Epilogo: parte tre
FINE
🔴🔴🔴
You know the greatest films
of all time were never made
Juliet
Mi ritrovo a soffocare tra le mie stesse lacrime, ignara dello scorrere del tempo e di tutto ciò che mi circonda. Un trillo proveniente dal cellulare mi fa sobbalzare, così lancio un'occhiata verso la finestra e mi accorgo che è ormai sera. Io però sono seduta sul pavimento, ad annegare tra i ricordi della serata precedente.
Non avrei dovuto convincerlo a rimanere, è tutta colpa mia.
Non mi capacito della fretta che aveva di andarsene, stamattina. Perché?
Perché non mi ama. Ecco perché.
E io ho sbagliato. Tutto. Sin dall'inizio.
Il telefono squilla di nuovo.
Stavolta decido di rispondere.
-Juls, finalmente!-
-Mamma?-
-Non hai risposto prima.-
-Non avevo visto, scusami-, mento, mentre con i palmi tremolanti asciugo le lacrime che mi rigano il viso.
-Alex sarà già atterrato- la sento dire. -Tu hai deciso?-
-Di cosa parli, mamma?- Non so nemmeno che ore siano.
-Di te, Juliet. Tu che torni a casa, ti ricordi? Ne abbiamo parlato ieri.-
-Non è il momento per affrontare questo discorso.-
Anche perché c'è ben poco da dire.
Stargli lontano mi fa soffrire.
Stargli vicino mi fa soffrire.
Ignorarlo? Non riesco.
Tornare indietro nel tempo?
Purtroppo non posso.
Mi sento in trappola e non so più che cosa fare.
Era destino che dovesse finire così?
-Mamma, ti richiamo domani. Non mi sento bene.-
Lei mi rivolge qualche raccomandazione, infine ci salutiamo.
Nella stanza, oltre al buio desolante, regna ancora il suo buon profumo.
Sono sola, a raccogliere i miei pezzi, di nuovo.
È bastata una notte per ripiombare all'inferno.
Rick può comportarsi nel peggiore dei modi, ma ciò che causa dentro di me non sarà mai comparabile alla sofferenza che sento in questo momento.
Alexander mi manca e la sua indifferenza è diventata insopportabile.
Ha detto di amarmi, ieri, come può averlo dimenticato?
Mi porto una mano al petto, spaventata, perchè il telefono squilla di nuovo.
Do un'occhiata all'orario, è quasi mezzanotte.
-Rick è all'ospedale.- m'informa una voce conosciuta. È Kathy, la mia collega.
-Mi...- Resto a fissare il vuoto con aria confusa. -Mi dispiace.-
Perchè è vero, mi dispiace per lui, eppure ora ho altri problemi a cui pensare.
Sto per salutarla, ma lei mi ferma.
-Non hai capito. È grave Juls.-
Solo a quel punto mi accorgo che la sua voce sta tremando.
-Ma cosa... Cos'è successo?-
-Intossicazione. Non si sa di che tipo, non sanno come sia potuto accadere... Ora è in coma.-
-Porca miseria...-
-E hai presente il suo migliore amico? Hanno ricoverato anche lui, perchè è stato aggredito. Qualcuno l'ha ferito con un colpo alla testa che gli ha fatto perdere i sensi e non ha visto chi è stato a far questo a entrambi.-
Purtroppo però, io un'idea ce l'avrei.
-O mio dio...-
Non riesco a dire altro, sono incredula.
Lei mi racconta ulteriori dettagli, ma io sto facendo fatica a processare l'accaduto.
Dopo averla salutata, metto giù e cerco l'ultima persona che avrei mai pensato di chiamare.
-Alexander?-
-Oh, Juliet.-
-"Oh, Juliet"-, gli faccio il verso, spazientita.
-Dal tuo tono posso dedurre che tu...-
-Cosa? Che ho scoperto che sei diventato un aspirante serial killer?-
-Quando me ne sono andato erano vivi.-
-Non mi interessa! È terribile ciò che hai fatto.-
-Se fossi un serial killer, di certo avrei un prototipo.-
-Fai anche lo spiritoso? Quale prototipo?-
-Sesso maschile. Desiderio di infilarsi tra le tue cosce.-
-Quindi ammetti che sei stato tu!- esclamo furibonda.
Perchè sì, ci avevo sperato fino all'ultimo che non fosse così.
-Sì.-
-Non puoi nemmeno negare?-
-Non voglio.-
-Dio mio... Ma cos'hai fatto?-
Dall'altra parte il silenzio, quindi riprendo ad aggredirlo di domande.
-Quanto ci hai messo?-
-Mezz'ora.-
-Mezz'ora e hai programmato un omicidio?!-
Sono indignata e il mio tono di voce rasenta lo stridulo.
-Sì, avevo un volo da prendere.-
Lui invece si dimostra calmo, come sempre.
-Se avessi avuto più giorni a disposizione, avresti fatto una strage?-
-Qualcun altro ti ha fatto qualcosa?-
-Alex!- lo redarguisco. -È una questione seria. Rick è in coma.-
C'è un altro attimo di silenzio. Questa volta prolungato. Segno che non se l'aspettava.
-Mi dispiace, Juliet.-
-Non è vero-, replico abbattuta.
-Forse no, ma riconosco di aver esagerato.-
-Esagerato? Esageri quando gli tiri un pugno e ti apri le nocche!-
-Non sono abituato, lo sai.-
-Hai cercato di ucciderlo!- Ormai sto urlando, incapace di gestire la mia collera, mista a delusione cocente.
-No. Non è così. Alla fine ho cambiato idea.-
-Ma ti senti quando parli? Mi hai appena resa complice di un atto terribile! Perché mi fai questo?-
-Juliet, cosa mi stai chiedendo?-
-Come hai potuto...- La mia voce si spegne, rotta dal pianto imminente.
-Se pensi che qualcuno possa farti del male e passarla liscia, ti sbagli di grosso.-
-Alex, se tu pensi che io possa perdonarti dopo ciò che hai fatto... Be', allora anche tu ti sbagli di grosso.-
-Juliet...-
-Non voglio vederti mai più.-
Sono trascorse due settimane dall'incidente di Rick e io sono atterrata a Londra da poche ore. Al mio ritorno, ad accogliermi c'è una piovosa giornata di fine gennaio. Ritrovarmi davanti a quella casa, mi dà ancora i brividi.
Mia madre mi invita a entrare, ma non prima di avermi dato un lungo abbraccio sulla soglia.
Mi siedo a parlare con lei e John in salotto, ancora stravolta dal fuso orario, ma ben presto mi accorgo di essere troppo stanca persino per le chiacchiere di circostanza.
-Ho bisogno di riposare.-
Così mi faccio scortare al piano di sopra, dove vorrei concedermi una dormita.
-La tua camera ormai è di Tristan. Puoi dormire in quella di Alex, tanto lui non vive più qui.-
Un vortice amaro mi perfora lo stomaco.
Poso la valigia sul pavimento, poi do la buonanotte a mia madre e decido di ignorare tutti i ricordi che quella stanza mi evoca. Faccio una doccia e finalmente mi metto a letto.
Vorrei riuscire a ignorare anche il suo profumo, ma è ancora lì, come un tatuaggio indelebile. Chiudo gli occhi, poi, finalmente, scivolo in un lungo sonno.
-Juliet, hai dormito quasi dodici ore.- mia madre mi scruta attentamente quando mi vede entrare in cucina.
-Stai meglio?- domanda John, seduto al tavolo.
Sembra che loro abbiano già pranzato.
Io annuisco, mentre mia madre comincia a elencare i piani della giornata.
- Visto che hai compiuto gli anni qualche settimana fa ed eri lontana, vorrei festeggiare insieme. Che ne dici?-
- Mamma...- la rimprovero con voce debole.
-Ho solo invitato degli amici a cena. Verranno i genitori di James e probabilmente dopo ci raggiungeranno anche lui e la sua fidanzata.-
Osservo John e mia madre, chiedendomi se tutto quello che stanno facendo sia per me o se semplicemente io stia interrompendo la loro routine. Non credo abbia molta importanza, perchè dopo tutto ciò che è successo con Rick, provo un gran sollievo nell'essere a casa in questo momento.
-È un bene che tu abbia accettato il trasferimento. Non mi piaceva New York. Troppo dispersiva.-
Sorrido per la premura di John, so che è il suo modo per dirmi che è contento di avermi qui.
-Quando cominci in ufficio?-
-Prossima settimana.-
-Sei tranquilla?-
-Sì certo.-
Nel vedermi rispondere in modo così conciso, John mi fissa incuriosito. Sembra volermi chiedere "te ne sei pentita?", ma alla fine annuisce senza dire altro.
Fuori sta diluviando, ormai la sera sta calando, e mentre discutiamo in salotto, sento il tonfo della porta d'ingresso.
Poi dei passi. Li riconosco subito.
-Alex!- cinguetta mia madre balzando su dal divano.
Io non mi volto nemmeno, ma la sto fissando con occhi truci.
Come ha potuto invitarlo senza dirmi nulla?
-Scusate, arrivo subito-, bofonchio evitando di incrociare lo sguardo con la sagoma che mi si presenta davanti.
Mi alzo e mi dirigo in cucina con la scusa di un bicchiere d'acqua.
-Juliet, se avessi saputo...-
La voce di mia madre arriva alle mie spalle, ma io fatico ad ascoltarla.
-Prima non volevate che stessimo insieme e ora nemmeno avvisi quando lo chiami?-
-Siamo la sua famiglia. Cosa faccio, non lo invito a cena?- ribatte lei, chiudendo la porta della cucina per non farci sentire dagli altri.
-Non voglio vederlo! Perché ti è così difficile da capire, mamma?-
-Mi dispiace, non sapevo... A New York sembrava andaste d'accordo...-
-È incredibile. Lui non mi ascolta, tu non mi ascolti...-
In quel momento però, la porta si apre e Alexander entra in cucina.
Gli lancio un'occhiataccia, ma questa mi tradisce. Indossa un golfino scuro sopra una camicia bianca. Le sue iridi fredde mi fissano con distacco e io vorrei non essere salita sull'aereo che mi ha portata qui.
-Stai bene?-, domanda senza levarmi gli occhi di dosso.
Il suo profumo riempie lo spazio, intossicandomi lentamente.
-Prima sì. Ora non più.-
Mi volto verso il lavandino per evitare il suo sguardo buio, ma sto già iniziando ad annaspare.
Mia madre intanto si allontana e abbandona la cucina per lasciarci soli.
-Come hai passato il compleanno?-, domanda con il suo timbro di voce fastidiosamente basso ed eccitante.
-Non sono affari tuoi.-
A ogni passo che compie verso di me, mi sento morire. Sollevo il capo e vedo che mi sta ancora guardando. Stavolta i suoi occhi sono fissi sul mio maglione.
-Il rosso ti sta bene.-
Alexander si lecca il labbro inferiore e la sua voce diventa così velenosa da scavarmi un buco nella pancia.
Non so cosa mi scatta dentro, ma perdo completamente il controllo e mi basta sollevare il braccio per sferrargli uno schiaffo sulla guancia.
-Alexander.-
John richiama suo figlio, io butto gli occhi al pavimento.
-Papà...- lo sento mormorare, mentre si massaggia la guancia arrossata.
-A tavola. È arrivata la cena.-
Poi, senza nemmeno voltarmi per valutare la sua reazione, seguo John in sala da pranzo.
-Ho saputo che il tuo amico sta bene e che è uscito dal coma.-
Mia madre intavola quella discussione proprio quando iniziamo a cenare.
-Non è suo amico-, puntualizza Alexander.
Sto facendo di tutto per sottrarmi alle sue occhiate, impresa impossibile, visto che sta seduto di fronte a me.
-Non dovresti nemmeno parlare, tu.- sibilo a denti stretti.
L'atmosfera è tesa, ma Tristan ride dall'altra parte della stanza, ricordandoci che dovremmo darci un contegno. E, soprattutto, realizzo che questa sarà la prima di una lunga serie di disastrose cene in famiglia.
-Ragazzi, che ne dite se servo il secondo?-
Dovrebbe essere una proposta allettante, ma la voce di mia madre ha un vago tono di rimprovero, forse intuisce che i toni si stanno per riaccendere.
Fortunatamente nessuno torna sull'argomento Rick, quindi il dopocena prosegue tranquillo.
Per il dessert ci raggiungono gli amici di famiglia e tra questi ci sono anche James e la sua fidanzata, che ora è in dolce attesa.
Sono felice per loro, ma nello stesso tempo mi sento soffocare tra tutti quei sorrisi e non vedo l'ora di andarmene da lì. È stata dura ricucire le ferite, eppure è bastato uno sguardo di troppo per riaprirle tutte quante.
Quando gli altri si perdono in chiacchiere, James si allunga verso di me per porgermi le sue scuse.
-Mi dispiace per quella volta.-, sussurra sottovoce.
-Ti ho perdonato, James.-
Poi si avvicina ad Alex. -Alexander...-
-Io non ti ho perdonato. Non rivolgermi la parola.-
A gran fatica riesco a superare il momento del dolce. Finalmente, una volta terminata la mia fetta di torta, posso alzarmi e dirigermi in corridoio per prendere una boccata d'aria. Non possiamo stare nella stessa stanza, io e lui. Ma forse Alexander non è della mia stessa idea, perché quando raggiungo la cucina, non sono da sola.
-Sono sollevato sia uscito dal coma.-
Trasalisco nell'udire la sua voce tetra.
-Certo. Sei sollevato. Così non hai più la coscienza sporca, vero?- Sputo raccogliendo i piatti dal lavello per buttarli nella lavastoviglie.
