How are you all around me when you're not really there
❤️
Quando torno a casa sono già le quattro del mattino, ma io non riesco a prendere sonno.
Mi giro e mi rigiro nel materasso finché non mi tiro su dal letto in preda all'irrequietezza più sfrenata.
Quattro mesi fa ero fuggita da quella casa perché non mi sentivo più al sicuro e come una vigliacca ero scappata lasciando persino mia madre lì. Fino a ieri questo pensiero mascherato da senso di colpa mi ricorreva, facendomi perdere anche il sonno. Eppure, l'ho sentito con le mie orecchie ciò che mia madre ha avuto da dire su Alexander. Ho visto come lei lo guardava: i suoi occhi chiari erano sereni e stanchi, senza alcuna apprensione, come se sapesse che - qualora non fosse stata in grado di fare qualcosa - ci sarebbe stato lui. L'ha aiutata, l'accudita e se n'è preso cura come fosse sua madre.
Ma che stranezza è mai questa?
Fa parte del suo piano?
Perché dovrebbe comportarsi da figlio premuroso se poi non è altro che un mostro senza cuore?
C'è qualcosa che non mi torna, me lo ripeto in testa, finché non mi affaccio alla finestra: là fuori gli alberi spogli dondolano cullati dal vento notturno, mentre il mio sguardo scorre lento sul vialetto di fronte a casa.
- O mio Dio!-
Mi è sembrato di vedere qualcosa muoversi, aldilà della strada. Forse una sagoma tra gli alberi scuri che costeggiano una stradina poco distante.
Potrei giurare di aver visto qualcuno muoversi fuori dalla mia finestra.
Un brivido lancinante lungo la schiena.
"E se fosse..."
Chiudo immediatamente le tende, in preda alla paura.
Ora sarà molto più difficile riaddormentarmi.
🍎
-Papàaaaaaaaa!!!-
-Juliet che urli!!?-
-Senti io oggi inizio a lavorare un po' prima, ho un turno lunghissimo...ti prego ricordati di fare la spesa!-
Addento una forchettata di pancake secchi e senza sciroppo, perché a casa di mio padre manca qualsiasi cosa.
Fortuna che lavoro in un pub e posso mangiare quando stacco, perché se fosse per lui morirei di fame.
Neanche la nutella c'è in casa.
- Sì Juls, tranquilla.-
Non mi ascolta neanche. Sta sempre seduto al bancone dell'isola della cucina a telefonare e segnare appuntamenti sul suo iMac.
Io invece faccio colazione alle 4 di pomeriggio. Non so chi sia peggio tra noi due.
- Papà ma di preciso di cosa ti occupi?- chiedo con la bocca piena.
- Juls ma che succede stamattina? Hai visto tua madre ieri e ora mi fai il terzo grado? Te l'ha chiesto lei?-
Si massaggia la nuca di capelli ormai brizzolati e non solleva lo sguardo dal suo computer neanche per un attimo mentre mi parla.
Sbuffo contrariata gettando i piatti nel lavandino.
- Ti hanno chiesto di tornare?-
- Sì ovvio papà.-
-Che hai risposto?- domanda sollevando le spalle avvolte da una t-shirt che cade su un paio di pantaloncini.
Mio padre a differenza di John è tutto fuorché elegante. Anche quando fa incontri di lavoro lo vedo sempre indossare abiti sportivi. Non riesco a capire come facciano a prenderlo sul serio.
- Io lì non ci torno più.- sputo secca prima di girare i tacchi e filare a lavoro.
🍏
-Juliet, mio padre li paga fior di quattrini quei calici di birra!!Arrivano direttamente dalla Germania e tu non stai facendo altro che sfracassarli a terra uno ad uno, ogni sera!? Hai finito, grazie!???-
- Ryan, scusa!- mormoro raccogliendo i vetri spessi che ho sparso sul pavimento del locale.
- Sei un disastro, dio mio.- biascica lui contrariato.
Con le guance rosse come il fuoco ripulisco il casino sotto agli sghignazzi di alcuni gruppetti di ragazzi che bevono ai tavoli, mentre altri giocano a biliardo.
- Ti licenzierà prima o poi, vero?-
Riconosco quella voce.
È l'uomo con i tatuaggi.
