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LI


Juliet POV

Il profumo delle lenzuola pulite mi solletica l'olfatto, riportandomi alla mente quei ricordi che da circa una settimana sto provando ad accantonare. 
Sembra che qualsiasi cosa mi ricordi di lui, ma forse perché sono circondata da tutto ciò che gli piace: il silenzio, l'autunno e le lenzuola appena cambiate.
Ama suonare il pianoforte quando è triste, mentre non riesci a leggerglielo sul viso quando è felice.
I capelli lunghi, le unghie curate, le caviglie sottili, il naso piccolo e la pelle liscia senza un'imperfezione.
Di quelle che si marchiano più facilmente, così può lasciarvi segni ben visibili.
Ma non ama le discussioni, non sopporta quando le cose prendono una piega inaspettata, quando non mi comporto come lui vorrebbe, ma soprattutto, non ama essere messo al secondo posto.

E mentirei se dicessi che Alexander non mi fa sentire abbastanza. Mi fa sentire l'unica ragazza al mondo ad incarnare tutte le sue fantasie, nonostante io sia stata gelosa di Charlotte e di Nicole in più di una occasione. Ma loro non sono me, me l'ha sempre ripetuto.

-Ha le labbra sempre screpolate.-

Lo aveva detto una volta parlando di Charlotte, come se quel dettaglio fosse sufficiente a rendere meno attraente una ragazza.
Eravamo a tavola e non riuscivamo a toglierci gli occhi di dosso, nonostante suo padre stesse seduto vicino a noi.

-E io credevo che fossero i suoi capelli disordinati a darti sui nervi...- l'avevo preso in giro sottovoce.

Alexander abbassò il capo accennando un sorriso, all'apparenza quasi imbarazzato. Ma ovviamente era solo il suo modo di reagire di fronte a John, perché era bastato che quest'ultimo si alzasse per prendere l'acqua dal frigo, che Alexander si era esposto verso di me per ammonirmi con uno sguardo poco rassicurante.

-Stai parlando un po' troppo, Juliet. Non trovi?-

Il conto alla rovescia partiva nelle nostre menti ogni volta che i nostri genitori si allontanavano.
Con il cuore a mille, avevamo sempre pochi secondi per scambiarci qualche occhiata furtiva in più.

- E quindi?-

Lo provocavo mentre i suoi occhi saettavano dal mio viso alla sagoma di John, in procinto di tornare a tavola.

-Lo sai. Ci vediamo in camera mia tra dieci minuti. E lascia i capelli sciolti.-

Perché per Alexander l'attrazione è una questione di dettagli, perciò anche un elemento banale come il colore dei capelli, può fare la differenza. E quello stesso dettaglio che per gli altri non ha importanza, per lui ce l'ha eccome.
Me lo fa capire con piccoli gesti, come quando a volte rallenta il ritmo solo per prendersi il tempo di sfiorare con delicatezza le ciocche che mi cascano sulla schiena.
Ama solo me, lo sento da come mi guarda negli occhi. Non l'ho mai visto guardare nessuna così, probabilmente non guardava neanche Mya in questo modo.
E nonostante le debolezze e la gelosia, lo conosco troppo bene... nemmeno quella Nicole è perfetta per lui.
È troppo alta e ha gli occhi troppo chiari.
Poco importa che Alexander sia la persona più intelligente che io conosca, ha degli schemi tutti suoi che per me sono difficili da decifrare, forse è proprio per questo che conservo ancora delle insicurezze.
E alcuni pensieri, come piccoli semi, hanno trovato terreno fertile nella mia testa per mesi e mesi, per poi sbocciare in dubbi irrisolti.


-E se fossi stata con Chuck, prima di te?-

Gli feci quella domanda una sera di qualche mese fa e potrei giurare che lui abbia fatto finta di niente, pur di non rispondere.
Stavamo finendo di montare il mobile che mia madre aveva comprato per la cameretta del bambino.

Dicono che sia questo il problema con i narcisisti, con i maniaci del controllo. Non sai mai se siano in grado di amare per davvero.
Così dice la teoria, ma poi nella pratica?

Come posso fingere di non vedere tutto quello che lui fa per me? E proprio quando mi sembrava di essere riuscita nell'intento di capirlo di più, ho ricominciato ad avere dei dubbi, finendo per non conoscere più la sottile differenza tra amore ed egoismo.

Stavamo accovacciati nella stanza del bambino, sommersi da lastre di legno e viti, quando mi era arrivato un messaggio di Zack.

-Zack si è laureato.- dissi ad alta voce per richiamare l'attenzione di Alexander, che in tutta risposta mi aveva esaminata senza battere ciglio.

-Mi ha invitato alla sua festa di laurea. Potremmo...-

-No.-

Fu un rifiuto asciutto, privo di emozione. Ricordo ancora come restai a fissarlo mentre lui tornava a risistemare le cose con cura, come se non mi avesse appena rifilato un bel "no", neanche fosse mio padre.

- Dicevi di...?-

Cambiò subito discorso, senza nascondere un'aria particolarmente riluttante.

- Se fossi stata con qualcun altro?-

Ma la mia domanda lì per lì non trovò risposta. Alexander sollevò entrambe le maniche del maglione, mostrandomi i polsi esili che si flettevano seguendo i movimenti delle sue mani, intente a ruotare il cacciavite per fissare con minuzia le viti negli spazi appositi.

- Puoi rispondermi per favore?- avevo insistito davanti a tanta indifferenza.

Lui non innalzò gli occhi da ciò che stava facendo, bensì restò immobile per qualche istante, finché non si decise a parlare.

- Mi stai chiedendo se mi eccitava l'idea che nessuno ti avesse mai scopata?-

-L'avrei detta diversamente...- mi lamentai sottovoce.

- Come l'avresti detta, sentiamo.-

Sentii il tintinnio metallico delle viti cadere a terra, quando si mise in piedi e in un attimo mi afferrò dal braccio, mentre le sue mani modellavano già i miei fianchi.

- Perché ho come l'impressione che se fossi stata con Chuck, tu non mi avresti più voluta?-

Quando percepii il suo respiro di menta alle spalle, curvai di poco il capo per incontrare la sua bocca che premeva impaziente contro la mia nuca.

-Perché voglio essere l'unico per te.-

Con la mano fredda prese a cercare il bottone dei miei jeans, rabbrividii visibilmente per quel gesto, mentre le sue dita cominciarono a scaldarsi a contatto con la pelle della mia pancia. Le sentii scivolare subdolamente nelle mie mutande, venni sorpresa da un fremito e lasciai che il mio corpo si plasmasse sotto alle sue mani, ascoltando il suo respiro accelerare con il mio.

