Epilogo: parte uno
Tre anni dopo
Alexander
A svegliarmi è la voce del comandante.
L'aereo sta per cominciare la sua discesa e me ne rendo conto nel momento in cui mi sporgo verso il finestrino per ammirare l'agglomerato di grattacieli visti dall'alto.
Con lo sguardo ancora assonnato, lancio un'occhiataccia all'hostess che mi passa di fianco. Continua a farmi segno di reclinare il sedile in vista dell'atterraggio e io, seppur a fatica, ignoro il rossetto leggermente sbavato sul lato della sua bocca ed eseguo gli ordini.
È la prima volta che faccio questa tratta.
Londra-New York.
Più caotica, più sporca e più colorata di come l'avevo prevista, questa città mi accoglie in modo naturale, senza però bramarmi con ardore. Ha una sua identità, lo sento nei profumi che si mescolano nell'aria, nel confluire dei diversi accenti, lo vedo ad ogni semaforo, lo percepisco nella luce pomeridiana che filtra tra i mattoni rossi dei grattacieli.
Sul cellulare controllo l'indirizzo da riferire all'autista del taxi. È un indirizzo nel Queens.
Che strano.
Ero convinto che Catherine avesse affittato un appartamento a Manhattan, vicino al mio hotel, ma a quanto pare mi sbagliavo.
L'autista continua a farmi domande che non c'entrano nulla con il tragitto da percorrere, distogliendo la mia attenzione dal cellulare.
Io smetto di rispondere e lui capisce immediatamente che non voglio essere disturbato da chiacchiere inutili.
Dopo tutte quelle ore di volo, vorrei solo raggiungere il mio hotel e farmi una doccia calda. Prima però, devo assolvere al mio dovere da figlio obbediente.
Catherine mi ha chiesto di passare dall'appartamento per recuperare le chiavi, in vista del loro arrivo, visto che potrebbero tardare di molto.
Nonostante tutte le distrazioni, il mio cervello non sembra riuscire ad evitare di pensare al vero motivo per il quale sono qui: l'anniversario di matrimonio di Catherine e mio padre.
Cerimonia che si sarebbe potuta benissimo celebrare a Londra, se non fosse che Catherine non vede sua figlia da tre anni.
Il sole è ormai tramontato quando arrivo all'indirizzo prestabilito. Sollevo gli occhi per percorre l'altezza di un piccolo vecchio edificio in mattoni grigi, ma contrariamente a quanto accordato, davanti al portone in legno non c'è il proprietario ad aspettare per consegnarmi le chiavi.
Provo a cercare un tasto da premere per suonare il campanello, in quel momento però, la grossa porta si apre facendomi rabbrividire.
-Alex?-
Stordito e confuso, fisso la ragazza che mi si presenta davanti. La sua voce mi trafigge il cervello, ha un suono dolce, eppure amaro per me.
-Juliet? Ma che ci fai qui?-
-Che ci fai tu qui! Non dovevate arrivare alle sette?-
Le sue gote si arrossano in modo così violento che sento il sangue cominciare a pulsarmi nelle vene.
-Abbiamo preso due voli diversi, ma...-
Butto un occhio sul cellulare ed esamino la posizione che mi ha inviato Catherine. La via è proprio quella.
-Tua madre mi ha dato l'indirizzo del suo appartamento e...-
Lei sorride io mi guardo in giro controllando ossessivamente che i due indirizzi corrispondano. C'è un numero ventitré sul muro.
Eppure è quello giusto...
-Mi sa che ha fatto confusione con il mio.- mormora lei, leggermente imbarazzata.
-Oh...-
Ad un tratto realizzo.
Juliet è davanti a me.
Questo è un imprevisto.
Non credevo di doverla vedere già oggi.
Indietreggio spaventato, lei invece scoppia a ridere, coprendosi la bocca con la mano.
-Ma che fai lì? Vieni, entra.-
All'improvviso non so più come comportarmi.
Devo entrare in casa?
Devo abbracciarla?
Forse baciarla sulla guancia?
Come funziona?
Mi avvicino alla sua sagoma minuta chinandomi verso il basso. Sussulto quando il mio zigomo freddo sfiora la sua gota morbida.
I capelli che le ricadono sulle spalle mi solleticano il collo.
Profuma. Tanto.
-Ti trovo bene. -
La vita sottile è fasciata da un dolcevita di lana che ricade sopra ad un paio di jeans scuri e aderenti.
Juliet sembra accorgersi della mia incursione visiva, perché abbassa immediatamente il capo, come bruciata dal mio sguardo.
-Ehm... se sapevo di dover ricevere visite... Avrei...-
-Cosa? Avresti cosa?-
Lei schiude labbra, ma non esce un suono. Mi chiedo se l'abbia fatto apposta, a condurmi con lo sguardo proprio lì, sulla sua bocca.
Juliet però appare più confusa di me.
Cristo, quanto sei bella.
Quella visione mi destabilizza.
Lei sospira, poi indica qualcosa alle mie spalle.
-La valigia la lasci lì, Alex?-
-Ho dormito poco...- mi giustifico con noncuranza.
-E dimmi, perché cercavi l'appartamento dei nostri genitori? Conoscendoti... Non soggiornerai in hotel?- domanda lei facendomi strada per il corridoio del palazzo.
-Dovevo passare a lasciare la valigia e recuperare le chiavi dell'appartamento.-
-Puoi lasciarla qui la valigia.- Me lo comunica con un filo di voce così sottile da darmi i brividi.
Cerco il nome di Catherine in rubrica e la chiamo, proprio mentre varco la soglia di un appartamento accogliente.
-Hanno il telefono staccato.- bofonchio infastidito.
-Saranno ancora in volo, no?-
-Vivi al primo piano.- realizzo ad alta voce.
Juliet chiude la porta alle mie spalle poi scoppia a ridere.
- Me n'ero accorta. E quindi?-
Non è pericoloso?
L'ambiente che mi circonda è ornato da grosse finestre che lasciano penetrare la luci artificiali di una città che conserva la sua bellezza anche di notte.
-Con la valigia?-
Juliet m'incalza ma io mi distraggo a perlustrare la cucina che convoglia in un salottino modesto, dominato da un tavolo da pranzo e un piccolo sofà.
-Ti ringrazio Juliet, ma devo anche fare una doccia e...-
A quel punto il tavolo della cucina cattura la mia attenzione. È cosparso di bombolette spray, tempere, pennelli e palline di natale.
-Se vuoi, puoi farti un doccia qui.- ribatte lei con una scrollata di spalle.
-Grazie. Cos'è questa roba?-
-Niente. Solo un hobby.-
-Colorare palle?-
Juliet allarga gli occhi scuri, scandalizzata.
-Ma no. Sono... Dei regali che sto preparando.-
-Oh, lo vedo.- commento osservando un piccolo alberello di Natale sotto il quale compaiono una trentina di pacchi regalo. -Hai tanti amici...-
-Sì, sono per i miei amici. Cioè, in realtà non sono proprio...-
La fisso, lei distoglie immediatamente lo sguardo e prende a giocherellare con una pallina dorata, la cui vernice è già asciutta.
-Frequento un piccolo orfanotrofio, non troppo distante da casa. Insomma... questi bambini avrebbero bisogno di medicinali e vestiti, ma in quanto bambini, a loro poco importa di queste cose. Per Natale vorrebbero solamente ricevere dei giocattoli. Io ho fatto del mio meglio, ma non guadagno abbastanza per permettermi di comprare loro chissà quali giocattoli, quindi ho pensato di assicurarmi che possano almeno avere lo spirito del Natale tra quelle mura grigie. Queste decorazioni natalizie sono personalizzate e sono per ognuno di loro. Non è molto, ma decoreremo l'albero insieme, sarà divertente.-
Resto in piedi, immobile, incapace di reagire.
-È una cosa molto... ehm...-
-Ti mostro il bagno. La valigia puoi metterla lì.-
Juliet cambia argomento indicandomi un angolo del salotto.
-Grazie.-
Percorro insieme a lei il breve tragitto fino a raggiungere una porta che sembra essere quella del bagno.
Con gli occhi perlustro ciò che mi appare davanti, provo a memorizzare i dettagli di quell'ambiente sconosciuto, tentando in tutti i modi di spostare lo sguardo e non fissarle il culo quando lei mi passa dinnanzi.
Entriamo in bagno e qui la vedo mettersi in punta di piedi per recuperare degli asciugamani puliti da un mobile.
-Stai bene?- le chiedo ad un tratto.
-Sì, lavoro molto. Tu?-
La mia risposta non arriva. Juliet mi porge un asciugamano e noto che la mano le trema leggermente. La rendo nervosa.
-Ecco, tieni.-
-Grazie.-
Mi guarda negli occhi per un attimo, poi si volta.
-Qui hai il box doccia, lì il bagnoschiuma e...-
Juliet comincia ad agitarsi, forse perché lo spazio è ristretto e noi siamo troppo vicini.
-Da qui in poi ce la faccio da solo.- mugolo con voce fredda.
Juliet mi passa a fianco per uscire dal bagno, quindi indietreggio spaventato. Per evitare di sfiorarle il fianco, per poco non sbatto la schiena contro la parete alle mie spalle.
-Io vado a sistemare il casino che ho lasciato di là.-
Annuisco distrattamente, infine chiudo la porta.
Sarà molto più difficile del previsto.
Juliet
Continuo a guardarmi allo specchio.
Desidero darmi una sistemata, sì, ma non voglio concedergli la soddisfazione di mostrarmi nervosa o insicura.
Se ora applico l'eye-liner se ne accorgerà. Se metto un po' di correttore per coprire le occhiaie, se ne accorgerà. E io non voglio intuisca che lo stia facendo per lui. Perché conosco Alexander, è così egocentrico che sarebbe proprio quello il suo primo pensiero.
Alla fine mi ritrovo a sollevare i capelli, stringendoli in un pugno. Li ho lavati ieri, mi domando se si sia accorto anche di questo.
Do una stretta alla coda e una sistemata al cardigan che mi casca corto sopra ai fianchi avvolti dai jeans.
I suoi passi sono silenziosi quando esce con l'asciugamano avvolto in vita.
Distolgo immediatamente lo sguardo, lo faccio per l'ennesima volta da quando ha messo piede in casa mia, ma non posso fare altrimenti. Sento le guance pizzicare.
-Ho... I vestiti qui dentro.- si giustifica lui con tono sussurrato, prima di curvarsi ad aprire la valigia.
-Se ne hai bisogno, ti stiro qualcosa...-
-No. Prendo questi e mi cambio.-
Osservo quel volto rischiarato dalla calda luce proveniente dalla lampada da terra poggiata in un angolo del soggiorno. Mi chiedo come sia possibile tutto ciò. Tre anni trascorsi non hanno cambiato nulla del suo aspetto esteriore. Forse ha le braccia più tornite e le spalle più larghe, ma il suo sguardo spietato e inquieto è rimasto lo stesso.
Non posso fare a meno di domandarmi se i suoi tormenti siano sempre gli stessi. Avrà perdonato suo padre per averlo segregato in una clinica psichiatrica? Per avergli addossato colpe che non gli appartenevano? È riuscito a perdonarsi per la morte di sua mamma?
E mentre mi perdo a riflettere, lo vedo afferrare una camicia bianca, insieme ad un paio di pantaloni puliti. È tutto così maniacalmente ordinato all'interno della sua valigia... Scommetto impazzirebbe se io vi mettessi le mani.
-Puoi cambiarti qui.-
Gli indico la camera da letto alla sua destra, poi spalanco la porta.
Alexander vi entra a passi cadenzati, io intanto tiro la tenda oscurante per fornirgli la privacy che la vista sulla strada non gli concederebbe. Qualcosa però, sembra catturare la sua attenzione, all'interno della mia stanza. Le iridi color pece si immobilizzano su un dettaglio del mio comodino.
-Hai cominciato a fumare?-
-No.- rispondo serrando la mascella.
In quell'attimo i nostri sguardi stridono.
Quella che ha davanti è una sigaretta elettronica e di certo non mi appartiene.
-Oh.-
Alexander lancia un'occhiata guardinga al letto, per poi curvare il capo nella mia direzione.
Ingoio un singulto quando mi accorgo di respirare il suo stesso profumo. Il modo indolente in cui le goccioline d'acqua segnano la sua schiena liscia m'ipnotizza.
-Juliet puoi uscire oppure...-
Lascio che il suo tono apatico mi conduca alla porta.
-Certo, scusa.-
Sempre il solito
Scivolo via dalla mia camera da letto e quando chiudo la porta alle mie spalle, mi accorgo della vibrazione del cellulare che ho lasciato sul tavolo.
-Juliet! Finalmente siamo atterrati. Ci metteremo un'ora ad uscire dall'aeroporto. Siamo decollati con un gran ritardo, quindi pensavo di arrivare alle otto, ma in realtà siamo già qui. Quasi non posso crederci che tra poco ti rivedrò!-
Mia madre sembra al settimo cielo, non fa nemmeno una pausa tra una parola e l'altra.
-Non vedo l'ora mamma. Ah, Alexander è già qui. Hai sbagliato a scrivergli l'indirizzo del vostro appartamento, perciò non è andato a recuperare le chiavi.-
-Non fa niente, ora chiamo il proprietario di casa. Passiamo da lì a cambiarci e a sistemare le nostre cose. Ci vediamo per cena?-
-Va bene. A dopo mamma.-
Torno quindi con lo sguardo allo specchio e decido di concedermi almeno una passata di rossetto.
-Perché hai posizionato uno specchio così in alto?-
Alexander non ci mette molto a freddarmi con la sua voce cupa, quando mi sorprende in punta di piedi, intenta a raggiungere lo specchio appeso in corridoio.
-Era già così quando sono venuta a vivere qui, non avevo voglia di abbassarlo.-
Il mio sguardo si perde sul suo torace avvolto dalla camicia, forse alla ricerca di qualcosa che non sia perfetto.
-Vai via?- domando confusa, non appena lo vedo indossare il cappotto.
-Sì, la mia camera sarà già pronta a quest'ora.-
-Posso accompagnarti?-
Quella domanda sembra coglierlo di sorpresa, perché si volta di scatto, dimenticandosi di abbottonare il cappotto.
Si avvicina lentamente e all'improvviso mi manca il fiato, perché con una presa salda mi afferra dai fianchi. Mi solleva quanto basta per permettermi di giungere allo specchio.
-Mettilo.-
-Cosa?-
I suoi specchi bui scivolano sulle mie labbra, fissandole, quindi capisco le sue intenzioni.
-Mettilo, ho detto.-
Avvicino il rossetto alla bocca e prima che io possa stenderlo, Alexander sposta lo sguardo a lato, forse per non cadere nella tentazione di guardare oltre.
Aspetta che io finisca, poi molla la presa e i miei piedi toccano di nuovo il pavimento.
-Nervosa?- chiede abbottonandosi il cappotto.
-No, no.- brontolo sottovoce.
Scuoto il capo ma non riesco a dire altro.
Questo perché, mentre m'infilo la giacca, lui segue maniacalmente i miei gesti.
-E tu?- azzardo a quel punto.
Alexander nasconde entrambe le mani nelle tasche, poi mi guarda negli occhi con fermezza.
-Un po', Juliet.-
Ci ritroviamo sull'uscio, l'uno di fronte all'altro. Lui seguita a fissarmi con un'espressione apatica, quasi enigmatica, e sebbene le nostre chiacchiere siano di circostanza, comincio ad avvertire un profondo senso d'intimità strisciare tra i nostri sguardi. La percepisco sotto la pelle, quell'innegabile attrazione fra i nostri corpi, è quasi viscerale e mi chiedo se la senta anche lui.
-Andiamo?- Alexander interrompe quel momento di silenzio senza troppi riguardi.
-Stai di nuovo dimenticando la valigia.- lo prendo in giro io, prima di fargli strada verso l'uscita del palazzo.
Siamo in taxi e io seguito ad accavallare le gambe, mentre con le dita tormento la coda che mi solletica le spalle.
Perché mi sono fatta la coda?
Sembrerò una stupida.
Alexander dice di essere nervoso, ma il suo linguaggio del corpo non dà segnali di tale stato d'animo, anzi, lui resta immobile, seduto di fianco a me.
-Vivi da sola?-
Trasalisco ogni volta che sento la sua voce cupa e profonda. Il suo tono sembra insinuarmisi nelle viscere, risvegliando ricordi sepolti.
-Sì. Il mio ragazzo sta dall'altra parte di Manhattan, ma lavoriamo insieme, quindi ci vediamo tutti i giorni.-
Mi mordo il labbro.
Alexander sembra paralizzarsi per un attimo, divenendo ancor più impassibile, muove solo la bocca e il suono che ne esce è incerto.
-Il tuo... Ma certo.-
-Non stiamo proprio insieme... Voglio dire...-
Comincio a farfugliare qualcosa, fortuna che lui non pare intenzionato a proseguire questo discorso, troppo impervio per entrambi.
-Capisco, Juliet.-
No, Alexander, tu non capisci.
Tu non sai in quale abisso mi hai gettata.
Ero arrivata a credere che l'inferno fosse stare insieme ad una persona come lui, ignara che sarebbe stata la sua mancanza a rivelarsi la reale tortura.
Vorrei chiedergli perché.
Perché non mi ha più chiamata?
Perché mi ha cancellata dalla sua vita per tre lunghi anni?
Ma la verità è che conosco già la risposta. Non ci siamo fatti promesse e io stessa, ho evitato in tutti i modi di farlo, di cercarlo, provando a rimuoverlo definitivamente dalla mia vita.
Ho strofinato via i ricordi, ho chiuso in un cassetto tutto ciò che avrebbe riaperto le ferite e sì, credevo di esserci riuscita. Fino alle cinque e mezza del ventidue di dicembre, quando ho aperto la porta e me lo sono ritrovato davanti.
Abbandono la tempia contro il finestrino che lascia intravedere le luci della città, queste nel buio si rincorrono senza sosta, regalandomi una fonte di distrazione.
Potrei mentire a me stessa e chiamarlo coraggio, in realtà, la mia è cocente curiosità.
Un lungo sospiro, poi glielo chiedo.