-Juliet...-
-Come dirmi che eri ubriaco, il mattino dopo. Te la pulisci così tu, la coscienza?-
-Mi dispiace per come me ne sono andato.-
-Sono stata così stupida...- sbraito voltandomi di scatto. Non ho via di fuga, perché lui è davanti a me e mi blocca con la sua figura.
-Non dire così.-
Le sue parole mi carezzano la guancia, mentre il suo buon profumo trova spazio dentro di me, causandomi una piccola sofferenza all'altezza dello stomaco.
-Invece sì, tu non mi volevi per davvero, Alex.-
-Non provare nemmeno a pensare una cosa del genere. Quella mattina... Avevo altro in mente.-
-Potevi dirmelo.-
-Sapevo ti saresti arrabbiata.-
-Quindi farmi credere di avermi usata ti sembrava una buona soluzione?-
-No. Non l'ho fatto di proposito, ma sapevo che quello avrei fatto da lì a poco, sarebbe stato molto peggio.-
Indietreggio, senza nemmeno riuscire a guardarlo negli occhi.
-Hai paura? Hai detto di non aver mai avuto paura di me, Juliet.-
-Be' forse ti sottovalutavo. Sei in grado di fare cose che mi spaventano. Le cose peggiori.- soffio avvilita.
Lui piega il collo a lato e trafigge le mie pupille con il nero dei suoi occhi.
-L'importante è che tu sappia che c'è solo una persona per la quale farei queste cose, Juliet.-
Abbasso il mento per schivare un'altra volta il suo sguardo, ma lui è così vicino al mio viso che con il naso mi sfiora la gota in fiamme.
-È sempre tutto così sbagliato.-
-Non dire così.- sussurra, quasi dolcemente.
-Vorrei poterti accusare di essere sempre lo stesso, di non essere cambiato. Ma la realtà è che tu sei cambiato. Sono io il problema. Torni a essere così solo con me.-
A quel punto sono costretta a sollevare il viso e guardarlo negli occhi. Lui mi fissa incuriosito. Mi chiedo se provi anche solo un briciolo del dolore che mi sta stritolando il cuore.
-Che significa, Juliet?-
-Potevi minacciarlo, spaventarlo, ma non così.-
-Se mi stai chiedendo di stare a guardare mentre qualcuno ti fa del male... sappi che non lo farò. Mai. Non lascerò che accada.-
Sento le mie palpebre gonfiarsi di risentimento.
-Me ne stai facendo tu!-
Devo aver alzato la voce perchè mia madre accorre subito.
-Per favore, Juliet. Abbiamo ospiti.-
La guardo, gli occhi annebbiati dalle lacrime.
-Tanto lui non ha mai colpe, vero? A volte sembra quasi che tu dimentichi che io sono tua figlia.-
-Che sta succedendo?- domanda lei con aria seria.
-È venuto a New York per incasinarmi la vita.-
-Secondo te volevo questo, Juliet?-
-Avevo una vita prima di rivederti!-
-Oh, quindi devo davvero commentare questa tua convinzione?- mi fredda Alexander.
-Hai passato la notte con me e poi magicamente dovevi fuggire.-
-Juliet non esagerare-, dice mia madre.
-No, certo. Sono io a esagerare. È così anche quando dico che Alex voleva uccidere Maverick, vero?-
Mia madre scrolla il capo, come sempre sono io a sbagliare. Fortuna che stavolta qualcuno sembra dalla mia parte.
-Che sta succedendo?- Alexander non fiata davanti alla domanda di suo padre, che lo osserva con aria dura. -Avevi detto che stavi bene.-
-Guardalo. Infatti lui sta benissimo!-
Poi me ne vado dalla cucina e passo la serata a fissare la felicità altrui, chiedendomi se magari, un giorno, potrò anch'io meritarmi quel calore.
-Torno a casa.-
A cena terminata, vedo Alexander salutare mia madre.
-Alex, resta. È tardi e ha cominciato a nevicare.-
-È meglio se vado.-
-Ma...-
-Mamma, lascialo andare.- mi intrometto io. -Per favore.-
Dopo aver pronunciato un saluto generico, vado al piano di sopra a disfare la valigia che è ancora intatta. Prima passo da camera mia che è ormai la cameretta di un bambino di tre anni, infine giungo nella stanza di Alexander.
Svuotare la valigia a mezzanotte mi sembra l'unica soluzione per non pensare ai miei problemi. Posare i miei vestiti sul suo letto mi fa un certo effetto, anche perchè tante cose sono ancora qui.
-Pensavo andassi via.- dico nel sentire una presenza alle mie spalle.
-Volevo solo salutarti.-
Quando mi volto vedo Alexander sulla soglia, a scrutare ogni mia singola mossa.
-Ciao.- taglio corto.
-Tu resti qui?-
-Io dormo qui.- rispondo decisa.
-In camera mia?-
-Non è più camera tua.-
-Quel che è mio resta mio, Juliet.-
-Non sono un oggetto, inutile ripeterlo. Sei intelligente abbastanza da saperlo, ma forse ti è più comodo dimenticarlo.-
Si avvicina e il suo profumo è di nuovo mio tiranno.
-Lo so bene, ma la realtà non cambia.-
Alexander mi sfiora la guancia con le nocche fredde, ma io indietreggio.
-Per quanto sarai ancora arrabbiata?-
-Per sempre.-
-È fuori pericolo, Juliet. Tornerà a essere lo stronzo di sempre. Sei contenta?-
-Farai così con tutti quelli che verranno?-
Mi fissa con occhi sottili, perciò decido di spiegarmi meglio.
-Metti che domani vengo qui con un nuovo ragazzo.-
Nell'udire le mie parole, le labbra di Alexander si piegano in una smorfia disgusto.
-Un bravo ragazzo, intendo.- puntualizzo.
-Ti dico una cosa, Juliet. Nessun ragazzo che voglia infilarsi tra le tue gambe sarà mai un bravo ragazzo.-
-Tantomeno quello che ho davanti.- scandisco lenta.
-Io farei qualsiasi cosa per te. E lo sai benissimo.-
-Sì, ma le cose che fai mi allontanano da te.-
Credevo di aver vinto quel piccolo duello, ma Alexander lascia scorrere il pollice sul mio mento sollevandomelo.
-Ora sei qui.-
-Non significa nulla..- mormoro provando a chinare il capo.
Lui però non demorde. Mi cinge la vita con un braccio e io m'indebolisco.
-Cosa vuoi fare Alex?-
-Questo-, sussurra tra i miei capelli mentre mi abbraccia.
-E poi?-
Sento il suo petto avere uno spasmo sotto la mia guancia, quindi mi allontano di scatto.
-Devi andare. Buonanotte.-
Torno a piegare i miei vestiti, mentre lui raggiunge la porta, poi però mi richiama.
-Juliet?- Mi volto per guadagnarmi il suo sguardo spento. -Mi manchi, lo sai.-
-Come posso saperlo se non me lo dici, Alex?-
-Vorrei anche dimostrartelo, ma forse sceglierei un modo troppo violento per farlo.-
Chiudo gli occhi, ormai sopraffatta dalla sue parole.
-E se non vuoi più vedermi...-
-Come faccio a non vederti più?- strepito ingoiando un singhiozzo.
-Non piangere. Dimmi cosa devo fare. Vuoi che ti ignori? Vuoi che ti tratti come un'estranea?-
-Lo sai anche tu di aver esagerato questa volta, vero?-
-Desidero solo il tuo perdono, Juliet.-
-Non ce l'ho con te solamente per ciò che hai fatto a Rick, ma anche per il modo in cui stavi per...-
-Stavo per...?-
-L'hai fatto. Hai rovinato tutto.-
Io e Mini trascorriamo il sabato pomeriggio ciondolando per negozi.
-Quindi hai cambiato colleghi, di nuovo?-
La conosco, inizia sempre con domande generiche, quando in realtà vuole sapere come sto realmente.
-Ho iniziato da due giorni. Lo stipendio non è male. Stasera usciamo? Stare a casa con i miei è deprimente.-
-Stasera sono a cena da Norman, per il suo compleanno. Vuoi venire?-
-Dai genitori di Norman? Non lo so.-
Mini mi studia con aria diffidente. -Però ci vieni, alla festa, dopo.-
-Me l'hai già chiesto, ma...-
-E dai...Perché no?-
-Lo sai perché...-
-Non mi hai detto i dettagli del perchè.- Lei mima le virgolette pronunciando l'ultima parola.
-Fidati, non vuoi sentirli.-
- Me li puoi raccontare durante il tragitto. Andiamo.-
Il sole è già tramontato quando ci infiliamo nell'auto di Mini, e posso finalmente togliermi i guanti e scaldarmi un po'.
-Allora? Vieni con me?- domanda lei, disimpigliando i lunghi capelli biondi dalla sciarpa, prima di mettere in moto.
Non ho nessuna voglia di tornare da mia madre, quindi annuisco. Noto però che Mini non esce dal centro della città, quindi mi allarmo.
-E ora dove stiamo andando?-
-Passiamo a prendere Norman.- spiega lei con tono da finta innocente.
-Che si trova...?-
-A casa di un suo caro amico.-
-Okay- mi stringo nelle spalle.
-Non ti fa proprio più nessun effetto, eh?- mi stuzzica Mini.
-Alexander studia e vive a Oxford, non stiamo andando da lui.- rispondo risoluta.
Lei però non fiata e io comincio ad agitarmi.
-Mini...-
-Sei mai stata a casa sua?-
-No.-
-Dio, sono troppo curiosa, Juls...-
-Mini!-
Non mi importa un accidente di dove vive Alexander. Non voglio vederlo.
-Ha preso un appartamento in centro per stare più vicino ai tuoi, nel fine settimana- spiega mentre raggiungiamo una zona di Londra che non ho mai visto.
-Perchè mi fai gli agguati?-
-Quali agguati, Norman si trova lì. Lo passiamo a prendere.-
Sbuffo guardando oltre il finestrino. La verità è che la curiosità mi sta divorando viva, perciò quando arriviamo a destinazione decido di darle corda e scendo da quella dannata auto.
-Sono Mini!- La mia amica si presenta al citofono, mentre io resto alle sue spalle, in rigoroso silenzio.
Prendiamo l'ascensore e una volta all'ultimo piano, Alexander ci apre la porta. Il suo sguardo sottile oltrepassa la sagoma di Mini, incenerendomi sul posto.
-Juliet.-
-Ciao. Facci entrare che stiamo morendo di freddo.- annuncia Mini sbrigativa.
Io la seguo dentro casa e la prima cosa che vorrei domandare ad Alexander è "dove diavolo hai preso i soldi per questo appartamento?"
-Non sapevo che venissi.- sibila lui, senza mai scollarmi gli occhi di dosso.
-Ci sono anch'io, eh- borbotta Mini.
-Siamo qui per Norman.- replico cercando quest'ultimo con lo sguardo.
Lo troviamo in soggiorno, intento a parlare al telefono con sua madre.
-Mamma, non mi sto laureando, non c'è bisogno di... Sì, arrivo. Va bene.- dice Norman al telefono.
Mini si precipita da lui, mentre Alexander mi guarda sostare come una statuina nel bel mezzo del corridoio buio.
-Dobbiamo tenere una distanza di sicurezza o posso aiutarti a togliere il cappotto, Juliet?-
-Non mi fido di te. Ma puoi aiutarmi.-
Così mi aiuta a sfilare l'indumento, poi vengo rapita dalla voce di Mini.
-Alex, perchè non fai vedere la casa a Juliet?-
La mia amica indica Norman ancora al telefono, Alexander intanto annuisce.
Io decido di seguirlo, ma solo dopo aver lanciato un'occhiata di fuoco a Mini che sorride compiaciuta.
-Ma noi non dobbiamo andare?- si lamenta Norman nel vedermi sparire con Alexander.
-Sì, infatti. Io e Norman ti aspettiamo in macchina. Tu fai pure, Juls!- esclama Mini a gran voce.
Sento il loro battibeccare in lontananza, mentre Alexander mi fa strada in un lungo corridoio privo di arredo.
-E così non ti fidi di me.- mormora mostrandomi la cucina.
-E così hai cercato di uccidere il mio ex.-
-Be', detta così...-
-Ho solo detto la verità, Alex.-
-Il salotto l'hai visto. Quello è il bagno di servizio.- Poi apre la porta che dà su una stanza scura.-Questa è camera mia. Lì c'è il mio bagno.- scandisce senza emozioni.
-E quella?- domando indicando il corridoio, dove ho notato un'altra porta, poco distante.
Lui si stringe nelle spalle.
-Dove hai preso i soldi?-
-Perché non tieni mai a mente le cose che ti dico?- mi redarguisce con la sua voce profonda.
-Scusa.-
-Ti scuso, Juliet.-
I suoi occhi sono nei miei, poi scivolano sul mio vestito.
-Così facilmente?-
-Sì.-
-E come mai, Alex?-
-Sei davvero bella questa sera.-
E tu proprio stronzo.
-Pensavo avessi trovato un appartamento più vicino a casa.- mormoro avvicinandomi alle vetrate.
-La vista è migliore da qui.-
-Sei solo?-
-Sempre.-
-Voglio dire, nessuna ragazza...-
-No.-
-Nemmeno per svago?- domando compiendo un giro intorno alla stanza. Non c'è calore qui dentro.
-Non è quella la mia idea di svago. Continui a non tenere a mente le cose, Juliet.-
Alexander muove due passi verso di me, quindi indietreggio, ritrovandomi con le spalle alla parete fredda e grigia.
Sto cominciando a percepire quell'attrazione inevitabile tra di noi. Forse perché i suoi occhi mi stanno rubando l'anima.
-Dimmi che non per me.- sussurra indicando il mio abito.