Ma il rumore dei passi in corridoio mi ricordò che eravamo lì per mia madre e che lei sarebbe tornata a breve.

-Alex non qui.- lo supplicai con lo sguardo.

- Vuoi davvero sapere se accetterei mai che qualcuno ti faccia qualcosa?-

La sua domanda mi spiazzò, ma ripensandoci ora... non avrei dovuto stupirmi più di tanto.
Alexander non conosce le mezze misure. Mai.
Sono sua complice o sua nemica.
Il foglio non deve avere una piega, la stoffa non deve presentare una macchia, non una piccola imperfezione sulla mia pelle, bianca e pulita, pronta a ricevere il peggio di lui. E finché le cose restano così, Alexander è come una belva addomesticata. Ha il cibo, ha il riparo dalla pioggia, tutte prerogative che lo rendono mansueto e tranquillo, ma... io le voglio far crollare le sue fondamenta.

- Quindi è così. Me ne dai la conferma? Se fossi stata con Chuck, non mi avresti accettata.- ansimai sottovoce.

-Perché lo fai, Juliet? Perché devi parlare di un'eventualità che trovo insopportabile?-

Rantolai un verso di delusione quando Alexander sfilò la mano dai miei jeans per riprendere la concentrazione necessaria a continuare la discussione.

-Ma perché la trovi insopportabile?- chiesi poi. -Forse perché ti ricorda che non hai il controllo su di me?-

E non passarono molti secondi, lui si avvicinò al mio orecchio per sussurrarvi dentro le sue parole preferite.

-In ginocchio.-

-Alex...- boccheggiai nervosamente sotto al suo sguardo impassibile.

-In ginocchio, ho detto.-

-La maggior parte delle ragazze non lo farebbe mai.- mi opposi riabbottonandomi i pantaloni.

-Ma io non voglio la maggior parte delle ragazze. Io voglio te.-

Con la mano raccolse un'avida manciata dei miei capelli, per portarmi la testa all'indietro, nell'angolazione perfetta per accogliere il suo bacio. Un bacio rapido e smanioso, mi arresi alla sua lingua che ormai conosceva alla perfezione il modo per farmi sciogliere.

E proprio in quell'istante entrò mia madre.

- Cristo.-

Bastò il cigolio della maniglia a farci allontanare.

-Che fai Juliet?- la sentii pigolare con aria sospetta.

-Sto... sto montando il tuo stupido mobile!-

Avevo sbuffato sonoramente quando mi ero accorta che Alexander si era già voltato per tornare al suo lavoro, come se niente fosse.

-E poi perché quel tono di rimprovero sempre solo per me?- stridetti poi con voce ispida.

Lei si rivolse ad Alexander come se si mettesse a parlare con un adulto.

-Tutto bene Alex?-

-Sì.- si schiarì la voce lui.
-Devo solo... abbiamo quasi finito.- aggiunse senza girarsi.

- Sbrigatevi perché devo metterci dentro tutte le tutine, sono troppe e non so più dove mettermele!-

A quel punto mi morsi la lingua e lei finalmente ci lasciò soli.

-Dove eravamo rimasti Juliet?-

Alexander mi osservò di sbieco quando mi spinsi sotto di lui per fronteggiarlo.

-Ad io che decido da sola se andare alla festa di Zack o meno.-

Scosse il capo rendendomi più chiaro il no, seguito dal movimento dei suoi occhi verso il pavimento.

Conoscendolo, sapevo che non avrebbe sprecato fiato per parlare di Zack, si sarebbe solo prodigato a ripetere che io non avrei deciso proprio nulla.
Se lui mi avesse voluta in ginocchio, io l'avrei fatto.
Gli dissi di no, ma tanto era un bugia che sussurrai facendo esattamente quello che lui desiderava.
Avrei fatto qualsiasi cosa per lui, inutile girarci intorno.





Con la testa ancora trafitta da tutti questi ricordi, mi tiro su dal letto a fatica.
Magari l'ha detto in un momento di gelosia.
Non faccio che ripetermelo, ma non riesco a cancellare l'espressione sul suo volto, mentre lo diceva.
Senza alcuna emozione.
Lasciare il lavoro.
Non l'ha fatto in un attimo di rabbia o durante un litigio, no.
Era maledettamente lucido e serio.

Eppure quando sono ritornata a vivere qui, dopo essere fuggita con mio padre, Alexander sembrava cambiato.
Forse perché non stavamo più insieme da un po'? E se fossi io a fargli questo effetto?

Decido di silenziare il rumore dei miei pensieri perdendo un po' di tempo al cellulare.
Non ho intenzione di chiamarlo questa volta. Di solito sono io a cercarlo, ma non adesso che ho imparato a mettere me stessa davanti ai suoi desideri.
E forse è proprio per questo che continuiamo a prolungare il silenzio tra di noi. Un'altra settimana.
Ma quando si è abituati a fare la prima mossa, è davvero difficile risultare così distaccati. Sto raccogliendo tutta la forza di volontà per non farlo. Il lavoro mi distrae, mia madre ed il bambino mi distraggono ancora di più, ma ormai è venerdì e l'impazienza è tanta. 
Lei e John non fanno altro che parlare del battesimo, mentre io fingo di ascoltarli e intanto continuo a guardare la porta d'ingresso.

Inizio la mattina a colazione, continuo a pensarci a pranzo e finisco per perdere la pazienza a cena.

-Alexander?-

Mia madre e John si scambiano uno sguardo di tacita complicità, prima di rispondermi.

-Non credo tornerà questo fine settimana, tesoro.-

Esamino prima lei poi John, con aria quasi incredula.

- In che senso?-

Io credevo di prenderci una pausa dai nostri problemi, dai litigi, ma non pensavo di stare lontana da Alexander così a lungo.
Non posso reggere un'altra settimana.
John scrolla le spalle mentre mia madre mi osserva con apprensione.

- Juliet...-

Ma la loro stupida compassione non la sopporto, perciò con l'umore a terra mi trascino fino in camera mia.

-Mamma puoi lasciarmi sola cinque minuti?- le chiedo quando mi accorgo di avere un'ombra che mi perseguita.

Capisco che mia madre sia preoccupata, ma trovare la scusa di volermi aiutare a sistemare l'armadio alle nove di sera, solo per controllare che io stia bene, mi sembra eccessivo.
Le do corda per qualche minuto, nella speranza che mi lasci presto da sola.

