliet.-

Resto a bocca aperta per qualche secondo. Sono delusa sì, ma non da lui. Da me stessa. Ci ho sperato fino all'ultimo, ma a quanto pare non ci sono speranze che tengano.
Non cambierà mai.

-Ah ma certo, quindi marchiarmi come fossi un animale, non è più sufficiente?- sbraito dandogli uno spintone sul petto, per togliermi il suo corpo di dosso.

Lo vedo strofinare una mano sulla fronte con fare nervoso. -É meglio se vai dalle tue amiche, non abbiamo più niente da dirci.-

-Alex..-

-Dico sul serio, Juliet...-

-Cosa?-

-Non ha più senso continuare.-

🦋

Dopo la discussione con Alexander avverto uno strano subbuglio nello stomaco.
Non ero dell'umore per stare al concerto, ma invece che ingoiare l'orgoglio come al mio solito e tornare a casa con lui, ho chiamato un taxi.
Mini mi ha chiamata cinque volte e alla quinta ho dovuto risponderle dicendole la verità, non me la sentivo di vedere nessuno.

Così torno a casa, dove trovo mia madre, Alexander e John in cucina. Devono aver appena cenato.
Provo a defilarmi in silenzio, senza dare nell'occhio, ma mia madre ci vede piuttosto lungo.

-Juliet.-

-Vado a dormire.- borbotto prima che si accorgano dei miei occhi lucidi.

-Aspetta, è rimasto del dolce. Lo vuoi?-

-No.-

-Stavamo parlando di cosa fare per le vacanze di Natale, aspetta un attimo.-

E io dovrei voler passare le vacanze con voi?

E in un attimo mi viene in mente zia Vera. E non solo perché abbiamo passato da lei lo scorso Natale, ma perché lei l'aveva previsto.
"Se le cose non andranno bene con lui, lo avrai sempre davanti."

Posso cambiare casa, possiamo decidere di non vederci più ma... finché non taglierò completamente i ponti con la mia famiglia, lui sarà sempre qui.
Avvilita dal pensiero, scrollo il capo infastidita, poi esco dalla cucina e vado a togliermi giacca e sciarpa.

-Allora non mi hai detto se torni o meno per Natale, Alex.-

-Avrò solamente una settimana e mezza di vacanza.-

Mia madre lo interroga sui suoi piani, neanche fosse il suo figlio preferito.

-Bene. Prossima settimana allora mi accompagni...-

-No, non tornerò più.- asserisce lui con convinzione.

-Cosa? E perché?-

- Esami.- spiega lui con quel suo classico tono di voce calmo e riflessivo.

Tono che mi fa innervosire all'inverosimile, ma non mi preoccupo di non darlo a vedere.

-Sai che perdita, se non torni più.- bofonchio tra i denti.

John mi scruta attentamente quando passo dalla cucina, deve aver capito che c'entro qualcosa e su di noi cala un gelo tale, che decido di levarmi di torno.

-Vado a letto. Buonanotte.- sento dire ad Alexander, una volta che sono uscita da lì.

I suoi passi sulle scale si susseguono, dietro ai miei. Giungo davanti alla mia camera poi mi volto verso di lui, per incontrare nella penombra i suoi occhi e il suo profumo.

-Parlami.- insisto puntandolo a testa alta, quando lo vedo evitare il mio sguardo

-Cosa vuoi sentirti dire, Juliet?-

-Non puoi mettere un muro tutte le volte che le sono non vanno come vuoi tu.-

-Non ho niente da dire.-

-Non tornerai più qui, solo perché nella tua testa io stavo per baciare un altro?-

Quella frase gli provoca una reazione inaspettata, mi afferra dal braccio e mi volta con la faccia contro il muro. In un attimo il mio viso è imprigionato tra la parete del corridoio e le sue labbra.

-Non mi provocare. Non mi cercare.-

Sento il suo corpo farsi più solido contro il mio fondoschiena.

-Sennò?-

-Oh no, Juliet. Non avrai più neanche una parola da me. Non ti minaccerò, perché bagneresti le mutande e io non ho nessuna intenzione di lasciarti questa soddisfazione.-

-Alex io non ho fatto niente!-
La mia voce stridula lo fa accigliare.
-Non ti ferirei mai.-

Con entrambe le mani mi agguanta dai fianchi facendomi girare verso di lui.

-Sembri sincera. Ma poi in realtà...continui a farlo.-

-Io non...-

La delusione che si dipinge nei suoi occhi tristi non mi invoglia a continuare.

-Dovevi fare una cosa semplice: non tradire la mia fiducia.- spiega assottigliando lo sguardo.