È sempre e per te.
-No. Ho una festa dopo. Anzi, ora che ci penso... Devo andare.-
Alexander allunga un braccio sulla mia testa e, con una mano poggiata sulla parete alle mie spalle, blocca ogni mio movimento.
-Alex. Per favore...-
-Mhm?-
Lo vedo piegare il collo per scendere con le labbra alla mia guancia. Chiudo gli occhi, mentre il suo respiro leggero mi dà brividi lungo la gola.
-Ti prego, non fare così...-
-Non ti farò niente, Juliet. Non supplicarmi.-
Deglutisco a fatica, distrutta da quella tensione.
-Devo andare, va bene?-
Provo a farmi coraggio, Alexander a quel punto compie un passo indietro.
-Va bene, Juliet.-
Torniamo all'ingresso e qui mi aiuta a indossare il cappotto, poi mi scorta fino all'uscita.
-Ti accompagno?-
-C'è Mini che mi aspetta in auto. Verrai alla festa?- chiedo senza respiro.
-No, forse è meglio di no.- replica a occhi bassi, le mani nelle tasche.
Non so quando lo rivedrò, quindi mi spingo in punta di piedi e con le dita raggiungo la sua mandibola, carezzandola.
-Alex...- Lui chiude gli occhi. -Non posso negare come mi sento quando ti vedo-, confesso con un filo di voce.
-Come ti senti, Juliet? Come mi sento io, vero?-
Gli poso la mano sulla bocca e lascio che il mio indice sfiori le sue labbra perfette.
-Però non farlo. Non confondermi.- sussurro sottovoce.
-Non è mia intenzione.-
-Magari non lo fai apposta, ma accade ogni volta che mi parli. E io finisco di nuovo con il cuore spezzato.-
Restiamo a fissarci per qualche istante, finchè un colpo di clacson mi ricorda che devo andarmene.
-Oggi c'era Norman in macchina e non mi andava di chiedertelo, ma... L'avete fatto?-
Mini mi sorprende con quella strana domanda quando aiutiamo la mamma di Norman con i preparativi della cena.
-Ma cosa dici?- La guardo scandalizzata. -Certo che no.-
- Lo chiedo perchè lui ti fissa come un piatto succulento da sbranare. E tu sei tutta "oh Alex, sì Alex."-
-Finiscila.-
Le lancio addosso uno strofinaccio prima di scoppiare a ridere, infine ci uniamo a tavola insieme agli altri.
A cena terminata raggiungiamo il locale in cui terrà la festa.
Norman mi presenta alcuni suoi compagni di università e tra questi che ce n'è uno che sembra un pesce fuor d'acqua. Siccome io non conosco gli invitati, mi ritrovo al tavolo a parlare con lui.
O almeno ci provo, visto che non spiaccica una parola.
Ma poi, tra le sagome sconosciute che popolano il locale, riconosco qualcuno.
-Oh no.-
Mini si accorge del fatto che ho cambiato faccia e accorre da me.
-Stai bene?-
- Non lo so. Alexander aveva detto che non sarebbe venuto.-
-Sta' tranquilla. Devi solo ignorarlo se vuoi ignorarlo-, spiega lei.
-Grazie, Mini. Come ho fatto a pensarci prima?-
-Oppure puoi parlarci, Juls.-
-Dimmi cosa devo fare? Ignorarlo o parlarci?-
-Di sicuro, se non vuoi finire nel suo letto, la smetti di bere.- mi ammonisce indicando il calice che tengo tra le dita.
Okay, mi concentrerò su questo tizio. Anche se mi guarda e non spiaccica una parola.
Mini viene reclamata da Norman, quindi io torno al ragazzo che diventa rosso ogni volta che gli rivolgo uno sguardo.
-Come va?-
-Sì.-
-Sì, cosa, scusa?-
-Tutto bene.-
-Frequenti architettura con Norman?-
Lui annuisce impacciato e io non so più cosa dirgli.
I suoi occhi chiari però, d'un tratto sembrano cambiare forma.
Mi volto in traiettoria del suo sguardo e in lontananza scorgo la sagoma di Alexander appoggiata al muro. Non mi considera nemmeno, fissa il ragazzo accanto a me, senza dire una parola.
-Andiamo, c'è troppa gente strana qui.-
Faccio cenno di seguirmi e il tizio, sebbene all'apparenza spaventato, decide comunque di unirsi a me.
Usciamo sulla terrazza, dove finalmente posso respirare dell'aria pulita.
-Forse Alexander voleva parlarti?- Chiede il ragazzo, tremando un po'.
-Alexander chi?-
-Il tuo fratellastro. Quello che mi sta uccidendo con lo sguardo.-
-Non me ne importa più un accidente di lui.-
Alexander
Non ho intenzione di trascorrere la serata a guardarla mentre si diverte con un altro.
E quando i due si mettono a ballare, fatico persino a concentrarmi su ciò che mi sta raccontando Norman.
-Alex, non...- Lui prova a richiamarmi, ma è del tutto inutile.
Raggiungo la calca di persone ammassate e mi frappongo tra Juliet e quel tizio.
-Lo fai per farmi arrabbiare?- le domando lanciandole un'occhiataccia dall'alto.
-Il tuo ego è sempre troppo grande, Alexander.-
-Certe cose non cambiano, lo sai. Lo conosci?-
-Non sono affari tuoi. E smettila di fissarmi.-
-Non ti stavo considerando. Stavo conversando con Norman.- spiego calmo.
-Bugiardo.- mi provoca lei, facendo scintillare i suoi occhioni scuri verso l'alto.
-Attenta.-
-O sennò?-
-La mia risposta sembra interessarti più che ballare con lui.-
-Zittisci il serial killer che è in te perché voglio divertirmi questa sera.-
Juliet butta giù un sorso di spumante, poi torna a voltarsi verso il ragazzo che le sussurra qualcosa nell'orecchio, ma senza smettere di lanciarmi occhiate spaventate.
-Dicevi?- lo affronto.
-Ehm niente.- Lui sgrana gli occhi, poi si avvicina per sussurrarmi un -Non uccidermi.-
-Hai fatto qualcosa per cui io debba farlo?- gli chiedo trattenendo un sorrisetto sadico.
-No.-
-E allora di cosa ti preoccupi?-
-E così che mi ignori, Alex?- Juliet torna a reclamare la mia attenzione, così la prendo in disparte.
-Devo ammettere che non sono bravo a farlo.-
-Sento costantemente i tuoi occhi addosso.-
-Quanto fastidio ti danno, mhm?-
-Senti, non so quali siano i tuoi piani e...-
-Il piano è semplice, Juliet. Vieni a stare da me.-
-Di nuovo con questa storia?-
-Dicevo per la serata.-
Lei scrolla il capo e arriccia le labbra, proprio come una bambina che fa i capricci.
-Avevi detto che non saresti venuto. Perché sei qui?-
-Mi hanno invitato.-
-Dimmi che non sei qui per me.-
-Sarebbe una bugia.-
-Dovresti farti da parte, lo sai.-
-E quanto dovrò aspettarti?-
-Quanto sei disposto ad aspettare?-
-Lo sai, anche tutta la vita. - sussurro sulla sua bocca color ciliegia.
-Mini ha scommesso ci baceremo...- la sento sussurrare con occhi illanguiditi dalla nostra vicinanza.
-Vorrai mica farle perdere la scommessa?-
Mi abbasso alla sua altezza e la mia lingua scivola lenta tra le sue labbra, che hanno sempre un buon sapore. Le sento turgide e vorrei tanto mordergliele in questo istante. D'un tratto tutti i miei sensi vanno in allerta. Solo lei mi fa sentire vivo.
Ma devo fermarmi.
-Non così, Juliet.-
Le levo il bicchiere dalle mani.
Lei mi fissa e quando mi rendo conto che i suoi occhi sono lucidi, forse un po' troppo, mi stranisco ancora di più.
-Vuoi davvero dimenticarmi?-
-L'hanno capito tutti, sei l'unico a non averlo fatto.-
-Torna a casa con me.-
Juliet nega di nuovo con il capo, creando una crepa profonda nel mio orgoglio.
-Ne ho abbastanza di pregarti, Juliet.-
E stavolta me ne vado, voltandole le spalle.
-Dove diavolo è il mio cappotto?-
-Tieni- Mini me lo porge quando mi mi vede nei pressi dell'uscita del locale. -Che succede?-
-Torno a casa.-
-Sei appena arrivato e già te ne vai? Sei arrabbiato con Juliet?-
-Dovrei?-
-No, tranquillo. Quello non è il suo tipo. Lei non ci andrebbe mai a letto-, cinguetta già brilla.
-Mini!- La sgrida Norman che sbuca alle sue spalle. -Sta scherzando, Alex.-
-Non posso stare a guardarla mentre fa così.-
-Non sta facendo niente di male. Sta solo parlando.- Mini va in difesa della sua amica.
-Certo.- sbuffo prima di voltar loro le spalle.
-Fermo, aspetta. Vogliamo fare un riassunto di tutto ciò che è successo a Juliet negli ultimi anni?-
Mini mi sfida, quindi annuisco. Voglio proprio sentire che ha da dire.
-Si è innamorata di te, poi i vostri genitori si sono sposati e hanno avuto un figlio. È fuggita di casa, pur di stare lontana da te. È andata a stare con suo padre che l'ha usata per rubare una collana. Ha...-
Mini d'un tratto abbassa la voce e mi si avvicina all'orecchio
-Ha ucciso un uomo per salvarti la vita. Poi, è andata dall'altra parte del mondo per non doverti più vedere e infine è stata con quel Rick... Che schifo. Puoi per una volta provare a non giudicarla e starle vicino?-
Il racconto di Mini non fa un piega, ma la mia ossessione riesce a essere più forte della realtà dei fatti.
-Sì, ma è ubriaca e sta ballando con...-
-Alexander!- Mini mi redarguisce con tono deciso.
-Cosa?-
-È un momento delicato, prova a essere gentile lei.-
-Non posso lasciare che stia a parlare con lui.-
-Non vuoi stare con lei, ma non vuoi che lei si diverta senza di te.-
-Non mi piace quel tipo.-
-Non sei suoi padre Alex.-
-Eh?-
-Hai capito perfettamente. Non puoi controllarla.-
-E cosa dovrei fare allora?-
Mini si volta verso Norman. -Non mi avevi detto che stava andando in terapia?-
Il mio amico la fissa confuso, allarga le braccia, quindi lei torna su di me.
-Parlarci. Ci riesci?-
-Posso provare. Però mi ha mandato via.-
-Metti da parte l'orgoglio, Alex.-
Scrollo il capo in segno di diniego.
-Per una volta! Magari funziona.- Mini mi strattona il braccio e io con gli occhi raggiungo la sagoma di Juliet. È così bella che potrei restare a fissarla per ore.
-Proviamo.- dico sospirando.
Muovo qualche passo e la raggiungo.
-Juliet.-
È il suo nome a uscire dalle mie labbra, ma con lo sguardo sto incenerendo il tipo alle sue spalle.
-Io sono qua, eh-, mi pungola lei, dal basso.
Il suo tono di voce ora è decisamente alterato dall'alcol.
-Senti...-
-Se vuoi parlare, parla.-
-Vorrei aprirmi con te, ma non ci riesco. Pensavo di riuscire a stare nella stessa stanza insieme a te, ma nemmeno questo riesco a fare, Juliet.-
-Nemmeno io, stavi per uccidere il mio ex.-
Il ragazzo alle spalle di Juliet sgrana gli occhi.
-State... ehm... state scherzando, vero?-
-No, affatto. Regolati di conseguenza- lo ammonisco.
Lui svanisce magicamente e tutte le mie attenzioni tornano su Juliet.
-Mi dispiace se non ho pensato a te quando ho agito. Non volevo farti stare male. Non lo meriti, anzi... sappiamo tutti che il problema sono io.-
-Lo siamo entrambi.-
Con l'indice disegna un cerchio sul mio petto coperto dalla camicia. Poi i suoi occhioni salgono fino ad immergersi nei miei. Deglutisco dolosamente.
-Mi porti a casa, Alex?-
Bastava così poco?
-Con piacere, piccoletta.-
-Intendo... A casa tua.-
Cristo.
Juliet barcolla nel buio, quindi provo a indirizzare i suoi movimenti stringendole le spalle.
-Qui.-
La introduco nella camera degli ospiti e lei inizia a osservare ogni minimo dettaglio che compone l'ambiente.
-Era questa la stanza misteriosa?- ridacchia divertita.
-È una normalissima stanza.- rispondo versandole dell'acqua in un bicchiere.
Lei ne beve un sorso, poi esce da lì e si dirige in camera mia.
-Devo crederti quando dici che ti dispiace, Alex?-
-Sì.-
-Lo rifaresti con Rick?- mi chiede mentre io sto già annuendo.
-E il modo in cui ti sei comportato il giorno dopo?-
Con lo sguardo esplora la libreria fitta di testi universitari, poi la sua attenzione finisce sul mio letto.
-Mi dispiace per quello che ho detto il giorno dopo, ero così concentrato su Maverick...-
-Tu vuoi solo fottermi cervello e incasinarmi la vita. Solo di questo ti importa.-
-No, Juliet.-
-Sì, è sempre stato così. Non t'importa di come mi sento. Mia madre, mio padre, Withman, Rick e poi ti ci metti anche tu. Voglio solo un po' di pace, solo questo, Alex.- scandisce rapidamente.
-Posso dartela.-
-No. Devi prima trovarla per te stesso. E a New York pensavo l'avessi trovata. All'orfanotrofio, il modo in cui trattavi Jenny, io... -Una lacrima le riga il viso. - Se fossi io a renderti in questo modo, Alex?-
Vederla piangere mi scava sempre un buco nel cuore.