-Tra un po' siamo a Natale e non hai ancora fatto il cambio dei vestiti, Juls!- mi rimprovera lei.

Tengo il broncio per tutta la durata del supplizio, è una noia trasferire i vestiti invernali ad uno ad uno, finché le mie mani non s'imbattono nell'abito che mi aveva regalato Alexander.
Ripenso a quella sera che mi ha portata a cena fuori, sembra trascorsa un'eternità. Un senso di nausea mi sorprende, avverto un brivido freddo puntellarmi la schiena e comincio a sentire sotto alle palpebre una forza pressante. È il fottuto bisogno incontrollato di scoppiare a piangere, perciò mollo mia madre e decido di infilarmi in doccia.

Non so quanto tempo passo sotto all'acqua che mi scorre addosso, ma ad un certo punto un rumore famigliare mi risveglia dalla mia bolla di sofferenza.
Mi sto ancora insaponando i capelli, quando sento la suoneria del cellulare provenire da camera mia.
Senza rifletterci due volte mi scaravento fuori dal box, ancora immersa in sapone e shampoo. Mi getto addosso un asciugamano e mi avvento sul telefono per rispondere.

Ovviamente il tutto sotto all'immancabile sguardo di madre che mi fissa confusa, mentre gocciolo schiuma su tutto il parquet.

-Juliet.-

La sua voce, calda e sicura.

-Alex?-

-Stavo pensando che... È meglio se questo fine settimana non ci vediamo.-

Non fiato, sento la morsa in gola stringersi.
Mi ha chiamata per dirmi questo?

-Voglio che tu abbia gli spazi che desideri. E se ci sono io... Lo sai come va a finire.-

Non riesco a parlare, ho la bocca arida e gli occhi lucidi. -Sì.- è tutto quello che riesco a dire.

Lui mette giù la chiamata e io mi accorgo che mia madre mi sta ancora guardando come fossi un'aliena.

- Che c'è?-

-È meglio così.- mormora quasi impietosita dalla visione di sua figlia mezza tremolante e con la testa ancora piena di shampoo.

-Ma cosa ne sai tu!- sbraito infervorata prima di rinchiudermi in bagno.

Dopo aver passato i giorni a piangerci dentro, la mia stanza è divenuta ormai un posto ostile e insopportabile. Così anche questa sera, armata del mio cuscino, mi trascino fino alla camera di Alexander.
Il mio cuscino lo uso per dormirci, il suo è l'unica cosa che mi resta da abbracciare.

🐙

Appena mi sveglio la prima cosa che faccio è guardare l'ora: sono già le otto eppure gli occhi mi bruciano, mentre la testa è pesante come se mi fossi appena svegliata nel bel mezzo della notte, dopo poche di ore di sonno.
"Ho assolutamente bisogno di un caffè", penso tra me e me, camminando a passo lento verso la cucina.

-Mamma, dici che domani...-

Mi strofino la fronte, sono ancora assonnata quando per poco non mi casca il cellulare dalle mani.

-Buongiorno, Juliet.-

La sua voce profonda riecheggia per la stanza vuota, facendomi rabbrividire.

-O mio Dio!- esclamo compiendo un balzo.

Alexander mi scruta con un sopracciglio sollevato. -Addirittura?-

-Alex... non credevo...-

Mi acciglio davanti alla sua visione.
E se il mio viso è contratto, il cuore mi sta danzando nel petto senza sosta. Alexander si erge in piedi, mi scruta dall'alto con la sua aria tenebrosa, intanto sorseggia lentamente il caffè.

- Ma cosa ci fai tu qui?-

Farfuglio qualcosa, mentre con passo felpato mi avvicino alla credenza.
Ed è sufficiente entrare a contatto con il suo spazio, che la confusione prende il sopravvento.
Decido di ignorarlo, perlomeno con lo sguardo, così mi sollevo in punta dei piedi per cercare una tazza nella dispensa.

- Tieni.-

Alexander allunga una mano verso l'alto per afferrarla senza alcuno sforzo.

-Grazie.- mormoro quando lui è ormai intento a versarmi il caffè.

Mi erano mancati questi gesti, ma non può bastare così poco a farmi sciogliere.

-Come stai, Juliet?-

-Alex...-

E all'improvviso sembra che le lacrime non abbiano mai lasciato i miei occhi.

-Vieni qui.-

Quella frase conosciuta si fa strada tra le sue labbra carnose, mentre mi tende la mano per attirarmi a sé e stringermi al suo petto.
Al solo udirla, un senso di calore si impossessa del mio corpo, avverto quella sensazione rassicurante tipica di quando sto tra le sue braccia.

Mi avvinghio a lui facendomi il più piccola possibile, ma i dubbi restano nella mia mente.

-Te l'ha chiesto mia madre di tornare, vero?- domando senza sollevare la testa.

-No, Juliet. Mi ha semplicemente detto che stai passando un brutto periodo.-

Sento il suo petto vibrare forte contro la mia guancia. Mi discosto dal suo maglione solo per lanciargli uno sguardo veloce: Alexander è così perfetto che, all'apparenza, questo brutto momento sembra lo stia passando solo io.

-Ma perché sei tornato? Il battesimo è tra due giorni e avevi detto...-

-Lo so, ma...-

Con una carezza delicata mi sfiora la fronte con le dita, privandola delle ciocche ribelli che vi ricadono sopra.

-Juliet ho una notizia buona e una cattiva.- annuncia mia madre entrando in cucina come una furia, con l'immancabile bambino tra le braccia.

Io e Alexander ci discostiamo immediatamente.

-Verrà anche tuo padre al battesimo.-

-E la notizia cattiva sarebbe?- domando riprendendo a bere il caffè come se la vicinanza di Alexander non mi facesse sconquassare il petto.

-Verrà anche tuo padre al battesimo.- mi ripete lei, stavolta guardando Alex.

-Ora andiamo.-

-Dove andate?- chiedo incuriosita.

-Alex mi aiuterà con la spesa, dovrò preparare tutto in largo anticipo per il rinfresco.-

È inutile ricordarle che non è nato il nipote della regina Elisabetta, perché tanto mi risponderebbe che alla festa per la nascita del bambino non erano venuti abbastanza parenti, perciò quale migliore occasione del battesimo, per riempirci la casa di sconosciuti che vedo una volta ogni dieci anni?

-Aspettatemi allora, vengo anch'io.- borbotto lanciando la tazza nel lavandino, prima che lei e Alexander mi abbandonino per uscire di casa.