-Ma non l'ho fatto!-

-Ne sei sicura? E se non fossi arrivato io?-

-Quindi tu vuoi lasciarmi per qualcosa che ipoteticamente avrei potuto fare? Io non ti capisco, pretendi che io sia perfetta! Ma indovina un po'? Io non lo sarò mai. É questo che non sopporti?-

-La scorsa settimana eri tu a non volere che la risolvessimo come al nostro solito, perciò ti ho lasciato del tempo. Eppure sembra non sia servito a nulla, Juliet.-

-Non capisco cosa...-

-Chiarisciti le idee, Juliet. Perché se qui c'è qualcuno che non sa più ciò che vuole, quella sei tu. Domani torno ad Oxford perciò non hai tanto tempo.-

-Cosa sarebbe questo? Un ultimatum?-

-Buonanotte.- taglia corto Alexander, lasciandomi a fissare la porta che ha appena sbattuto alle sue spalle.

Mi chiedo solo una cosa.
Cosa gli passa per la mente?




Alexander POV

Sono egoista? Abbastanza.

Sto per perderla? È probabile.

Ci sto male? Cristo, sì.

Vorrei continuare con la mia vita ma non ci riesco: prossima settimana ho gli esami e non faccio che pensare che forse l'ho già persa. Perché sennò non saremmo così lontani ora. Se siamo qui, a questo punto, è perché le cose non hanno funzionato e il non volerci neanche provare, da parte sua, è un chiaro sintomo di accettazione.

Io invece, non posso farci nulla.
Non passerò sopra a cosa ho visto.
L'ho visto nei miei peggiori incubi e lei doveva solo fare una cosa: stare lontano da quel tipo e guadagnarsi la mia fiducia dopo averla persa rovinosamente con Withman.
E invece no, continua a non darmi ascolto, causandoci sempre più problemi.

La mattina seguente mi sveglio all'alba. Sono in cucina a finire il mio caffè, già vestito e pronto per partire per l'università.

-Devo parlarti.-

Sollevo gli occhi dalla tazza per assorbire la visione del corpo di Juliet racchiuso in una canottiera striminzita e un paio di pantaloni del pigiama.

-Finalmente.- asserisco osservandola con le braccia conserte.

Lei compie qualche passo per avvicinarsi a me. Allungherei il braccio per portarmela più vicina, invece sospiro e con il capo le faccio segno di parlare.

-Mi fa piacere che tu abbia capito che non voglio passare sopra ai tuoi comportamenti, risolvendo tutto con il sesso.-

Le sue parole mi sorprendono.
Si sta sforzando a fare la persona matura, incredibile.

-Ma devi sapere che oltre a ciò, ci sono cose che non mi stanno bene.-

-Tipo?-

-Quando mi lasci i segni in quel modo. Mordendomi. Non mi piace l'hai fatto prima che partissi per New York lo facevi quando frequentavo Zack.-

È inevitabile, il mio sguardo comincia a vagare impazzito sul suo corpo esile e dannatamente attraente.

-Non ti piace, Juliet? Davvero? E dire che sembrava che...-

Il mio tono strafottente le fa perdere le staffe.

-Le motivazioni dietro a quel gesto non mi piacciono! Il motivo per cui lo fai è sbagliato. Mi fai sentire un oggetto e mi lascia addosso questa sensazione strana...-

-Mhm.-

-Che pensi?- chiede poi inumidendosi le labbra rosee.

Solleva il mento a fatica per incontrare il mio sguardo duro, ci sta sperando.
Glielo leggo nei suoi occhi grandi.
Vorrebbe una risposta che non sia quella. Ma quella è la verità.

-Puoi rispondere, Alex?-

-Adoro farlo.- confesso senza vergogna.

Lei chiude gli occhi per lasciarsi andare ad uno scossone con la testa.

-Siamo in due in questa relazione, riesci a darmi l'importanza che merito?-

-Mi dispiace. Non pensavo ti pesasse così tanto.- ribatto continuando a tenerle gli occhi addosso.

-All'inizio mi piaceva...- prosegue lei.

-Ah ecco non mi ero sbagliato.-

-Tutto quello che facciamo e che mi fai, mi piace, ovvio...ma ... ci sono dei limiti.-

Sento il suo cuore battere da qui. È agitata.

-Devo andare a prendere carta e penna?La cintura sí, il frustino no...- la prendo in giro senza sorridere.

-Non sopporti che voglia metterti limiti?-

Certo che no.

-Non mi piace l'idea, ma se è quello che vuoi... A me va bene.- esalo sollevando le spalle.

Juliet sgrana gli occhi dinnanzi a quella confessione.

-Cioè? Davvero?-

Compio un passo verso di lei, in tutti i sensi.

-Sì, certo.- rispondo causandole un cipiglio.

-Bastava chiedertelo?-

-Ho mai fatto qualcosa contro la tua volontà, Juliet?-

-No...-

La mia bocca s'incurva in un sorriso. A volte è così ingenua, sembra una bambina. E mi manca.

- Hai altro da dire?- chiedo poi, insinuando i miei occhi nella sua bocca a forma di cuore.