-Quale modo?-
-Se fosse colpa mia?-
-Juliet, te l'ho già detto, tu non hai nessuna colpa.-
-Però pensaci. Forse tuo padre ha ragione, fai cose folli solo quando stai con me...-
-Folli? Se qualcuno osa comportarsi come Maverick o farti qualcos'altro, io lo uccido. Non m'importa della terapia o di tutti i progressi che ho fatto. Non c'è nulla di più importante, per me. Solo tu.-
Lei mi guarda con i suoi occhi grandi e lucidi. Sembra che le mie parole l'abbiano convinta.
-Mi gira la testa.- biascica con le guance arrossate.
-Okay, stenditi.- la invito a sdraiarsi sul mio letto.
-Dimmi cosa posso fare, Juliet-, sussurro spostandole i capelli dal viso.
-Niente Alex. Mi hai strappato il cuore troppe volte.-
-Non dire così.-
-È la verità. Non posso stare con te.- farfuglia serrando le palpebre, dolcemente.
Mi stendo accanto a lei e abbandono la testa sul cuscino di fianco.
-Vivo in questa sorta di prigione in cui sembri essere l'unico finale possibile per me.-
-Sei rassegnata.-
Lei avvicina le labbra alle mie.
-Se ti ho intorno, non riesco a starti lontano, lo vedi?-
-Nemmeno io. Ma se la metti in questo modo, quello cioè è successo a New York, non può più ricapitare, Juliet.-
-Secondo te perché?-
-Perchè io ci sto peggio, dopo. E anche tu.-
-Tu riuscirai a starmi lontano?-
-No e non voglio starti lontano. Ma se posso fare qualcosa per evitare di ferirti... lo farò. Farò di tutto.-
Le carezzo lo zigomo, mentre lei ferma la mia mano sulla sua guancia, per prolungare quella coccola.
-Però non...-
-Cosa, Alex?
-Non odiarmi.-
-Non ti odio...- sospira a lungo.
E io ingoio il "ti amo", prima che possa sfuggirmi dalle labbra. Fortuna che lei sta già dormendo.
Juliet
Mi sveglio in una stanza sconosciuta. Ho il suo profumo sulla pelle e uno dei miei vecchi pigiami addosso.
Mi avvicino allo specchio confusa. Perchè ho quel pigiama?
-Mi hai cambiato tu? - domando una volta giunta in cucina.
Alexander annuisce, poi beve l'ultima sorsata di caffè.
-Buongiorno Juliet. Dormito bene?-
Apro la bocca per rispondere, ma prima che io possa farlo, mi perdo a rimirare la sua sagoma dietro al bancone. È vestito di tutto punto.
-Dove vai?-
-Ho il tirocinio in ospedale. -
-Meglio se vado anch'io. Devo essere in ufficio tra un'ora- commento confusa.
Rifiuto la tazza di caffè che mi offre, allora mi fa strada verso la camera degli ospiti.
-Ti accompagno a lavoro.-
-Ma devo passare da casa, non ho i vestiti.- mi lamento.
-Sicura?-
Entriamo nella stanza e lì spalanca le ante dell'armadio a muro.
-Cosa ci fanno i miei vecchi vestiti qui?-
-Sono quelli che hai lasciato da tua madre quando ti sei trasferita.-
Resto senza parole, mentre lui seleziona una camicetta bianca e una gonna scura.
-Pensavo non lavorassi di sabato.- commenta lasciando gli indumenti sul letto.
-E invece.-
-Non dovresti ridurti in quello stato se il giorno dopo devi andare in ufficio.-
-Se volevo farmi dire queste belle parole, chiamavo mio padre.-
-Non te le avrebbe dette, impegnato com'è a ignorarti. Ora vestiti.-
La stilettata nel fianco non è nemmeno poi così dolorosa, se aggiunta alle mille altre.
-Vattene.-
-Juliet, non intendevo...-
-Devo farmi una doccia. Lasciami cambiare in pace.-
Torno in cucina già pronta. Gli abiti di tre anni fa mi vanno ancora e Alexander mi sta fissando intensamente.
-Vuoi mangiare qualcosa?-, chiede indicando il frigo.
-No.- taglio corto. -E poi cosa ti guardi?-
Lui muove due passi e mi costringe a indietreggiare verso il tavolo. Con le braccia mi imprigiona contro il legno, mentre le sue labbra tracciano il mio lobo senbile.
-Indossi l'intimo?-
-Non faccio le cose senza permesso.-
Alexander chiude gli occhi, ma io sono già sfuggita alla sua presa.
-Cristo.-
In ufficio come al solito limito ogni contatto con gli esseri umani, soprattutto di sesso maschile.
Nella pausa me ne sto da sola e trovo un messaggio di Alexander sul telefono.
Prova miseria, non devo aprirlo.
Ho una presentazione questo fine settimana. È importante per me, vorrei che venissi.
Mi sarebbe piaciuto evitare di trascorrere la mattinata a pensare a lui, ma ieri sera si è scusato e...
Ci vengo volentieri
Ti passo a prendere quando finisci?
L'astio per ciò che ha fatto a Rick sta cominciando ad affievolirsi, ma ciò non significa che io possa abbassare la guardia con Alexander.
No, grazie. Meglio se torno a casa questa sera
È un modo per chiedermi di lasciarti in pace?
Sì, sai essere una distrazione
Preferisco prenderlo come un complimento.
Peccato che ora io debba lavorare
E cosa te lo impedisce? A parte il pensiero di avermi tra le cosce.
Sgrano gli occhi e le guance si scaldano.
Smettila.
Buona giornata, Juliet.
Non rifletto più di tanto prima di rispondere.
Ti odio quando fai così.
Anch'io ti amo, mai smesso.
Dopo quella sera Alexander non si fa più vivo. Forse è stato il mio silenzio o il fatto che non abbia risposto a quel messaggio. Non so cosa sia stato a portarlo a tenere le distanze... ma il giorno della presentazione arriva e io sono sempre più agitata.
Con me ci sono anche John e mia madre, e quando ci accomodiamo ai nostri posti, in una sala conferenze piuttosto affollata, un ragazzo mi saluta come fossimo amici di vecchia data.
-Ciao Juliet. Posso sedermi vicino a te?-
-Sì, e tu saresti...?-
-Sono anch'io un tirocinante, lavoro all'ospedale con Ackerman.-
-Come conosci il mio nome?-
-Sei la sua sorellastra e stavate insieme.-
-Alex, non parla di queste cose.- mi indispettisco.
-Ma gli altri sì. Parlano.-
Metto il broncio a seguito di quell'affermazione, ma al ragazzo non pare importare.
La gente parla ancora di noi?
-Alexander è un tale controllo maniaco a lavoro... Lo è anche con te?-
-Sta cominciando. Shh.- lo zittisco.
La presentazione ha inizio e un vecchio signore prende a parlare di ricerca epidemiologica e di argomenti di cui non capisco assolutamente nulla, nemmeno impegnandomi.
La mia attenzione si riaccende per magia perché finalmente Alexander fa il suo intervento, seguito a ruota da altri ragazzi, poi, quando tutto volge al termine, passa a salutarci.
-Juliet.- Non è un sorriso il suo, ma so che è felice di vedermi. - Che ne dici?-
Ci scambiamo un bacio sulla guancia, così ne approfitto per sussurrargli all'orecchio.
-Dico che è stata la cosa più eccitante che io abbia mai visto.-
Pensavo di coglierlo di sorpresa con quell'affermazione, ma lui non lo è affatto perchè si china su di me per restituirmi il colpo.
-Puoi provarlo, Juliet?-
-Che intendi scusa?-
-Voglio le tue mutandine.- mugola contro la mia guancia, prima di voltarsi verso i nostri genitori.
-Papà. Catherine.-
-È stato un piacere sentirti discutere. Davvero molto interessante.- Mamma parte in quarta con le sue sviolinate, mentre io mi defilo in bagno.
Quando torno, lei sta ancora dispensando abbracci e strette di mano.
-Noi dobbiamo passare a prendere Tristan all'asilo.- John dà una stretta affettuosa alla spalla del figlio, mia madre invece lo saluta per l'ennesima volta.
-Ciao Alex, tesoro.-
-Ciao Alex, tesoro.- Le faccio il verso.
Poi, in punta di piedi, raggiungo la guancia di Alexander per lasciagli un bacio e con la mano stretta a pugno gli infilo le mutande nella tasca dei pantaloni.
-Divertiti.-
Lui resta rigido per qualche istante, ma prima che io mi allontani, mi ferma dal polso.
-Aspetta. Ti accompagno a casa?-
Il tocco gelido delle sue dita mi dà i brividi.
-No. Torno con mia madre.-
-Stai ancora da loro?-
-Sto cercando casa.-
-Non è necessario, Juliet.-
-Dai per scontato che prima o poi torneremo insieme, vero?-
Lui mi guarda impassibile, quindi capisco di aver centrato il punto.
-Alex, e quello che ci siamo detti l'altra sera?-
Lo vedo prendere un lungo respiro, l'attimo prima di tornare a parlare.
-Non posso lasciare che finisca così, Juliet. E non lo vuoi nemmeno tu.-
No, non voglio che finisca. Ma non voglio nemmeno ritrovarmi a soffrire all'infinito.
-Buonanotte, Alex.-
Mia madre è quella che vive peggio la mia rottura con Alexander. Non avercelo tra i piedi le manca. E sì, manca anche a me, ma quelle che ho trascorso senza di lui sono state due settimane tranquille. Noiose, ma pur sempre senza alti e bassi dolorosi.
Passo le vacanze di Pasqua insieme a Mini. Sono da lei quando una sera mia madre mi chiama.
-Juliet, non voglio allarmarti, ma non sento Alex da tre giorni.-
-E quindi?-
-Non è da lui non richiamare se trova una telefonata senza risposta.-
-Sarà impegnato con l'università.- biascico sorseggiando la mia cioccolata calda.
-È periodo di vacanza, non ha lezione in questi giorni. Sono preoccupata. Doveva venire a cena ieri. Alex che non viene a cena e non avvisa? Troppo strano.-
Devo ammettere che mia madre ha ragione.
-Okay, provo a chiamarlo io.- taglio corto prima di salutarla.
Alexander non risponde alla mia telefonata, perciò decido di lasciare Mini e andare al suo appartamento.
Ma suonare il citofono non risolve nulla, perché non risponde anima viva. E io inizio a tremare.
-Ciao, hai sentito Alex?- Questa è la prima domanda che rivolgo a Norman quando lo chiamo.
-No, è un po' che non lo sento.-
-Dove potrebbe essere? A casa non c'è. Dici che è rimasto a Oxford?-
-Durante le vacanze? Non credo. Lavora all'ospedale qui a Londra e le uniche volte che usciamo, andiamo a bere in quel bar dell'hotel, vicino a casa sua. Magari è lì, ma è tardi, dovrebbe essere già rientrato a quest'ora.-
- Okay, andrò lì.-
Sto provando a nascondere la disperazione che comincia a serpeggiarmi dentro, intanto chiedo a Norman l'indirizzo, poi mi dirigo alla destinazione indicata.
Qui, al bar, non l'ha visto nessuno però per scrupolo chiedo alla reception dell'hotel.
-Sto cercando Alexander Ackerman.-
-Chiamo in camera prima di lasciarla salire.- mi dice la ragazza della reception.
Mi stranisco immediatamente.
-Ma quindi è qui?-
Lei annuisce poi mi scorta fino all'ascensore.
Cosa ci fa qui?
Alexander mi accoglie sulla porta della stanza con un'espressione smarrita.
-Juliet.-
Il suo viso, solitamente perfetto, è contornato da una strana ombra. Due solchi profondi segnano i suoi occhi sottili e noto subito che la camera alle sue spalle è in disordine. Non è da lui.
-Mio dio, Alex. Cos'è successo?-
Cerco il suo sguardo, ma è troppo vuoto.
-Sono come mio padre, vero?-
Okay, è davvero successo qualcosa.
-È meglio se ti porto a casa.-
Quando arriviamo nel suo appartamento, Alexander non sembra in grado di compiere nemmeno i gesti più semplici. Qualcosa lo blocca.
- Devo farmi una doccia.- mormora confuso.
Lo accompagno in bagno, poi gli sbottono la camicia.
- Ti va di raccontarmi cos'è successo?- domando aiutandolo a togliersi gli abiti di dosso.
Lui però non risponde, entra in doccia e dopo poco l'ambiente di riempie di una nube di vapore. Ripongo gli abiti su un ripiano, quando la sua voce cupa mi rapisce.
-Vieni qui.-
Mi giro e lo ritraggo sotto il getto d'acqua, con la fronte poggiata al muro, le spalle leggermente ricurve.
Devo scoprire che gli è successo.
Decido quindi di accontentarlo. Mi privo dei vestiti e mi unisco a lui sotto la doccia.
-Alex, per favore, dimmi tutto- sussurro dolcemente, mentre lui mi lascia lo spazio tra il suo corpo e la parete.
-Ho già saltato due giorni. Domani devo tornare.-
-È successo qualcosa in ospedale, vero?- insisto.
-Quel bambino era nella vasca da bagno, la madre si è distratta e lui è scivolato sott'acqua. Quando se n'è accorta l'hanno rianimato e sembrava stare bene, ma poi... Avrei dovuto...-
-Cosa?-
-È arrivato in pronto soccorso e sembrava stare bene. Invece aveva dell'acqua nei polmoni, nessuno di noi ha capito la gravità. Sono collassati poco dopo. Se il medico avesse richiesto un accertamento nell'immediato...-
Lo vedo tremare, nonostante l'acqua addosso ai nostri corpi risulti bollente.