Le corsie del supermercato ci sfilano accanto ma io non sembro fare caso a nulla, mi sento ancora strana. Vorrei chiedergli a che punto siamo, che cosa pensa, ma non so da dove cominciare. E mi tremano le mani. Ho la testa così altrove che non solo non ascolto mia madre, che intanto vaga impazzita tra gli scaffali, ma per poco non investo anche una povera signora anziana.

-Dammi, faccio io.- asserisce ad un certo punto Alexander, provando ad appropriarsi del carrello che spingo avanti controvoglia.

-No.-

-É pesante, lascia che ti aiuti...-

-No, ho detto.- mi impongo imbronciata.

-Juliet, stai facendo la bambina.-

-Cambia cantilena perché questa sta diventando noiosa.-

C'è un piccolissimo accenno di movimento sulla sua fronte solitamente immobile. Non gli rivolgo lo sguardo, ma sento i suoi occhi puntati addosso come fucili, mentre io continuo a camminare a testa alta.

-Fai così perché non sono tornato a casa la scorsa settimana? Per questo stai facendo i capricci?-

Fermo i miei passi solo per gettargli addosso un'occhiata scura.

-Tu non cambierai mai, vero?-

Lo vedo deglutire in modo pesante, sembra si stia prendendo del tempo per riflettere sulle prossime parole da pronunciare.
Allora non sono solo io ad avere questa sensazione... mi dico, osservandolo. É come se fossimo sul ciglio di un precipizio, basta un soffio di vento per farci cascare giù a picco.

-Cos'avrei fatto di così grave da meritarmi il tuo risentimento?- chiede Alexander con il suo tono calmo e riflessivo.

Io però lascio libero sfogo alla mia impulsività, come sempre.

-Il mio risentimento!? Ma favore!-

A quel punto lui mi ferma dal braccio impedendomi di proseguire oltre.

-Qual è il problema, Juliet? Ti ho spiegato perché non sono tornato e sembrava ti andasse bene, o sbaglio?-

Per una frazione di secondo mi faccio distrarre dal suo buon profumo, ma la nota di rimprovero che utilizza per parlarmi, mi fa solo adirare di più.

-E con ciò?-

-Se volevi che io tornassi, bastava chiedere.- commenta lui affilando lo sguardo.

-Certo! Perché il tuo ego non è abbastanza grande, hai anche bisogno che io ti chieda di restare. Anzi, conoscendoti, molto probabilmente nella tua testa, la mia dovrebbe essere una supplica.-

Fa scivolare lo sguardo spazientito prima a destra poi a sinistra, come per assicurarsi che nessuno mi abbia sentita.

-Non ti capisco Juliet.-

-Te lo faccio capire io allora. Bastava un semplice: "Ho sbagliato Juliet a volerti privare della tua libertà, è stato un attimo di debolezza. Io mi fido di te e ti amo."

Alexander corruccia entrambe le sopracciglia dinnanzi al mio affronto deciso ma inatteso.

-"E sì, resta con me stasera.. perché voglio stare insieme a te e non perché sono un pazzo maniaco del controllo che non riesce a sopportare che tu abbia un vita!"-

Resto senza fiato per la velocità con cui ho enunciato quelle parole. Forse ho anche alzato la voce, perché la gente intorno a noi si volta a guardarci.

-Fine del grande sforzo che dovevi fare!-

-Non mi sembra il caso di fare una scenata in pubblico, adesso...- bisbiglia a denti stretti.

Sento il groppone in gola diventare così ingombrante da non permettermi di respirare.

-Solo di questo ti importa?!-

Perché sarebbe bello che si arrabbiasse per davvero, che esternasse i suoi sentimenti. Almeno riuscirei a capire cosa gli passa in quella testa. Vorrei che mi dicesse come si sente, che mi confessasse la sua paura di perdermi, invece di prendersi del tempo per squadrarmi dall'alto al basso, come fossi impazzita del tutto.

-Non le pensi davvero queste cose.- aggiunge poi con voce trattenuta.

-Ah no?-

-No.-

-Beh viviti la tua favoletta dove tu sei il centro del mondo e Juliet fa le cose apposta per farti arrabbiare, dato che non ha un cervello pensante!-

La scintilla scura che fa brillare le sue iridi non promette nulla di buono.
Alexander si avvicina al mio viso, facendo crollare tutte le mie certezze con quel semplice gesto.

-Ho un presentimento, ma correggimi se sbaglio. Questa Juliet sta un po' esagerando, non trovi?-

Abbasso gli occhi con una velocità disarmante.

-Tutto questo chiacchierare, per cosa? Mhm?-

Lo lascio fare mentre preme la sua bocca sulla mia, come volesse reclamare qualcosa di suo. Le mie labbra, o forse semplicemente il mio respiro.

E poi la ingoio. Perché c'era. La maledetta era già lì. Pronta a spiccare il volo. Quella parola. "Scusa"

-Non farmi scenate, Juliet. Mai più.-

Reprimo un singhiozzo con lo sguardo incollato a terra, ma quando sollevo il capo mi accorgo che, come al solito, Alexander aveva ragione.
Mi stanno guardando tutti.


Alexander POV

Juliet non è qui in carne ed ossa, ma mi ritrovo comunque a condividere il letto con il suo profumo. Le lenzuola sono ancora un po' stropicciate, segno che ieri lei ci ha dormito, o forse, conoscendola, l'ha fatto per tutta la settimana.

Le lascio la serata per sbollire la litigata avvenuta nel pomeriggio, ma il giorno seguente mi sveglio con tutte le intenzioni di chiarire con lei.
Quando scendo in cucina Juliet è già sveglia, sembra in fibrillazione.

-Che succede?- domando nel vederla insieme a sua madre ai fornelli.

-Lo sai che cucinare non è il mio forte, stiamo facendo delle prove.- spiega Catherine.

-Alle...- controllo l'ora sullo schermo del cellulare -...Otto e mezzo del mattino?-

-Ma che vuoi?- sbotta Juliet con aria imbronciata.

Capisco sia nervosa, non sente suo padre da quel giorno.
Così decido di riempirmi di tutta la pazienza possibile e sedermi al tavolo. Juliet indossa un maglione grigio che le arriva alle ginocchia e un paio di pantofole di peluche. Orribili.
Mi perdo a sbirciare le sue gambe affusolate e le sue curve delicate nascoste dal morbido tessuto di lana, quando i pianti in lontananza bloccano sul nascere qualsiasi mia fantasia.

-Che sei rimasto a fare?-

Mi aggredisce voltandosi di scatto, non appena Catherine esce dalla cucina per andare a consolare il bambino, che intanto si dispera nella culla.
La domanda di Juliet è lecita, anche perché ieri sera non abbiamo parlato e ci siamo chiusi ognuno nella sua camera.