- Ci sono cose che non posso più accettare. Tipo anche l'altro giorno, in facoltà. Che senso aveva farmi quei succhiotti? Sono in grado di farcela da sola con David. Non devi marcare il territorio.-

No, qui non ci siamo affatto

-Mhm.-

Parlare di David non mi piace per nulla.
Ma tutti i sentimenti negativi si volatilizzano non appena Juliet mi lancia le sue manine addosso per saltarmi al collo.

-Ma che fai?-

-Ti abbraccio.- spiega facendosi piccola contro di me.
-È vero che non tornerai per Natale?-

-Non lo so...- sospiro lentamente sulla sua guancia morbida. -Vuoi che torni?-

-Non ce la fai a tornare di tua spontanea volontà senza che io faccia i capricci?-

-Magari mi mancano i tuoi capricci.- ammetto sottovoce quando con le braccia la stringo più forte al mio petto.

-Allora torna.-

Annuisco, prima di prenderle il viso con entrambe le mani.

-Senti stavo pensando.... Puoi venire ad Oxford con me.-

-Quando, a Natale?-

-No. In generale. Prendi un appartamento lì. Penso che stare vicini sia l'unica soluzione se vogliamo andare avanti.-

Non saprei come interpretare la sua espressione, perché l'unica cosa che leggo nei suoi occhi è diffidenza.

-Sto facendo le scuole qui e lavoro qui a Londra. Lo sai.-

-Puoi sempre cambiare.- scrollo le spalle.

-Solo perché tu non ti fidi di me? Con te è sempre così, vero? Un passo avanti e tre indietro!- sbraita voltandomi le spalle.

-Juliet!-

É un tira e molla e finché uno dei due non cederà, finiremo solo per farci male. Molto male.




Un mese dopo

Le due settimane seguenti trascorsero rapide, io ero nel cuore della sessione esami che mi risucchiava tempo ed energie, mentre Juliet era sempre impegnata tra scuola e lavoro.
Ci ignorammo.
Come si ignorano due estranei, o due amanti troppo orgogliosi e feriti per fare il primo passo. Io stavo diventando un orso. Ormai non parlavo più con nessuno, se non con i miei libri.

Mi alzavo, mi lavavo i denti, una doccia, un caffè e studiavo. Poi finivo sempre per fare pranzo con il naso tra i libri. I pomeriggi terminavano con altri caffè e altrettanto studio. La sera mi mettevo a letto e continuavo a ripassare, poi facevo una pausa breve, un'altra doccia, dopo essermi masturbato con rabbia. E ovviamente finivo per addormentarmi con un libro in mano.

Juliet non mi aveva chiamato, nè cercato. Mai. Eccetto per una volta.

-Juliet?-

Ricordo che risposi al telefono preoccupato perché dall'altra parte non parlò nessuno.

-Juliet?-

La richiamai ancora e solo a quel punto, lei finalmente, disse qualcosa.
Qualcosa che capii a fatica perché era ubriaca fradicia.

- Dove sei?- chiesi preoccupato.

-Alex...-

- Ora mi dici dove sei, ti vengo a prendere.-

-Non ce n'è bisogno, non mi devi salvare. Non sei un principe azzurro, lo sai? Dovresti salvarmi da te stesso.-

Lasciai scivolare via quelle parole, "sono dettate dall'alcol" mi dissi.

-Dimmi dove cazzo sei. Ora.-

- Sono appena arrivata a casa, rilassati.-

Mi sedetti sul letto, stanco, sentii le membra fiacche perdere energia.

-Non ti vedo da due settimane.- biascicò con voce oscillante.

- Lo so.-

-Non lo facciamo da... boh non ricordo neanche più.-

- Mi hai chiamato per dirmi questo, Juliet?-

- No, io ti ho chiamato perché non ce la faccio più. Mi manchi.-

E il suo tono cominciò ad incrinarsi per via del pianto.

-Vuoi che venga lì?- le chiesi d'impulso guardando l'ora.

Era già mezzanotte passata.

- Sì.- piagnucolò tra i singhiozzi.

- Non posso, Juliet. Ho un esame domani. Appena finisce la sessione, torno. Te lo prometto.-

Lei mise giù.
Probabilmente passò tutta la notte a piangere, mentre io passai tutti gli esami con il massimo dei voti.









Così quel fine settimana tornai a casa. Mi feci la barba per l'occasione. Era il weekend che precedeva il Natale e lo ricordo bene perché lei smise di rendermi partecipe dei suoi avvenimenti.
Sentii il mio petto scoppiettare quando, entrando in casa, vidi la sua figura minuta seduta sul tavolo della sala da pranzo: indossava un maglione natalizio e teneva il bambino tra le braccia.

Mi sfilai il cappotto, intanto notai le decorazioni sul soffitto e intorno al caminetto.
Catherine aveva sempre adorato tutto ciò che era superficiale, ma quella volta le fui grato, perché quegli addobbi inutili servirono ad ornare l'immagine preziosa che mi si presentò davanti.
Juliet dondolava le gambe magre avvolte dalle calze rosse, mentre il maglione scuro a tema natalizio, le arrivava fin sopra le ginocchia.
Era tutta intenta a fare facce buffe al bambino, che a sua volta piangeva disperato.