-Sei qui da solo?-
Lo rigetto di fretta, come a volermi liberare di quel dubbio mordente.
-Sta per raggiungermi Jenny.-
Mi volto di scatto. Alexander rimane con lo sguardo dritto dinnanzi a sé. La mascella lievemente contratta e la linea dritta del suo profilo armonico che credevo di conoscere alla perfezione, diventano improvvisamente estranei.
Chi è Jenny?
Che nome è Jenny?
Perché dovrebbe esistere questa Jenny?
-Ah.-
Muovo la mia attenzione sulla bocca di Alexander, la stessa bocca che ha appena pronunciato quella frase infernale.
Lo vedo chinare il capo verso il basso, mentre le luci esterne segnano i dettagli del suo collo affusolato.
-Sei davvero... Impegnato?-
Alexander deglutisce.
-Esattamente.-
-Oh.-
Di nuovo, uno stupido verso sfugge alle mie labbra.
Resto quindi in attesa, aspetto che aggiunga un "Non è nulla di serio, non stiamo nemmeno insieme." Ma questo non accade. Alexander si volta a guardarmi con un cipiglio non troppo marcato.
-Ti sorprende, Juliet?-
Decisamente.
-No, beh... Ero davvero convinta che, dopo di me, tu ti dedicassi ad una vita senza legami.-
Provo a sdrammatizzare con un sorriso di circostanza, Alexander però rimane serio.
-Non fanno per me le relazioni casuali, lo sai.-
Devo vedere una foto di lei.
Sono troppo curiosa.
E solo quando il taxi arresta la sua corsa, capisco che siamo arrivati. Dopo quaranta minuti di traffico, giungiamo davanti all'hotel di Alexander.
Quando mi aprono la portiera della macchina, io m'incespico, confusa sul da farsi e l'imbarazzo accresce quando arriviamo alla reception situata nella lobby lussuosa.
Almeno non ho i vestiti sporchi di vernice con i brillantini.
Ancora confusa, stordita dalle sensazioni appena vissute, lascio che Alexander faccia il check-in e proprio in quegli istanti, mia madre mi richiama per fare il punto della situazione.
-Lascio Tristan qui in appartamento insieme a Maria. È troppo stanco, finirebbe per piangere tutta la sera, povero.-
-Ti sei portata la baby-sitter appresso?-
- Juliet ti ricordo che non ho più vent'anni e stare dietro ad un bambino di tre anni è faticoso. Ma lo vedrai quando sarai mamma.-
Una smorfia riluttante mi deforma il volto.
- Dove volete cenare?- domando cambiando discorso.
- Niente d'impegnativo, siamo molto stanchi anche noi. Era tutto prenotato nella tua zona, quindi abbiamo optato per un airbnb vicino all'hotel di Alex, così da raggiungerlo con una passeggiata. Le strade addobbate sono così belle qui...-
Lei si perde in mille discorsi, perciò provo a richiamare l'attenzione su ciò che m'interessa.
-Okay mamma... ma per cena?-
-Posso cucinare qualcosa?-
- Tu vuoi cucinare qualcosa? No grazie!-
Scoppio a ridere rompendo il silenzio tombale. La mia risata rumorosa cattura l'attenzione di Alexander e di altre persone presenti nella lobby.
-Dille che ceniamo qui.- ordina lui a quel punto, facendomi un cenno verso la parete in cui vi sono illustrate le indicazioni dei ristoranti disponibili all'interno dell'hotel.
Riferisco quindi a mia madre, che rapita dagli schiamazzi di Tristan, acconsente e poi chiude la chiamata.
Vedo Alexander stringere tra le dita una card magnetica e quando mi accorgo che ha terminato le pratiche per il check-in, lo raggiungo.
-Posso accompagnarti in camera?-
Azzardo quella domanda causandogli un'espressione di visibile subbuglio.
-Juliet...-
-Cosa c'è? Non sono mai stata in un hotel che fosse cosi tanto di lusso.-
Lui non sembra aver voglia di discutere.
Annuisce, così lo seguo.
Da quanto stanno insieme?
Ma tutte le domande che mi frullano per la mente, passano improvvisamente in secondo piano, perché Alexander apre la porta della suite.
-Non ci credo! Hai un soggiorno in camera?-esclamo incredula, prima di sollevare una cloche in metallo che nasconde un piatto di croissant appena sfornati.
Ruoto su me stessa per rimirare quello spazio sontuoso.
-Costerà mille dollari a notte.-
-Raddoppia e ci sei quasi.- Sbuffa Alexander senza entusiasmo, prima di togliersi il cappotto.
Lo vedo azionare una porta scorrevole che dà su una camera da letto grande quanto casa mia. Lì comincia a sollevare i cuscini, a tastare il materasso con la mano, infine si dirige in bagno, per terminare il suo controllo maniacale e assicurarsi che sia tutto pulito.
-Studi ancora, come puoi permetterti un posto del genere?-
Alexander torna in soggiorno con le mani nelle tasche dei pantaloni.
- Ho fatto risistemare la vecchia casa di Manchester, così come le altre proprietà di mio padre. Gli affitti a Londra sono alti. Ho un discreto ritorno mensile.-
Senza nemmeno pensarci, mi lascio scappare una riflessione ad alta voce.
-Le farai tanti regali costosi...-
La mia allusione lo induce ad arricciare il labbro superiore.
-Non sono il tipo. Preferisco farne pochi.-
Alexander si avvicina alla mia figura, ad un tratto siamo l'uno di fronte all'altro, ma solo nel momento in cui lo sorprendo a fissarmi il collo, intuisco i suoi pensieri.
-Ce l'ho ancora, Alex.-
Mi sfioro la gola con le dita, in un movimento del tutto involontario.
-Bene. Se un giorno ti venisse in mente di venderla...-
-Non lo farei mai. Era di tua mamma e per me ha un valore inestimabile.-
Un sorriso fa l'apparizione sul viso di Alexander, ma è fin troppo breve per apprezzarlo.
-Testarda come sei, non chiederesti mai il mio aiuto...- prosegue con voce calma.
-Perché dovrei chiedere il tuo aiuto?-
Mi fingo perplessa, stupita, quasi indignata, ma la realtà è che mia madre non sta mai zitta.
Gliel'avrà detto che New York è cara e sopravvivo a stento.
-Non ci posso credere...- sbuffo nervosa. - Avete parlato di questo?-
- Juliet, tua madre è solo preoccupata.-
- Non c'è nulla di cui preoccuparsi. E poi la tua faccia dispiaciuta, non la sopporto. Non ho bisogno di te.- sputo con foga.
Alexander resta composto nella sua posizione, non apre bocca, lasciandomi il tempo di realizzare quanto esagerata sia stata la mia reazione.
-Scusami. È che ci sto provando a parlare con te, Alex...-
-Anch'io Juliet, ma non è facile.-
C'è un attimo di silenzio, nessuno dei due sembra avere il coraggio per proseguire.
Forse dovrei andarmene.
Ad un certo punto però, il respiro mi si spezza e una fitta piacevole riempie la mia pancia. Alexander allunga una mano nella mia direzione e mi sbottona lentamente il cappotto.
-Dimmi una cosa, Juliet.-
-Co... Cosa?-
Chino il mento e seguo il movimento delle sue dita lungo il mio corpo.
-Sei felice?-
-Credo di sì.- mormoro sottovoce.
-Lui ti rende felice?-
Tentenno. Quella domanda mi leva ogni appoggio da sotto i piedi.
-Dimmelo ora. Dimmelo prima che lo conosca. Perché tanto lo detesterò dal profondo del cuore. Non mi piacerà. Lo odierò, Juliet.-
Non posso affrontare questo discorso con Alexander. Non capirebbe.
Lascio quindi che mi sfili il cappotto e quando lo ripone in modo ordinato sul bracciolo della poltrona, mi lascio sfuggire un piccolo sorriso.
-È grande il letto.-
Cambio discorso, indicando il matrimoniale che s'intravede oltre la porta.
-Mhm?-
Alexander finge di non capire, ma una scintilla maliziosa fa brillare i suoi occhi profondi.
-È molto fortunata.- commento, sostenendo il suo sguardo.
-Lo so.-
Lui non si scopone più di tanto, scrolla le spalle, poi si china sulla valigia per aprirla.
-Ti aiuto a mettere a posto i vestiti?-
L'occhiataccia che mi getta addosso m'induce a cambiare rotta.
-Oppure me ne sto tranquilla a guardare la tv.-
-Brava. Mi sembra un'ottima idea, Juliet.-
Comincio a guardarmi intorno e vengo subito rapita dall'angolo bar, un piccolo mobile in legno straboccante di cibo ancora sigillato. Ci sono snacks di ogni tipo, dalle patatine alle confezioni di cioccolatini.
-Uh e questa roba è gratis?-
-Mangia quello che ti va.- taglia corto lui, intento ad appendere con cura le sue camicie dentro all'armadio.
Agguanto una lattina di coca cola e un pacchetto di patatine, ma prima che le mie natiche sfiorino il bordo del letto, Alexander mi fulmina duramente.
-Non...-
Balzo in piedi.
-Ma secondo te? Mi metterei mai a mangiare sul tuo letto? Non scherziamo.-
La mia battuta gli causa un piccolo sorriso al lato della bocca. Mi siedo quindi sul divano e mentre mangio, lui seguita a sistemare gli abiti.
-Juliet?-
Ad un tratto chiude l'anta dell'armadio e resta con lo sguardo fisso nel vuoto.
-Dimmi.-
-Viene anche lui stasera?-
Annuisco brevemente e da quel momento in poi, nessuno dei due ha più il coraggio di fiatare.
Alexander
Juliet dev'essere passata dal bagno, perché indossa un velo di mascara e i capelli sciolti sulle spalle. Sua madre non riesce a toglierle gli occhi di dosso, e Cristo...nemmeno io.
Catherine sembra una bambina emozionata, sfoggia infatti due occhi lucidi e non vuole staccarsi da Juliet nemmeno per un secondo.
Finalmente la cameriera ci fa strada verso l'interno del ristorante, dove raggiungiamo il tavolo in cui ceneremo. Stiamo ancora sbrigando i convenevoli, quando una sagoma arriva alle spalle di Juliet facendola sobbalzare.
È lui.
Non mi c'impegno nemmeno a mascherare il disgusto che mi si stampa in volto.
Juliet si prodiga nel fare le presentazioni, anche se Catherine sembra conoscerlo già quel ragazzo, mentre mio padre rimane diffidente.
E poi tocca a me.
-Lui è il figlio del marito di mia madre.- Juliet si volta con fare impacciato -Cioè di John... lui. Vabbè, comunque è Alexander.-
Ho le labbra sigillate e gli occhi da sicario, ma poco m'importa.
-Mamma mia che giri... Piacere Rick.-
Rick.
Scoprirò tutto di te, Rick.
Saprò anche quante volte al giorno ti cambi le mutande.
Il nome del tuo amico immaginario di quando eri bambino.
Tutto.
Trattengo a stento il movimento della bocca, che vorrebbe rovesciarsi in una smorfia inorridita.
Il tizio mi porge la mano. È poco più alto di Juliet, ha le spalle larghe e un marcato accento americano che m'infastidisce.
Mi stringe la mano e in quel esatto istante capisco che è realmente fatto di carne ed ossa. Che tutti i tentativi di ignorare la realtà non sono valsi a niente. Quella stessa mano l'ha toccata. ritraggo la mia immediatamente, con riluttanza.
-Siete cresciuti insieme?-
La solita domanda idiota.
-No.- sputo mettendomi a sedere.
-Ah, perché avrei...-
-Okay Rick, lascia perdere. Alexander è di poche parole.- farfuglia Juliet indicandogli il suo posto.
-Dimmi tutto Rick, io ti ascolto.-
Quel tipo si siede tra Juliet e sua madre, io e mio padre ci accomodiamo davanti a loro.
A me non va di parlare, ma lui sembra aprire bocca solo per darle fiato.
-Io e Juliet lavoriamo insieme. Stesso ufficio, dipartimenti diversi.-
Lo fisso. Ha i capelli scuri, leggermente mossi sulle punte. Non ha barba, non ha nulla d'interessante da dire, ma ha la mano di Juliet nella sua.
Non è l'accento che m'infastidisce.
Non sono i suoi modi svogliati e poco composti.
E l'idea che lui si sia infilato tra le sue cosce e l'abbia scopata. Anche solo una volta.
Mi alzo in piedi con uno scatto non previsto.
Lo sapevo che non sarei dovuto venire qui, mi sarei dovuto inventare una scusa. Lo studio, il tirocinio. Tutto, ma non questo.
Non sarei dovuto venire.
Ormai l'ho persa.
-Ma dove vai?-
Mio padre sembra preoccupato nel vedere la mia reazione istintiva. Mi fissano tutti dal basso, ancora ai loro posti.
-Il buffet. Vado a prendere qualcosa lì.- replico secco.
E solo quando mi fiondo davanti alle tavolate colme di cibo senza toccare nulla, mi accorgo che Juliet mi ha seguito, infatti è proprio di fianco a me.
-Alex ma che fai?-
-Niente... prendo del...-
Afferro una pagnotta e la posiziono sul piatto vuoto che stringo tra le dita.
-...Pane.-
Incamero poi un ampio respiro, evitando il suo sguardo curioso.
-Cosa vuoi, Juliet?-
- Che la smetti.-
-E cosa starei facendo?-
-Puoi almeno degnarti di sbattere le palpebre mentre lo guardi? Sembri uno psicopatico.-
- Tutto qui?- La rimbecco osservandola di sbieco.
La mia occhiata fulminea la induce a mordersi il labbro.
-Beh...-
-Stai morendo dalla voglia di conoscere la mia opinione, Juliet?-
-No, no. Non m'importa.- ribatte ostentando un orgoglio che non le si addice.- Come sempre ti credi troppo importante.-
Abbasso lo sguardo nella sua direzione, poi nascondo il sorriso, celandolo con un'espressione compiaciuta.
-Si chiama davvero Rick?-
-Finiscila. Si chiama Maverick.-
Non riesco a trattenere una risata. La mia presa in giro la fa spazientire, difatti la vedo tornare dagli altri, proprio mentre raccolgo tutte le mie forze per obbligarmi a non guardarla.
A quel punto riempio il piatto di antipasti, poi raggiungo il tavolo e lì sento mio padre e quel tizio conversare tra loro di lavoro.
-Beh anche Juliet lavora tanto. Infatti quando la chiamo non è mai disponibile prima delle dieci di sera.- si lamenta Catherine con sguardo pensieroso. - Non mi richiami mai.-
-Lo so, mamma ma stacco tardi. E poi l'ufficio non è proprio vicino a casa. Torno stanchissima, vorrei solo andare a dormire.- spiega Juliet.
-Questo perché prendi la metro per raggiungere l'altra parte della città. Se vivessimo insieme nel mio appartamento, saresti a dieci minuti dall'ufficio...- bofonchia Rick seguitando a spalmare burro sul pane.
-Ne abbiamo già parlato mille volte. - s'indispettisce Juliet a quel punto.
-La convivenza è un passo importante, dovrebbe essere una decisione mossa da una profonda riflessione e non dalla comodità o dalla vicinanza al lavoro- sottolinea mio padre con il suo tono pacato.
Nella mia famiglia nessuno ama farsi gli affari propri.
-La metro?-
Interrompo il discorso con voce dura, quindi tutti voltano a guardarmi, ma i miei occhi hanno solo una vittima.
-Si è quello che fanno le persone normali, Alex- puntualizza Juliet, provando a richiamare la mia attenzione, che invece rimane fissa sull'obiettivo.
-Sto parlando con lui.-
-E io sto parlando con te.- insiste lei.
La tensione è palpabile nell'aria, ma l'idiota non sembra dotato di sensibilità perché inizia a ridacchiare.
-Sembrate fratello e sorella da come litigate.-
-Non lo siamo, Maverick.- ringhio tra i denti.
-Okay dicevamo? Juliet lavora tanto. Che mi dici di te, Rick?-
Mio padre mi conosce, perciò decide di cambiare discorso, prima che questo prenda una piega spiacevole.
-Sì, Juliet lavora tanto, glielo riconosco, ma ovviamente non fa ciò che faccio io. La quantità di lavoro non va sempre di pari passo con le responsabilità. Io lavoro meno, ma rivesto una carica di un certo livello e ho la pressione delle responsabilità, tutte cose che Juliet non ha. Ho delle grosse preoccupazioni.-
Sogghigno. E lui se ne accorge.
-Ti fa ridere Alexander?- mi rivolge quella domanda con stizza.
-Mi chiedevo quali fossero queste grosse preoccupazioni, dato che l'idea che la tua presunta ragazza percorra una città pericolosa come New York, di notte, non sembra essere una di queste.-
-Presunta?- mormora Juliet sgranando gli occhi.
-Non capisco se la tua sia premura nei confronti di Juliet o sono io che non ti vado a genio, Alexander.-
-Entrambe. Non penso sia difficile da capire, Maverick.-
-Questa tartare di tonno è ehm... è molto buona.- balbetta mio padre, mentre Catherine prova a portare discorso sul loro anniversario.
Cominciano a parlare di fiori, bomboniere e io finalmente decido di smetterla di provocare, ma non di osservare: Juliet durante la serata guarda spesso il cellulare, l'idiota beve solo acqua, non tocca mai vino.
Ad un tratto si scambiano qualche parola sussurrata all'orecchio, mentre lui controlla l'orologio che ha al polso.
-È tardi, io devo tornare. Domani mi aspetta una presentazione importante. L'ultima di quest'anno.- conclude quando la cena arriva ormai al termine. E nemmeno si preoccupa del conto.
-Io rimango ancora un po' qui con loro.- gli dice Juliet, senza guardarlo negli occhi.
Ad un certo punto si alzano entrambi e dopo averci salutato, Rick si fa scortare da Juliet fino all'uscita del ristorante. Non si tengono per mano, non si abbracciano neanche.
È fredda, strana con lui.
Da quanto si frequentano?
Non so niente di lei, maledizione.
-Alexander?-
Mio padre mi richiama duramente, forse perché mi sorprende a fissare quei due, intenti a salutarsi.