-Sono rimasto qui perché Catherine mi ha detto di tuo padre.-

-E...?-

Ha anche il coraggio di chiederlo?

-Avanti lo sai, Juliet.-

-Senti lasciami in pace.- sputa dandomi nuovamente le spalle.

-Ti chiedo solo di metterci meno entusiasmo, per favore.- mormoro avvicinandomi a lei con cautela.

-Ma come ti permetti? Lo senti quello che dici?-

-Ti deluderà ancora. Lo farà sempre.- scandisco malvolentieri.

Mi costa fatica ammetterlo, ma sembra che lei lo dimentichi troppo facilmente.

-È mio padre. Stanne fuori.-

-E io non sopporto come ti tratta.-

La vedo lanciare la teglia di lasagne dentro al forno per poi sbattere lo sportello. Vorrei dirle di fare attenzione, ma Juliet mi sta fulminando con due occhi spietati.

-Sei geloso perché io gli voglio bene e tu odi tuo padre?-

Sì, certo. Come no.
Non voglio ferirla, perciò decido di non rispondere a quest'inutile provocazione. La vedo ripulire la cucina con fare nervoso, avvicinandosi pericolosamente al forno acceso.

-Ti aiuto?- provo a chiederle.

-Non ti capisco, invece che essere felice per me...- dice scrollando il capo.

-Sarei felice se lui non fosse quello che è, un ladro che si riduce a rubare a sua figlia. Ha rubato la collana di mia madre per rivenderla. È un mezzo criminale, Juliet. Verrà qui perché avrà bisogno di soldi o...-

-É più forte di te, vero?! - strepita più convinta, questa volta.

- Ma...-

La osservo confuso.
Non la riconosco più. Mi è quasi più estranea di quando l'avevo appena conosciuta.

-Non è questione di "se" ma "quando" ti deluderà.- insisto.

L'ho già vista questa scena, dovrei fingere che stavolta sarà diverso?

-Perché non puoi essere felice per me?-

Juliet me lo chiede con gli occhi lucidi, perciò decido di sigillarmi le labbra e non parlare più. L'afferro da entrambe le spalle per portarla più vicina a me.

-Non è questo, Juliet...-

-Non mi lasci mai dei momenti miei..- si ritrae rifiutando l'abbraccio, quando avvertiamo il trillo del campanello.

-Juls, vai tu!-

Sua madre ritorna con il bambino, mentre Juliet sparisce in tutta fretta per correre alla porta d'ingresso senza farselo ripetere due volte.

-Papàààà!?-

-Con due ore di anticipo, ma che fortunati!- commenta Catherine con tono sarcastico, lanciandomi un'occhiata d'intesa.






Durante il pranzo me ne sto in rigoroso silenzio. Potrei ascoltare mio padre e quell'uomo parlare, ma invece decido di fingere di farlo e annuire a caso, ogni qualvolta che l'attenzione finisce su di me.

Juliet è troppo rapita dalle cazzate che lui le racconta, per rendersi conto che persino sua madre è a disagio. E se mio padre sapesse dell'episodio della collana, di sicuro non sarebbe così cordiale. Il peggio però, avviene quando i vecchi cominciano a raccontare della loro gioventù, dei tempi dell'università e di tutte quelle altre cose che preferirei non sapere. Vorrei essere altrove. Mi sento in trappola e di solito lo siamo in due, ma questa volta lei non mi degna di un'occhiata, perciò anche il tempo sembra scorrere più lentamente.
E quando finalmente il lungo pranzo termina, ci spostiamo sul divano.

-Voglio andare a prendere le foto di quando ero piccola.- annuncia Juliet ad un certo punto.

-Juls no.-

Catherine è visibilmente scocciata. Non sembra felice di averlo tra i piedi, né pare abbia voglia di rivangare il tempo trascorso insieme.

-Ti prego!- insiste lei con la sua vocina da bambina.

Sua madre sbuffa e io faccio uguale.

-Le ho messe nel capanno, non le volevo in mezzo alle scatole.- borbotta poi.

Juliet mi guarda, così le annuisco facendole cenno di andare, poi seguo mio padre in cucina per aiutarlo a sparecchiare le ultime stoviglie.
Prima di allontanarmi dal salotto però, mi accorgo della voce di Catherine che si mescola a quella del padre di Juliet.
Così mi fermo ad ascoltare.

-Che sta succedendo?- chiede lui sottovoce non appena li lasciamo soli.

-Che vuoi dire?-

-Tra Juliet e quel ragazzo. Perché lui ha voce in capitolo su ciò che fa o non fa mia figlia?-

-Ma che dici!?-

-Sei così accecata dal tuo amore per John che non lo vedi?-

-Cosa c'è da vedere? Juliet potrebbe aver preso una cotta per Alexander, sì.-

-Figlio modello del padre modello.- ribatte lui ironico.

-Detto da te sono solo complimenti.- lo aggredisce lei.

-Senti Cath... Ho sbagliato lo so.-

-No, non cominciare adesso. Non le hai fatto una chiamata! Non una, da quando hai saputo che aveva assistito ad un omicidio! Te ne rendi conto?- la sento dire nel tentativo di mantenere un tono basso, ma la rabbia finisce per colorare la sua voce rendendola più squillante.

-È che ho i miei casini...-

-A me non interessa, tieniti i tuoi casini ma non vieni qui a sparare a zero sulla mia famiglia.-

-Stanno insieme?-

-Non più.-

-Quel ragazzo non va bene per lei, Catherine.- sibila a lui.

-Cosa ne sai tu?-

-È un sociopatico, si vede lontano un miglio. E poi come la guarda? Come può Juliet, che è la ragazza più dolce del mondo, a stare con uno così?-

-Come facevo io a stare con te, mi chiedo! E poi dato che è la ragazza più dolce del mondo, perché non la degni di una telefonata ogni tanto?-

-Cath..-

Di nuovo quel nomignolo. Mi sento di troppo a spiare nella loro intimità.
Non voglio sapere altro.

Così mi dirigo da mio padre e lo aiuto a finire in cucina, finché non torniamo da Juliet che sta mostrando tutta contenta le foto a quell'uomo. Lui le sta seduto a fianco e non fa che tentare di ottenere la simpatia di Catherine, ricordando i bei tempi andati. Lei in tutta risposta gli rivolge smorfie irritate, mentre Juliet è l'unica a subirne il fascino.