C'era qualcosa di diverso in lei. Juliet era raggiante e io mi stavo spegnendo senza di lei.

-Novità?- domandai mettendomi le mani in tasca.

Lei cambio faccia all'istante quando mi vide entrare in casa.
Posò il bambino nella sua culletta e venne davanti a me.
La osservai dall'alto senza battere ciglio, mi irrigidii parecchio quando lei buttó le sue iridi color nocciola nelle mie.
Fui quasi sul punto di compiere un passo indietro, da quanto grande risultò la paura d'essere in procinto di cascare dentro a quegli occhi grandi.

Dimmi che hai sbagliato a trascurarmi. Dimmi che vuoi me, che sei mia e io cancello tutto. Ma dillo, Juliet pensai osservando il suo visino delicato.

E ci guardammo a lungo, poi lei disse -Tutto uguale. Tu?-

Non era quello che mi aspettavo.

-Ti fa davvero piacere vedermi?-

Andai dritto al sodo, perché tanto sarebbe stato inutile girarci intorno.

-Non sai quanto Alexander.- 

Mhm, bella risposta piccoletta.

Curvai il capo alla ricerca disperata delle sue labbra color ciliegia. Lei non oppose resistenza, le schiuse e mi lasciò entrare senza difficoltà.
Mi risucchiò dentro, facendomi eccitare solo con il movimento della sua lingua morbida e vellutata sulla mia.

Il forte colpo di tosse alle nostre spalle la fece sobbalzare e mi indusse a toglierle di dosso le mie mani, che erano già in cerca della sua pelle nuda sotto al maglione.

-A tavola ragazzi!- urlò Catherine dalla cucina.

Ma fu mio padre a presentarsi davanti a noi.

-La prima udienza è fissata per fine Gennaio.-

Nè io nè Juliet emettemmo un suono. Ormai lo sapevamo.
Inizialmente si parlò di legittima difesa, ne parlavano tutti, sopratutto gli avvocati. Questa era stata tenuta in conto, considerando il fatto che si trattasse di un uomo che aveva un movente bello solido, quindi tutto portava a credere ad una vendetta premeditata, per far fuori me o mio padre.

Quello che però cambiò le sorti in tavola, furono i piccoli dettagli. Le incongruenze negli orari delle chiamate tra noi e mio padre. Le telefonate di Juliet e quell'uomo, il fatto che noi sapessimo già dove fosse. Ma sopratutto, la sua confessione.
Era stato lui ad uccidere mia madre e durante i vari interrogatori, Juliet e mio padre non ressero la pressione e finirono per confessare ciò che Withman stesso aveva ammesso.

- Ci sono discrete probabilità che le cose si risolvano presto.-

Juliet prese a torturare le orecchie della renna disegnata in rilievo sul suo maglione, come per alleviare la tensione.

-Ora andiamo a pranzare. Voglio che passiamo queste feste insieme. Non sappiamo cos'accadrà.- annunciò mio padre, prima di farci strada verso la cucina.

Io e Juliet incrociammo lo sguardo e fu come se all'improvviso dimenticammo tutti i motivi che ci tenevano distanti. Lasciai che la mia mano sfiorasse la sua, mentre camminavamo vicini. Lei curvò il collo a lato, stringendo la guancia nella spalla, come a reprimere l'imbarazzo.


-Accompagno io Juliet a comprare i regali.- dissi subito dopo pranzo, cogliendola di sorpresa davanti ai nostri genitori. Lei in tutta risposta abbassò gli occhi lasciandosi andare ad un piccolo sorriso.

Così trascorremmo tutto il pomeriggio insieme.

Il silenzio iniziale tra di noi fu brutale, fece quasi più male della stessa lontananza che ci aveva divisi per settimane.

-Ho cominciato con il trasloco..- provò a dire lei, quando ci incamminammo nel freddo pomeriggio di dicembre.

-Mhm.-

Annuii disinteressato e solo dopo mi accorsi che lei aveva messo il broncio.

-Ti trovo bene. E non è un modo di dire. Lo penso seriamente.- le confidai scrutando il suo corpo minuto sotto al cappotto. L'aiutai a sistemarsi la sciarpa e la vicinanza alle sue labbra così rosse mi fece perdere la salivazione.

-Già.- replicò lei con un ghigno. Si era accorta dell'effetto che mi faceva.

-Sei molto bella.-

E io la conoscevo bene, stava provando a fingere che i complimenti le scivolassero addosso, ma in realtà  tratteneva un'espressione soddisfatta.

-Grazie.-

-Dico davvero.-

-Smettila, Alex.-

-Vuoi che te lo ripeto, Juliet?-

Lei a quel punto non si trattenne e scoppiò in un sorriso innocente, ma io la fermai prima di immergerci nella calca di persone che affollavano i mercatini natalizi.