Azzardo uno sguardo nei suoi occhi cristallini e tento di capirne l'età. Avrà trent'anni. Forse uno o due in più.
-Beh, fino a quel giorno me lo tengo stretto questo lavoro.- bofonchio ripulendo il bancone appiccicaticcio di alcool e briciole di patatine.
Mi sciacquo le mani e noto che ho una leggera ferita sul dito indice, un pezzettino di vetro si è incastrato nella pelle lacerata. Lo tolgo con un gesto repentino lasciandomi sfuggire un lamento. Uno zampillo di sangue fuoriesce inavvertitamente. Porto il dito al labbro per fermare il sangue, mi appoggio al bancone quando mi accorgo che l'uomo mi sta ancora guardando.
- A che ora finisci?-
Innanzitutto quanti anni hai, che cosa vuoi e come mai tutto questo interesse?
E poi... che accento strano. Sembra di Londra ma con una lieve inflessione, come se si sforzasse a nasconderla.
Succhio la pelle arrossata di sangue poi vi allaccio una garza che trovo nel kit di pronto soccorso al fondo di un cassetto del bancone.
- Fa male?-
L'uomo continua a catturare la mia attenzione.
Forse perché è attraente.
Quindi rispondo.
- Finisco alle due. Mio padre però non può venire a prendermi.-
Sembra una bugia, ma in realtà non lo è. Mi ha chiamato mezz'ora fa per dirmi che avrebbe avuto un incontro di lavoro e non sarebbe tornato a casa questa notte.
-Bene. Allora prendo un'altra birra.- asserisce serio, massaggiandosi il petto coperto da una maglietta bianca che sbuca sotto ad una camicia a quadri.
Gli servo la birra e nello sporgermi oltre al bancone sento indistintamente il suo buon profumo, nonostante l'odore acre dell'aria di quel pub. Alcool e tabacco.
E potrei giurare che lui abbia sentito il mio perché quando mi avvicino per porgergli il bicchiere vedo le sue narici inspirare a lungo.
Mi guarda, ma non dice niente.
-Ma come possibile è questo? Vedi lei quanti soldi avuto?-
Sento la voce acida di Arina, una mia collega di origini russe che si lamenta per le mance.
Ryan le mette un braccio intorno alle spalle smunte.
- Cara Arina, la vita è strana te l'ho sempre detto. Tu sei veloce a servire e non rompi mai un bicchiere ... eppure mai nessuno ti lascia una mancia! Juliet invece non ne azzecca una, sembra sia venuta qui apposta per rovesciare una birra sì e l'altra pure addosso ai clienti! Eppure... trenta sterline solo di mancia stasera!-
-Wooow!- esclamo accaparrandomi le banconote che mi spettano.
Arina sbuffa tornando a fare il broncio che ha perennemente.
- Beh qualche sorriso in più non guasterebbe. Forse è per questo che i clienti preferiscono te.-
Mi sto togliendo il grembiule quando sento l'uomo tatuato parlare. L'avevo perso di vista a fine serata, ma ora è di nuovo qui. L'odore di sigaretta si fa più intenso sulla sua giacca di pelle, segno che è appena tornato da fumare.
- Dici? Sono una frana.- ammetto infilandomi il cappotto.
- Io sono Jacob.- risponde lui con tono calmo.
Usciamo da un pub ormai deserto, quando le sue parole mi prendono nuovamente alla sprovvista.
- Sarai anche una frana, ma sempre sorridente e gentile però.-
- Oh. Beh. Grazie.-
E poi non succede nulla di ciò che una ragazza penserebbe nel vedere un tizio così. Sembra il classico bad boy: tatuaggi, giacca di pelle, modi sfacciati.
Ma lui è gentile, seppur diretto.
Mi accompagna fino a casa, mi saluta con un mezzo sorriso e si assicura che io entri in casa per rimettere in moto l'auto e andare via.
Non conosco il perché di tutta questa gentilezza da parte di quell'uomo, ma sinceramente al momento non mi dispiace ricevere attenzioni.
Muovo due passi dentro alla casa buia quando sento un cigolio nell'oscurità che mi fa sussultare.
- Pa... papà?-
La mia voce è piccola, oserei dire tremolante.