Mi volto in attesa che mi dica qualcosa, ma è Catherine a imboccarlo con le parole.
-Tuo padre vuole sapere... Stai bene tesoro?- mi chiede lei affettuosamente.
-Sì.-
-È un bravo ragazzo, sono sicura che la tratta bene la nostra Juliet.-
Catherine prova a rassicurarmi, ma le sue parole mi attraversano, inconsistenti come fumo.
-Se dopo tu e Juliet volete rimanere un po' soli e parlare...-
È inevitabile, mio padre la investe con un'occhiataccia, ma quando Juliet torna al tavolo, sua madre sembra aver già deciso.
-Il volo è stato lungo, io e John torniamo a casa a vedere che combina Tristan. Abbiamo ancora da finire di disfare le valigie. Ci vediamo domani.-
Catherine abbraccia dapprima Juliet, poi me.
-Faccio un discorsetto ad Alex e poi torno anch'io, mamma.-
Senza nemmeno parlare, io e Juliet ci fermiamo al bancone del bar situato all'ingresso del ristorante. Resto in silenzio, in attesa che lei tiri fuori ciò che ha da dirmi.
-Sei pregato di non interferire nelle mie cose.-
-Posso tornarmene nella mia stanza, o...-
- No, non ho finito, Alex.-
La vedo accomodarsi su uno sgabello, o almeno ci prova. Fa un po' di fatica, piccola com'è.
La solita nana.
Subito dopo mi indica lo sgabello accanto, così mi ci accomodo incrociando le braccia al petto.
-Ti ascolto, Juliet.-
-L'anniversario è importante per i nostri genitori. Comportiamoci da adulti.-
-Come mai tutte queste premesse?-
Cosa nascondi Juliet?
-Io non mi immischierò e non lo farai nemmeno tu, Alex.-
-Bene, ma non dovresti lasciare che lui sminuisca ciò che fai.-
Juliet prova a fissarmi di sbieco, ma le sue pupille si dilatano quando incontrano le mie.
- Come non avrei dovuto farlo nemmeno io. E mi scuso per questo. Ma l'idea di perderti mi aveva reso così cinico...- confesso, abbandonando tutto per un attimo, persino l'orgoglio.
- Più di quanto non lo fossi già di tuo?- mi canzona, facendomi sorridere.
-Guarda, vedi? Ci atteggiamo come due veri adulti.- aggiunge poi, sorridendo di rimando.
-Hai proprio ragione, Juliet. Possiamo stare insieme nella stessa stanza e parlare. Incredibile.-
-Già...- mormora imbarazzata, non cogliendo a pieno il mio sarcasmo.
La realtà è che mi perdo nei suoi occhi.
Sei sempre la stessa, eppure non sei più mia.
Juliet
Le sue iridi scure mi restano impresse addosso. Sul viso, sulle labbra, sul collo.
Continua a fissarmi, me ne accorgo ogni volta che distolgo lo sguardo e poi torno a immergermi nei suoi occhi.
-Comunque accetto le tue scuse, Alex.—
Come in ogni occasione in cui ci ritroviamo così vicini, le frasi mi escono un po' più accelerate, tanto da far eco ai battiti del mio cuore.
-E poi sì, okay... Mi fa ancora un po' agitare il fatto di guardarti.- ammetto chinando la testa.
-Mi offenderei se non lo facessi, Juliet.-
Alexander lo sussurra nel mio orecchio e una scossa elettrica carezza la mia spina dorsale.
Il suo sguardo è una calamita, ha lo strano potere di velocizzare il mio respiro. Ogni fibra del mio essere mi s'inturgidisce.
E lui lo sa.
-Ho mille domande da farti...-
Provo a intavolare un discorso perché il mio corpo sta cominciando a tradire un'attrazione che vorrei non provare.
-Inizio io, Juliet. A chi stavi scrivendo durante la cena?-
Sposto sguardo a lato.
-Non gli sei fedele vero?-
-Senti Alex, non è questo il primo argomento di cui dovremmo discutere.-
-Vorrei una risposta però.-
-Le cose sono complicate tra me e Rick.-
-Mi hai appena fornito una risposta.-
-E non sono affari tuoi- ribadisco con la gola serrata.
-Mhm, davvero Juliet?-
Il suo sguardo tagliente scivola languido sulle mie labbra, poi verso la lunghezza della mia gola.
-Sì, davvero.-
Smettila di guardarmi così.
-Quanto complicate, Juliet?-
-Tanto. Ora tocca a me. Da quanto state insieme tu e lei?-
-Mhm. Due anni.-
Il mio cuore sembra cessare di pulsare per qualche secondo.
-È meglio se vado ...- bofonchio a quel punto.
Alexander però si sporge verso di me e con entrambe le mani afferra lo sgabello sul quale sono seduta portandolo vicino al suo corpo.
-Prima rispondi alla mia domanda.- ordina con tono secco.
-Parlavo con un'altra persona. Okay? E tu? Come hai convinto questa poverina a stare con te così a lungo?-
-Puoi anche chiedere senza offendere.- s'impone con sguardo serrato.
-Conosce tutto di te?-
Senza alcun preavviso, Alexander scende dallo sgabello.
-Sì.-
- Oh. E... Apprezza?-
Il suo sguardo è così intenso che m'incatena, mi risucchia nel suo abisso e in un secondo sembro rivivere ogni cosa.
Il mio respiro accelera. Sono incapace di resistere. Lo vedo tendersi nella mia direzione per lasciarmi un bacio dietro l'orecchio.
-Buonanotte Juliet.-
Serro le palpebre, ormai inerme davanti alla tensione che è in grado di causarmi.
Quando riapro gli occhi lui si sta allontanando a passi lenti.
- Alex?-
Si volta e non so come, trovo il coraggio di proseguire.
-Domani, se vuoi, posso mostrarti New York.-
-Non lavori?-
-No. Ho preso qualche giorno in vista del vostro arrivo.-
-Sarebbe un piacere Juliet.-
-Undici e mezza?-
-Undici. Puntuale.-
Il giorno seguente Alexander mi aspetta davanti alla caffetteria presso la quale ci siamo dati appuntamento. Scendo dal taxi e una folata gelida mi percuote.
-C'era traffico-
Mi giustifico del ritardo di mezz'ora con quella frase sbrigativa.
-Fa sempre così freddo qui?-
Alexander mi accoglie sul marciapiede con quella domanda secca, accompagnata dalla sua solita espressione imperturbabile.
-Vuoi dirmi che a Londra, da quando me ne sono andata, state tutti in giro in costume a Dicembre?-
Con la coda dell'occhio lo vedo scrollare il capo per nascondere un ghigno.
Il vento sferza i nostri zigomi con raffiche crudeli e prima che io possa proporgli di andare a bere qualcosa di caldo, Alexander prende a camminare sul marciapiede, perciò decido di stargli vicino.
-Allora.... Vuoi andare a visitare il museo delle storie naturali, il metropolitan o...-
- No, Juliet. Ora ho voglia d'infilarmi da qualche parte, al caldo.-
Sollevo un sopracciglio.
-Starbucks non ti andava bene?-
Mi volto e gli indico la caffetteria appena sorpassata.
- No. Non mi piace la miscela di caffè che usano.- spiega con le spalle rigide, provando a non lasciar intravedere quanto stia tremando.
Ma certo... perché non avere da ridire su tutto e intanto morire di freddo?
- Okay. C'è un posto che fa un'ottima cioccolata calda a due minuti da qui. Parliamo così ti distrai dal freddo.- propongo con aria sofferente.
La giornata è particolarmente ventosa e quando accade, è impossibile parlare senza inghiottire boccate d'aria fredde come lame taglienti.
-Ti faccio delle domande, Alex.-
Lui mima un cipiglio.
-Posso decidere se rispondere o meno, oppure sono costretto?-
-Sei caldamente invitato a rispondere.-
-Mhm, lo immaginavo.-
-Come va l'università?-
-Ho dato tutti gli esami in tempo e ho una media ottima.-
-Complimenti. E dove sta l'inganno?-
-Dormo poco e ci sono settimane in cui non esco di casa.- ribatte a tono.
-Come fai a conciliare la tua relazione con lo studio?-
-Lei frequenta la mia stessa facoltà, quindi c'è poco da conciliare.-
E figuriamoci se non era un genio anche lei.
-Oh... E invece...-
Corrugo la fronte, indecisa se proseguire.
-Dimmi, Juliet.-
-Come fai a conciliare la tua relazione con il tuo modo di essere?-
La mia domanda sembra non convincerlo.
- Che vorresti dire?-
- All'apparenza...-
Sfrego le mani tra loro per scaldarle.
-Sembri una persona tranquilla.-
-Lo sono, Juliet.-
-Cosa? Noioso?- Azzardo quella provocazione, che causa la sua occhiataccia stridente.
-Juliet...-
Il tono di rimprovero mi fa affossare le spalle.
-Scusa.-
-Ho semplicemente incanalato le mie energie.- spiega con voce calma e sicura.
-Di cosa parli?-
-Di sesso, Juliet.-
Le gote mi si riempiono di calore.
-Ah beh... ehm... sì.-
-Vorrei ricordarti che questo discorso l'hai cominciato tu.- mi redarguisce con prontezza.
-Lo so, sono curiosa.-
-Sembri più che altro agitata.-
Vedo un sorriso tagliare di traverso il suo volto bianco dal freddo.
-Anch'io ho delle domanda, Juliet. Innanzitutto non mi hai detto con chi ti sentivi ieri.-
Di nuovo con questa richiesta? Si mostra ostinato, vuole saperlo a tutti i costi, quindi decido di accontentarlo. Tanto lo conosco, Alexander non molla la presa finché non ottiene ciò che vuole.
-C'è questa persona.-
-È più grande di te, Juliet?-
-Come fai a... sì.-
-Perché dovrebbe scriverti se sa che sei impegnata?-
- Perché le persone non si fanno gli scrupoli che ti faresti tu, Alex.-
- Parlami di questa persona.- m'incalza con decisione.
Io indugio un po', quindi Alexander si blocca nel bel mezzo del marciapiede e prende a fissarmi.
- Che c'è?- mi lamento, leggermente imbarazzata.
- Parla, Juliet.-
Dalle mie labbra fuoriesce una densa nube di vapore, un lungo sbuffo, poi comincio il racconto.
-È un docente di filosofia alla NYU, l'ho conosciuto un anno fa. Durante la pausa pranzo, mangiare in ufficio mi annoiava, così ho cominciato ad intrufolarmi nell'università per assistere ad alcune lezioni. Le sue erano le più interessanti, così ci siamo conosciuti.-
-Commovente. E poi ha pensato bene di scoparti.-
- Alex! No!- strepito sbarrando le palpebre.
- No?-
- No. Io e lui parliamo...-
-Certo. E parlate tutti i giorni o solo ogni tanto?-
La sua domanda è più che allusiva.
-Nel fine settimana, quando lui è disponibile. Mi chiama solo ogni tanto.- provo a minimizzare, ma ovviamente Alexander non ha intenzione di passare oltre.
-Ti usa.-
-No.-
A quel punto riprendiamo a camminare.
-Sì invece. È sposato?-
-Alex perchè devi ...-
-Sei adulta, lo sai che quello che fai è sbagliato. Tocca a te.-
Frastornata dallo scambio di battute troppo rapido, aumento il passo per stargli dietro.
-Non mi hai risposto ieri. Quindi la tua ragazza ti conosce bene?-
-Sì.-
-Ti accetta?-
-Che importanza ha la mia risposta per te, Juliet?-
-Vorrei mi rispondessi, come io lo sto facendo con te.- spiego stizzita.
-Ti stai mettendo in competizione con lei o t'interessa per davvero come sto?-
Eccolo il nostro problema. Non si fida di me, non l'ha mai fatto. Sono arrivata a togliere vita ad un uomo pur di salvarlo, ma per lui non è abbastanza.
Perché sono io a non essere abbastanza per lui. Me l'ha fatto capire dal primo giorno in cui mi ha incontrata.
Perché ora le cose dovrebbero essere diverse?
-Beh potrei chiederti la stessa cosa, Alex. Ieri hai fatto lo stesso. Ti interessa per davvero la mia incolumità o con Rick stavi giocando a chi è stato il ragazzo più premuroso?-
-Non stavo giocando Juliet.-
Mi zittisco.
-E poi lo sai. Con te sono stato pessimo.-
-Il fatto che tu ne sia cosciente è già un passo avanti.-
-Dovresti dire "No, tu sei perfetto.".-
Alexander non mima la mia voce, pronuncia quella frase con tono piatto, ma io mi ritrovo a sorridere.
-Tu riesci a smetterla di manipolarmi per un secondo?-
-Troppo sforzo, Juliet.-
Scrollo il capo, mentre entrambi sorridiamo.
-Vieni. Siamo arrivati. Ti offro una cioccolata calda così non hai da lamentarti sul caffè.- lo rimbecco mentre lui apre la porta del locale per lasciarmi entrare per prima.
-Quindi un rapporto solo non è abbastanza per te?-
-Smettila di fare insinuazioni però.- erompo mentre ci accomodiamo ad un tavolino.
-Sto solo chiedendo, Juliet.-
-Lo è, ma...-
Mi ritrovo a mordermi il labbro mentre comincio a ticchettare nervosamente il ginocchio contro la gamba del tavolo.
C'è qualcosa che non ho il coraggio di chiedere.
-Dimmi.- m'invita a parlare, quando si accorge della mia titubanza.
- Non voglio risultare invadente, Alex.-
- Lo vedo che vuoi chiedermi qualcosa. Fallo.-
-Lo fai anche con lei?-
Lo sorprendo a deglutire un paio di volte, il suo pomo d'Adamo sembra slittare a fatica.
-Non sei invadente e sì, possiamo parlare, Juliet. Ma questo non è un argomento da affrontare davanti a una cioccolata calda.-
-Preferisci affrontarlo in camera tua?-
Uno dei suoi sopraccigli s'inarca dinnanzi al mio modo sfacciato.
-Juliet... Comportati bene.-
Mi stringo nelle spalle e siccome comincio ad abituarmi al tepore della caffetteria, mi alzo per sfilarmi il cappotto.
Alexander però, non sembra apprezzare il mio vestitino.
- Che c'è?- domando nel vederlo boccheggiare.
-Mi metti in difficoltà.-
Sposta subito gli occhi a lato, ma riesco a decifrarne la sincerità.
-Scusami.-
-Non scusarti, Juliet. Penso di essere grande abbastanza da potercela fare.-
-Lo penso anch'io.- sorrido prima di tornare a sedermi. -Come l'hai conosciuta?-
- All'università.-
Aspetto che parli, che la smetta essere sempre così conciso, ma Alexander attende che la cameriera ci serva le nostre tazze fumanti, poi, finalmente, riprende a raccontare.
-All'inizio ero molto deluso, arrabbiato e... Non avevo occhi per nessuno. Non l'ho trattata bene.-
-Immagino. Sarà una santa per poter stare insieme a te.-
Roteo lo sguardo al soffitto dinnanzi all'ennesima occhiataccia di Alexander.
-Però... Non hai poi tutti i torti, Juliet.-
-Che significa?-
-Ho aspettato un anno prima di permetterle di stare con me.-
-L'avrai messa alla prova in tutti i modi...- ipotizzo scaldandomi le mani con la tazza bollente.
-Esattamente. Il nostro rapporto è solo migliorato con il tempo.-
-Nel frattempo... Sei stato a letto con tutta la facoltà.-
A quel punto lui mi fissa. Probabilmente sta valutando se darmi la soddisfazione di una risposta o meno.
-Allora?-
-No, Juliet.-
-Davvero? Non hai avuto altre ragazze?-
-Il fatto che non ci sia penetrazione, non significa non ci sia appagamento.-
La frase sussurrata è seguita da un sorrisetto compiaciuto, segno che abbia appena raggiunto il suo obiettivo, mettermi in imbarazzo.
-Ha iniziato a nevicare, forse è meglio se...-
Indico la finestra che si affaccia sulla strada.
-Rimandiamo le visite?- chiede lui mentre ci rivestiamo.
-Direi di sì.-
Mi precipito a pagare, poi ci dirigiamo all'uscita della caffetteria.
-Dove vai adesso?-
-Vado a prendere la metro.- annuncio di proposito.
-Non penso proprio, Juliet.-
-Quando lo capirai che non puoi dire a chiunque cosa deve fare?-
Alexander si appropria del mio spazio vitale, muove un passo sovrastandomi con la sua altezza.
-Quando tu capirai che non sei "chiunque". Avanti, ti accompagno la casa.-
Aggancia l'ultimo bottone del mio cappotto riparandosi il collo. Io però ho occhi solo per le sue labbra, ad un soffio dalle mie.
-Possiamo andare da te, Alex?-
Il suo sguardo scende sul mio viso, lentamente.
- No.-
-Stai qui per pochi giorni.-
-Juliet...-
-Abbiamo poco tempo per parlare.- mi lamento.
Le sue iridi macchiano dapprima le mie guance, poi la mia bocca socchiusa.
-Non so se sia una buona idea tutto questo...parlare.-
-Non vuoi più?- chiedo con un filo di voce.
-Sì che lo voglio, Cristo...- mugola inumidendosi le labbra con rapidità.
Alexander conosce i miei punti deboli, ma io... io conosco i suoi.
-Alex...-
Un piccolo capriccio abbandona le mie labbra, mentre un broncio infantile le modella.
-Va bene. Beviamo un caffè e poi torni a casa.-
Durante il tragitto verso l'hotel riceviamo la chiamata di John che ci riferisce quanto mia madre e Tristan siano ancora sfasati per il fuso orario, comunicandoci quindi che ci vedremo più tardi.
-Conosco un gioco per farti parlare.-
Lo provoco non appena mettiamo piede nella suite.
-Non fare giochetti con me, Juliet. Chiedi come hai fatto fino ad ora.-
Alexander aziona la machinetta del caffè, io mi siedo sul letto.
-Quindi, ricapitolando, non sei stato con nessuna studentessa della facoltà. Ma avrai avuto altre ragazze, in tutti questi anni...-
-Mhm... Due.- risponde stringendosi nelle spalle.