Ad un tratto la sua attenzione casca dritta su di me, che me ne sto comodo sulla poltrona di fronte a loro.

-Allora, Alexander...-

Ah, ora vuole parlare con me?

Congiungo le mani tra loro, mentre lo fisso senza scompormi più di tanto.

-Cosa fai nella vita?-

-Studio, tu?- ribatto con occhi stretti.

-E come vanno gli studi?-

-Sono il migliore del corso, tu?-

Juliet solleva gli occhi al soffitto, lui si irrigidisce e cambia immediatamente discorso. Si finisce a parlare del battesimo di domani e del fatto che "uno di questi giorni" accompagnerà Juliet per mercatini natalizi.
Certo, come no. Ovviamente a credere alle sue parole, è rimasta solo lei.

Quando meno me l'aspetto però, finalmente il pomeriggio giunge al termine, il padre di Juliet saluta tutti ed esce fuori a fumare.
Così mi decido a seguirlo.
Nel silenzio, solo il tonfo della porta che si chiude alle mie spalle.

- Oh mio Dio! Sei tu.- salta su, quasi spaventato.

-Toglimi una curiosità.- esclama ad un certo punto, mentre io l'osservo senza battere ciglio.
-Chi cazzo ti credi di essere?-

Reggo il suo sguardo e mi chiedo se sia a conoscenza di quanta sofferenza ha causato, dopo aver provato ad ingannare Juliet ancora una volta.

-Perché mia figlia ti chiede il permesso per fare anche la più banale delle cose? Non mi piaci per niente.- sputa con occhi sottili.
-Juliet è troppo per te.-

Mi avvicino a lui nella speranza che capisca in modo chiaro ed esaustivo le mie parole.

-È probabile che sia così, ma resta il fatto che tu non sai nulla di lei.- scandisco lentamente.

-So che mia figlia è dolce e spensierata, ma quando ti sta vicina diventa un'altra persona.-

Quelle parole, seppur dette da lui, mi sfiorano lo stomaco come graffi stridenti sul muro.
Lui getta la sigaretta a terra, poi mi squadra a debita distanza.

-Questa volta quando te ne andrai, sarà per sempre. Non cercarla più.- sillabo con minuzia, come se bastasse risultare convincente, per vedere realizzato il mio desiderio.

Il mio affronto lo destabilizza. Lo vedo dal modo in cui sbatte le palpebre nervoso.

-Ma come osi? Non mi faccio parlare in questo modo da un ragazzino...-

-Ho saputo che hai rubato la collana di mia madre per rivenderla.-

Le nostre parole aride aleggiano nella fredda aria autunnale, creando un'atmosfera ancora più cupa. Lo vedo chiudere gli occhi per una frazione di secondo, poi torna ad osservarmi. -É forse una minaccia?-

-Non cercarla più.- concludo con voce dura.

Ci fissiamo in cagnesco per alcuni istanti, finché il portone d'ingresso non si spalanca alle mie spalle.

-Ma siete ancora qui?-

Juliet esce con solo il maglione addosso, tremando come una foglia.
Suo padre le rifila un abbraccio forzato, poi le sorride. -Ora vado, ci vediamo domani.-

-Okay.- bisbiglia lei mentre le sue labbra si curvano in un piccolo sorriso.

Abbasso la cerniera e mi sfilo la felpa per avvolgerla intorno alle spalle di Juliet, quando suo padre si ferma in mezzo alla strada, come se volesse tornare sui suoi passi.

-Juls perché non vieni a Dublino per Natale?-

La richiesta sorprende lei, ma non me.

- Va bene, ci penserò.- risponde Juliet, visibilmente felice.

Così rientriamo in casa e colgo l'occasione di quella vicinanza per afferrarla dai fianchi e portarla a me.

-Non lo fa perché vuole stare insieme a te, Juliet.-

-Lasciami in pace.-

-Lo fa per allontanarti da me.- la trattengo quando prova a sfuggirmi.

Le voci dei nostri genitori in lontananza ci distraggono per qualche secondo. Ho poco tempo.

-Perché vuole il mio bene, magari.-

-Ah vedo che la pensate allo stesso modo adesso.-

-Non ho detto questo, Alex.-

Sospiro cercando continuamente i suoi occhi che rifuggono i miei. È una lotta continua e lei non vuole lasciarmi vincere.

-Vuoi... dimmi cosa vuoi, Juliet. Vuoi che ammetta di avere sbagliato?-

-Lo vorrei sì, ma non basterebbe.-

Sollevo un sopracciglio.
-E perche non basterebbe?-

-Perché tu non lo pensi per davvero!-

Ma cosa?

-Io non ti capisco.- ammetto ispirando il suo profumo con avidità, come se quelli fossero gli ultimi respiri a tenermi in vita.

-L'hai già ripetuto ma non ti accorgi che hai cominciato a non capirmi, proprio nel momento in cui ho smesso di fare ciò che volevi tu.-

- Juliet...-

-Se ci troviamo in questa "tregua"...è solo perché io non faccio come dici.- spiega con la sua voce impertinente, imitando il gesto delle virgolette con le dita.

- Mi hai chiesto spazio e io sto provando a dartelo, neanche questo ti va bene?-

-Sì ma non così. Forse non te ne rendi conto, ma tutto questo non è normale. Non se dici di amarmi.-

- Spiegati.- mi impunto trattenendola dal braccio.

-Ma allora non capisci davvero?-

-Io sono sempre stato così, ora non ti vado bene. Non...-

-Per quanto vuoi andare avanti ad ignorarmi, Alex?-

Le sue labbra rosee hanno un lieve tremolio nel pronunciare quella domanda.
E io vorrei fare di tutto, fuorché ignorarla in questo momento.
Così dimentico per un attimo l'autocontrollo e provo ad accostarmi al suo viso. Voglio solo baciarla.

-No, vedi che non capisci. Non sto parlando di questo.- mi respinge puntandomi i palmi delle mani contro il petto.

Il suo rifiuto mi lascia di ghiaccio.

- Perché non posso baciarti adesso?-

-Dio, ci riuncio Alex!- esclama prima di voltarmi le spalle, abbandonandomi alla mia confusione ancora una volta.

♥️

Il giorno seguente trascorro il pomeriggio a sistemare le piante nel salotto, come richiesto da Catherine. "L'imminente festa del battesimo sta richiedendo più preparativi del previsto" mi dico, quando una discussione accesa richiama la mia attenzione.

-Dov'è papà? È in ritardo!- sento dire a Juliet.

Ed ecco che tutte le mie profezie si stanno per avverare.