Mi sfilai un guanto per carezzarle lo zigomo freddo con la mano.

-Ti sono mancato?-

Lei reclinò lo sguardo, poi mi imitò, togliendosi il guanto dopo di me.

-Sì, Alex. Tanto.-

-Dammi la tua mano, Juliet. Posso?- le chiesi, prendendomela da solo.

Le tremò il labbro dall'emozione, lo vidi perché le guardai quella bocca che morivo dalla voglia di baciare.

-Certo, non devi neanche chiederlo.- si strinse nelle spalle.

Non sapevo a che punto fossimo. Lei era sempre Juliet, sì, ma non la sentivo più mia. Passava più tempo con lui che con me e la cosa mi ossessionava.

Decisi però di non dire niente e proseguimmo a camminare.
Camminammo a lungo. Le nostre dita erano imprigionate, ma noi eravamo finalmente liberi.

Finché Juliet non decise di fare una deviazione.

-Passiamo di qua.- disse ad un certo punto.

Era la stessa stradina deserta che avevamo imboccato l'anno precedente, quando si era accorta che sulla via principale c'era troppa gente e io avevo cominciato a sentirmi a disagio.

-Ti ricordi?- domandò lanciandomi addosso i suoi occhi grandi.

- Mhm.. no.- mugolai prima di afferrarla dai fianchi e portarla contro il muretto scrostato.

Attutii lo scontro poggiando la mano tra la sua schiena e la parete sporca e fredda.

Il bacio che le posai sulle labbra le tolse il fiato e lo tolse anche a me.
Leccai avidamente il suo labbro inferiore, per poi finire a morderlo fino a farla ansimare.

-Mhm. Ora sì. Ora me lo ricordo.- le dissi serio.

Ma poi non volli più aspettare.
Avevo voglia di sentirla sotto alle dita. Non quella notte, non dopo, ma subito. La desiderai subito.
Così mi misi a sbottonarle il cappotto all'altezza del basso ventre, poi infilai una mano nei suoi jeans, dopo averli slacciati.

-Fa piano, è troppo che..- si morse il labbro, senza mai smettere di guardarsi intorno con aria preoccupata.

- Piano?-

La vidi serrare gli occhi quando spinsi senza ritegno un dito dentro di lei.

-Stronzo.-

-Faccio piano.- sussurrai assaltando le sue labbra di baci sempre più esigenti e umidi.

-Sei più grande.. - sospirò lei.

-Mmm... Più grande, dici?- la interrogai corrucciato.

-Ahh no, intendo ehm...-

Mi tastò la grandezza delle spalle racchiuse nel cappotto, così capii.

-Ho iniziato a fare un po' di flessioni, niente di che.-

-Andiamo a casa?- chiese ormai più impaziente di me.

- Potrei mai dirti di no, piccoletta?-



-Mamma?-

Quando arrivammo a casa Juliet provò a chiamare i nostri genitori, ma di loro non c'era traccia.

-Non c'è nessuno in casa. Sono andati dai Gallagher a scambiarsi i regali come ogni anno.-

Così i nostri sguardi affamati sfrecciarono l'uno sull'altro.
Io avevo un pensiero e lei aveva lo stesso.

Con le bocche assetate e le lingue intrecciate, l'aiutai a togliersi il cappotto, mentre lei si liberava degli stivali. Lanciai gli indumenti superflui a terra, restando con la camicia e i pantaloni, mentre l'unica cosa che mi importava era levarle quei maledetti jeans di dosso.

-Questi non ti servono- mormorai tra i suoi capelli morbidi.

Lei si sorreggeva con le braccia al mio collo, mentre con le mani facevo scivolare via quel tessuto lungo le sue cosce lisce. Una volta liberata dai jeans, la spinsi contro il tavolo del soggiorno facendola sedere sulla superficie.

-Anche queste non ti servono.-

-Piano.- sussultò quando le strappai le mutande di dosso con un solo strattone deciso.

Juliet divaricò le gambe sotto al volere delle mie mani che si impegnarono a tenerle ferme, mentre mi chinavo per assaggiarla nell'esatto punto in cui era più dolce e morbida.
La torturai con la lingua, finché non sentii le sue cosce tremare ai lati del mio viso.

Quando mi risollevai in piedi non ci pensai due volte a farle sentire il rigonfiamento eretto che si ergeva sotto ai miei pantaloni, glielo spinsi addosso e lei, sempre più bagnata, si mosse appena contro di me.
L'aiutai a sfilare il maglione, poi il reggiseno e solo dopo aver puntellato i suoi capezzoli tesi con la lingua, la obbligai a voltarsi.

-Alexander.-

-Dimmi, piccola Juliet. Hai bisogno di qualcosa?-

La sentii mugolare un piccolo sospiro mescolato ad un lamento di frustrazione e quando provò a sollevarsi da quella posizione, la obbligai a tornare piegata in avanti, con la guancia sul tavolo.