-Sei all'ospedale come tirocinante, Alex. Non puoi assumerti queste responsabilità.-
-Non farò mai il medico.-
-Sì invece.-
-E sono così egoista che ho pensato al fatto che sono uguale a mio padre e...-
- Sei l'unica persona che conosco in grado di superare un avvenimento così terribile. Nessun altro potrebbe farlo.-
-Ho sempre pensato di farcela da solo, Juliet. E se così non fosse?-
La sua domanda non è lasciata al caso, perchè Alexander mi fissa, in attesa di una risposta.
Lancio entrambe le braccia intorno al suo collo tinteggiato da minuscole gocce d'acqua, e mi stringo a lui.
-Sono qui.-
Il suo sguardo, dapprima perso, finalmente si concentra e mette a fuoco i miei occhi.
-Davvero?-
-Voglio aiutarti e dimostrarti puoi contare su di me, Alex. Vorrei capissi che anch'io posso prendermi cura di te.-
-Non voglio che resti qui solo perché ti faccio pena.-
Lo scroscio dell'acqua copre le nostre parole, rendendole ancora più soffuse.
-Se sono qui è perché...- Compio una piccola pausa, aspettando che i suoi occhi cupi si allineino di nuovo ai miei.
-...Ti amo.-
Le sue ciglia hanno un battito.
-Ma tu non vuoi stare qui, Juliet. Non dopo tutto quello che ti ho fatto e che tu mi hai detto...-
-Ho solo paura, Alex. Mi hai sempre chiesto di dimostrarti il mio amore per te e io spesso ho sbagliato. Ma voglio dimostrartelo standoti vicino nel momento in cui hai bisogno e voglio che tu faccia lo stesso con me, ma non minacciando o uccidendo qualsiasi ragazzo che mi sta attorno. Desidererei lo facessi stando con me tutti i giorni, supportandomi. Ti chiedo solo questo.-
Alexander sembra rifletterci per qualche istante.
-Sei a casa mia da mezz'ora-, realizza serio.
-E poi sì, magari cronometrami, se ci tieni tanto.-
Non ricambia il mio sorriso, quindi torno immediatamente preoccupata. -Ce la farai?-
-Non lo so, Juliet. Non so se ne sarò in grado.-
-"Non lo so" non è una risposta che accetto, Alex.-
-Posso provarci.-
Sigillo le sue labbra tese con la morbidezza delle mie, unendole in un dolce bacio.
-Mi dirai di sì, Juliet? Resti qui?-
-È importante ora?- domando sfiorandogli il petto ansante.
-Sì. Vorrei saperlo.-
Sento il suo cuore battere all'impazzata sotto la mia mano, eppure lui è immobile.
-Non ci credi, Alex?-
-Non ci credo finché non vedo il resto dei tuoi vestiti nella mia cabina armadio.-
-Puoi sempre rimediare comprandomeli.-
-Bella mossa, piccoletta.-
Quando ci infiliamo sotto le coperte, finalmente Alexander sembra tornare a respirare.
-Alex, non è colpa tua. Non lo era quando è avvenuto l'omicidio di tua madre, non lo era con Mya, e non lo è nemmeno questa volta.-
-Non ti ho mai sentita così, Juliet.-
Le nostre labbra si sfiorano provocando una piccola scintilla.
-Che vuoi dire?-
-Non ti ho mai sentita così vicina, a me. Grazie.-
-Non devi dirmi grazie, lo sai...-
Lui m'interrompe accerchiandomi la guancia con il palmo della mano.
-Sarei così vuoto senza di te. E mi dispiace. Per tutto.-
Il suo pollice scivola sul mio labbro inferiore, mentre mi perdo nella profondità di quello sguardo.
-Alex...-
Tra di noi, ogni distanza fisica e mentale è appena saltata. Mi sento di nuovo volubile nelle sue mani.
-Sono così egoista che quel bambino ha perso la vita e io penso solo al mio errore. Al fatto che mi rende simile a mio padre. Perchè sono così, Juliet?-
Mi rispecchio in quel senso di colpa, ma non ho una risposta.
È sbagliato? E amarlo, cosa mi rende?
Alexander china il capo per impedirmi di scorgere il suo viso rigarsi di una lacrima amara.
-Non ricordo se ho messo l'allarme.-
-Alex?- lo richiamo, imprigionando il suo viso tra le mani.
-Sì?-
-Sei al sicuro con me.-
-Dici davvero, Juliet?-
Annuisco, frenando le sue paure con un bacio.
Con gli occhi ancora socchiusi, tendo il braccio a lato, ma la porzione di materasso che mi sta accanto è vuota.
È il giorno seguente e Alexander deve essersi svegliato presto. Io sto sbadigliando ancora, a causa della serata precedente. Sono stanca, abbiamo parlato fino a tardi e dormito poco. Sento dei rumori provenire dalla cucina, quindi mi alzo e la raggiungo.
-Devi chiedere altri giorni di permesso, non puoi andare a lavoro così, hai diritto di metabolizzare, Alex.-
-Buongiorno, Juliet.-
-Stai meglio?- chiedo avvicinandomi a lui, che sosta davanti alla macchinetta del caffè.
-Vuoi che ti prepari qualcosa?- Alexander svia la mia domanda con un'altra richiesta.
- No. Voglio che rimani qui. Il mio ufficio è chiuso per le vacanze di pasqua. Possiamo stare insieme.-
-Grazie per ieri.-
-Non devi ringraziarmi di nulla, Alex. Mia madre è preoccoupata. Dovresti chiamarla.-
-Va bene.-
-Stai meglio, vero?-
Lui annuisce, poi mi lascia un bacio sulla fronte ed esce di casa.
Quando Alexander torna sono ormai le sette di sera.
-Sono felice di vederti ancora qui.-
- E perchè?- Sorrido, mentre il suo sguardo si assottiglia, man mano che scivola dalla t-shirt che indosso, alle mie cosce scoperte.
-Perchè so che posso davvero contare su di te.- sussurra sulle mie labbra. -E perchè stai indossando i miei abiti.-
Alexander si leva il cappotto, poi il suo sguardo casca sul pavimento bagnato, sul quale individua le mie orme.
-Ho fatto un bagno. Poi metto tutto a posto e asciug...-
Prima che io possa continuare, lui avvicina il viso al mio e forza la lingua tra le mie labbra socchiuse, obbligandole ad aprirsi per lasciargli prendere il controllo di quel lungo bacio. Il gusto di caffè e menta mi invade la bocca, mentre con i pollici crea dei cerchi sui miei zigomi, dandomi i brividi lungo le braccia.
-Hai smesso di cercare casa, Juliet?-
-Ti ho detto che resto qui, ma...-
-Ho una stanza in più, puoi venire qui nel frattempo.-
-Puoi darmi del tempo per pensarci?-
-Se mi dirai di non toccarti, non lo farò.-
-In effetti sei bravo a ignorarmi, quando vuoi. Se invece ti dico il contrario, che fai?-
-In tal caso, gradirei piegarti a novanta su questo tavolo.- Alexander guarda la cucina come se niente fosse, -Vuoi fare cena?-
-Non ho molta fame.-
Sento l'adrenalina salirmi rapida nelle vene perchè lui si avvicina pericolosamente a me, così tanto da permettermi di scorgere il vuoto nei suoi occhi. So già che il momento di debolezza non si prolungherà ancora per molto. Si è messo in testa che deve superarlo e di sicuro non si farà vedere vulnerabile, come invece è accaduto ieri sera.
-Nemmeno io ho molta fame, Juliet.-
Senza troppi complimenti mi afferra dai fianchi e mi fa sedere sul tavolo.
-Rimani qui.- asserisce assottigliando gli occhi neri. Poi però inarca un sopracciglio, forse in attesa di conferma.
-Proprio non ci credi, eh?-
- Magari se ti levi queste, inizio a crederci.-
Le sue dita s'insinuano sotto la maglia che indosso, e una volta raggiunto il bordo delle mie mutande, me le sfila lentamente.
-Io...-
-Non puoi parlare d'ora in poi, Juliet.-, ordina facendosi spazio tra le mie ginocchia, distanziandole con le mani.
-Nulla?-
-Hai il permesso di pronunciare una sola parola.-
-Quale?-
Alexander si abbassa tra le mie gambe lasciate scoperte dalla maglia arrotolata sui fianchi.
Con la bocca raggiunge il mio interno coscia e io tendo la schiena nell'avvertire il suo respiro caldo, forse perchè so che a breve arriverà il dolore di un morso. Lui, invece, fa vorticare la lingua sul mio punto più sensibile, lo risucchia e lo lusinga con tanta bravura da indurmi a chiudere gli occhi e a riversare la testa all'indietro.
-Hai un sapore divino, piccola Juliet. Come sempre.-
Lo sento emettere un verso compiaciuto, ma dura troppo poco perchè sembra voglia fermarsi.
-No, continua.- dico d'istinto.
Alexander corruga la fronte, sorpreso dalla mia audacia.
-Sei carina quando provi a dare ordini. Ma lo sai che non funziona in questo modo.-
- No, non voglio darti ordini...-
-Ah, no?-
Poi torna in piedi, così l'afferro dalla camicia e lo porto verso di me.
-Ti voglio, ora.-
Prendo un lungo respiro e il suo buon profumo mi invade l'olfatto, tanto da causarmi un piacevole sfarfallio nel petto.
-Mhm, non lo so, piccola Juliet.-
-Lo sai benissimo, perché mi vuoi anche tu.-
-E cosa te lo fa pensare?-
Abbasso gli occhi e con sguardo peccaminoso carezzo l'erezione racchiusa a fatica nei suoi pantaloni. Mi trafigge il fianco dolorosamente, imprimendo la sua sagoma spessa sulla mia pelle.
- Secondo te?-
Mi lecco il labbro godendomi quel piccolo attimo di anticipazione, ma Alexander non mi lascia il tempo di pensare: afferra una manciata dei miei capelli, obbligandomi a reclinare il collo all'indietro.
-Va bene piccoletta, ma farà male.-
Segna la mia gola con una slittata di lingua che mi fa tremare le gambe.
-Mio dio...- boccheggio, già a corto di respiro.
-Ci sei vicina. Ma ho detto una sola parola.-
-Quale?-
-Il mio nome, Juliet. Voglio essere l'unica cosa nella tua mente.-
Il suo sussurro caldo scivola nel mio orecchio.
-Nel tuo cuore.-
Con la punta delle dita sfiora il mio seno che si abbassa e si alza rapido sotto la maglia.
-Ovunque. Hai capito?- domanda prima di addentare il mio labbro inferiore con foga, causandomi un gemito sofferto.
-Sì.-
Le nostre lingue si rincorrono nella danza frenetica di un lungo bacio.
-Ora apri bene le gambe.-
Alexander si slaccia i pantaloni, lentamente, e nell'udire il tintinnio metallico della fibbia della cintura, la mia spina dorsale viene percorsa da un fremito di eccitazione.
Restiamo con gli sguardi incollati anche quando mi cinge i fianchi con il braccio, portandomi più vicina al suo corpo.
Poi il mio respiro va in frantumi, perchè sprofonda dentro di me con una spinta violenta.
L'umidità tra le mie gambe non è sufficiente ad attutire la sua prestanza e io mi sento dilaniata. Con una mano mi stringe il collo, con l'altra si aggrappa alla mia gamba per poi infliggermi un'altra spinta, necessaria, che soddisfa quel senso di vuoto.
-Stai già per venire, piccola Juliet?- mi provoca con un sorrisetto sadico, dopo qualche mossa veloce.
Vorrei ribellarmi ai suoi modi presuntuosi, quindi stringo i pugni intorno alla sua camicia, ma lui afferra entrambi i miei polsi e li imprigiona dietro la mia schiena, facendomi sentire inerme e desiderata.
-No, io...-
-Io dico di sì.-
I suoi movimenti rapidi e profondi mi lasciano senza fiato. Sfrego le labbra contro le sue, in attesa che mi baci, ma lui si ritrae un paio di volte, facendomi agognare quel contatto intimo ancora di più.
Schiudo la bocca per accogliere la sua lingua esigente che, con quel bacio intenso, prende il controllo di ogni singola fibra del mio corpo. Avverto il bruciore insediarsi alla base della nuca perchè Alexander serra la presa intorno ai miei capelli, e dopo aver strisciato gli incisivi lungo la mia gola, inizia ad ansimare nel mio orecchio in modo lascivo.
-Mi sei mancata.-
Un'ultima stoccata mi spedisce dritta in paradiso. Il suo orgasmo caldo mi scivola dentro addolcendo il mio piacere, rendendolo divino.
Quella sera perdo la cognizione del tempo, forse perché lo trascorriamo a letto, il lenzuolo sulle teste.
-Sei ancora dell'idea che io possa essere felice lontana da te, Alex?- bisbiglio con un filo di voce.
-Quando ti ho vista, a New York, non lo eri. Sto tentando di capire come renderti felice. Tu l'hai sempre saputo, mentre io... Forse non sono bravo ad amare, Juliet.-
- Hai dei modi non proprio...-
-Quello che ho fatto a Rick è sbagliato. Ma lo rifarei-, sentenzia secco.
-Ed è sbagliato - puntualizzo.
-Dimmi che non l'ho sognato, Juliet. Che ieri sera l'hai detto per davvero.-
Freno le sue insicurezze con una raffica di piccoli baci a stampo che lo portano a chiudere gli occhi.
-Resto qui, Alex.-
È trascorsa circa una settimana da quando mi sono trasferita a casa di Alexander, ma da un paio di giorni un numero sconosciuto ha cominciato a cercarmi.
-Chi è?-
-Non ne ho idea-, rispondo confusa.