-Ha appena chiamato. Non verrà, aveva da fare ha detto. Ma magari domani o prossima settimana...-

Catherine sembra più dispiaciuta del dovuto. Non dovrebbe.

- Non ci credo, mamma! È colpa tua!-

Ci risiamo

Juliet mi sfila davanti senza neanche accorgersi della mia presenza. Vedo il suo corpo sottile racchiuso in un abito scuro ed elegante, ed è uno di quelli che indossa ogni volta che dobbiamo subirci parenti e amici di famiglia.
Di solito però, finisco per strapparglielo di dosso a metà serata, mi chiedo solo se ciò accadrà anche oggi.

-Sei contenta, vero?- inveisce contro sua madre.

-Beh, non che non vedessi l'ora di rivederlo, Juls...-

-L'hai fatto scappare tu!-

-Io? Ma perché ora dici questo! No!- ribatte Catherine guardandomi, in cerca di sostegno.

-Juliet.-

Provo a richiamarla con fermezza, ma è del tutto inutile in casi come questo.
Amo avere sempre ragione, tranne che in situazioni del genere. Per una volta vorrei sbagliarmi, così Juliet a quest'ora non avrebbe il viso affranto e non ci sofferirebbe così tanto.



Se dovessi contare tutte le volte che le vecchie signore mi fanno i complimenti, durante le occasioni formali come quella di oggi, probabilmente a quest'ora avrei già perso il conto.
Ovviamente non conosco quasi nessuno, tranne Vera, la zia di Juliet che mi fa l'occhiolino da lontano non appena mi vede.

- Hai finito di farti adorare da tutte le mie prozie?-

Sono al tavolo degli aperitivi, quando avverto alle mie spalle la presenza leggera di Juliet.

-Cos'hai da guardare?- domanda prima di compiere una smorfia di disappunto.

Arriccia le labbra, poi fa scorrere lo sguardo lungo il mio corpo e io faccio lo stesso con il suo.

-Stavo notando che sei dimagrita.-

-Sono stressata.-

-Il lavoro?-

Lei solleva l'angolo della bocca in un sorriso quasi forzato.

-Anche. Me ne versi un po'?-

Le faccio cenno di no con la testa, quando mi indica la bottiglia di vino bianco che tengo in mano per riempire i bicchieri ai parenti.

-E dai... È il primo che bevo.-

Sì certo.
Forse crede che non l'ho vista afferrare una bottiglia intera per trangugiarsela di nascosto, come se quell'atto stupido bastasse a cancellare qualsiasi sofferenza lei stia provando in questo momento.

-Mhm. Ti tengo d'occhio.- sospiro riempiendole un fondino di calice.

-Tanto per cambiare...mi tieni d'occhio.- mi provoca con uno sguardo languido.

Il profumo così dolce e fresco dei suoi capelli raccolti mi calamita ancor più verso di lei.

-Sempre.- sussurro reclinando il collo per raggiungere il suo collo esile ed esposto.

-Davvero sei il migliore del corso come dici di essere?-

-Cosa c'entra adesso?-

-Curiosità.-

-Si. Ma chiacchiere di circostanza non mi interessano.- la freddo senza levarle gli occhi di dosso.

Lei ruota lo sguardo al soffitto e in un attimo è pronta ad andarsene, così la blocco stringendole un fianco con una presa possessiva.

-Ferma. Come va con il trasloco?-

-Il coinquilino ci sta mettendo più del dovuto, devo aspettare fine mese per trasferirmi.-

-E la tua scuola serale?-

-Bene. Più facile di quanto pensassi. Finito l'interrogatorio?- mi punzecchia mordendosi il labbro inferiore.

-Riesci a studiare o sei troppo impegnata a fare altro?-

-Che staresti insinuando?-

-Niente. Figurati.-

-Tu niente, tu non insinui mai niente!- erompe a gran voce.

-Meglio che la smetti, Juliet.- La redarguisco, provando a toglierle il bicchiere dalle mani.

-È dura accettare che faccio quello che mi pare, senza doverti rendere conto sempre di tutto, vero?-

Basta, le ho lasciato fin troppa corda.
Mi avvicino alle sue labbra. Lei sembra perdere un battito.

-Sarà dura per te, riuscire anche solo a camminare domani, dopo quello che ti avrò fatto stanotte.-

E invece che fuggire, Juliet si avvicina sempre di più alle mie labbra, facendo esplodere una strana sensazione nel mio petto.

-È inutile che mi parli come se mi avessi già tra le mani. Non sono un tuo oggetto.- sibila decisa.

-Non lo sei mai stata.- puntualizzo quasi offeso dalle sue parole.

-Ah, già... Perché che non era così che mi trattavi...-

-Mi sta provocando, Juliet? No, perché se cosí fosse...ti sta riuscendo davvero male.-

Lei sogghigna curvando le labbra a lato, intanto si volta con noncuranza.

-Dove stai andando adesso?- la rincorro con lo sguardo, poi mi accosto al suo corpo facendo aderire il mio petto alla sua schiena.

-A provocare qualcun altro.- dice indietreggiando appena, per cercare maggiore contatto con il mio corpo.

-Tu provaci.-

- E che fai sennò?- mi istiga lei con occhi innocenti.

-Non te lo lascio fare.-

Un sorrisetto divertito s'insinua tra le sue labbra.

- Sai dove te le puoi mettere le tue minacce?-

-Sei sempre la solita bambina viziata ed immatura.- ringhio contro il suo orecchio.

-E tu il solito stronzo maniaco del controllo che vuole dirmi come vivere la mia vita...- schiude le labbra per sussurrare con voce cedevole.

-Mi fai impazzire, Juliet.-

Lei si volta di scatto facendo scontrare le nostre bocche assetate.

-Dio, Alex...-

Così non va bene, stiamo per baciarci davanti a tutti.

-Volevo dirtelo da quando ti ho vista, sei bellissima.- sussurro piano.

-Non c'è bisogno di farmi complimenti ora. È solo uno stupido vestito. Quello che mi hai regalato tu.-

-Non dico solo questa sera, mi riferisco anche a quando l'altra mattina sei arrivata in cucina e non ti aspettavi di vedermi.-

-Ma ero struccata e avevo pianto e... te l'ho detto è solo il vestito, il trucco...-

Le nostre labbra si seguitano in un movimento soffuso, sfiorandosi senza mai toccarsi realmente.

-Non è il vestito, né il trucco. Sei tu.- mormoro godendo del calore dei nostri corpi vicini, pronti a sfregare come fiammiferi per incendiarsi.