Mi sfilai la cintura, come se fosse un gesto meccanico al quale non potevo rinunciare, prima di fare l'amore con lei.
Strinsi il cuoio tra le dita, impaziente di farglielo sentire sulla pelle.

Ammirai il suo sedere rotondo e in quel momento non ci fu altro posto in cui desiderai stare.
Se non lì, insieme a Juliet.
Mi abbassai i pantaloni e restai interdetto ad osservare la mia eccitazione smisurata per lei.

- Spero tu sia pronta, piccola Juliet.-

Lei si voltò a guardarmi e mi bastò intercettare il suo sguardo languido per avere il via libera e fare il mio ingresso in lei. Spinsi un paio di volte, prima di riuscire a farmi spazio tra le sue carni lisce che mi accolsero a fatica, come fossero i primi tempi.

-Dimmi, come ti faccio sentire?-

- Alex..- mi rimproverò sottovoce, per le parole troppo spinte.

-Mi fa male.-

Persi un battito nell'udire la sua vocina pronunciare quel lamento. Tutto il mio ventre venne attraversato da scosse di piacere, che culminarono nella mia erezione che usciva ed entrava in lei, ormai enorme e lucida.

Premetti una mano sulla sua guancia e le tenni la testa ferma contro il tavolo. Adoravo sopraffarla.

-Ti farà anche male, ma stai per venire.- ringhiai quando la sentii farsi sempre più stretta intorno a me.

Le assestai delle spinte così forti e devastanti che la sentii perdere la presa, le sue gambe cedettero sotto di me, così la sorressi dai fianchi per non farla cadere.

-Cristo.-

Non riuscii più a resistere, uscii poi sprofondai dentro di lei con un affondo forte e intenso che la fece letteralmente tremare. E io venni dentro di lei e senza riuscire a contenermi, le feci sentire tutta la violenza che avevo represso da mesi.
Quando Juliet smise di urlare, sentii il suo respiro affannoso e capii che era appena venuta di nuovo.

Per qualche istante mi persi a guardare la pelle immacolata della sua schiena, bianca come il latte. La mia cintura lì, posata sulla superficie del tavolo, di fianco a lei. Le accarezzai dolcemente la linea vertebrale e Juliet aspettò che mi dedicassi a quella coccola, finché ne avessi voglia.
E lei lo sapeva che non lo facevo per lei, ma per me. Vederla lì, inerme, sotto al mio volere, mi calmava e mi aiutava a ristabilire ordine nella mia testa.
Le presi la mano e l'aiutai a tirarsi in piedi.

Ci vestimmo in silenzio, finché non decisi di prendere parola.

-Ti sento ogni giorno più lontana.-

- Mi ci sento anch'io.- ammise coprendosi il petto con il maglione.

La sua risposta così inattesa mi fece arcuare un sopracciglio. Finii di abbottonarmi la camicia, poi glielo dissi di nuovo.

- Mi sei mancata.-

- Però perché non mi è sembrato che fosse così, durante queste ultime settimane?-

Voleva recriminarmi che non l'avessi mai cercata, lo sapevo.

- È così, Juliet. Non discutere.- insistetti indispettito.

- Questo ti è mancato, vero? Perché sai che così, non puoi averlo con nessun'altra.- biascicò indicando il tavolo sul quale avevamo appena ceduto ai nostri desideri più sfrenati.

-Sì. Anche questo mi è mancato. Ma non solo. E poi non voglio nessun'altra.- ammisi di pancia.

La guardai sistemarsi il maglione sui fianchi con aria sospettosa, lei era ancora tremante e io soddisfatto.
I suoi occhi curiosi si posarono sui passanti dei miei pantaloni, mentre vi infilavo la cintura che non avevo usato.

-Ti è piaciuto lo stesso?- domandò lei, alludendo al fatto che non le avevo procurato del dolore.

-Lo sai che amo fare l'amore con te.- risposi scrollando le spalle.

Mi basti tu. Voglio solo te. Nient'altro ha importanza.

Ma queste parole non trovarono mai luogo sulle mie labbra, anche perché non ero poi così sicuro che fosse il momento giusto per dirlo, non volevo perdere la nostra complicità appena ritrovata.

-Alex... c'è una cosa che devo dirti.-

Presero a ronzarmi le orecchie in modo così fulmineo, che dovetti appoggiarmi al tavolo per sorreggermi.

C'era dell'altro lo sapevo.

-Dimmi.- esalai freddo osservandola discostare lo sguardo dal mio, in un chiaro segnale di disagio.

Non mi sarebbe piaciuto quello che stava per dire.

-So cosa significa venire traditi e perciò non lo farò mai.-

Cristo, no

Ripresi a respirare. Ma durò davvero troppo poco quella boccata d'ossigeno.

-Però...-

Non sono pronto a perderla per sempre

-Parla, Juliet. Subito. Non girarci intorno.- le ordinai duro.

Poi di nuovo quella sensazione di impotenza. Sentii tutte le ferite interne
ricominciare a bruciare.