Sarà Rick? Non so che pensare.
Alexander mi ruba il telefono dalle mani per rispondere al posto mio.
-No, ha sbagliato numero.- lo sento dire.
-Chi era?- domando quando lui interrompe la telefonata.
-Nessuno. Cominciamo?-
Fisso Alexander, poi la camicia perfettamente stirata che indossa, infine il tavolo da pranzo dietro il quale sta seduto. Non ha intenzione di mangiare.
-Alex, capisco programmare le vacanze, ma questo...-
-Preferirei programmare qualsiasi cosa.-
-Non è normale.-
-Ma non mi dire, Juliet. Ora siediti.-
Io resto in piedi, mentre lui, seduto al tavolo, apre il portatile che ha davanti.
-Due volte al mese.-
Mi scappa una risatina. -Pratichiamo astinenza per il resto?-
Alexander sorride compiaciuto. -Certo che no.-
-Vuoi darmi i bacini?-
Io continuo a ridacchiare, ma lui è troppo serio per darmi corda.
-Due volte al mese per le sessioni più intense. Le altre volte avverrà in modo normale. Per me.-
-Normale... Certo, Alex. Tipo?-
-Tipo che a quest'ora ti farei pentire per esserti rivolta a me in questo modo.-
Lo guardo giusto in tempo per guadagnarmi la sua occhiataccia torva.
-Siediti.- ripete assertivo.
-Parlami di questi due volte al mese- lo incalzo.
-Ti ricordi di quando avevo detto di voler giocare con il tuo cervello, Juliet?-
-Non hai usato questa espressione, però sì, lo ricordo.-
-Sarà un'esperienza pesante, ma decidiamo insieme tutto ciò che faremo, non devi avere paura.-
-Non ne ho.- tendo la schiena e incrocio le braccia al petto.
-Mhm, interessante. Ma se stai qui ci saranno delle regole.-
Lancio gli occhi al soffitto.
-Quali regole? Tipo che non posso mangiare sul tuo letto?-
-No, quelle regole puoi anche dimenticarle.-
-Così hai una scusa?-
- Esatto.-
-E allora a cosa servono tutte queste regole?-
-Che c'è? Pensavi che mi sarei limitato a legarti al letto, solo per scoparti?-
Mi stringo nelle spalle. - Ah no?-
-No. Dobbiamo mettere per iscritto ogni cosa.-
-Puoi fare quello che vuoi, non c'è bisogno di scriverlo.-
-Juliet, sono serio.-
-Lo vedo, un po' troppo però.-
-Siediti, non farmelo ripetere.-
Sbuffo, poi finalmente mi decido a sedermi di fronte a lui.
- Dimmi tutto.-
-Voglio che tu sia indipendente e in pieno controllo delle tue decisioni. Ma non quando sei da sola con me, Juliet. Non nella mia camera da letto. Intesi?-
Annuisco.
-Prima di ogni scelta, ne dovrai parlarne con me.-
-Mi stai levando il diritto di scelta?-
- No. Hai tutto il diritto di scegliere cosa fare, ma prima di progettare qualcosa di importante, vorrei me ne parlassi con anticipo. Hai capito?-
-Quindi ti consulto prima di fare una vacanza, ma non per decidere il colore dell'abito che devo indossare?-
-Sarebbe gradito mi consultassi per ogni cosa, ma ... le scelte sono tue. Sta a te decidere se condividere con me o meno. Gradirei lo facessi, e io farò uguale.-
-Poi? Come continua questo accordo?- ridacchio.
- Non è un accordo. Ti sto dando delle regole e tu deciderai se accettare o meno.-
-Vai avanti.-
-Ci sarà una parte di me che io mostrerò solo a te e una di te che tu mostrerai solo a me.
Cose che farò, cose che dirò e che nessun altro potrà mai vedere o sentire, tranne te.-
-Okay. E vale o stesso per me, giusto?-
-Brava. Mi dirai tutto ciò che non vuoi fare, i tuoi limiti e...-
In quel momento la vibrazione del mio telefono mi distrae.
-È mio padre-, esclamo quando i miei occhi si posano sullo schermo.
-Come lo sai?-
-Ho ancora il suo numero.-
-Non rispondere.-
Stavolta decido di dargli ascolto.
-Posso continuare, Juliet?-
Mi riempio le guance ma poi trattengo lo sbuffo.
-Continua.-
-Alzati in piedi e vieni qui.-
La sua richiesta mi coglie di sorpresa.
Lo guardo per decifrare le sue intenzioni, ma il suo viso non tradisce una singola emozione.
- Ma...-
- Ora.-
Così faccio come mi ha chiesto e mi posiziono davanti a lui.
-Levati le mutandine e mettiti in ginocchio.-
-Ma stavamo...-
Il mio tentativo di protesta si spegne nel momento in cui i suoi occhi cupi mi penetrano con uno sguardo intenso. Sbottono i pantaloni e li sfilo. Poi le mutande. Mi inginocchio, mentre lui mi osserva incuriosito.
- Brava.- mormora, mentre con la punta della scarpa distanzia le mie cosce tra loro.
-Le cose stanno in questo modo, Juliet: sono malato, fottutamente ossessionato da te.-
Si lecca il labbro inferiore, mentre le sue iridi restano seppellite in profondità, tra le mie gambe.
-In questi tre anni che siamo stati lontani, il ricordo di quanto eri stretta mi ha fatto perdere il sonno. E ora guardati qui, disposta a fare tutto quello che ti chiedo.-
I suoi occhi spietati percorrono il mio corpo, dalla mia intimità liscia risalgono fino al mio viso arrossato.
-Mi hai pensato mentre stavamo lontani, piccola Juliet?-
-Sì.-
-Mhm...-
Non sembra convinto. Si sporge in avanti, con i gomiti sulle ginocchia.
-Voglio che ora usi quella bella vocina che ti ritrovi per raccontarmi tutto ciò a cui hai pensato.-
Sgrano gli occhi, imbarazzata.
-Pensavo volessi...- gli indico il portatile sul tavolo.
- Cosa? Ammanettarti e frustarti?-
Serro le labbra, mentre le mie guance tradiscono un rossore innegabile.
-Questo è anche meglio, no?- Alexander sorride sadicamente, conscio dell''umiliazione alla quale mi ha appena sottoposta.
-E poi, Alex?- domando con un filo di coraggio.
-E poi, se il racconto sarà di mio gradimento, ti prenderò su questo pavimento. Fino a quando non ti faranno male le ginocchia. Intesi?-
Annuisco, deglutendo a fatica.
-Brava.-
Quando Alexander mi sfila la benda, i miei occhi ci mettono un po' a riabituarsi alla flebile luce che regna nella sua stanza. Sfrego la guancia sul copriletto di seta e noto subito che oltre la finestra è calata la notte.
-Alex, piano.-
-Sentivo il bisogno di averti in questo modo.-
La sua voce eccitata mi scalda la spalla.
Le mie gote stanno andando a fuoco.
I polsi dietro la schiena sfregano tra loro e bruciano, costretti nel nastro. La mia pelle è lucida per lo sforzo, il respiro ormai ridotto a un soffio spezzato. Il mio corpo sembra aver perso la sua composizione naturale: non è più fatto di carne e muscoli, lo sento morbido e scivoloso sul letto.
Ora capisco perché tra le sue regole c'era bere almeno tre litri di acqua al giorno.
-Una follia non averlo fatto prima.- mugola alle mie spalle.
La follia è stata tutta mia, quando ho acconsentito alle sue richieste. E ora mi ritrovo legata, ho solo la mia voce per chiedergli di fermarsi. Serro le gambe intorno al cuscino che mi sorregge e quell'oggetto tra le mie cosce vibra così forte da impedirmi di tenere un minimo di autocontrollo.
-Non riesco più a trattenermi, Alex.-
-Devi fare solo una cosa Juliet, stare ferma e prendermi come una brava bambina. Non hai il permesso di muoverti.-
Le sue dita gelide tracciano la mia spina dorsale, tesa, poi segnano le mie curve, in modo lento e calibrato, mentre io, sopraffatta dalle lacrime, mi sto impegnando a non impazzire. Mi manca il fiato, non ho più nulla, solo un corpo ridotto a bisogni primordiali. E lui lo disintegra a ogni spinta. Non sento nemmeno più il dolore, ma continuo a rimandare il piacere che vuole esplodermi tra le gambe. L'oggetto infernale non smette di vibrare, provocandomi spasmi piacevoli che, dall'intimità, risalgono fino al clitoride che strofina sul cuscino, ogni volta che muovo i fianchi.
-Cristo, Juliet.-
Avverto il suo pollice sfiorare le mie pieghe sensibili, facendomi agognare quella sensazione che non arriva mai, mentre con l'altra mano si assicura che io abbia viso sprofondato nel materasso. Sto tremando, bisognosa di sollievo, ma ad Alexander non sembra importare, continua a affondare con violenza dentro di me trattenendo i gemiti, mentre rivoli di umori mi scivolano lungo le cosce.
-Alex... -
-Devo fermarmi?-
-No.-
-Allora perché continui a piagnucolare, mhm?-
Non riesco a rispondere.
-A me sembra ti piaccia farti scopare in questo modo, e anche tanto.-
Apro la bocca, ma le labbra secche non mi permettono di emettere alcun suono. Il mio centro comincia a pulsare, carezzato dalle sue dita. Inizio a muovere i fianchi cercando un po' di sollievo, ma Alexander non me lo consente, mi assesta due sculacciate con le nocche, tanto dolorose da farmi ammorbidire sul materasso.
-Fa male...-
Sento la sua eccitazione tendersi dentro di me, provocandomi un bruciore che si propaga fino alla nuca.
-Ma tu sembri apprezzare. -
-No.- mento spudoratamente, ormai al limite.
La realtà è che ormai conosco il modo in cui lui ama portare il mio corpo all'estremo e so che tutta quella sofferenza presto mi darà l'accesso al paradiso.
-Perché dici le bugie? -
Alexander rallenta il ritmo, poi mi carezza lo zigomo e sposta i miei capelli per cercare i miei occhi. Serro le labbra ingoiando un verso eccitato e lui si ferma. Il dolore però, non svanisce affatto.
-Juliet, guardami.-
Giro il capo e lo vedo. Sudato, il respiro ansante e gli occhi socchiusi. Una visione perfetta, che solo una divinità potrebbe eguagliare. Si morde il labbro inferiore e la scossa che proviene dalla sua erezione mi lascia intendere quanto sia prossimo all'orgasmo.
-Continua, per favore. -
Le labbra di Alexander accennano una curva proprio quando lo sento scivolare dentro e fuori, aumentando il ritmo e il suono dei nostri corpi si mescola ai miei gemiti incontrollati. Il dolore s'irradia lungo la mia schiena, mentre il piacere si annida tra le mie cosce in modo totalizzante. Poi, finalmente trovo sollievo perché Alexander cerca la mia apertura bagnata e la riempie con due dita, fino alle nocche.
-Brava la mia piccola Juliet.- mormora soddisfatto.
Mi contraggo intorno a quella sensazione di pienezza e, finalmente, mi sciolgo in un lungo idillio, così sconvolgente da farmi perdere il contatto con la realtà. Sento il suo respiro accelerare in modo eccitante, per poi rompersi in ansiti brevi e concitati, mentre il suo corpo teso trova sollievo, svuotandosi dentro di me.
-Ora capisco perché dicevi che che non possiamo farlo tutti i giorni. Ho bisogno di tre giorni di ferie e un paio di stampelle.- sbuffo causandogli un sorriso.
Alexander si ritrae lentamente, poi mi slega i polsi.
-Esagerata- Mi bacia la fronte, mentre io mi rannicchio, dolorante, sotto le coperte.
-Bagno o gelato?- chiede alzandosi in piedi, lasciandomi ammirare tutta la sua bellezza. Si copre il bacino con il lenzuolo bianco, in attesa di una mia risposta.
-Entrambe?-
Dopo avermi regalato un sorriso, Alexander va a farsi una doccia.
Mi infilo la sua camicia con aria sognante, ma la mia espressione è già cambiata quando lui torna con un asciugamano avvolto in vita.
-Tutto bene, Juliet?-
Gli mostro il telefono, inducendolo a scrollare capo.
-Non penserai di rispondergli?-
-Pensavo di sì.-
-Non puoi dargli una seconda opportunità, dopo ciò che ti ha fatto.-
-E solo una chiamata, Alex.-
Non so perchè, eppure mi sento in uno di quei momenti in cui una singola decisione potrebbe cambiare la mia vita per sempre.
Decido di fare di testa mia queste volta.
Dopo avermi guardata rispondere a monosillabi alla chiamata, Alexander mi interroga con aria preoccupata. -Cosa voleva?-
-È qui a Londra.-
-E...-
-Vuole vedermi.-
Lui fa cenno di no con il capo.
-Alex, è mio padre, non puoi impedirmi di vederlo.-
-Non è una buona idea.-
-Lascia che sia io a decidere!-
-Voglio che ci rifletti.-
-Non c'è nulla su cui riflettere, ho già deciso.-
-Non lo voglio qui.-
-Non decidi tu per me. Mettitelo in testa.-, sputo prima di uscire dalla stanza sbattendo la porta.
Vedere papà mi fa strano e vederlo entrare nell'appartamento di Alexander mi fa ancora più strano.
Ci scambiamo un abbraccio frettoloso e cominciamo a parlare del più e del meno, senza mai fare accenno a ciò che è successo con Withman.
-Non resterai, non preoccuparti di disfarla.-
Alexander appare alle nostre spalle e pronuncia quella frase indicando la valigia sul pavimento.
-Non voglio disturbare.-
-Papà, non disturbi, puoi rimanere qui per una notte.-
L'occhiataccia di Alexander è funesta, ma a me non importa.