-Vieni con me, Alex.-

Juliet sorride prima di afferrarmi dalla manica della camicia per trascinarmi via dalla folla.
Con le mani mi spinge contro il muro del corridoio, poi con lo sguardo sfiora la mia cintura facendovi slittare sopra i suoi occhioni scuri.
Chiudo gli occhi per assaporare il momento, proprio quando Juliet insinua la sua manina sul cuoio della mia cintura, come per afferrarla e attirarla a sé.

-Mi sei mancata, Cristo.-

La guardo umettarsi le labbra svariate volte.

-Ti stai trattenendo vero, Juliet?-

-Dal fare cosa?-

-Dal baciarmi.-

-Parla per te...- mi canzona divertita.

Dio, sì.
Sento l'impulso di baciarla fino a stare male.

-Basta però.- l'ammonisco privandole del bicchiere dalle mani.

Stavolta se lo lascia fare, riesco a toglierglielo.

-Perché?-

-Lo sai che succederà a fine serata se continuiamo a bere, vero?-

-Non lo so, dimmelo tu.-

- Staremo contro un muro, così come lo siamo ora.- mugolo con voce roca.

Le sue pupille si estendono a dismisura nel guardarmi pronunciare quelle parole.

-Solo che io avrò i pantaloni abbassati e tu questo vestitino sollevato...mentre mi supplicherai di non fermarmi.-

In quell'istante ci passa di fianco una signora che non conosco, noi ci stacchiamo quanto basta, tant'è che questa ci sorride cortesemente. Dall'esterno probabilmente sembriamo due persone che stanno solamente parlando e non due individui che non vedono l'ora di saltarsi addosso.
E Juliet dà conferma a tutti i miei pensieri, quando con una presa stretta afferra la cintura che mi fascia i pantaloni.

-Che vuoi fare?...-

- Secondo te?- chiede prima che i suoi occhi si facciano più maliziosi.

-Ti voglio, Alex.-

Non mi piace perdere il controllo, ma lei sta diventando sempre più abile. Ha imparato a dire le cose giuste, al momento giusto.
Le ho insegnato ad essere la mia debolezza.

Trattengo il gemito che Juliet riversa nella mia bocca, quando modello le sue labbra con le mie.

-Vai in camera mia. Subito.- le ordino freddo.

-Sì.-

-E fatti trovare pronta.-

Lei annuisce.

-In ginocchio e...-

Ma quando si sta per allontanare come le ho appena ordinato, vengo risvegliato da un imminente senso di responsabilità.
No così non va bene.

-No, no, aspetta. No.- mi affretto a rincorrerla.

-Perché no?-

-Sarebbe troppo facile, così. Sei triste, forse ubriaca e ... Non va bene.-

Il color nocciola delle sue iridi sembra liquefarsi tutt'ad un tratto.

-Non possiamo vanificare tutto.- insisto.

-Non mi vuoi?-

-Ti voglio Juliet, da impazzire. Ed è proprio per questo che non possiamo. Non è così che devi prendere le tue decisioni.-

Sta per scoppiare a piangere davanti a tutti. Mi è impossibile fare finta di niente, perciò la sorreggo con un braccio, aiutandola a camminare.

-Andiamo, ti accompagno in camera tua.-

Le apro la porta della stanza, mentre lei si sta già sfilando le scarpe, infine arrivo al letto dove sollevo la coperta facendole spazio.

- Juliet.-

Le indico il materasso con un cenno del capo, lei ci arriva trascinandosi malvolentieri.

Sprofonda con la testa nel cuscino, finché non la sento biascicare qualcosa di quasi incomprensibile.

- Ma Alex...-

Lancia una mano verso l'alto, così capisco che mi sta cercando.
Mi siedo a fianco a lei.

- Dimmi, Juliet.-

-So che non sono perfetta ma...-

Le sue labbra si incespicano appena. Sembra voglia farmi un discorso serio, lo vedo da come i suoi occhi stanno brillando, ancora lucidi.

-È così difficile volermi bene?-

Mi si attorciglia lo stomaco nell'udirla parlare così.

-Non pensarlo, mai. È questo che crederai ogni volta che se ne andrà, Juliet. Di meritartelo, ma non è così. È lui a non meritarsi te.-

Non so se abbia ascoltato le mie parole o meno, perché intanto che le accarezzo la fronte, lei crolla in un sonno profondo.

♥️

La settimana successiva, come da manuale, tra una lezione e l'altra chiamo Catherine per sapere come sta Juliet.
Lei mi racconta sempre tutto per filo e per segno.

-Stasera va ad un compleanno.-

Ah

-Stavo pensando di tornare, ma...-

-Falle una sorpresa.- la sento dire dall'altra parte del telefono.

Non so come ci siamo arrivati qui, ma credo che Juliet stia così male, che Catherine passerebbe sopra a qualsiasi cosa pur di vederla felice.
Persino accettare il nostro rapporto.
Forse perché non è a conoscenza di tutti i dettagli.

-Di chi è compleanno?-

-Daniel.. Denver?- borbotta lei.

-Sì, credo proprio che le farò una sorpresa questa sera.-

- Beh ti conviene andare a prenderla a lavoro perché si è portata con sé i vestiti per cambiarsi. Non credo passerà da casa prima di uscire.-

E così mi metto in macchina, ma il traffico delle sei di pomeriggio è tale che arrivo mezz'ora in ritardo davanti all'ufficio di Juliet.

Fuori piove a dirotto perciò mi munisco di ombrello e scendo dall'auto. Tra la pioggia fitta scorgo la sagoma di una ragazza bionda uscire dagli uffici in tutta fretta. Si acciglia quando mi vede sostare lì fuori.

-Aspettavi qualcuno? Sono usciti già tutti, ho appena fatto chiusura.- spiega poi.

-Cercavo Juliet.-

- Sei il suo ragazzo?- domanda incuriosita.

Annuisco.

-È già andata via, ma se vuoi puoi seguirmi con la macchina. Vado anch'io alla festa di David.-

♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️

♥️il capitolo non era ancora pronto ma volevo pubblicarlo a tutti i costi, perciò spero vi sia piaciuto comunque

♥️so che è un capitolo di passaggio, ma è stato necessario...avete capito cosa desidera Juliet?

♥️dal prossimo un po' di drammi e sopratutto 🔴

♥️per chi mi chiede quante parti ci saranno ancora... forse una ventina o forse un po' meno.. sincera? non lo so

se volete restare aggiornate con le pubblicazioni delle mie storie seguitemi su Instagram
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a presto ✨

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