-Oh...okay.-
Quando mi porge la tazza di caffè, io mi perdo a scrutare il suo viso privo di emozioni.
Lui non parla, sorseggia il caffè come se fosse più importante di ciò che avremmo da dirci.
Perché non me lo chiede?
-Ti facevo più curioso.- torno ad istigarlo.
-È solo mancanza di coraggio la mia.-
-Facciamo un gioco così magari coraggio ti viene...-
Lui solleva entrambi i sopraccigli nell'udire tanta tenacia provenire da me.
-Mi stai sfidando, Juliet?-
-Non pensi di potercela fare, Alexander?-
Lo vedo posare la tazza sul tavolo, prima d'incrociare le braccia all'altezza del petto fasciato dalla camicia.
-Ti ascolto.-
-Una specie di "Non ho mai", ma con le affermazioni. Tu puoi dire una frase, una supposizione che si riferisca a qualcosa che secondo te ho fatto o che ho intenzione di fare.
Se la frase corrisponde al vero, si beve.-
-E se è errata...?-
Mi guardo intorno.
E ora che dico?
-Ti levi un indumento.- la butto lì senza riflettere, ignara delle conseguenze che quell'ipotesi potrebbe avere nella sua testa.
Lo sguardo cupo di Alexander cade sulle mie gambe strette dai collant e taglia il mio corpo come una lama gelida.
I suoi specchi neri stridono nella mia carne, raschiando la mia pelle che prende a tremare a causa di brividi intensi.
-Stavo... Stavo scherzando.-
Accavallo le gambe ma il suo sguardo tormentato non sembra mutare.
- Anche se... Dopotutto sei grande, puoi farcela. Parole tue, Alex.-
-Non hai ancora imparato a frenare quella lingua, vero?-
-Sono solo impaziente di saperne di più su di te.-
-Per allenare la pazienza conosco un modo, Juliet.-
La tensione mi pizzica le braccia, la nuca, persino le labbra formicolano, le sento bruciare.
-Giochiamo.-
Dopo aver pronunciato quella parola, mi alzo e afferro due bicchieri dall'angolo bar.
-È un gioco noioso. Sembra di stare al liceo.- si lamenta lui rivolgendomi un'occhiata apatica.
-Allora dedichiamoci alla variante.-
-Sarebbe?-
-Te l'ho detto. Se dico qualcosa che tu non hai mai fatto, devi spogliarti.-
-Quindi vale per entrambi o solo per chi viene interrogato?-
-Entrambi.-
-Fammi un esempio.- ordina rimanendo in piedi.
Io torno a sedermi sul bordo del letto e posiziono i calici sul comodino.
-Mi è capitato di pronunciare la mia safe word.-
-Cristo.-
Lo vedo portare la mano chiusa a pugno, proprio davanti alla bocca.
-Cosa c'è ?- mi stranisco nel vedere le nocche bianche strisciare lungo il suo labbro inferiore.
-Perche stai andando così veloce?- Sibila con tono infastidito.
-L'hai detto tu che andava bene e...-
Con due passi si avvicina e io mi zittisco all'istante.
-O forse mi stai testando, Juliet?-
Ci fissiamo negli occhi per qualche secondo finché non sollevo il mento.
-Scoprilo.-
-Quindi? Qual è il verdetto?-
-Io non l'ho mai pronunciata.- confesso causandogli un cipiglio.
Porto la mano destra dietro la schiena e quando con i polpastrelli, sotto al tessuto del vestito, riconosco gancio del reggiseno, lo slaccio. Infilo una mano nella scollatura per sfilarlo dall'alto, poi lo poso sul letto.
Gli occhi di Alexander passano dal mio viso all'intimo nero accanto a me.
-Interessante.- pronuncia senza emozioni.
-Ora l'hai capito il gioco?- lo istigo con un ghigno laterale.
-Fossi in te riderei meno, Juliet.-
Gli porgo il suo bicchiere.
-Io nemmeno l'ho mai pronunciata però- dice confuso. -Non ha senso.-
-Beh, nel tuo caso... La domanda è diversa. Te l'hanno mai detta?-
-Sì.-
A quel punto china il capo eludendo il mio sguardo. Afferra la bottiglia di spumante che gli passo e versa un po' del contenuto nel calice.
-Ricordami l'obiettivo del gioco, Juliet.-
-Tu scopri qualcosa di me e io di te. Tocca a te.-
-Mhm. Dico spesso bugie alla persona con cui ho una relazione.-
Sa che ho mentito e gli piace ricordarmelo.
Decido di non dargli troppa soddisfazione e bevo una lunga sorsata.
-Confermi di averlo fatto.-
-E tu Alex? E ricordati che se non l'hai fatto, se sei stato sempre sincero, devi spogliarti.-
-Ho omesso delle cose... vale come bugia?-
Immagino cos'avrà omesso, o meglio, chi.
-No. Le hai mai detto bugie?-
Alexander solleva il capo, sembra quasi soddisfatto nel rifilarmi questa risposta secca.
-No.-
-Allora levati la camicia.- lo incalzo strappandogli dal viso quel sorrisetto compiaciuto.
-Bella mossa, Juliet.-
-Vuoi tirarti indietro?- lo provoco nel notare che resta immobile davanti a me.
- No. È solo una camicia. Vediamo dove riesci ad arrivare, piccoletta.-
Il cuore mi si cristallizza.
Con quanta crudeltà può dire una cosa del genere, ora?
L'ha fatto apposta.
Bella mossa Alexander
Ammiro le sue dita perfette districarsi tra le asole per sbottonarsi lentamente la camicia.
-Ho...-
Lo sguardo sottile, dapprima chino e rivolto al suo petto, mi si cade addosso come una maledizione.
-Finisci la frase, Juliet.-
-Ho fatto cose di cui mi sono pentita.-
-Riferito a...?- domanda restringendo le palpebre a due fessure impercettibili.
-Non c'è bisogno di specificare il contesto, usa la fantasia, Alex.-
Si sfila la camicia, poi resta a fissarmi confuso, forse perché io sto bevendo.
-No, non mi sono mai pentito di nulla.- sospira, indeciso sul da farsi.
Abbasso lo sguardo al pavimento prima di chiedere - Nulla, Alex?-
Quel sussurro gli causa un ulteriore sospiro, questa volta insofferente.
-La verità è che ho sbagliato con te, Juliet. Tante volte. Quindi sì, forse di alcune cose mi pento, ma... Non mi sono pentito di averti lasciata andare. Dovevo farlo. Non eri felice.-
Un singhiozzo soffocante mi strozza la gola.
-Allora bevi. Poi tocca a te.- Ne approfitto nel vederlo esitare.
-Ho desiderato tante volte... Venire qui a New York. Vederti. Anche solo per un attimo.-
Le sue parole mi trafiggono il petto, nel profondo. Beviamo entrambi e un forte senso di vuoto mi carezza lo stomaco.
-Non l'hai mai fatto però.-
-Ero sul punto di farlo per davvero, Juliet.-
-Davvero?- Sollevo entrambe le sopracciglia e la mia espressione tradisce incredulità.
-E tu? Mi hai mai chiamato, Juliet?-
-Alex...-
-Rispondi. Sii sincera, fa parte del gioco.-
-No... - Declino il suo sguardo e lascio che i miei occhi caschino al suolo. -Lo sai, ti ho bloccato.-
-Già.- mugugna con labbra serrate.
-Alex non volevo più soffrire. Avremmo sofferto entrambi.-
-Spogliati.-
La sua richiesta così perentoria mi stordisce.
-Cosa?-
—Non l'hai mai fatto, non mi hai chiamato.-
-Alex non potevo fare diversamente...-
-Non m'interessa, non l'hai fatto, spogliati.-
Spinta da un moto di stizza mi tolgo gli stivali, mentre lui sfila la cintura dai passanti.
-Non potevi fare diversamente... certo.- commenta scuotendo il capo.
-Senti non l'hai fatto nemmeno tu!-
-Se mi hai bloccato, evidentemente non ti interessava sapere più nulla di me.-
-Non voglio litigare, Alex.-
Ma a lui non importa. Quel ricordo sembra inasprire le sue emozioni, perché comincia a portare il gioco su un altro livello.
-Ho fatto sesso con una ragazza.-
-Non vale. Stai giocando scorretto.- m'impunto con un broncio.
- L'hai fatto o no, Juliet?-
-No, lo sai.- mormoro passando in rassegna la mia figura.
Indosso ho solo più il vestito, i collant e le mutande.
-Tu hai giocato scorretto finora...- commenta curvando il capo.
-Ah quindi l'hai capito solo ora il gioco?- lo prendo in giro, mentre il suo sguardo s'insinua tra le mie cosce.
-Togli le calze.-
Il suo torace scoperto viene percorso da un brivido quando mi alzo in piedi. Alexander porta solo i pantaloni, lo vedo indietreggiare verso l'armadio a muro, qui vi si appoggia con la schiena, poi incrocia le braccia.
-Alex...-
-Toglile.-
Sospiro a lungo, poi faccio come richiesto.
I suoi occhi restano fissi sulle mie mani, mentre segue maniacalmente le calze che scendono fino ai piedi, lasciandomi le gambe scoperte.
Ora ti metto alle strette.
-Tradirò la mia ragazza questa sera.-
- Mhm, mi conosci. Non lo farei mai.-
- Vedremo.- Sospiro bevendo.
Lui però si guarda i pantaloni.
-Non posso restare con solo i boxer addosso.-
Il mio ghigno soddisfatto lo innervosisce.
-Tu hai appena bevuto, Juliet?-
-E tu Alex?-
-Non lo farò. Non sono quel genere di persona che tradisce.-
-Lo so, quindi togli i pantaloni.-
Scacco matto.
-E fa piano, voglio godermi lo spettacolo- lo rimbocco mentre lui si sbottona i pantaloni.
-Sei diventata un'ottima giocatrice, Juliet. Ma sappi che...-
Alexander fa una breve pausa, solo per leccarsi le labbra.
-Ti farò levare quel dannato vestito.-
Non mi curo delle sue parole, nè del fatto che stia in piedi, davanti a me, con solo i boxer addosso.
Mi alzo per versarmi un altro bicchiere.
-C'è un paradosso però... Tu hai bevuto e io no.- lo sento dire. - Starai con me tutta la sera, come faresti a tradirlo?-
A quel punto mi avvicino a lui.
Ha sempre un buon profumo.
-Ti dico un segreto....L'ho fatto solo per non restare nuda.- ridacchio arrivando a malapena alla sua guancia.
Alexander però mi toglie il calice dalle mani.
-Le mutande.-
-No. E poi, dopo la cena che faremo tutti insieme , chi ti dice che non vedrò qualcun altro?-
-Non vedrai proprio nessuno, sfilati le mutande e lasciale sul mio letto.- sibila nel mio orecchio.
-E cosa accadrà dopo che le ho tolte?-
Lo vedo fissarmi la bocca. La marchia con un'occhiata così densa da sembrare una colata bollente.
- Alzati il vestito e toglile. Non farmelo ripetere.-
Lo soffia sulle mie labbra sensibili, mentre sollevo lentamente l'abito che mi fascia i fianchi.
Aggancio il bordo delle mutande e le lascio scivolare giù al pavimento.
- Brava.-
- Te lo richiedo, Alexander. Cosa accadrà dopo che le ho tolte?- lo sfido con fermezza.
-Non accadrà nulla, Juliet-
I suoi occhi scendono a cercare il mio intimo nero, che resta per terra quando sollevo dapprima un piede poi l'altro per liberarmene.
-Perché non vuoi o perché non puoi?-
Sfioro con un dito il suo torace nudo e percepisco il suo cuore palpitare con forza.
Quell'attimo dura poco, perché mi ritrovo a chiudere gli occhi nel momento in cui mi sposta una ciocca ribelle dietro all'orecchio.
- Cristo.- lo sento imprecare tra i denti.
Sobbalziamo all'unisono nell'udire la vibrazione del telefono.
Rimango ferma, immobile, senza capire cosa stia accadendo, ma ben presto sento Alexander parlare al telefono. Esce dalla camera da letto e raggiunge la zona del soggiorno.
-Sì? È andato bene il volo? Ci vediamo tra un'ora allora. Se vuoi sì.-
Lo vedo poggiare il cellulare sul tavolo, poi torna da me.
-Devi andare.- mugola rimettendosi i pantaloni.
Mi stava per baciare?
-Rivestiti.-
-Lo sto facendo. - sputo seccata mentre lui si riabbottona la camicia.
In realtà ho afferrato calze e stivali in tutta fretta, poi ho raccolto le mutande del pavimento.
-Juliet?-
Mi volto.
-Lasciale sul mio letto.- mi ammonisce un'ultima volta, forse perché mi vede con l'intimo in mano.
-Stai scherzando, vero?-
-Fa' come ti ho detto.-
Non annuisco, ma decido di obbedire, mentre lui mi porge il cappotto.
-Dove andrai?-
-Devo vedere mia madre. All'ultimo ha cambiato il fioraio per la cerimonia e sta impazzendo.-
-Juliet.-
Alexander mi richiama quando mi sorprende sulla porta, senza averlo nemmeno salutato.
China il capo per giungere alla mia altezza, così mi avvicino e gli lascio quello che vuole, un bacio sulla guancia.
-È stato un piacere vederti mezzo nudo.- sogghigno.
-Fa' poco lo spiritosa.-
-Jenny sarà qui.-
Dopo aver passato il pomeriggio tra scelta di bouquet e bomboniere, non ho ancora capito se mia madre è emozionata per la ricorrenza del suo anniversario o per l'arrivo con la famigerata "fidanzata dell'anno".
Seguitiamo a chiacchierare anche mentre incontriamo l'organizzatrice dell'evento che ci introduce nel palazzo in cui si terrà la ricorrenza.
-L'hai preso il tappeto rosso da stenderle al suo arrivo?- sbuffo masticando la gomma.
-È una brava ragazza, Juls.-
Ma che descrizione è?
-Dimmi di più.-
-Non mi hai chiesto nulla in questi anni, durante le nostre telefonate.-
Si sta giustificando del fatto che va pazza per la nuova ragazza di Alexander?
-Te lo sto chiedendo ora mamma. La conosci da tanto?-
-Ce l'ha presentata qualche mese fa.-
-Ce ne ha messo di tempo per ufficializzare...- ironizzo gongolando un po'.
-Non prenderti gioco di lui. Sicura di averla superata, Juliet?- domanda lei diffidente.
Mia madre è ingiusta. Sempre stata così. Lui può farmi tutte le scenate di gelosia di questo mondo e io non posso permettermi di lasciarmi andare ad una battutina.
-Sì... Avanti, sputa il rospo mamma. E mentre che ci sei, devi dire a Tristan che i petali di rosa non si mangiano.-
Un cespuglio di capelli scuri e ribelli contornano il viso di un bambino dagli occhi argentati.
Sta nel suo passeggino a guardare cartoni animati sull'iPad mentre con una mano attinge da un contenitore che strabocca di petali bianchi.
-È di ottima famiglia.-
Il primo giro di occhi al soffitto.
-È una ragazza in gamba, molto brillante. Ha vissuto per anni a Tokio, è figlia del console inglese in Giappone.-
Fisso il vuoto. Ma certo, cosa mi aspettavo?
Una scapestrata come me?
-Davvero la vedrò questa sera?- domando mentre sfiliamo tra tavoli adornati di tovaglie bianche e ricamate.
-Sì. Arriva da Tokio, per questo motivo non è venuta insieme ad Alex.-
-Sembra la ragazza perfetta per lui. Studia nella sua stessa facoltà, ottimi voti...-
Mia madre mi fissa.
-Sei seria o stai facendo del sarcasmo sulla fidanzata di Alexander?-
-Non mi permetterei mai. Solo lui può fare lo stronzo con Rick, vero?-
-E dai, lo conosci. Alex è fatto così.-
-Certo, come al solito lui può sempre dire e fare ciò che gli pare...-
-Juliet, Alexander ne ha affrontate tante. È migliorato molto da...-
M'irrigidisco, lei invece abbassa la voce per non farci udire dalle ragazze che stanno allestendo i decori floreali sugli archi che ormeranno la sala.
-....Da quando me ne sono andata? Questo vuoi dire, mamma?-
- No, Juliet. Da quando ha cominciato la terapia e l'ha seguita con costanza. La morte di sua madre non l'ha mia superata.-
Ci troviamo a sospirare all'unisono.
- Mi raccomando.- Lei mi abbraccia e mi trovo costretta a deporre le armi.
-Farò la brava.-
E aspetterò questa cena con il cuore in gola.
-Juliet.-
Giuro che mi ero preparata. Mi ero già prefissata di non aprire bocca per non sfigurare davanti a Jenny e sì, ero pronta a Miss Premio Nobel, ma non ad una ragazza così bella.
Di poco più alta di me, con lunghi capelli corvini e due vispi occhi a mandorla, si presenta dandomi una stretta di mano decisa.
A me invece si secca la gola, non riesco nemmeno a pensare a qualcosa d'intelligente da dire in questo momento.
-Alex mi ha parlato molto di te.-
È inevitabile sgranare le palpebre. Una smorfia di sorpresa mi si dipinge in viso.
-Oh davvero?-
-Sì, sapevo fossi bella, ma non così tanto.- esclama lei.
Quella frase risveglia in me il magico dono della parola.
-Oh, Alex ha detto questo?- ridacchio soddisfatta.
Alexander mi afferra dal braccio dandomi un pizzicotto senza farsi vedere.
-Ahia.- sbuffo guardandolo male.
-Andiamo a sederci.-
Lui mi lancia l'occhiata più gelida della storia, così decido di tacere e mi accomodo a tavola insieme a tutti gli altri.
Lei indossa un dolcevita nero, un paio di pantaloni dal taglio elegante e la sua manicure è impeccabile. Ha le mani curate, i polsi esili e la pelle così lucente e perfetta da sembrare una bambola.
Un senso di nausea mi morde lo stomaco.
Calmati Juliet, ricordati che non sei in competizione con una così.
Fortunatamente.