-Fantastico, davvero.-
-Alex...- Lo seguo in camera quando si allontana. -È mio padre e non ha un posto dove andare.-
-Non lo voglio qui.-
-Dorme sul divano e domani se ne va.-
-Non lo voglio qui. Te l'ho detto. E tu mi hai disobbedito.-
-Che vuoi fare, sculacciarmi?- lo affronto a testa alta.
-Veramente sì.- sussurra sulle mie labbra.
-Per una notte cosa ti costa?- Provo ad addolcire i toni ma con lui non c'è verso.
-Non mi fido di lui. E se ci derubasse?-
-Ho detto a mia madre che andiamo a pranzo tutti insieme. Puoi fare uno sforzo?.-
Lui nega con il capo e lo sguardo rivolto al pavimento.
-Per favore riesci a farlo per me, Alex?- lo supplico strattonandogli il braccio.
-Va bene- sbuffa. - Ma poi toglie il disturbo.-
Il pranzo in famiglia risulta meno idilliaco di come suonava nella mia testa.
Mia madre e John non hanno argomenti da spartire con papà, quindi tutte le energie si concentrano su me e Alexander.
-Be' ti manca solo l'anello al dito.-
Mio padre fa quel commento, ma non viene preso bene da nessuno.
- Papà, non parliamo di questo. Mi passi l'acqua?-
Vorrei cambiare argomento ma Alexander lo sta fissando in cagnesco.
-Non parlate di matrimonio e figli? La vostra è ancora una relazione segreta o...-
John solleva gli occhi al soffitto, mia madre si guarda in giro per paura che qualcuno abbia udito.
-Non sono cose a cui noi pensiamo- taglio corto per evitare l'argomento scottante.
-Parla al singolare- mi redarguisce Alexander.
-Mi prendi in giro?- lo fulmino di rimando.
-Già vi vedo litigare per qualsiasi cosa.- commenta mio padre nel vederci battibeccare tra noi.
-Non penso di aver bisogno della tua opinione. Io e Juliet sappiamo perfettamente ciò che vogliamo.-
-Che sarebbe?- domando guardando Alexander negli occhi.
-Ordiniamo il dolce?-
Lui cambia discorso e io rimango con l'amaro in bocca per tutto il resto della serata.
Durante il tragitto per tornare a casa non dico una parola e Alexander sembra accorgersene perché mi raggiunge in camera con una domanda.
-Cosa c'è che non va?-
Mi scruta attento, mantenendo sempre un certo distacco.
-Niente. A parte il fatto che mi tratti sempre come una stupida.-
-E tu mi metti in imbarazzo, Juliet.-
-Io ti metto in imbarazzo? E per cosa?- lo aggredisco con voce tremante.
-Tuo padre vuole solo provocarmi. E tu gli dai anche corda.-
- Tu non sei mai gentile con lui!-
Alexander allarga le braccia, la fronte corrucciata.
-L'ha deciso lui di tirare fuori l'argomento. E poi cosa significa che non ci pensi?-
-Perchè tu sì, Alex? Pensi ad avere figli?-
-Di certo non voglio un figlio ora, dato che sarebbe come averne due.-
-Sei proprio stronzo-, sputo dandogli le spalle per evitare l'indifferenza che trabocca dalle sue iridi scure.
-Juliet...-
-Perché parli sempre al posto mio?-
-Se questo è uno scherzo...-
-Dico sul serio. E pensi anche di sapere cosa voglio!-
-Jul...-
Ma non sento altro perché esco dalla stanza e vado in salotto dove papà sta sistemando le coperte sul divano.
-Stai bene, Juls?-
-Sì. Puoi dormire qui stanotte.- gli dico con le mani agitate, mentre lui si siede sul sofà e mi fa spazio nel posto accanto.
-Juliet, permettimi di dirti che quello che fate voi non è litigare.-
-Che significa?-
-È come lasciare che lui decida sempre per te. Vuoi questo?-
Non ho bisogno di pensarci su. E la risposta può sembrare imprecisa, ma in realtà riflette il mio stato d'animo.
-Un po' sì e un po' no.-
-Non lasciare che sia lui a comandare la tua vita.-
Annuisco, sebbene io non abbia un'alternativa.
-Senti, Juls... ho degli amici che sono venuti a trovarmi qui a Londra. Mi presti la macchina?-
Quella richiesta inaspettata mi stranisce. Credevo volesse passare del tempo con me.
-No, Alex si arrabbia.-
-La prendo solo per un'oretta. Non se ne accorge.- prova a convincermi lui.
- Meglio di no.- Poi mi alzo in piedi. - Ti accompagno io.-
Alexander
Lascio che Juliet sbollisca la rabbia, dopo il litigio, ma quando mi accorgo che non c'è traccia di lei in casa, m'insospettisco.
-Dove sei?- le domando quando finalmente risponde al telefono.
-Siamo in un pub, Alex.-
-Sono le sei di pomeriggio.-
- Lo so. Ehm... torniamo presto.-
La sua voce è altalenante e di sottofondo sento delle voci sconosciute.
-Con chi sei?-
-Con papà, te l'ho detto.-
-Me lo ricorderei se me lo avessi detto. Tutto bene?-
-Sì, voleva solo incontrare dei suoi vecchi amici.-
-Juliet torna a casa, per favore.-
Metto giù la chiamata ma non riesco a tranquillizzarmi. Non mi fido di quell'uomo.
Quando finalmente rincasano, Juliet si defila per farsi una doccia, mentre io fermo suo padre nel corridoio d'ingresso.
- Preferirei te ne andassi. Ora.-
Lo guardo scrollare il capo, prima di avvicinarsi a me. Sembra voglia confidami qualcosa.
-Tu non mi sei piaciuto. Mai. Sei uno psicopatico, manipolatore. E la gente finge di non vederlo solo perché sei uno studente modello e sei anche attraente. Ma non mi freghi.-
Un sorrisetto sfugge alle mie labbra ricurve.
-Aggiungici un'altra cosa alla tua analisi non richiesta.- Piego il collo per assicurarmi che il messaggio arrivi chiaro al suo orecchio. -Conosco diversi modi per renderti la vita un inferno e il rimorso non è un'emozione che riesco a contemplare. Soprattutto se parliamo di persone che detesto e che fanno male a Juliet. E indovina un po'? Tu sei tra queste.-
-Sei un pazzo. Solo perché l'ho...-
-L'hai riportata a casa in quello stato. L'hai messa in pericolo guidando altrettanto ubriaco. Sappi che me ne basta una sola di motivazione.-
-Sono suo padre.-
-Non sei mai stato niente per lei.- dico allontanandomi. - E mai lo sarai.-
Il giorno seguente Juliet non va a lavoro e al mio risveglio mi accorgo che è in procinto di uscire.
-Ma dove vai?- le chiedo nel vederla in cerca della borsa. Io sono ancora a letto. Sono le sei del mattino.
-Accompagno papà all'aeroporto.-
Finalmente.
-Può prendere un taxi.-
-La smetti di dirmi sempre cosa devo fare?- sputa con tono freddo.
Ci risiamo, è da ieri che mi tiene il broncio.
-Juliet avrai dormito sì e no due ore, non puoi guidare.-
Lei sbuffa, poi apre l'armadio per prendere la giacca.
-Lascia che se la sbrighi da solo.-
-Smettila, Alex. Pensi che non lo sappia che l'hai minacciato ieri?-
Cristo.
-Non parli perchè è la verità.- mi aggredisce con occhi lucidi.
-Voglio solo che apri gli occhi, Juliet.-
-Li sto aprendo.- dice prima di infilarsi in bagno per darsi un'ultima sistemata ai capelli.
Mi alzo dal letto e la raggiungo.
-Che significa?-
-Non hai fatto un cenno, ieri, quando ha parlato di matrimonio.-
-Cos'avrei dovuto dire?-
-Non lo so, eri pronto a sposare una sconosciuta. Te lo devo ricordare?-
-Juliet...-
-Ancora mi chiedo il perchè di quell'anello...-
Scrollo il capo. Ci risiamo con i capricci.
-Ma forse una risposta ce l'ho. Avresti fatto qualsiasi cosa pur di stare con me, quella notte.-
-Non siamo due persone pronte a un passo del genere, te ne rendi conto?- le dico guardandola dritta negli occhi.
Lei però non sembra prenderla bene perchè china la testa.
-Con lei sì?-
-Non puoi paragonare...-
- No certo, non posso fare paragoni perché avresti portato lei all'altare.-
-Juliet, io non ho mai amato nessun altro e tu lo sai benissimo.-
-Lo so. Ma poi il modo in cui tratti me, le mie opinioni, la mia volontà... è come se nulla avesse importanza. Solo il tuo punto di vista. Non riesci proprio, è più forte di te.-
Quando si volta per nascondere i singhiozzi, una morsa dolorosa mi serra la gola.
- Non posso vederti così.- mugugno indebolito dalla sua reazione vulnerabile.
-Sono qui da poco più di una settimana e sono già stufa di litigare. Ci sto male, Alex.-
L'afferro dalle spalle, invitandola a girarsi verso di me.
-Anch'io. Ma starei peggio se non ti avessi nella mia vita. E vale lo stesso per te. Quindi non ho scelta. Se non quella di combattere ogni giorno-, sussurro lasciandole un bacio tra i capelli.
-Io combatto, tu detti le regole. Non siamo proprio sullo stesso piano, Alexander.-
-Sei sempre dell'idea di tre anni fa?- le domando, spaventato dalla sua eventuale risposta.
-Tu no?-
-Sì, anch'io ci penso spesso.-
-A cosa?- mi chiede sollevando i suoi bellissimi occhi per lasciare che si fondano a lungo nei miei.
-Al fatto che tu sei quella giusta per me, ma io non sono quello giusto per te. Forse sono solo un altro ostacolo alla tua felicità.-
Lei resta fredda davanti a quelle parole.
E io non ho idea di cosa le passi per la mente.
-Devo andare o faremo tardi. Ci vediamo dopo.-
************
Non mi piace litigare con Juliet, soprattutto se quando la chiamo per sapere come sta, lei non risponde al telefono.
Sono in facoltà per dare un esame e, una volta finito, la richiamo invano.
Sto per riporre il cellulare nello zaino, quando lo schermo si illumina. Non è Juliet.
-Catherine, tutto bene?-
-Juliet ha avuto un incidente in macchina.-
Quelle cinque parole rimbombano lapidarie in ogni parte della mia mente.
-Dov'è adesso? Catherine, dimmi che sta bene.-
-È viva.-
-Cosa significa? Perché non mi hai chiamato subito? In che ospedale...-
-Alex...- lei compie una pausa sofferta -È meglio se vieni qui.-
Mi precipito al pronto soccorso, ma Juliet è già stata trasferita al reparto di terapia intensiva.
-Si tratta di una commozione cerebrale. Le sue condizioni sono stabili.- farfuglia un'infermiera, presa di mira dal mio sguardo torvo.
-Devi parlare ed essere più specifica. Cosa diavolo è successo?- l'aggredisco.
Catherine mi afferra da una spalla.
-Alex, sei qui.-
Sì, ma non riesco a respirare.
Ho bisogno di parlare con un dottore.
-Posso vederla?- domando al medico quando finalmente appare nella sala d'aspetto.
-Assolutamente no. Stiamo facendo tutti gli accertamenti. La paziente risponde agli stimoli, ma dobbiamo assicuraci che non ci siano emorragie cerebrali. L'impatto è stato forte.-
-Ha ferite?-
-Non sul corpo. Le abbiamo appena fatto una risonanza magnetica perchè sospettiamo delle lesioni alle ossa del collo. Aspettiamo i risultati.-
Vorrei poter non capire il significato di quelle parole, per illudermi, come fa Catherine, ma purtroppo non è così.
-Cos'è successo? Guidava lei?-, domando a Catherine, quando il dottore ci lascia soli nella saletta desolata.
-Sì, un frontale. Dev'essere stata una distrazione.- risponde lei con il cuore il gola.
Solo ora mi accorgo che ha la voce rotta dal pianto e le dita tremolanti.
-E suo...-
Catherine si porta una mano alla bocca, gli occhi rigonfi di lacrime.
-Non ce l'ha fatta. Morto sul colpo.-
Mi siedo raccogliendo la testa fra le mani e resto in quella posizione a lungo, anche quando ci raggiunge mio padre. Abbraccia Catherine poi rimane lì insieme a noi fino a notte fonda, finché il medico non fa il suo ritorno.
-Juliet è cosciente.-
-Sta bene?- chiede Catherine balzando in piedi con sguardo supplicante, come se davanti non avesse un medico, ma un gladiatore in grado di scegliere se condannarla alla vita o alla morte.
-Non ha ossa rotte, gli organi sono intatti e non presenta emorragie interne.-
Il mio petto dolorante si svuota di un lungo sospiro di sollievo.
-Perchè allora quella faccia?- lo interroga Catherine con tono diffidente. -È una buona notizia, no?-
-Dalla risonanza magnetica pare che alcune zone del cervello non stiano funzionando correttamente. Sospettiamo che la commozione le abbia causato una grave forma di amnesia. Non possiamo dirlo con certezza.-
-Che significa?-
-Potrebbe non ricordare nulla dell'incidente.-
-Il che è un bene, no?- insiste Catherine.
-Non se si tratta di un tipo di amnesia retrograda.- Specifico io, guardando Catherine che mi fissa confusa.
-Sospettiamo che non ricordi nulla di ciò che è accaduto prima dell'incidente. E potrebbe essere un danno permanente.-
Il medico prosegue con quell'ipotesi, causando un'espressione scettica sul mio volto, così come su quello di mio padre.