-Ho degli amici.-

Mi voltai di scatto, in cerca del cappotto.

-È sempre lui?- chiesi trattenendo la gelosia che cominciava a montarmi dentro come un cavallo imbizzarrito.

-Alex...-

È sempre lui, dannazione

-Alex ti prego ascoltami...-

E lei si sta agitando per farmi calmare.

-Come si chiama questo tuo nuovo "amico"?-

Non le risparmiai il peggior tono sprezzante che potessi avere. E se Juliet solitamente lo mal sopportava, quella volta fu come se lo avesse accettato di buon grado.

-È sempre David.- spiegò sottovoce.

Ma certo che è sempre lui. Se avessi stretto un po' più forte, a quest'ora non staremmo qui a parlare di lui mi dissi a quel punto.

Ma che mi salta in mente?

Non fiatai più, con un'occhiata gelida la invitai a continuare.

-Non è successo niente, mi ha solo chiesto di uscire un paio di volte. E io ho rifiutato. Sempre.-

-Me l'avevi già detto. Me lo stai dicendo ancora perché te l'ha richiesto? Ha provato a baciarti di nuovo?-

Il pensiero che avesse provato a baciarla mi faceva uscire fuori di testa.

Dio, voglio uccidere quello stronzo con le mie stesse mani.

-Non mi ha più chiesto di uscire. Né ha provato ad avvicinarsi.-

- In quel caso, tu l'avresti allontanato, vero?-

-Sempre.- rispose senza rimuovere le sue iridi dalle mie.

-Alex, però...dì qualcosa per favore.-

Juliet si aggrappò al mio braccio, come faceva sempre quando voleva qualcosa da me.
E io la guardai.
Avrei voluto mandare tutto al diavolo per il mio maledetto orgoglio, ma lei era così bella e i suoi occhi mi erano mancati così tanto... non volevo perderla ancora. Non del tutto.

Okay posso accettarlo. L'ha rifiutato mi rassicurai.

-È tutto qui? - domandai pronto a cedere e ad accoglierla tra le mie braccia.

La rapidità con cui buttò gli occhi a terra fu sconvolgente.

-È capitato che ci scrivessimo.-

Ah, ecco.
I messaggi carini, quelli che voleva da me.

- Stai scherzando, Juliet?-

- No. Non ho fatto niente di male. Non ti ho mancato di rispetto. Ho semplicemente parlato con una persona che aveva voglia di parlare con me. A differenza tua.-

Mi accigliai all'inverosimile, indietreggiai persino, pur di allontanarmi da lei.

-Quindi hai capito che da me volevi di più, perché qualcun altro ha pensato bene di dartelo?-

-È solo un buongiorno... una buonanotte, cavolate così...- aggiunse incrociando le braccia.

-Certo, fingiamo che non ti voglia scopare dal primo giorno che ti ha vista.- ringhiai poi, senza curarmi della sua reazione.

Le voltai le spalle e presi le scale, volevo chiudermi in camera mia e non vederla mai più. Ma lei mi seguì.

-Alex ti prego... Non avercela con me.-

Il suo tono di supplica, solitamente eccitante, ora era quasi insopportabile.

-Perché? Perché guarda caso hai capito che io non ti vado più bene, proprio quando un altro ragazzo ha cominciato a scriverti frasi smielate? Questo è il problema. Vero, Juliet?-

-No.-

-Senti, credo che tu abbia già trovato quello che cerchi.- le indicai la porta ma lei si rifiutò di ascoltarmi.

- Quello che cerco non ha valore. E sai perché?-

Sbuffai e piantai gli occhi sul suo collo liscio e privo di lividi. Guardarla negli occhi era una sofferenza. Era lì la chiave, la mia debolezza. Ciò che mi avrebbe fatto capitolare. Perciò rimasi in guardia.

-No, sentiamo. Perché, Juliet?-

-Perché io amo te, Alexander. Solo te!-

-Però vorresti cambiarmi.- constatai al limite della pazienza.

-No, ma non puoi biasimarmi qualora volessi qualcosa in più da parte tua. Non puoi ignorarmi per due settimane, non farti sentire, non chiedermi scusa e poi quando ci vediamo... fare finta di niente, come abbiamo fatto poco fa sul tavolo da pranzo!-

- Quello che abbiamo fatto lo chiami "fare finta di niente?"-

-Non chiedo tanto e tu lo sai. Non ti costa niente. Un messaggio, una chiamata. Niente. Sotterrare il tuo orgoglio, basterebbe quello. Eppure tu non riesci a farlo!- si lamentò con voce rotta.

-Neanche tu lo fai, Juliet. Perché?-

-Perché io lo faccio sempre! Da quando ti conosco! Non faccio che rincorrerti! E scusa tanto se sono una donna e ogni tanto voglio essere corteggiata!-

Dio mio quanto è superficiale.