Oddio, e se ci fosse qualcuno in casa? Questo è il mio primo pensiero, ma siccome il mio timido appello non riceve risposta, raggiungo con ansia l'interruttore della luce. Quando finalmente lo spazio intorno a me si illumina, comincio a tranquillizzarmi. Riconosco ogni singolo dettaglio del salotto: il piccolo divano in tessuto, il tavolo da pranzo, le pareti spoglie. Non me la sento però di andare in camera mia a dormire, sono ancora un fascio di nervi tesi, preferisco restare qui, piuttosto dormo sul divano.
Faccio in tempo a togliermi il cappotto e lanciarlo sulla poltrona che un rumore sordo mi fa balzare come un gatto in preda al terrore.
La porta d'ingresso vibra forte.
Qualcuno sta provando ad entrare?
Afferro d'istinto il cellulare.
Non so chi chiamerei ora, ma sento che c'è qualcosa che non va.
I rumori si fanno ripetuti. Forse stanno bussando?
Tendo le orecchie per confermare i miei sospetti: sì, qualcuno sta decisamente bussando alla porta d'ingresso.
Vado ad aprire?
Guardo l'ora: sono le due e venti del mattino.
In preda ad un coraggio mai visto, mi fiondo ad aprire la porta.
-Ti abbiamo aspettato.-
Prendo un grosso respiro, o almeno ci provo, perché questo mi si blocca in gola.
Alexander.
Il cappuccio gli copre il capo creando delle ombre quasi demoniache sul viso perfetto. Mi sta fissando con quegli occhi taglienti e sottili, come quelli di un felino selvatico che sta per assaltare la sua preda.
Resto frastornata da quella visione nel buio.
Mi ha preso alla sprovvista.
Classico di Alexander.
Prendermi alle spalle quando non mi aspetto la sua mossa.
Così sì che può trovarmi vulnerabile.
-Non avresti dovuto.- rispondo secca, ferma sull'uscio della porta.
Lui mi guarda e io riconosco i suoi occhi per poi perderli di nuovo. Per un attimo mi tuffo nel passato, a quando quegli sguardi così intensi mi facevano sentire eccitata ed impaurita, ma pur sempre al sicuro.
Ma ora non riesco più a decifrarli.
-Sei da sola in casa?-
Le sue labbra sono ferme, non tremano mai. Mi guardo alle spalle.
E ora che dico?
-No. Cioè sì, ma... tu non puoi entrare.-
Lo guardo abbassare la testa verso lo zerbino del pianerottolo.
-Va bene.-
Va bene? Non insiste neanche?
- Ti sei ferita... stai... mhm...-
La sua voce è così roca e profonda che perdo per un attimo il contatto con la realtà.
-Cosa?-
- Stai sanguinando.-
Butto un'occhiata distratta al mio dito.
- Non è niente. L'ho fatto al lavoro.-
Ma i suoi occhi sono di nuovo piantati su di me. Lui lo sa. Lo sa il potere che ha con quegli occhi magnetici, è consapevole di ciò che riesce a farmi con una sola occhiata, forse perché io non riesco a nasconderlo quel senso di adrenalina e pericolo che mi attraversa ogni volta che li guardo.
Alexander muove un passo. Uno solo, e già la distanza tra i nostri respiri si fa piccola, soffocante.
Mi indispettisco, con me stessa stavolta.
-Come hai fatto a trovarmi, Alex?-
-Ti ho cercata e ti ho trovata.-
- Non lo sapevi che mio padre abita qui.-
-Quando voglio una cosa la ottengo. Dovresti saperlo, Juliet.-
Un tremolio indefinito prende il possesso di ogni fibra del mio essere. Mi è bastato quel pensiero, strisciante, tra le sue parole.
Indietreggio.
Un mio passo indietro.
Uno suo in avanti.
- Mi inviti ad entrare o...-
E senza accorgermene lui è già dentro casa.
-Tua madre avrebbe piacere di vederti più spesso. Juliet.-
- Senti, oggi ho avuto tempo.- taglio corto per non affrontare l'argomento.
- Non metti l'allarme quando sei da sola?-
Faccio di no con la testa.
-È un quartiere sicuro.-
In realtà non ne ho la benché minima idea, ma non vedo perché a lui debba interessare la mia sicurezza.
- E dove lavori? Anche quello è sicuro?-
- Alexander...-
- Juliet.-
Siamo ancora all'ingresso, quando gli lancio uno sguardo diretto e glielo dico.