Anche perché non potrei mai competere, sarebbe una gara persa già in partenza per me.
Mia madre parla a macchinetta del ricevimento di domani, del fatto che è contenta di aver prenotato una location così bella proprio per il ventiquattro di dicembre e dice tante altre cose che non ascolto.
Mi metto ad ispezionare il viso di Alexander, che però non lascia trapelare un singolo stato d'animo.
Oggi l'ho stuzzicato, sì ma più di questo non posso e non voglio fare. Sembra che Alexander stia bene, forse per la prima volta da quando lo conosco. Lei è educata, sfoggia dei modi gentili, è colta, usa un linguaggio che io conosco a stento. Non riesco nemmeno ad odiarla. E maledizione, non ha un filo di trucco.
Durante la cena mi accorgo di quanto le cose siano cambiate in questi anni. Di sottofondo sembra tutto uguale, mia madre che parla, come ha sempre fatto, ma lui questa volta non mi guarda. Mai.
Certo, sfacciatamente non lo faceva neppure prima. Eppure c'era una tacita complicità, riuscivamo a condividerla, nascondendola, ma ora... Lui guarda lei. Non la sfiora, ma lei ogni tanto oscilla verso di lui e si appoggia con la testa sulla spalla, come a voler inspirare il profumo del suo dolcevita.
Sento le guance pizzicare e le palpebre bruciare. Il loro scambio di sguardi furtivi mi fa ribollire il sangue.
Perche stiamo facendo finta sia tutto normale? Perché lui ha fatto quella scenata a Rick e io devo stare qui a subire i loro occhi dolci?
-Scusate, arrivo subito.-
Non mi preoccupo nemmeno di guardare le reazioni altrui, corro via prima di scoppiare a piangere davanti a tutti.
Arrivo in bagno tremando.
Deglutisco un paio di volte ma la delusione è troppo forte. Cosa mi aspettavo?
Sono stata così stupida questa mattina...
Mi devo ricomporre assolutamente.
Me lo ripeto a mente, davanti allo specchio, finché non mi convinco.
-Io non ordinerei il dessert, dai Foster c'è una piccola festa e lei è pasticciera, direi di approfittarne per assaggiare i suoi manicaretti.-
- Quale festa?- domanda Alexander corrugando la fronte.
-Sono nostri amici. Io e Catherine ci siamo conosciuti grazie a loro, poi si sono trasferiti qui per aprire i loro negozi. Ci terrei che venissi, Alexander.- spiega John, quando ormai stiamo lasciando il ristorante dell'hotel.
Lui annuisce distratto, così suo padre si rivolge a Jenny.
- Verrai anche tu, vero?-
-Vi ringrazio per l'invito ma molto stanca, penso andrò a dormire. Prendo l'ascensore e sono a letto.- commenta Jenny tornando con lo sguardo sulle labbra di Alexander.
Non ho mai provato una coltellata in pieno cuore, ma posso immaginare che faccia lo stesso lacerante effetto.
-Ma come!- s'indigna mia madre. -Ci sarà tanta gente che ti vuole conoscere, tra cui i nostri amici di Londra venuti apposta per la ricorrenza.-
-Non insistere.- John rimbecca mia madre.
-Lo apprezzo Catherine, ma sono obbligata a declinare, soprattutto dopo un volo così estenuante. Alex vai solo tu.- sento Jenny mormorare.
-Non ne ho nessuna voglia.- bofonchia lui.
-È a tua famiglia, avanti.-
La ragazza lo sprona e lui si ritrova a sbuffare un
"Va bene." con tanto di scrollata di spalle.
- Juliet?- chiede mia madre a quel punto.
Oh buonasera, scusate se esisto.
-Rick mi ha scritto di essere già lì e..._
Le parole smettono di fluire perché con la coda dell'occhio lo vedo. Si scambiano un bacio a fior di labbra, prima che lei saluti tutti e se ne vada.
-Un'ora, poi io torno a casa.- ci tiene a specificare Alexander quando siamo già in taxi, diretti alla nostra destinazione.
-Ma sì tesoro, è solo una formalità. Sono stati carini ad occuparsi della torta di domani, voglio fargli una sorpresa e portar loro un regalo.-
-Sicura che ammettano gente con meno di cinquant'anni mamma?- mi lamento io.
-Uh, tu potresti trovartici bene in un posto del genere.- Alexander mi prende in giro con una nota di sarcasmo. -Magari trovi qualcuno con cui parlare.-
Che grandissimo stronzo....
Ci scambiamo un'occhiata velenosa nel buio, poi smettiamo di calcolarci finché non arriviamo a Brooklyn.
Mia madre e John vengono rapiti dall'eccentrica padrona di casa, che ospita la festa in un grosso loft arredato con elementi di design.
- Giacche e borse potete lasciarle lì, ragazzi.-
Una governante robusta ci indica una stanza piena di appendiabiti.
I ricordi del matrimonio di mia madre tornano prepotenti dentro di me. È ancor prima che possa chiedermi se capiti anche ad Alexander, lo vedo gonfiare le guance e espirare profondamente.
In rigoroso silenzio mi porge una mano, io gli consegno il mio cappotto e lui lo sistema sopra ad un gruccia, insieme alla borsa.
Davanti al grosso specchio che ci si staglia davanti, i suoi occhi scuri riflettono di una luce insolita.
-Che c'è?- domando quando mi accorgo che mi sta fissando la gola.
Lui protende l'indice nella mia direzione con i polpastrelli mi carezza le scapole, poi il collo, tracciandone i contorni.
-Alex stavo pensando ... magari dovrebbe averla lei.-
-No, Juliet.-
-Se me la vedesse addosso?-
-E allora?-
-Non le hai detto di noi?- chiedo senza fiato.
-No.-
Le labbra ricominciano a tremarmi.
Inizio a guardarmi in giro spaesata.
-Ti vergogni di me?-
-Non è questo...-
-Non ci posso credere...- erompo uscendo da quello stanzino.
Scappo via. Non ci penso nemmeno a dargli ancora ascolto. Io non ho fatto altro che creare rapporti vuoti, incapace di rimpiazzare il mio amore per Alexander, mentre lui.... Stava costruendo qualcosa di solido con una ragazza. Non gliene faccio una colpa, ma rinnegare il nostro passato e nasconderle ciò che c'è stato... non posso accettarlo.
Forse non l'ho ammesso nemmeno a me stessa, ma un po' ci ho creduto. Tutti quei discorsi, quelle domande sulla mia felicità...
Sono immersa nei miei pensieri quando mi ritrovo in un soggiorno pieno d'invitati e nella foga, urto contro la spalla di uno di questi.
-Mi scusi.- sibilo imbarazzata.
Un'altra voce però, mi appare conosciuta.
-Juliet?-
L'uomo con cui mi sono scontrata si volta e io non credo di averlo mai visto, ma accanto a lui c'è Michael. E di sicuro non sarà solo, ma con sua moglie.
-È una studentessa del tuo corso di filosofia?- domanda l'altro.
-Scusami un attimo.-
Michael mi prende sottobraccio e mi accompagna in un angolo appartato.
-Cosa ci fai qui?-
-Sono con la mia famiglia.- spiego sottovoce.
-Anch'io. E non dovremmo vederci in giro.-
-Non sono qui per te.- esclamo risentita quando mi accorgo di alcuni schiamazzi poco distanti.
Oh no, Rick è insieme ad alcuni suoi amici e ha un bicchiere in mano.
Mi divincolo dalla presa di Michael e raggiungo Rick.
- Perché non sei venuto da solo?-
- Ciao. Nemmeno un saluto.- sibila con voce ubriaca cingendomi il fianco.
-Non bere troppo per favore.- suggerisco a Rick, sottraendomi ai baci che sembra voglia appiopparmi sul collo, proprio davanti a tutti.
- Dammi il bicchiere, Rick.-
-Domani non lavoro.-
-Non è per quello,lo sai.-
- Hai visto chi ho trovato?-
Rick indica delle sagome davanti a noi e quando le metto a fuoco riconosco alcuni ragazzi che ho visto qualche volta di sfuggita, in ufficio. Non ricordo i loro nomi e nessuno sembra interessato ai saluti o ai convenevoli.
-L'abbiamo quasi chiuso il contratto.- spiega Rick, convinto.
-Juliet ci sarai prossima riunione con il nuovo cliente?- domanda uno dei ragazzi.
-No.- risponde Rick al posto mio.
-L'azienda ha una reputazione da difendere. Vi immaginate se i nostri competitor cominciassero a pensare che lasciamo le decisioni della nostra compagnia in mano ad una donna?-
Gli sguardi delle fidanzate dei nostri colleghi si pietrificano. E così il mio.
- Queste varierebbero in base al periodo del mese. Avete capito...-
Interrompo Rick con una gomitata.
-Sta scherzando, non ho ancora esperienza per poterlo fare.-
-Sei andata molto bene l'altra volta.- sorride Peter, uno dei nostri colleghi.
-Beh grazie, le basta mettersi un vestito corto.-
-Finiscila Rick.- sputo innervosita, quando lo trascino via dal gruppetto.
-Ho detto la verità.- si giustifica lui.
-Mortificandomi?-
Rick però tira giù un'altra sorsata.
-Perché devi sempre essere così pesante Juliet? Ecco perché non possiamo stare insieme. Perché hai questi modi di fare.-
-Non stiamo insieme perché io non voglio stare con te. Te lo ricordo.- puntualizzo acidamente.
-Potrei avere tutte le ragazze che voglio perché perdo tempo con te che devi sempre fare la difficile?-
Lancio uno sbuffo sonoro prima di restituirgli il bicchiere che gli avevo sottratto per paura bevesse troppo. -Tieni, ubriacati. Ma vedi di non presentarti a casa mia questa sera.-
Che pessima idea quella di venire qui.
Guardo l'ora e mi accorgo che sono le undici.
Saluto tutti e me ne vado. Anzi no, ho gli occhi lucidi, poi farebbero tutti troppe domande.
Decido di uscire in balcone per prendere un po' d'aria, ma ha iniziato a piovere, quindi sono costretta a rintanarmi sotto la tettoia.
-Juliet.-
La tetra voce di Alexander mi solletica la nuca.
-Mi hai seguita?- mi acciglio stringendomi con le braccia al petto.
-Sì.-
-Se sei qui per farmi la predica, è meglio se te ne vai Alex.-
-Che succede? Stai bene?-
-No. Finisco sempre per scegliere persone che mi feriscono.-
-Me ne sono accorto.-
Abbasso lo sguardo, poi mi faccio piccola contro il muro, mentre la pioggia battente rimbalza sulla ringhiera davanti a noi.
Alexander intanto si è sfilato la giacca del completo e me la posiziona sulle spalle.
-Non meriti di essere trattata in quel modo e per quanto mi dispiaccia ammetterlo, preferirei tu stessi con qualcuno che ti tratta come una principessa. Eppure tu non sembri interessata a quel tipo di ragazzo.-
-Vuoi dire che mi piacciono le cose difficili?-
Alexander serra le labbra per un breve istante.
-Pensi ancora a me, Juliet?-
Perché ora dovrebbe chiedermi una cosa del genere?
-No.- brontolo contrariata.
-Però continuavi a guardarmi a cena.-
-Te ne sei accorto?-
-Perché non avrei dovuto?-
-Sì, ti penso ancora.- confesso senza filtri.
Mi volto e vedo il suo petto palpitare sotto al golfino blu scuro.
-Hai il fiato corto. Sicuro di stare bene?-
-Starti vicino non mi è facile.- sospira -Senza contare che ti ho vista mezza nuda oggi...-
Arrossisco.
-Non eri cambiato?-
-Mi è più facile comportarmi bene quando ti sto lontano.-
-Bravo, raccontati queste favole...-
Restiamo a guardare le luci della città offuscate dalla pioggia, finché la quiete non viene interrotta da John che esce in balcone insieme ad alcuni signori.
- Ragazzi se vi dà fastidio il fumo di sigaro...-
John esamina Alexander, poi gli si avvicina per sussurragli qualcosa.
-Mi raccomando, faccio affidamento sul tuo buon senso.- riesco a percepire quelle parole, infine il cinguettio di mia madre.
-Venite tutti. C'è il dolce.-
-L'ennesimo di questa vacanze natalizie.- commento rientrando al caldo insieme ad Alexander.
-Dov'è andato Rick?- chiede mia madre, tutta emozionata di assaggiare i dolci della sua amica.
- Non lo so e non m'interessa.- sputo contrariata.
Ad Alexander sono sufficienti i pochi istanti in cui ci accomodiamo al tavolo, per individuare una sagoma da fissare.
- Litigate spesso tu e Maverick?- domanda puntando Rick da lontano.
-Capita. Non siamo perfetti come voi due.-
Mantengo una mano sulla tovaglia, mentre l'altra la pinzo tra le cosce per scaldarla. Non essermi rimessa i collant non è stata una buona mossa.
L'appartamento è straripante di persone gorgoglianti, alcune in piedi altre sedute alla grossa tavolata, ma nessuno sembra fare caso a noi.
Alexander inclina il corpo all'indietro, poggiandosi sullo schienale della sedia e prendendo una buona visuale delle mie gambe.
-Okay, basta girarci intorno. Parliamo di cose serie... Metti che lei non ci fosse.- prorompo d'istinto.
-Ti ascolto, Juliet.-
-Avresti un'altra ragazza? Oppure no? È lei a essere speciale?-
-La domanda non è stupida. Mi stai domandando se considero Jenny un ripiego?-
-No, ti chiedo se sei innamorato.-
A quel punto allarga le spalle e gonfia il petto di un grosso sospiro, mentre le mani poggiate sulle gambe si serrano a formare un pugno.
-Sono stato troppo male. Non voglio tornare sull'argomento e...-
-Metti che lei non ci fosse... Cosa faresti?- sussurro con lo sguardo fisso davanti a me.
I flashback di quella notte, l'ultima passata insieme, mi tormentano.
Lui non l'ha dimenticata e lo capisco da come comincia a giocherellare con la candela poggiata sul tavolo.
-Lo sai cosa farei.-
Alexander lascia che sia casuale il suo avvicinarsi al mio orecchio, ma io so che non lo è, perché le sue labbra mi sfiorano la pelle, iniettandola di fremiti.
-Scava nei ricordi, piccola Juliet..-
-Sempre tutto normale con te. Sicuro che la terapia stia funzionando?-
Il mio black humor non trova un muro, Alexander accoglie di buon grado la mia battuta e lo fa senza offendersi.
-Mi trovi un po' brillo. Lo sai che non reggo molto l'alcol.- indica il bicchiere poggiato sul tavolo - E poi stiamo solo parlando ipoteticamente.-
-E parlando ipoteticamente...-
La strada è pericolosa, ma prima che io possa proseguire, la padrona di casa ci chiede di stringerci un po', visto l'arrivo di altri invitati.
-Avvicinati.-
Mi alzo alzo e mi trascino la sedia posizionandomi ancor più vicina a lui.
-Dicevi?-
Alexander seguita a sfregare il palmo sulla sua gamba, forse per scaricare il nervoso.
Quando mi risiedo e la mia coscia sfiora il dorso della sua mano però, lui non l'allontana.
Quel contatto gelido mi fa sussultare.
-Non penso che tu voglia una descrizione grafica di ciò che ti farei, Juliet.- scandisce con voce impercettibile.
-E se... la volessi?-
-Di sicuro...- Con la coda dell'occhio lo vedo irrigidire la mascella. -Una cosa vorrei sentirla.-
-Cosa?-
Ora non è più casuale, le sue nocche fredde carezzano il lato di una delle mie cosce, obbligandomi a serrarle tra loro.
-Sentire se sei ancora stretta come piace a me.-
I miei muscoli si pietrificano all'istante, il mio basso ventre comincia a pulsare.
-Sentire se sei ancora mia.-
Rimango immobile, perché so che non ha finito.-
-Ma è qualcosa cha non accadrà mai, Juliet.-
Non posso fare a meno di voltarmi e guardarlo in pieno viso.
-E non è mio padre o Jennifer a impedirmi di farlo, ma la sofferenza che ho provato quando te ne sei andata. Non sono disposto a provarla di nuovo. Mi dispiace.- conclude, lasciandomi in un vortice di amarezza.
-Alzati e vattene allora.- soffio con voce rotta.
-In questo momento non farei una bella figura. O forse sì, dipende dai punti di vista.-
Inacerbita dalle sue parole così distaccate, sposto le gambe a lato, ma Alexander posa la sua mano sulla mia coscia e mi blocca sotto il tavolo, impedendomi di muovermi.
-Sto per chiedertelo...-
Deglutisco.
-Chi è quell'uomo, Juliet?-
-Non sono affari tuoi. Ora devo andare.-
A quel punto mi rivelo più svelta di lui, perché mi alzo di scatto e fuggo in corridoio.
Ma prima che io possa giungere alla sala degli appendiabiti, Alexander accelera il passo, poi mi agguanta dai fianchi per spingermi contro il muro con forza.
-Spero tu sia accorto che non siamo da soli.-
La sua fermezza s'imprime sulla mia pelle, quando con la mano avvolge l'interezza del mio collo.
-In questo momento è l'ultimo dei miei problemi, Juliet.-
-Quale sarebbe il primo?-
-Tu.-
Le sue labbra si conficcano nella mia guancia.
-Tu e i tuoi maledetti occhi.-
Alexander
-Dimmi chi è quell'uomo.-
Juliet non ha la faccia di una che vorrebbe mandarmi al diavolo, i suoi occhi s'illanguidiscono man mano che la mia stretta intorno al suo collo si fa più possessiva.
Decido comunque di fare un passo indietro, lasciandola libera.
-Alex, senti... Da quando ho visto Jenny questa sera, ho capito che è tutto reale. Io e te stiamo vivendo due vite completamente diverse e... -
-Dimmelo, non riesco a pensare ad altro.- ringhio tra i denti.
-Con lui è stato solo un periodo, ora non c'è più nulla.- mormora lei dal basso.
-Mentre eri impegnata?-
-Vuoi giudicarmi per questo, Alex? Te l'ho detto che con le cose sono complicate per me. Non ci riesco ad avere una relazione come la tua.-
Juliet mi osserva dal basso e sotto le ciglia folte vedo i suoi occhi grandi diventare liquidi.