-Hai ottenuto quello che vuoi, no? David sembra fare a caso tuo.-

Lei scrollò il capo.

Sarò cocciuto, testardo. Non m'importa. Questa situazione non è neanche lontanamente sopportabile per me.

-Forse è meglio che non torno più qui, non finché ci sei tu.- sentenziai freddo.

-Non farmi questo Alex.-

L'afferrai dal braccio portandomela vicino al viso.

-No, tu, non farmi questo.-

Ed eravamo di nuovo lì, non a contenderci la ragione. Perché a me non interessava averla vinta in una discussione e tantomeno a lei. Quello che ci divideva era la maniera di vedere le cose. Le differenti prospettive. Per lei era grave che la ignorassi, per me era il minimo... visto che dopo aver calpestato il mio orgoglio ed essere andato a farle una sorpresa, l'ho trovata ad un millimetro dalla bocca di un altro.

-Volevo solo essere sincera con te. Scambiare messaggi con un amico, non significa nulla.-

-Vai.- mi imposi duro, indicandole la porta.

-Alexander.-

-Vattene, Juliet. Non perdo il mio tempo con qualcuno come te. Io dedico tutto me stesso solo a te. A nessun altro. Ma a quanto pare, non si può dire lo stesso di te.-

Lei sgranò gli occhi, non si aspettava la mia reazione così indissolubile.

-Sono solo chiacchiere in amicizia.- minimizzò, come se bastassero delle semplici parole a farmi cambiare idea.

-Mi conosci o no?- tuonai deciso.

-Sì.- piagnucolò asciugandosi lo sguardo che cominciava a colmarsi di pianto.

-Quindi?-

Mi si spezzò il cuore a vedere la sofferenza dipinta sul suo volto, sopratutto perché i suoi occhi erano sinceri, ma a me non bastava. Forse non l'avrebbe fatto di proposito, ma prima o poi l'avrebbe fatto. Mi avrebbe tradito, rimpiazzato e abbandonato.

Mi avvicinai a Juliet con rabbia, lei percepì il mio stato d'animo perché si fece piccola contro il muro.

-Pensi che io voglia condividere anche solo un fottutissimo buongiorno con qualcun altro? Una tua serata, un tuo sguardo, un tuo pensiero?-

Sentii la gola seccarmisi a dismisura.

-Alex, io non volevo...-

Ma non la lasciai continuare.

-Pensi che io voglia condividere anche solo una piccola parte di te, con qualcun altro?-

Le tremarono le labbra, non riuscì più a parlare, perciò mi discostai da lei per lasciarla libera di respirare.

-Tu mi vorresti diverso, tu vorresti che cambiassi, ma non capisci che l'ho già fatto. Sono già cambiato per colpa tua, perché se fosse stato per me, Juliet..-

-Cosa?-

-Tu non ti saresti mai avvicinata a lui in questo modo. Se io mi fossi imposto come volevo io, tu avresti fatto come ti avevo chiesto. Avresti lasciato quel tuo stupido lavoro.-

-Tu sei pazzo!- urlò arrabbiata.

La osservai stringere i pugni e poi mise il broncio, eppure le sue labbra restarono la cosa più invitante che avessi mai visto in vita mia.

-Forse lo sono sempre stato ed è sempre stata la cosa che ti ha legata di più a me. Ma guarda ora. Abbiamo un rapporto che sopporto a malapena e me lo faccio andare bene, pur di non perderti... Eppure, nonostante tutto, io non ti bastò più .-

Mi fece male dire quelle parole ad alta voce, sopratutto perché mi uscirono nel momento esatto in cui persi completamente il controllo.
Perciò presi un ampio respiro prima di continuare.

-Finora la decisione era in mano tua, Juliet. Ti ho dato il tempo riflettere, per venire da me e dirmi che volevi starci per davvero con me.-

Juliet aveva gli occhi gonfi, ma questo non le impedì di riversarmi addosso il suo livore.

-Oh, sì...certo, tu aspettavi me... mi aspettavi mentre fingevi che non esistessi?-

Mi imposi su di lei, obbligandola a zittirsi. Ci guardammo a vicenda.

-Ora chiudi la bocca e ascoltami.
Basta giocare. Non ci sono vie di mezzo. Non ci sono messaggini del buongiorno o complimenti sul posto di lavoro.-

- Che significa?- chiese lei con il viso rigato dalle lacrime.

-Tra me e te è finita. Questa volta per sempre.-

🖤🖤🖤🖤🖤🖤

🦋 vi chiedo scusa perché potrebbero esserci degli errori, ho revisionato di corsissima 🖤

🦋 ho avuto un forte blocco nello scrivere questo capitolo, sono riuscita a superarlo solo scrivendone una parte al passato (per questo ho usato la scritta "un mese dopo")

🦋 ditemi, cosa ne pensate della decisione di Alexander?

seguitemi su insta per aggiornamenti sulle mie storie stefaniasbooks

🦋Alla prossima🦋

🖤🖤🖤🖤

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