- Non immischiarti. La mia vita non ti riguarda più.-
Lo vedo curvare il collo, come un gatto incuriosito dalla mia sfrontatezza.
-Mi preoccupo per te.-
Mentirei se dicessi che la sua affermazione mi disorienta, perché non è così. Me lo aspettavo.
Cazzate, è solo un maniaco del controllo
Intanto la sua sagoma alta mi sorpassa per giungere nel salotto.
- Questa casa però... è grande.- Con la fronte corrucciata, Alexander comincia a ruotare gli occhi come per assimilare l'ampiezza di quel salone, poi il suo sguardo si perde verso la cucina, anch'essa dalle dimensioni notevoli.
-Che lavoro fa tuo padre per permettersela?-
Sta di nuovo mettendo il becco in cose che non lo riguardano. Però ora che ci penso..che lavoro fa mio padre?
-Ehm...-
- Non sai rispondere?-
Veramente no, ma cosa gli dico ora? Cosa ne so di cosa combina mio padre? Perché gli interessa così tanto?
-Dimmi solo una cosa, Juliet. Sei al sicuro qui?-
Ho un battito di ciglia di troppo.
-Sì.-
Restiamo in piedi, entrambi fermi a fissarci per diversi secondi, secondi che sembrano infiniti.
I suoi occhi scuri hanno sempre quel potere di inghiottirmi.
Di mangiarmi l'anima.
Io però non cedo. Sostengo il suo sguardo e non abbasso la guardia neanche per un attimo, né mi faccio prendere dalle emozioni. Sono stranamente fredda e questo lo destabilizza.
Lo vedo passare la mano sulla fronte, con le dita affusolate preme sul cappuccio per tirarlo giù. I suoi capelli scuri sono più scompigliati del solito, ma sua lingua fa quella cosa che mi fa impazzire. Striscia tra le labbra rosse, poi parla.
- Senti non riesco più a trattenermi. Con la scuola stai facendo un grosso errore a...-
No, questo è troppo.
-Non venire qui a farmi la predica!- sbraito voltandogli le spalle.
-Juliet, va bene, scusa.-
Scusa? Sto per perdere seriamente le staffe, il suo essere così insolitamente accondiscendente mi urta i nervi. Non è da Alexander.
-Quella è la porta! Se osi dirmi anche solo per un attimo cosa fare...-
Le sue mani mi afferrano decise dalle spalle per farmi voltare e sbattere contro il suo petto ampio.
-Ti sembra normale buttare all'aria un anno di scuola per un capriccio?-
Maledizione, perché sembra realmente preoccupato adesso?
-Capriccio? Ti sembra un capriccio non volerti vedere?-
- Stai saltando la scuola per non vedermi, Juliet?-
Il suo sopracciglio si inarca appena ma le sue mani mi tengono salda.
- Non sono cose che ti riguardano Alex. Non più.- Abbasso lo sguardo repentinamente.
-Non hai messo l'antinfortunistiche perimetrale.-
Cosa?
- L'antifurto, Juliet.-
Alexander e le sue manie di controllo.
-Non hai paura a stare da sola a casa?-
- Non sono come te.- sbotto liberandomi dalla sua presa stretta.
Mi aspettavo il solito battibecco, la sua solita ostilità, ma non succede.
Lo vedo gettare lo sguardo a lato, poi gli occhi scuri finiscono in basso, sulle sue mani che si intrecciano nervose.
- Perché mi fai questo.- sussurra piano.
- Scusa.-
La mia bocca si è appena aperta per pronunciare quella parola, senza che neanche me ne accorgessi. È questo il suo potere su di me? Riesce a farmi dire o pensare cose che neanche vorrei. O forse dovrei.
- Stai tremando, Juliet.-
Mi mordo il labbro per nascondere l'agitazione ma non è abbastanza.
Devo sedermi sul divano e prendere un lungo respiro.
Lui rimane in piedi a fissarmi dall'alto.
-Tuo padre a che ora torna?-
- Non... non lo so.-
Sento il vento battere forte contro le finestre mentre un brivido mi scuote la pelle. Ripenso a quella sagoma che ho visto nel buio, tra gli alberi.