-Non mi piace la persona che stai diventando.- la redarguisco.
So di dimostrarmi insensibile, ma qualcuno deve pur farle notare che sta sprecando tempo. Dopo tre anni la ritrovo a fare gli stessi errori e non riesco a sopportarlo.
-Non riuscivi a tenertela per te questa, vero?- esplode, mentre una lacrima le riga il viso.
-No.-
-Non so cosa ti aspettassi da me, ma scusa tanto se non siamo tutti perfetti come te. Vita perfetta, fidanzata perfetta...- Juliet mi punta un dito nel petto, scavandomi nel cuore. -Puoi raccontarti tutte le cazzate che vuoi, ma se pensi di non esserti lasciato strascichi alle spalle, beh ti sbagli. Non sei stato solo tu a soffrire.-
-Juliet, non volevo...- Lei si scansa quando provo a sfiorarle il viso.
-Ho smesso di mangiare, di dormire. E ti ho bloccato sì, ti domandi il perché? Volevo bloccare ogni tuo ricordo.-
Mi chiedo con che coraggio io me ne andrò via da qui, come farò a salire su un aereo e lasciarla sola, se mi guarda in questo modo?
-Cosa pensavi? Di venire qui, incontrarmi e fare come se nulla fosse, Alex?-
-Mi stai addossando la colpa di qualcosa, Juliet?-
-No, ti sto dicendo che la decisione l'hai presa tu e io l'ho accettata.-
A quel punto trattengo la calma a stento.
-Tu hai desiderato andartene dall'altra parte del mondo! Cos'avrei dovuto fare?-
Lei si asciuga le lacrime poi mi affronta a testa alta.
-Quando ti ho messo davanti all'ipotesi che Jenny non esistesse... L'ho fatto perché sapevo che per te non sarebbe cambiato nulla. Sei geloso, protettivo, sì, ma la realtà è che tu non riusciresti mai a passare sopra al fatto che io abbia avuto altre persone. Che Jenny esista o meno, non fa differenza, tu non mi vorresti più.-
-Certo che sono geloso di te, ma...-
Prendo un piccolo respiro e, a malincuore, devo riconoscere quanto Juliet abbia ragione. Quella crepa nel cuore torna a bruciare solo al pensiero di immaginarla con le mani di un altro addosso. Ho perso il controllo. Ho perso lei.
-Su questo non posso darti torto. Non posso sopportarlo, Juliet. Non ci riesco, mi dispiace.-
-Fai con lei tutto quello che facevi con me?-
-Non sono cose che ti riguardano.-
-Sei sempre così ingiusto.-
-Juliet, mi conosci. Perché ora ti atteggi come se non sapessi di cosa sono capace?-
-Perché credevo fossi cambiato! Con lei sembri un'altra persona!- strepita furiosa.
-Ci ho provato a cambiare ma non riesco a rinnegare me stesso.-
Juliet a quel punto sembra ridimensionarsi, riflette per qualche istante prima di cominciare a sussurrare con un filo di voce.
-Infatti non volevo dire questo. Non dovresti... Se ti ama, ti accetta per come sei, Alex.-
I suoi occhi sono di nuovo dentro ai miei.
-Lei ti ama?-
-È probabile- sollevo le spalle.
-E tu la ami?-
La fisso dall'alto.
Come posso dire una cosa del genere a Juliet?
La mia Juliet?
-Non... sì credo di sì. Sennò non ci starei insieme da due anni.-
-E cosa... hai fatto prima di conoscerla?-
-Qualsiasi cosa volessi.-
-Hai detto di non aver avuto rapporti con nessuna.-
-Infatti è così. È stata una mia scelta, non mi è mai piaciuta nessuna abbastanza da farlo.-
-Spero tu ti sia divertito.-
-Non voglio vivere in un circolo vizioso, non voglio vivere in funzione del mio desiderio di sopraffare gli altri, Juliet.-
-Non è qualcosa che scegli.- commenta lei senza entusiasmo.
-No, ma sono in cura da due maledetti anni per capire che cosa non va in me.-
La vedo serrare le palpebre, lentamente, come a voler calmare anche il suo respiro accelerato.
-Scusa se ho esagerato, Alex-
-È tutto okay, non scusarti.-
-Stai davvero meglio?- chiede quasi scettica.
-Ho risolto la trama di alcuni dei ricordi che mi facevano soffrire. Sto meglio.-
Finché non ti ho rivista.
-È una cosa... Mi fa piacere, dico sul serio. Non avrei dovuto parlarti così prima...- continua lei amareggiata.
Deglutisco.
-Nemmeno io avrei dovuto. Non volevo offenderti dicendo che non mi piace cosa stai diventando, vorrei solo tu fossi serena, felice per davvero. Perché se ti guardi dentro, lo sai di non esserlo.-
Lei curva le labbra in una mezzaluna rovesciata.
-E poi finiscila con le domande indiscrete. Non credo sia affar tuo quello che faccio nella mia intimità.- l'ammonisco con un'occhiata severa.
-Beh... tu sembravi morbosamente interessato alla mia.-
-È diverso, Juliet. Non voglio che finisci in mano di persone che ti facciano del male. E poi questo nemmeno ti basta. Pensaci. Perché lo tradisci?-
-Non ci posso credere... Io non posso sapere, mentre tu pensi di avere il diritto di decidere.- si ribella sotto al mio sguardo attento.
-Non senti niente con lui.- la stuzzico.
-Non è così. Sei un presuntuoso che crede di sapere tutto, ma non sai nulla.-
-Vedi di moderare le parole.-
Juliet ha una sensibilità tutta sua nel recepire i miei intenti, perché solleva le iridi con aria maliziosa.
-Oppure?-
-Oppure ti faccio inginocchiare davanti a tutti.-
-Beh, se pensi di avere ancora questo potere... fa pure. Illuditi.- sussurra sottovoce prima che Rick ci arrivi davanti.
-Andiamo? Sei qui perché stavi prendendo il cappotto?- domanda l'idiota, indicando la stanza accanto a noi.
-Dov'è che devi andare, Maverick?-
-Senti, quando siamo davanti ai genitori di Juliet tento di darmi un contegno, ma mi stai sul cazzo in un modo che non so spiegarti. Non mi faccio prendere per il culo da te, hai capito? Dacci un taglio.-
-Scusa ma non è il tuo nome, Maverick?- domando serio.
-Finitela voi due.- bisbiglia lei senza guardarlo negli occhi.
-Ma dove andate? Perché non rimanete?- Catherine ci richiama con un cenno. -Non avete assaggiato la torta.-
-Già, rimanete, Juliet.- sibilo fissando lo stronzo in cagnesco.
-Okay, magari resto ancora un po' per fare contenta mia mamma...-
Juliet abbozza quell'ipotesi, ma Rick se la porta via.
-Non ho voglia di tornare a casa da solo, andiamo da te.-
E quando lei oppone un po' di resistenza, lui comincia a insultarla.
-Non fare le solite lagne da bambina del cazzo, muoviti.-
-Va bene, saluto i miei.- bofonchia lei uscendo dal salotto.
-Juliet perché ti fai trattare così?-
La rincorro ma lei sembra non darmi ascolto.
-Rick ha ragione. Ho passato la serata con te e non a chiarire con lui.-
-No, Juliet. Non ha ragione.-
Ma cosa sta succedendo?
-Ci vediamo domani Alex.-
Juliet
In taxi sono rigida.
-Potevamo restare almeno per la torta.-
-Così tuo fratello ti scopava con gli occhi ancora un po'?-
-Smettila, ma che dici?-
-L'ho visto. E penso l'abbiano visto tutti. Che figuraccia.-
O no
-È il classico presuntuoso del cazzo che pensa di avere sempre ragione.-
-Avevi promesso che non avresti bevuto, Rick-
Lui sbuffa annoiato, poi si mette al cellulare.
Dopo poco arriviamo a casa mia e sulla soglia mi accorgo di essere un po' brilla.
-Mi gira un po' la testa.
-Non funziona come scusa.-
-Non è una scusa. Poi anche tu sei ubriaco e non mi va.-
Lo vedo andare in bagno, così mi tolgo il cappotto e mi sfilo gli stivali.
In quel momento noto una chiamata sul telefono, quindi esco in terrazzo.
-Juliet?-
-Alex cosa succede?-
-Stai bene?-
-Certo. Dimmi, che c'è?
-Volevo solo assicurarmi che stessi bene.-
-Benissimo.-
-Un po' insistente il tuo Maverick.-
-Ti odia.- sorrido mordicchiandomi il lato del labbro.
-Ha visto che non indossavi le mutande?-
-Alex...-
-L'ha visto oppure no?-
Rimaniamo in silenzio per qualche istante, ma sobbalzo non appena Rick esce fuori a petto nudo, cogliendomi di sorpresa.
-Che fai lì fuori? Entra dentro.-
-Arrivo.- mi affretto a rispondere.
-Ora.- sputa lui, prima di trascinarmi in casa.
-Ahia, okay, arrivo.-
-Chi è al telefono?-
-Mia madre- mento spudoratamente. -Lasciami un attimo.-
-Muoviti. Ci metto cinque minuti. Ho sonno.- ringhia Rick lasciandomi stretta contro la finestra.
-Juliet...-
Ad un tratto ricordo del cellulare che tengo in mano.
-Ti prego, Alex. Non dire una parola.-
E metto giù.
- Sei arrabbiata?-
Rick mi posa le mani sui fianchi e nel riflesso della tv spenta mi accorgo di avere il broncio.
-Non era mia intenzione dire quelle cose, Juliet. Cioè, sei tu che interpreti tutto in modo negativo. Era un complimento il mio.-
-Però mi sminuisci sempre.- sottolineo con distacco.
-Dicendoti che sei attraente?- sussurra carezzandomi la guancia. -E poi lo sai che non vedo nessun'altra.-
- Sì lo so.-
-Quindi perché devi farmi quelle scenate e farmi aspettare così tanto per vederti?-
-Ci vediamo tutti i giorni a lavoro.- reagisco accigliata.
-Hai capito di cosa parlo.- Rick prosegue baciandomi il collo, poi la sua mano s'insinua tra le mie gambe.
-È stata una settimana impegnativa e non sono proprio dell'umore. Non possiamo parlare prima?- propongo sottovoce.
Ma lui non mi sta più ascoltando.
Lo scroscio dell'acqua bollente m'induce a chiudere gli occhi.
Quando esco dal box doccia e mi avvolgo il corpo tremolante con l'asciugamano, mi accorgo di aver due chiamate senza risposta sul cellulare.
Poi un messaggio.
Scendi. Sono qui sotto.
Mi vesto di corsa e senza nemmeno asciugarmi i capelli, mi affaccio alla finestra che dà sulla strada, dove scorgo un'auto scura.
-Ti prenderai un accidente.- commenta Alexander quando m'infilo in macchina.
Evito di far ricadere il discorso sui miei capelli e vado dritta al punto.
-Ma cosa fai con la macchina affittata da John?-
Alexander stringe il volante tra le dita affusolate.
-La guida a destra è terribile.- borbotta lui.
-Non dovresti essere qui, Alex.-
A quel punto si volta a guardarmi.
-E tu non dovresti stare con lui. Ho sentito come ti tratta.-
-Ti prego non dire niente a mia madre.- Trattengo un singulto.
-Io lo ammazzo. Se ti ha fatto qualcosa...-
-Calmati, non mi ha fatto niente. È che sono io ad essere irritante, a volte.-
-Sì e lui dovrebbe ritenersi fortunato per questo.-
C'immergiamo in un silenzio profondo, finché nel buio lui non ricomincia a parlare.
-Hai pianto?-
-No.-
-Perché ci stai insieme se le cose sono così complicate?-
-Mi piace, ma.. non parliamo abbastanza.-
-Per questo ti vedi con un altro?-
-Senti, sto provando a colmare il vuoto che hai lasciato, ma non è facile.-
Alexander si porta entrambe le mani al viso, coprendosi gli occhi.
-Non devi essere dispiaciuto per me, sono scelte che faccio io, lo voglio io, Alex.-
-Non sono dispiaciuto, ma vorrei... ucciderlo.-
In quel momento sento dei passi provenire dalla strada. Rick prova ad aprire la portiera del passeggero.
-Juliet, scendi.- lo sento strepitare.
Con uno scatto di riflessi, Alexander inserisce il blocco automatico alla portiera, impedendomi di uscire, poi scende dall'auto. Dal finestrino li vedo discutere animatamente, finché non decido di traslare nel sedile del guidatore per raggiungerli.
-Rick torniamo dentro.-
Lui però mi afferra dal braccio, causando uno sguardo furioso sul viso di Alexander.
-Non toccarla.-
-Alex, calmati. Rick è solo ubriaco.-
Compio un cenno con la mano, invitandolo a farsi da parte. Alexander serra la mascella e con mia sorpresa sembra fare un passo indietro.
-Cosa vuole? Perché l'hai fatto venire qui?- domanda Rick confuso.
-Stiamo solo parlando. Forse è meglio se torni a casa tua.-
-Fai sul serio? Ci metto un'ora a tornare a casa. Ho sonno.- si lamenta stropicciandosi gli occhi.
-Okay se vuoi puoi rimanere da me, ma torna dentro.-
-E tu? Resti con lui?- Rick indica la sagoma alle mie spalle.
-Stiamo solo parlando. Dammi ancora due minuti.-
Conosco Rick, non è affatto un tipo combattivo, soprattutto dopo che ha già ottenuto ciò che vuole.
I due si lanciano occhiate di fuoco, mentre io sto tremando per il freddo.
-Come ti pare, Juliet... Fa pure.-
Vedo la sua figura sparire oltre al portone, quindi seguo Alexander che mi fa cenno di tornare in macchina.
-Perché il tono di quello stronzo aveva il sapore di una minaccia?-
-No, è solo una tua impressione, Alex.-
Sto mentendo, Rick sa come tenermi in pugno.
-Sarebbe meglio se Maverick non venisse al ricevimento di domani...-
- Mia madre ci tiene. Ha già organizzato i tavoli con i nomi e...-
Alexander mette in moto al fine di azionare il riscaldamento, poi lancia uno sguardo ai miei capelli umidi.
-Già, ma lui non sembra non apprezzare, Juliet.-
-Cosa?-
Infine mi guarda negli occhi.
-Di stare con la ragazza più bella del mondo.-
-Ma che dici?- salto su con le gote ormai in fiamme.
-La verità, Juliet. Non è quello giusto. E lo sai.-
-Non esiste quello giusto.- realizzo a voce alta.
-Vorrei stessi con qualcuno che ti trattasse meglio di come ho fatto io.-
Una miriade di aghi mi trafigge lo stomaco.
-Forse dovrei rientrare.- sibilo senza muovermi da quel sedile.
-No, ti porto via.-
-Non posso.-
-Hai paura di lui?-
-No è che.. abbiamo in ballo una trattativa importante, non posso creare tensioni in ufficio.-
-Non avrai mica paura che si vendichi e ti faccia licenziare?-
-Come se queste cose non accadessero... Ma no, il mio contratto di lavoro sta per volgere al termine, se voglio un rinnovo, devo evitare guai.-
Alexander si lascia cogliere da un cipiglio sospetto.
-Hai mai avuto paura di me, Juliet?-
Mimo un cenno di dissenso scrollando il capo. -No.-
-Te lo chiedo per favore, lascialo.-
-Non posso, non ora.-
-Cristo.- Lo vedo sbuffare con impeto, per rilasciare la tensione.
-Tu non lo conosci. Rick ha fatto fuori un suo rivale mettendo voci false sul suo conto. È un grande arrivista e farebbe qualsiasi cosa per ottenere quello che vuole.- mi lascio scappare quel commento, dettato dall'impulso.
-Avevi già pensato di lasciarlo?-
Chino il capo.
-Perche non ne l'hai detto, Juliet?-
-Perché ti preoccupi così per me?-
Il mio mormorio lo convince a voltarsi. Fissa le mie mani, strette al grembo.
-Ti ho promesso che ci sarei stato per te. Sempre.-
-Secondo te perché lascio che persone mi facciano del male, Alex?-
Ricurva e infreddolita, avverto la sua vicinanza.
-La colpa non è tua, Juliet.-
Alexander si sporge dal sedile per allacciare un braccio intorno alle mie spalle tremanti.
-È mia e di quello stronzo.-
E in un attimo mi abbraccia.
-Vieni con me.- sussurra tra i miei capelli.
-Juliet! Finalmente!-
Quando torniamo nella stanza d'hotel, Jenny è sveglia e ha tutta l'aria di essere preoccupata.
Ero stata così presa dalle ultime vicissitudini che mi ero dimenticata di lei.
-Stai bene?- domanda sbattendo le palpebre.
-Juliet dorme qui.- sputa Alexander senza troppe emozioni.
-Sì grazie. Io...-
-Non mi devi spiegazioni, tranquilla.- mi rasserena lei.
Indossa un pigiama di seta bianca, una crocchia scomposta e una faccia rassicurante.
-La suite è grande abbastanza, puoi avere la tua privacy qui.-
Lei mi indica il divano nel soggiorno sul quale dovrei dormire.
-Oppure vado da mia madre.-
-E tardissimo, la farai preoccupare e domani è il suo grande giorno. Tieni.-
Jenny mi porge un mucchietto di cotone e quando lo srotolo mi accorgo che è una grossa maglia del pigiama.
- È un po' grande, lo so ma si pulita ho solo questa, è quella che uso quando ho il ciclo.-
Le sorrido, intanto tendo il collo e mi sporgo verso la loro camera per cercare Alexander, ma lui è già sparito.
-Buonanotte.-
Io e Jenny ci scambiamo quel saluto, prima che lei faccia slittare la porta scorrevole e mi lasci sola con i miei pensieri.
Mi sveglio con il cuore in gola. Per un attimo non ricordo dove mi trovo. Tutto intorno a me è estraneo. Ciò che però intuisco immediatamente è che è già mattino inoltrato. La porta della camera è rimasta aperta, così decido di sbirciare per individuare il bagno. Una metà del letto è vuota, l'altra no. Alexander sta ancora dormendo.
Attraverso la camera in punta di piedi per non svegliarlo, ma il cigolio della porta del bagno gli fa aprire gli occhi.
-Juliet?-
-Scusa, non volevo svegliarti. Posso usare il bagno?-
-Sì.-
Dopo aver fatto pipì, lavo i denti con uno degli spazzolini usa e getta impacchettati che trovo sul ripiano del mobile, infine mi concentro sullo specchio. Come da previsione, il mio riflesso è un disastro.
Mi perdo qualche istante a rimirare i prodotti perfettamente allineati davanti a me. Creme, trucchi e cose che appartengono ad un'altra ragazza. Una piccola crepa comincia a riaprirsi nel mio petto. Indietreggio, ma senza farlo apposta faccio cadere una confezione di profumo. I vetri s'infrangono sul pavimento di marmo.
-O mio dio.-
-Juliet stai bene?-
Alexander si precipita in bagno con una maglietta bianca e un paio di boxer scuri.
-Sì. Scusa ho...- Gli indico il casino appena combinato.
-È tutto okay. Ti sei tagliata?
-No.-
Lo vedo tendermi il fazzoletto che tiene tra le mani.
-L'ha lasciato Jenny, è per te.-
Osservo la scritta che macchia la carta.
Ciao Juliet. Se vuoi fare colazione, puoi usare il mio nome e andare al buffet al posto mio. Jenny
-Dov'è Jenny?- domando osservando il fazzoletto con aria confusa.
Alexander finisce di lavarsi i denti, prima di rispondere.
-Di solito si alza all'alba per andare a correre, starà facendo colazione in giro per la città.-
-Sei fortunato.-
A seguito della mia constatazione, lui non fiata, si limita ad annuire.
-È una ragazza d'oro. Ti aiuta ad essere migliore.-
-La terapia mi aiuta.- ribatte muovendo a malapena le labbra.
Sorrido, poi poso il fazzoletto sul mobile.
-Hai capito cosa voglio dire. Non ti sei accontentato.-
-No. Jenny è il ritratto della perfezione.- ammette affondando lo sguardo nel mio.
Alexander muove un passo nella mia direzione e quando abbassa il capo mi sento sopraffatta dalla sua bellezza.
-Ma sai, Juliet... Non ha il tuo profumo, le tue labbra, i tuoi occhi.-
I nostri occhi si posano sulle rispettive bocche, ma Alexander riesce ad essere abbastanza lucido per parlare ancora.
-Rifammi quella domanda.- sibila poi ad un soffio dalla mia guancia.
Quale domanda?
In questo momento sono in preda alla confusione più totale, i suoi specchi bui sono troppo vicini, sento le gambe voler cedere alla gravità.
-Alex, se lei non esistesse...-
Alexander si avvicina al box doccia e aziona il getto dall'alto, che dopo poco comincia a fluire bollente.
-Sarebbe un errore tra me e te, ma non m'importerebbe.-
Percepisco il suo respiro di menta solleticarmi le labbra quando china il viso per allineare il naso al mio orecchio.
-Ora chiudi la porta a chiave.- sussurra languidamente.
Non me lo faccio ripetere due volte, muovo due passi in direzione della porta e giro la chiave.
Il suo sguardo è serrato, me ne accorgo non appena gli torno davanti e sollevo il capo.
Alexander mi sfiora lo zigomo con i pollice, poi però ritrae la mano stretta a pugno, come pentito di quel piccolo gesto.
-Non ti toccherò, Juliet.- annuncia prima di agguantarmi dai fianchi per farmi sedere sul mobile.
-Nemmeno se ti dessi il permesso?-
-Non posso toccarti, Juliet. Non posso. Ma lo farai tu.-
Innalzo di nuovo lo sguardo, questa volta Alexander compie un passo indietro.
-Che vuoi dire?- domando con il filo di voce mentre lui si sfila la t-shirt.
-Sarà la prima e ultima volta-. Impartisce, senza mai interrompere il nostro contatto di sguardi.
Osservo dapprima i suoi capelli scuri, lievemente scompigliati, poi i suoi occhi ancora assonnati. Ma a farmi sussultare sono le sue mani che si allacciano intorno ai miei polsi, lasciandomi percepire tutta la loro forza. Imprigiona il mio volere nei suoi palmi freddi, conducendo le mie mani dove preferisce. Tra le mie gambe.
-Ti ricordi quando ho detto che non ho mai smesso di guardarti, Juliet?-
Il cuore comincia a scoppiarmi nel petto, il modo in cui Alexander modula la sua voce, il modo in cui mi parla, è sempre lo stesso.
E quando mi libera dalla sua presa, i polsi mi cascano sulle cosce leggermente scoperte.
Un brivido mi scuote le spalle perché Alexander carezza lentamente le mie ginocchia, il dorso della sua mano traccia le mie gambe, con il solo intento di sollevare la maglia che mi avvolge il corpo.
-Se non posso averti, voglio continuare a guardarti.-
La mia t-shirt è ormai un mucchietto stropicciato intorno ai fianchi e i suoi occhi sono lame taglienti conficcate nel mio punto più profondo, coperto solo dalle mutande.
Lo vedo sospirare, indeciso.
-Cosa vuoi fare, Alex?-
Lui seguita scandagliare il mio corpo con un'occhiata cupa, quasi violenta.
-Morderti.-
Lo scrocio dell'acqua attutisce i suoni, per un attimo credo di non aver compreso e probabilmente penserei di aver capito male, se non intuissi che i suoi occhi comunicano lo stesso desiderio primordiale delle sue labbra.
Lo vedo scendere tra le mie gambe e in attimo il suo respiro caldo riverbera sul cotone delle mutande. La sua bocca si apre e comincia a strisciare su di me, evitando di proposito la parte di cotone, per carezzare solo il mio inguine scoperto.
Quando avverto la durezza dei suoi denti slittare lungo la pelle dell'interno coscia, serro le gambe.
-Non ti mordo, sta' tranquilla.- lo sento mormorare dal basso.
-Perché vorresti farlo?-
Alexander torna in piedi e curvando il capo mi penetra con un'occhiata ardente.
-Devo darti una motivazione, Juliet?-
-Vuoi solo che lui veda i tuoi segni addosso, vero?-
I suoi occhi febbrili cascano nuovamente sulle mie mutande.
-Spostale.-
-Fallo tu, Alex.-
Lo fronteggio a testa alta, siamo entrambi uno di fronte, entrambi vulnerabili.
Alexander si morde il labbro inferiore, prima di mimare un cenno di diniego.
-No.-
-Che gioco è questo?-
-Hai due possibilità. Puoi andartene o restare.- lo sento sussurrare.
A quel punto sembra non riuscire più a resistere e chiarifica le sue intenzioni raccogliendo nuovamente la mia mano. Le sue dita gelide sono interessate a carezzarmi indice e medio. Un mugolio abbandona la gola di Alexander quando, dopo aver indirizzato le mie dita proprio nel punto in cui desidera, comincia ad applicare una lieve pressione per farle scivolare dentro di me.
-Vuoi questo?- domando nel percepire la soddisfazione sul suo volto, nel vedermi riempita con le mie stesse dita.
-Preferirei non dirti cosa vorrei in questo momento, Juliet-
Il suo respiro di menta pizzica il lobo del mio orecchio e non posso fare a meno di gemere quando porta il petto nudo contro il mio, il suo basso addome è teso e la sua erezione nascosta dai boxer spinge sulle mie nocche deboli, obbligandomi a premere le dita ancora più a fondo.
-Non un suono, piccola Juliet.-
Lui chiude occhi e io, con la mano libera, gli circondo i fianchi per sentirlo più vicino al mio corpo.
-Juliet, no.-
Le nostre labbra si sfiorano, ma Alexander indietreggia prontamente.
A quel punto sollevo la maglietta, mostrandogli una porzione di fianco.
-Puoi fare quello che vuoi.-
Le mie parole mandano in fibrillazione i suoi occhi, che si accendono all'improvviso.
Lo vedo chinarsi sul fianco scoperto mentre i nostri sguardi rimangono incatenati.
Scie di baci avidi si propagano sulla mia pelle. Baci, morsi e leccate ruvide.
Avverto la sua erezione sconfinata spingere nei boxer e pulsare contro la mia pelle.
Inarco la schiena perché ormai il mio fianco non è più di suo interesse. Alexander infatti, sembra dimenticare ogni proposito iniziale e comincia a mordere i miei capezzoli con dovizia, imprigiona la mia carne, infliggendomi piccole dosi di dolore alternate a baci voluttuosi.
Non so cosa sia stato a causare la sua eccitazione, ma di certo so cos'ha scatenato la mia. La sua vicinanza manda in fumo qualsiasi mio tentativo di resistergli e il mio respiro affannato diventa un tutt'uno con il gorgoglio dell'acqua che sta ancora scorrendo. I suoi mugolii silenti si dissolvono nell'aria e i movimenti ripetuti si perdono nella grossa nube di vapore che ci circonda.
Con una mano in vita mi tiene ferma, mentre l'altra scivola sulla mia bocca per zittire ogni mia voglia di urlare, nel momento in cui i miei sensi si abbandonano al piacere.
Quando riapro gli occhi, la prima cosa che cattura la mia attenzione sono le macchie rossastre sparse sul mio corpo, la bruciante sensazione di dolore sembra attutita dagli spasmi piacevoli che hanno appena attraversato il mio basso ventre. Mi accorgo di avere la mano completamente bagnata dei miei umori e quando solevo lo sguardo, Alexander si sta guardando i boxer.
-Cristo, Juliet.- bofonchia facendo scivolare il pollice lungo la sua eccitazione coperta a stento dal cotone.
-Vieni qui.- lo sento dire, fissandomi la bocca, ormai a corto di fiato.
-Forse non avremmo dovuto farlo.- commento confusa e travolta da un'ondata di benessere.
Alexander passa il pollice lungo la sua erezione raccogliendo quello che resta del suo orgasmo, poi con gli occhi socchiusi è il petto ancora ansante, lo lascia slittare il tra le mie labbra socchiuse.
-No, Juliet. Non avremmo dovuto.-
Il suo sapore mi travolge e io compio lo stesso medesimo gesto. Lui sembra gradire, perché assapora le mie dita con occhi socchiusi.
-Ci vediamo al ricevimento, oggi pomeriggio.- mormora con aria spaesata.
- Va bene.-
-Juliet, se torni a casa e lui è ancora lì. Voglio dire, se hai bisogno...-
-Perché sei venuto a prendermi ieri sera? Perché mi hai permesso di dormire qui?-
-Lo sai perché, Juliet.-
-Perché fai tutto questo per me, Alex?-
-Lo hai sempre saputo.-
Quando ritorno a casa incontro Rick, che è in procinto di uscire dal mio appartamento.
-Dove sei stata?-
-Ho dormito da mia madre. Te ne vai solo ora?- sbotto controllando l'ora.
Sono già le dieci e io sono un disastro. Devo completare un'opera di restauro non indifferente.
-Sto andando a prendere un regalo per i tuoi, Juliet.-
-Forse è meglio se non ci vieni.-
-Senti, ieri ho bevuto e...-
-Non ricominciare-
-Juliet. Per favore.-
-Cosa?-
-Ti chiedo scusa. Non avrei dovuto trattarti in quel modo.-
-Lo fai sempre.-
-Lo so, ma sono nervoso per il lavoro. Appena chiudiamo questa trattativa ti prometto che...-
-Non farmi promesse che non puoi mantenere.-
-Catherine mi ha invitato al ricevimento, ci tengo a fare bella figura con i tuoi.-
-Okay puoi venire ma a patto che tu non beva.-
La sua espressione di finta accondiscendenza non mi entusiasma, vorrei solo andasse tutto bene oggi.
Mia madre mi fissa con un cipiglio quando, in tarda mattinata, passo per darle una mano con i preparativi.
-Che c'è mamma?-
-Hai dormito stanotte? Hai delle occhiaie.-
-Lasciamo perdere. Tu sei pronta a rinnovare i tuoi voti di matrimonio?-
-Sì. Amo John ogni giorno di più, Juliet.-
-Bene. Senti, ehm nel caso io...-
A quel punto la vedo allargare le palpebre.
-Oddio, sei incinta?-
- Mamma no!- Strillo inorridita.
-Il mio contratto di lavoro sta per giungere al termine e mi hanno proposto un trasferimento.-
-Dove?-
Sorrido, quindi lei sgrana nuovamente gli occhi.
-O mio dio!- esclama euforica, prima di abbracciarmi.
-A Londra, vero?-
Annuisco, ma mia madre mi stringe così forte che non riesco nemmeno a respirare.
-Juliet mi renderesti così felice! Hai accettato, vero?-
- Non lo so ancora, mamma.-
Ormai è partita, non c'è nulla che può frenare la sua felicità e, visto il suo giorno speciale, non voglio smorzarle l'entusiasmo.
Proprio mentre stiamo decidendo su quali tavoli posizionare i cartellini con i nomi degli invitati, vedo Alexander fare il suo ingresso nel grosso salone.
E non è da solo.
Fingo di non notarlo, borbotto un "ciao" senza troppa partecipazione, ma Jenny mi rivolge la parola.
-Stai meglio, Juliet?-
Annuisco imbarazzata. Non ho il coraggio di guardarla in viso in questo momento.
- Sì grazie.-
E dopo aver sprecato parole carine nei miei riguardi, Jenny si rivolge a mia madre.
-Catherine è tutto perfetto. I fiori all'ingresso sono così belli.-
-Le peonie sulle scale le hai viste? Vieni ti mostro una cosa, Jenny.-
Mia madre prende sottobraccio la ragazza e se la porta via, lasciandomi nell'incertezza più totale.
Alexander afferra il cartellino di Rick e inizia a giocherellarci.
-Mhm.-
-Non rompere.-
Lui però inarca un sopracciglio con fare teatrale.
-Senti non mi va di rovinare la cerimonia dei nostri genitori. Chiuderò con lui quando ve ne andrete.-
-Non ti credo.-
-Io e te non dovremmo nemmeno stare nella stessa stanza dopo questa mattina.- mormoro lanciando occhiate preoccupate verso la porta.
-Tu dici?-
-Non sei poi tanto meglio di me, Alex -
Lui rimane a bocca socchiusa per qualche istante, fortuna che Jenny e mia madre fanno il loro ritorno.
-Ci vediamo tra poco, allora. Andiamo a cambiarci.-
Mia madre li saluta con un abbraccio e così sono costretta a fare anch'io. Alexander risponde al mio abbraccio sussurrandomi nell'orecchio.
-Attenta a ciò che dici, piccola Juliet.-
-La parte in cui bisognava entrare in una chiesa non era stata menzionata.-
Alexander e Jenny sembrano due modelli da copertina. Lei non è molto slanciata, ma con i tacchi e quell'abito aderente che supera il ginocchio, appare ancora più bella. Lui invece sembra spaventato quando ci avviciniamo portone di quello che è un antico edificio.
-Non hai ancora superato la paura di prendere fuoco quando entri in chiesa?- lo prendo in giro.
I suoi occhi mi rincorrono con un'occhiataccia fredda, ma non apre bocca questa volta.
Probabilmente si starà mordendo la lingua.
In chiesa, Alexander trascorre l'intera mezz'ora di sermone sorreggendosi la testa con la mano, come per ignorare il supplizio del prete.
Quando tutto finisce sono già le tre e io sembro l'unica affamata perché gli altri si prodigano a fare foto e convenevoli inutili.
Finalmente raggiungiamo la location per la festa. Questa si trova all'interno di un palazzo storico ed è veramente mozzafiato, tant'è che tutti gli invitati si complimentano con mia madre per la bellezza della sala addobbata alla perfezione.
Jenny viene più volte rapita da amici e parenti che sembrano voler sapere ogni cosa sul Giappone. Ne approfitto quindi per stuzzicare Alexander e negli infiniti minuti di noia in cui attendiamo che arrivino tutti a destinazione, mi avvicino a lui.
-Lo sai che ha dilapidato il patrimonio di tuo padre per fare questa cosa?-
Lui sbuffa, poi m'inchioda con uno sguardo intenso.
-Tu invece lo sai che tutti i tuoi tentativi di non farti beccare, mentre mi fissavi, in chiesa, sono andati in fumo?-
-Stai molto bene vestito così.-
-Le indossi le mutande?-
-Ti sembra una domanda da...-
Un'anziana signora ci passa di fianco, quindi mi blocco e le rivolgo un candido sorriso.
-Rispondi, Juliet. Non è difficile.-
-Sì.-
-Hai intenzione di tenerle ancora per molto?-
-Perché fai così adesso?-
Alexander corruccia la fronte, appare realmente confuso dalla mia richiesta.
-E non dirlo che lo fai per me.- aggiungo.
-Lo faccio per entrambi, Juliet. Io mi diverto, tu ti distrai e smetti di pensare a lui.-
Lo spiega con sufficienza, come se i suoi metodi fossero la cosa più naturale di questo mondo. Come se alla nascita non gli avessero iniettato un siero infernale nelle vene, per renderlo il ragazzo più tossico di questo pianeta.
-Vorrei proprio sapere cosa ci fai con le mie mutande.-
Alexander mi stritola con i suoi occhi tormentati e belli.
-Oh non lo vuoi sapere, Juliet.- sibila prima di voltarmi le spalle.
Pensavo che accomodarmi al tavolo insieme a Rick mi aiutasse a tenerlo d'occhio, ma mi basta qualche scambio di battute per accorgermi che ha già bevuto durante il buffet. Stranamente però, oggi Rick è più silenzioso del solito, forse perché ha davanti Alexander che lo incenerisce con lo sguardo ogni volta che mi si avvicina al viso per parlarmi.
-Se ti bacio che succede?- ridacchia quest'ultimo indicando Alexander. - Il tuo caro fratellastro l'aria di uno che vorrebbe commettere una strage.-
-E la cosa ti fa ridere? Smettila, avevi promesso che non avresti bevuto.-
-Juliet ha una bella notizia.- Mia madre richiama l'attenzione del nostro tavolo con quell'annuncio imprevisto.