- Sì un po' di paura ce l'ho.- ammetto torturandomi la garza macchiata di sangue intorno al dito.
Alexander avanza lento come un felino, poi si siede accanto a me.
-Vuoi stare da sola?-
Le sue fessure piccole e lucenti mi guardano.
- Non lo so.-
- Se non mi vuoi qui dimmelo e io me ne vado, Juliet.-
Deglutisco, tentando di ignorare il suo profumo così buono.
- Mio padre tornerà, solo non so quando...-
Sbuffo, poi mi rannicchio afferrando il telecomando della tv.
-Posso rimanere qui sul divano se vuoi.-
-Non...-
-Aspetto che arrivi tuo padre. Poi me ne vado.- asserisce serio.
Non voglio farmi ammaliare dalle sue parole, così inizio a fare zapping selvaggio con il telecomando, giusto il tempo di trovare qualche replica di Vampire Diaries trasmessa su una rete sconosciuta.
Alexander si sporge verso il bracciolo del divano per afferrare una vecchia coperta di lana.
Resto di ghiaccio mentre ci avvolge entrambi.
- Hai ancora paura, Juliet?-
La domanda s'insinua subdola tra le parole di Caroline e Klaus.
-Tu, Alex? Hai ancora paura?-
Il mio collo è teso ed immobile, ma con gli occhi compio una leggera incursione a lato, per scrutare quel profilo perfetto illuminato dal televisore.
- No, ora no.- risponde Alexander.
Il naso dritto compie una curva accennata sopra a quelle labbra gonfie, contornate da una mascella forte ma non accentuata.
"Mi sto costruendo una vita. Ho dei piani per il mio futuro, e nessuno di questi ha a che fare con te."
La voce di Caroline mi riporta alla tv, quando dopo qualche minuto sento un peso addosso.
"Ma cosa diavolo..."
Alexander si è appena addormentato sulla mia spalla.
Tento di fingere che non stia succedendo nulla ma il mio cuore si sta ribellando nel petto.
"Maledizione! Sta davvero dormendo! Su di me!"
Abbasso appena la spalla, come per sottrarmi alla bellezza del suo viso così ravvicinato, ma Alexander emette un gemito assonnato, si strofina gli occhi per poi tornare ancora più vicino al mio collo.
Sento il suo respiro sulla pelle ed il suo profumo rovesciarmisi addosso.
"Cosa faccio ora?!"
Mi torturo il cervello mentre Klaus sbatte letteralmente Caroline contro un albero.
🧛♂️
- Alexander...-
Mi sveglio di soprassalto quando sento l'auto di mio padre parcheggiare in garage.
Sono le 5 del mattino.
Alexander si muove appena, ma la sua testa mi è ancora addosso.
- Alex...-
-Juliet...-
Schiude gli occhi lentamente, corrucciando le sopracciglia.
-Scusami. Mi sono addormentato.-
-Da quanto non dormi...- chiedo dolcemente, nel vedere il suo sguardo così stanco.
-Da troppo tempo.-
Senza accorgermene i nostri visi sono così vicini che sento la punta del mio naso sfiorare la sua.
Deglutisco.
-Devi andare.-
Alexander sembra un bambino in questo momento: è confuso e i suoi capelli più scompigliati del solito gli conferiscono un'aria quasi innocente.
-È arrivato mio padre.- asserisco indicando la porta che si apre nella penombra.
Alexander fa per alzarsi dal divano, ma non prima di sollevarmi il mento con le dita.
- Sei...-
-Sono al sicuro ora.- completo la sua frase, rassicurandolo.
I nostri respiri si confondono quando le nostre labbra si avvicinano pericolose.
-Con lui?-
Lo vedo indicare mio padre che sta intento ad armeggiare davanti alla porta d'ingresso con scarpe e giacca.
Io non rispondo ma ho un attimo di esitazione, mi soffermo a rimirare le quelle labbra invitanti che Alexander bagna con la lingua, poi le schiude per respirare sulle mie.
- Sei al sicuro con lui?- ripete, dandomi la visione ravvicinata di quella bocca tanto crudele, quanto divina.
Bocca che una volta sapeva leccare le mie ferite più dolorose e mordere il mio piacere più estremo.
Indietreggio per evitare quel bacio.
- Di sicuro non lo sono con te.-
🩸🩸🩸🩸
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