-Quale mamma?- Sgrano gli occhi.
-Il tuo trasferimento, no?-
-Quale trasferimento?- domanda Alexander volgendosi nella mia direzione.
-Juliet ha quasi terminato il contratto e potrebbe trasferirsi a Londra.- spiega mia madre.
-O non penso proprio. - s'intromette Rick con una risata di supponenza.
- Beh, è Juliet a decidere, no?- puntualizza John che, come suo figlio, non sembra amare particolarmente Rick.
-Scusateci un attimo-
Quest'ultimo mi afferra dalla manica del vestito e mi trascina nei pressi dei bagni, dove possiamo parlare più tranquillamente, lontani dal chiasso degli invitati.
-Perché vuoi tornare a Londra?-
-Ci sto pensando, okay?-
-È per lui?- strepita indicando il tavolo di Alexander.
-Abbassa la voce. No, è perché ho una famiglia lì...-
-Non sei tornata a casa dormire. Chiedo a tua madre se è vero che hai dormito da lei?-
Chiudo gli occhi, ormai sfinita.
-Per favore, non fare drammi. Non oggi, mia madre ci tiene.-
-Sei una bugiarda.- mi accusa Rick continuando ad alzare il tono.
-Penso che tu debba andartene, Maverick.-
Alexander ci raggiunge e senza troppi complimenti, gli indica l'uscita del salone.
-Non se lo dici tu.-
-È meglio se vai, lo dico per te.-
-Non ti ci vedo a mettermi le mani addosso.- lo provoca Rick, allargando le spalle.
-Infatti non ti toccherei, ma potrei aver toccato il tuo bicchiere. Fossi in te non mi addormenterei questa notte.-
Rick va sotto al mento di Alexander ma quando mi avvicino per separarli, vengo spinta via con violenza.
-Non ti mettere in mezzo.- mi intima Rick con voce inviperita.
Rimbalzo contro la porta e sbatto l'anca contro la maniglia della porta.
Lo sguardo di Alex sfreccia nella mia direzione, ma è la voce di John ad interrompere le discussioni.
-Va bene, credo di aver visto abbastanza.- tuona quest'ultimo e si rivolge a Rick, che lo osserva incredulo.
-Vai via o chiamo la polizia immediatamente, scegli tu.-
-Juliet?- Rick cerca la mia comprensione, ma io non ne posso più di questi tira e molla.
-È meglio se vai...- mormoro sottovoce.
-Tuo figlio ha minacciato di avermi avvelenato il bicchiere. Voi siete tutti pazzi.-
-Oh sì, puoi ben dirlo. E se c'è qualcuno per cui finirei volentieri in galera, quello sei tu, Maverick.- sputa Alexander.
Rick mi lancia uno sguardo carico d'odio, poi, con il volto paonazzo e imbarazzato, lascia la festa.
Resto di stucco quando John mi afferra da entrambe le spalle e mi osserva con occhi preoccupati.
-Juliet dovresti tenere lontano quel tipo.-
-Non posso John, renderà la mia vita un inferno. Domani in ufficio racconterà qualcosa sul mio conto e tutti mi odieranno.-
-Non puoi farti condizionare da ciò.-
-Il lavoro tutto è tutto quello che ho.- provo a spiegare.
-No Juliet. Hai noi, siamo la tua famiglia.-
John mi abbraccia e io mi ritrovo a non volermi staccare da quel contatto.
-Grazie, per tutto quello che fai per la mamma.-
Poi è inevitabile, mi massaggio il fianco che ho battuto poco prima.
-Ti aiuto?- domanda Alexander a quel punto.
-Meglio di no.- sussurro prima che possa sfiorarmi.
-Se Juliet ha bisogno, chiama sua madre. Andiamo Alex, Jenny ti aspetta.-
John ristabilisce una chiara distanza tra noi, ricordandoci i nostri ruoli.
Controvoglia, io e Alexander ci separiamo. Lui torna al tavolo, io mi chiudo in bagno, ma vorrei non uscire mai più.
Vorrei giornata la finisse.
Vorrei riuscire a stargli lontana, perché è inutile illudermi.
Non so quanto tempo trascorro con lo sguardo fisso nel vuoto che riflette lo specchio, ma ad un tratto sento qualcosa vibrare nella borsa.
Quanto ti devo cercare piccoletta?
Quel messaggio mi causa un sorriso così ampio che non riesco a reprimerlo.
Sono ancora in bagno. scrivo prima d'inviare.
Dopo pochi istanti sento bussare alla porta.
-Perche non me l'hai detto di Londra?-
Compio un passo indietro per permettergli di fare il suo ingresso in bagno.
-Non volevo spaventarti- confesso senza fiato.
-Ci verrai?-
-Tu vuoi?-
-La domanda è un'altra Juliet.--
-Ma tu vorresti...?-
Vederlo chinare il capo non è un ottimo presagio.
-Devi decidere da sola. Fammi vedere il fianco.-
-Ehm...-
Cerco la cerniera ma questa è situata sulla schiena e dovrei comunque sfilarmelo completamente per arrivare a scoprire il fianco.
-Sollevalo di lato.- suggerisce lui.
Così mi appoggio al lavandino, poi alzo il vestito.
Il segno del suo morso si staglia ormai violaceo sulla mia pelle.
-Quello che ti sei appena procurata, è un graffietto, rispetto a ciò che ti ho fatto io.-
Lo commenta sfiorando il graffio, in contrasto con i suoi lividi.
-Sono due cose molto diverse.-
Alexander annuisce, mentre io in quel momento mi lascio sopraffare dalle emozioni.
-Perché dopo anni riesco ancora a sentirla? Riescono persino gli altri a sentirla.- rigetto di colpo.
-Questa tensione?- chiede lui, completando il mio pensiero.
-Sì-
A quel punto si china per baciarmi la ferita.
E io chiudo gli occhi.
-Perché io ricordo perfettamente. E anche tuA
Ecco perché, Juliet.-
-Mi è difficile, Alex.-
-Cosa?- domanda abbassandomi il vestito.
-Non finire in ginocchio ogni volta che ti vedo.-
Lo vedo drizzare la schiena, mentre stringe le mani sul bordo del lavabo, è teso.
-Lo è anche per me se mi dici queste cose.-
-Ora puoi andare. Devo fare pipì.-
-Beh, falla.- sputa voltandosi nella mia direzione.
-Cos'è? Un tuo nuovo kink?-
-No, è sempre lo stesso, mi piace vederti a disagio.-
-Sei proprio stronzo. Esci.- sorrido scrollando la testa.
Lui però incrocia le braccia al petto.
-Lo sai che non esco da qui.-
Decido di non indugiare oltre, faccio ciò che mi ha chiesto, ma mentre sono seduta, lui si curva verso di me per abbassarmi le mutande alle caviglie, fino ad arrivare a sfilarmele per poi nasconderle in tasca.
-Avanti, non posso stare al ricevimento senza.-
-Visto ciò che hai appena fatto, potrai fare anche questo.-
Ma invece che esibire il suo solito tono soddisfatto, lo vedo tentennare.
Alexander mi nasconde qualcosa.
-Perché sei ancora qui? Voglio dire... Rick se n'è andato.-
-Beh...-
E se fosse lui a doversi distrarre?
-C'e qualcosa che devi dirmi, Alex?-
-Non ora, Juliet.-
-Oh. Okay.-
-Esco prima io.- annuncia prima di abbandonare il bagno.
Trascorro tutta l'ora seguente a giocare con Tristan per evitare i discorsi degli adulti, ma quando arriva il dessert, decido che è arrivata l'ora di tornare al tavolo.
E anche ora, i discorsi non sono dei migliori.
Si parla di matrimonio.
-Amo i bambini. Ne vorrei almeno tre.- esclama Jenny con occhi sognanti.
È inevitabile che i miei occhi vadano a sondare la reazione di Alexander che, come da previsione, è riluttante.
-Gli uomini non sono mai pronti.- generalizza John.
-Già e lo stesso vale per il matrimonio. Insomma... Noi non siamo una coppia tradizionale. Alex non si metterà a farmi la proposta alla vecchia maniera.- sorride Jenny.
-O beh, di certo non sarà lui ad inginocchiarsi per fartela.- ridacchio tra me e me.
Mi lascio andare ad un commento istintivo che causa un momento di gelo assoluto.
Lo sguardo di Jenny si pietrifica.
-Ehm era... Stavo scherzando.-
Alex mi lancia un'occhiataccia, gli altri tornano a parlare del più e del meno, ma Jenny è l'unica che sembra rimasta sospesa, ferma a quella frase. Ha l'espressione di chi ha appena realizzato qualcosa d'importante.
-Io non stavo scherzando.- aggiunge poi con sguardo ferito, fissandomi dritta negli occhi.
Mia madre inizia a tossire.
-Che vorresti dire, Jenny?-
-Abbiamo una data per prossimo anno.-
Quell'affermazione causa un po' di trambusto intorno a me. Le voci si sollevano, qualche risata si spande nell'ambiente circostante.
Non capisco.
Tutti sembrano capire, tranne me.
Di quale assurdità stanno parlando?
Fisso Alexander che però evita il mio sguardo, muovendo il suo a lato.
-Vi sposerete?- domanda John, confuso quanto me.
-Sì.-
Jenny a quel punto pronuncia quelle due lettere senza staccarmi gli occhi di dosso.
E in un attimo, la mia faccia viene travolta da una smorfia di dolore. Nessuno può impedirmi di essere inorridita, spaventata, disgustata davanti a tale evenienza.
Non ricordo nemmeno il momento in cui mi sono alzata da quel tavolo e me ne sono andata fuori da lì, come una furia.
-Juliet fermati.-
Ad un tratto mi ritrovo all'esterno di quell'edificio. Sto continuando a camminare e l'aria ghiacciata mi trafigge il volto, ma nonostante ciò, non riesco a sentire nulla.
-Juliet, fa freddissimo. Rientra.-
Alexander mi rincorre e solo allora decido di arrestare la mia fuga.
-Me l'avresti dovuto dire!-
-Lo so.-
-Subito. Nel momento in cui hai messo piede in questo paese!- strillo senza fiato. - Quando sei entrato in casa mia.-
-Sono quelle cose che si programmano con largo anticipo...-
-Ti sei preoccupato per me, hai guidato fin dall'altra parte della città per venirmi a prendere, mi hai fatto delle scenate, mi hai fatto credere...-
Alexander raccoglie le mie mani tremolanti, stringendole tra le sue.
-Juliet quello che sento per te non ha nulla a che vedere con ciò che faccio.-
Il pianto fuoriesce impetuoso e mi offusca la ragione. Non riesco nemmeno a respirare. La morsa che mi soffoca il petto e così stringente, che ad un tratto mi sembra di morire.
-Scusa, non volevo lo scoprissi così. E sì, avrei dovuto dirtelo.-
Alexander mi sta abbracciando, me ne rendo conto solo quando inizio a respirare il suo buon profumo, mentre sporco di lacrime la sua camicia stirata.
-Perché facciamo così? Come non ci fossimo mai separati?- Sto singhiozzando.
Alexander mi lascia un bacio in fronte.
Un bacio che dura troppo poco perchè alle sue spalle intravedo Jenny e ci sta guardando.
-Devo andare.-
Alexander
In ritorno in hotel è più turbolento del previsto.
-Come fa a saperlo? Come fa a conoscerti così bene?-
Jenny ha deciso di non lasciar correre.
È bastata la battuta di Juliet per farle mettere insieme i pezzi del puzzle e quando ci ha visti abbracciati, in lacrime, ha solo avuto un'ulteriore conferma.
-Avete fatto sesso?
-Più di una volta.-
Lei sgrana gli occhi ma lo shock non le impedisce di continuare a farmi il terzo grado.
-Siete stati insieme?-
A quel punto trattiene il respiro, come se la risposta avesse il potere di distruggerla, ma io non posso mentire.
-Mi ero innamorato di lei.-
-È acqua passata?-
Jenny cerca una rassicurazione e sta tremando.
- Sì. Non possiamo stare insieme.- spiego conciso.
-Ti ha lasciato lei?-
-Se n'è andata e io l'ho lasciata andare.-
-Va bene ma...Torneresti mai con lei?-
- No. Il pensiero che sia stata con un altro non mi fa dormire la notte. Non vorrei mai stare con lei.-
-Ma cosa significa, Alex? Io ho avuto dei ragazzi prima di te e lo sai.-
-Tu non sei Juliet. Con Juliet è diverso.-
Quella mia uscita la morde nell'orgoglio.
-Sei un bugiardo.-
Il tassista ci lancia un'occhiata curiosa.
-Mi dispiace, Jenny.-
-Bastava dirmelo.-
-Preferisco nasconderlo anche a me stesso.-
-Non è una scusa. Non se abbiamo parlato di matrimonio.-
-La nostra vita, i nostri piani non c'entrano con Juliet.-
-Stai sbagliando e lo sai, Alex.-
Quando rientriamo in stanza, Jenny continua a rabboccare le ciocche di capelli che le cadono in viso. È nervosa. Io vorrei poterla rassicurare, ma non le ho ancora detto la parte peggiore.
-Mi dico... potrebbe essere una svista. Ma come può essere una svista dimenticarti di dirmi che provi qualcosa per la tua sorellastra?-
Sta usando il presente di proposito.
-Da quando sono qui non l'ho mai baciata ma...-
Il suo viso solitamente sereno, si trasforma in un mare in tempesta.
- Cosa mi stai dicendo Alex?-
- Mentre tu eri a correre, questa mattina io... Io e lei ci siamo procurati del piacere, insieme.-
Il suo sguardo allibito mi resta impresso negli occhi.
-Tu...Io me ne vado.-
Resto inerme mentre lei comincia a gettare i suoi vestiti nella valigia.
-Non farlo, Jenny.-
-Perché non dovrei? Voglio... voglio solo sapere una cosa. In due anni che stiamo insieme non mi hai mai detto che mi ami. Mai.-
Mi fissa con la mascella contratta e il naso all'insù. Sta aspettando.
-Sì a Juliet l'ho detto.-
- Mi basta questo.-
- Sono solo parole.- provo a convincerla.
- No. Sono sentimenti. Sentimenti che per me non provi.- strepita prima di chiudere la valigia e andarsene sbattendo la porta.
Juliet
- Perché vieni a casa mia?-
La porta si apre e Michael esce con una felpa e dei pantaloncini sportivi.
- Ho bisogno di parlarti.-
Lui mi fissa con uno sguardo impietosito. Ho i capelli mal ridotti per via della pioggia e il trucco sbavato per le ore di pianto ininterrotto.
-C'è la mia famiglia in casa.-
- Esci un attimo. Voglio solo parlare.-
-Il portiere ti ha vista?- m'interroga mentre sono in lacrime.
-È questa l'unica tua preoccupazione?-
-Ci vediamo nel fine settimana, Juliet.-
-Devo parlarti ora.- Insisto davanti al suo sguardo deluso.
Quando però mi accorgo che Alexander mi sta chiamando, dimentico ogni cosa. Ci siamo lasciati due ore fa, al ricevimento, mi chiedo cosa voglia ora.
-Stai bene?- lo sento chiedere con voce tremolante.
-No, tu?-
-No. Non sto per niente bene, Juliet.-
Metto giù la chiamata sotto lo sguardo confuso di Michael.
- Juliet, so che avrai i tuoi problemi...-
-Non mi cercare più.-
Arrivo all'hotel di Alexander e senza pensarci due volte, mi ritrovo davanti la sua porta.
Quando mi viene ad aprire sembra sconvolto. Ha gli occhi lucidi e le labbra gonfie.
-Che succede?-
-Se n'è andata.- sibila sedendosi sul letto.
Sembra che le sue spalle debbano reggere un peso insormontabile.
-Sul serio?-
-Ha fatto le valigie ed è andata all'aeroporto.-
risponde ricurvo su se stesso.
M'inginocchio davanti alla sua figura e gli stringo le mani gelide.
-Le hai detto che non mi vuoi più, Alex? Che io e te non staremo mai insieme?-
Lui rovescia lo sguardo al pavimento.
Sa di cosa sto parlando.
-Glielo hai detto che non riesci nemmeno a guardarmi negli occhi?-
Le strade sono due.
Io e Alexander siamo ad un punto di non ritorno. O mi da ragione, oppure mi dice di amarmi.
Lui però muove lo sguardo, che dalle sue mani, finisce sulle mie labbra.
-Ho voglia di baciarti, Cristo.-
Mi tasto la guancia, calda, ormai dolente per le lacrime versate.
-Ma ho sempre odiato i traditori.-
Alexander a quel punto si alza in piedi e mi aiuta a sollevarmi insieme a lui.
Con le mani mi raccoglie il viso, prima di stamparmi un bacio in fronte.
I miei occhi restano impigliati in un'immagine che mi fa trasalire
-Hai la valigia già pronta ... - realizzo a quel punto.
Non mi ha chiamata per confessarmi i suoi sentimenti, mi ha voluta qui per salutarmi.
-Volevo andare all'aeroporto.-
-Vai - sputo secca.
-Ma non potevo farlo senza salutarti, Juliet.-
-È la cosa giusta. Ciao.-
Alexander afferra il cappotto, la valigia e dopo avermi lanciato un ultimo lungo sguardo, esce lì.
Sono interdetta, con un buco nel petto.
L'ho appena perso per sempre?
Le gambe mi cedono, crollo sul tappeto come un ammasso di ossa rotte, ormai irreparabili.
Le lacrime mi offuscano la vista e i singhiozzi soffocano la mia gola dolorante. Sono così scossa da non aver nemmeno percepito il rumore metallico.
La porta si apre.
Alexander torna indietro e in un attimo mi sento sorretta dalle sue braccia. Le mie lacrime spazzate via dalle sue mani sicure e i miei occhi incastonati nei suoi.
- Alex...-
- Faccio quello che avrei dovuto fare prima, Juliet.-
- Ma cosa...-
E poi mi bacia.
to be continued....
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Non ho molto da dire.
Voglio solo ringraziare voi lettrici super pazienti che aspettate questa storia.
Siete speciali, grazie 🫶🏻
🤍
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