-Juliet è viva e sta bene. Questo è l'importante.- Catherine scandisce le parole come a formare una preghiera, mentre io fermo il dottore prima che si congedi.
-Dobbiamo vederla.-
- Purtroppo il protocollo prevede che non vi siano incontri con conoscenti senza la presenza di specialisti in grado di fare una perizia psichiatrica della paziente. Vogliamo evitare di creare traumi o di aggravare quelli già presenti.-
-Nemmeno da lontano, mentre dorme?-
La mia richiesta suona inquietante, ma non m'importa, voglio vedere che sta bene e voglio vederlo con i miei occhi.
- No. Dovete avere pazienza. E fossi in voi sarei felice per come sono andate le cose. Juliet ha rischiato di perdere la vita.-
Non posso vederla.
Ogni tanto le rubo un'occhiata da lontano, quando qualche infermiera sbadata lascia la porta aperta un po' più del dovuto. I suoi occhi sono cerchiati da due lividi scuri e le braccia esili riposano come rami senza vita, tra il candore delle coperte di quel lettino asettico.
Passo una settimana a dormire in quella sala d'attesa e sembro tornare a respirare solo quando ci confermano che Juliet è fuori pericolo e, finalmente, possiamo parlarle.
Mi alzo in piedi. Sto tremando ma provo a non darlo a vedere.
Quando entro nella stanza Juliet è bellissima.
-Perché sei in piedi?-
Il suo letto è vuoto, lei è di spalle verso la finestra. Il camice è bianco.
-Voglio parlarti.-
Ma lei non si volta.
- Juliet?-
Ho una strana sensazione addosso.
Così mi avvicino e le sfioro la spalla. È fredda al tatto e quando si gira per poco non mi spavento.
Non è la mia Juliet. Ma un'entità dalle sembianze mostruose.
-Alex...- Catherine mi richiama, quindi apro gli occhi. Era un incubo.
-Noi andiamo da Juliet. Tu rimani qui.- sussurra porgendomi un caffè. - Devi tornare a casa e farti una dormita.-
Ignoro i consigli e torno dal l'infermiera affinché richiami il medico.
-Posso entrare anch'io?- gli chiedo quando l'uomo mi si presenta davanti.
-Può vederla solo chi ha una relazione stretta con la paziente.-
Le mie labbra restano sigillate.
-E solo con l'assistenza di un medico e uno psichiatra.-
-Va bene.- annuisco, convinto che mi abbia dato l'okay.
-Non possiamo correre il rischio di crearle confusione o spaventarla, Alexander. E non potete entrare tutti insieme.-
-Mi lasci entrare, non le parlerò. Farò il mio lavoro.-
-Non sei di questo reparto.-
- Per favore. Voglio solo vederla.-
-Non è corretto lo sai.- mormora richiamando un'infermiera che gli lascia la cartella clinica di Juliet.
Poi solleva lo sguardo nella mia direzione con un sopracciglio inarcato.
-È la tua ragazza?-
- Juliet è tutto per me.-
L'uomo sembra rifletterci un po' su, infine risponde.
-Puoi entrare.-
Chiudo gli occhi, felice di aver ottenuto il permesso tanto desiderato.
-Ma non dire una parola. O mi licenziano. E se puoi, evita di scambiare sguardi con lei.-
Ringrazio il medico e dopo essermi cambiato, entro nella stanza di Juliet.
Catherine e mio padre non si voltano nemmeno, concentrati come sono a parlare con lei.
Io mi posiziono in un angolo e resto in disparte. Juliet non si accorge della mia presenza, forse perché è il primo incontro con i nostri genitori.
E io non posso voltarmi a guardarla, mi è stato proibito. I nostri occhi non possono toccarsi.
Però almeno potrò udire la sua voce.
-Juliet, ti ricordi in che anno siamo?-
Il silenzio è doloroso quanto assordante.
-Quando sei nata?-
Poi, finalmente, la sua voce. -Chi siete voi?-
È questo il vero incubo.
Non riesco più a sentire oltre.
Esco da lì spaventato. Il fiato corto.
Mio padre mi raggiunge, sembra preoccupato nel vedermi così scosso.
-Alex?-
Provo a incamerare un lungo respiro, ma resta intrappolato nella mia gola. Mi sento annegare.
-Non è colpa tua.- Mi rassicura lui.
-Perché allora mi ci sento, in colpa?-
- Non lo so. Ma nemmeno ciò che è accaduto a tua madre è avvenuto per causa tua.-
Non mi aspettavo le sue parole.
-Non eri arrabbiato con me?- gli chiedo.
-Non sono mai stato arrabbiato con te. Non ero felice per ciò che è accaduto a Mya, ma... Sono fiero di ciò che sei diventato. Ho sempre desiderato solo proteggerti.-
Dopo quelle parole mio padre mi regala un abbraccio.
-Cosa vi siete detti con Juliet?- gli chiedo, leggermente scosso.
-Juliet non ci riconosce.- ammette con voce rotta. -È ... ignara di tutto e tutti. Sembra di parlare con una bambina di dieci anni.-
Mio padre si strofina il volto, è visibilmente angustiato.
-Tu che intenzioni hai con lei, Alexander?-
Mi è stata data l'opportunità di poter fare la cosa giusta questa volta e non ho intenzione di sprecarla.
-Non si innamorerà più di me. Questa volta non tornerò indietro, papà.-
Juliet
-Juliet, voglio chiederti una cosa.-
Chiunque, prima di rivolgersi alla sottoscritta, guarda la donna seduta di fronte a me. Dovrebbe essere una psichiatra o almeno così si è presentata. Tutti aspettano che lei annuisca, poi proseguono. Ora c'è una coppia accanto al mio letto.
-Juliet, chi siano noi?-
-Siete i miei genitori.-
La donna che mi ha appena posto la domanda si emoziona.
-Sta tirando a indovinare Catherine.- la fredda il signore di fianco, penso si chiami John ma non è mio padre secondo me.
-Io sono tua mamma, mentre lui è John.-
-E mio padre? Dov'è?-
Si scambiano degli sguardi preoccupati tra loro.
-Non c'è più.-
Rimango silenziosa, in attesa.
-È venuto a mancare in un incidente d'auto.-
La risposta mi manda in confusione. Non so chi fosse, quindi non sento alcun dolore, se non un po' di dispiacere per non averlo mai conosciuto.
-Un'informazione alla volta-, la dottoressa redarguisce Catherine, che invece vorrebbe tartassarmi di richieste.
-Ho io una richiesta da fare.- annuncio con voce flebile.
La mia testa gira, la vista è spesso confusa e ogni parte del mio corpo fa male, fortuna che i farmaci fanno il loro dovere. Ho ancora una flebo attaccata al braccio, ma questa sera me la toglieranno.
-Dicci pure, Juls.-
-Chi è Alexander?-
La donna si volta verso la psichiatra, poi i suoi occhi chiari sono di nuovo su di me.
-Perché? Ricordi qualcosa?-
-No. Ma ho questo nome in testa.-
L'ho sognato.
-Una cosa alla volta. Per favore.-, ripete la psichiatra invogliando mia madre a spostare la conversazione su altri argomenti.
-Oggi verrà a trovarti Mini. Ti ricordi di lei?-
No.
-Se sei mia madre, perché mi parli davanti tutte queste persone?-, chiedo d'un tratto, indicando il gruppetto alle sue spalle.
-Sei ancora in stato di convalescenza, hai bisogno di cure e attenzioni mediche.-
Mentre parliamo, un ragazzo alto e slanciato entra nella stanza e mi si avvicina per misurarmi la pressione. Indossa un camice, ma sembra troppo giovane per essere un medico.
Leggo la targhetta che porta il suo nome.
-Alexander...- scandisco lentamente.
Dovrei stupirmi della coincidenza, visto che ne parlavamo poco fa, ma resto senza parole perchè ho di fronte il ragazzo più bello che io abbia mai visto.
-Stai bene?- Gli chiedo, nel notare che gli tremano le mani quando mi accerchia il braccio con la fascia.
-Tu?-
Rilancia con quella domanda e lo sguardo che mi rivolge è troppo fugace. I suoi occhi sono neri come il petrolio.
-Mi sento rintontita dai farmaci.-
Per un attimo dimentico che ci sono altre persone nella stanza, vorrei solo parlare con lui.
Ma lui deglutisce e dopo aver preso la pressione, se ne va.
-Pensi di conoscerlo?-, mi domanda la psichiatra a quel punto.
-Spero di sì.- replico schietta.
-Alexander è il figlio di John.-
-John... Tuo marito?- chiedo stranita, indicando l'uomo al fianco di mia madre.
Questa famiglia mi confonde.
-Sì.-
E allora perchè ha fatto finta di non conoscermi?
Abbandono la testa sul cuscino, esausta.
-Ve l'ho detto, dobbiamo lasciarla riposare,- s'intromette quella guastafeste della psichiatra.
Nel tardo pomeriggio Mini viene a trovarmi. Ho scoperto che la mia migliore amica è davvero molto bella ed esuberante.
Mi mostra delle foto che ci ritraggono insieme quando andavamo alle superiori e finiamo a ridere di aneddoti di cui non ricordavo l'esistenza.
-Ho visto un ragazzo- le confesso sottovoce.
-Quale ragazzo?- lei sgrana gli occhi cerulei.
-È il ragazzo più bello che abbia mai visto. Ne sono certa. Gli tremano le mani quando mi sta vicino. Ha un buon profumo e...-
Mini sembra capire qualcosa che io non ho ancora capito.
-Juls, ricorderai tutto...- sospira con le iridi lucide per la commozione.
Poi mi stritola in un forte abbraccio, ma ben presto è obbligata ad andarsene perchè il momento delle visite è terminato.
Rimango da sola, quindi mi assopisco per qualche minuto finché non sento la porta aprirsi di nuovo.
Mi rimetto a sedere.
È entrato qualcuno.
Dalle mie labbra non esce un suono.
Il mio cuore accelera rapidamente.
Alexander.
-La tua amica è appena uscita. Ti hanno detto che devi chiamare l'infermiera con il pulsante di emergenza. Non puoi rimanere da sola.-
-Non sono da sola.- ribatto di getto.
Lui solleva lo sguardo nella mia direzione, mentre continua a sistemare alcune fiale dentro a un contenitore.
-Ah, no?-
-No, ci sei tu.- rispondo senza staccargli gli occhi di dosso.
Sembra in procinto di parlare ma non lo fa. Quindi ci penso io.
-Mi hanno detto che devo aspettare. Ma io ho bisogno di parlarti.-
-Non possiamo. Il medico ha detto...-
-Non m'importa di quello che dicono.-
-Vuoi starmi a sentire, Juliet?-
-Sì, certo. Ti ascolterei per ore.- affermo sincera.
-Stanotte. Resta sveglia.-
Annuisco, ma prima che lui se ne vada, lo richiamo.
-Alexander, mi porti del caffè?-
-Non puoi bere caffè.-
-Lo so, ma ne ho bisogno.-
-No.-
-Non dico a nessuno che me l'hai portato tu.-
-No.-
-Come mai sei così cattivo con me?-
Lui si volta di scatto e mi trafigge con un'occhiata sottile. -Cattivo?-
Per un attimo mi trovo in una cucina sconosciuta. Lui è davanti a me e sembra più piccolo.
Il mio cuore salta un battito. Rivivo un momento che avevo seppellito, ma sfugge via troppo in fretta per essere ricordato.
Non è solo il figlio di John. Chi è? Devo saperlo.
Alexander
-Non puoi dirle tutto.- mi spiega la psichiatra, che non fa che scrutarmi con riluttanza.
Non si fida di me.
-Non voglio dirle tutto. Ma non posso nemmeno mentirle, no?-
-No. Non mentiamo ai pazienti. Devi solo darle del tempo. Dal suo risveglio, Juliet si ha cominciato a esprimersi in modo semplice e infantile. Sembra che le sue emozioni abbiano preso di complessità, così come il suo linguaggio. Stiamo ancora valutando se si tratta di danni permanenti oppure no.-
Distolgo lo sguardo. Ho il rifiuto per tutto ciò che mi ha appena detto, ma devo essere forte.
-Voglio risparmiarle il dolore che ha provato in passato.- le dico.
-Mi raccomando, non fare di testa tua. Ci devo essere anch'io e i vostri incontri devono essere monitorati.-
Annuisco, ma ho già in mente di fare a modo mio.
È mezzanotte inoltrata. Catherine sta dormendo profondamente su una poltrona accanto al letto di Juliet, quindi io mi insinuo nella stanza.
Juliet spalanca gli occhi quando mi vede nel buio. Mi stava aspettando.
Brava, piccoletta.
-Shh.- la zittisco con una mano davanti alla bocca. -Vieni con me.-
Lei fa cenno di sì con la testa, mentre io le do una mano a tirarsi su.
Non ha più la flebo al braccio, ma devo comunque aiutarla a camminare, sorreggendola.
Le faccio segno di stare in silenzio mentre sfiliamo davanti a Catherine.
-Dove mi stai portando?- chiede quando siamo ormai fuori dalla stanza.
-Ti ho detto di stare in silenzio. Perchè non ascolti mai?- la rimprovero, spaventato che qualcuno possa vederci sgattaiolare nel corridoio.
-Scusa.- esclama facendo un'espressione buffa.
Le infilo il mio cappotto, poi le indico le scale che portano sul tetto dell'ospedale.
Juliet le guarda affannata.
-Vieni.- Così la prendo in braccio per evitarle quella fatica.
-Sicuro di farcela?- chiede mentre la trasporto.
-Sei una nana. Perchè non dovrei farcela?-
Lei ridacchia e dopo poco siamo sul tetto.
È freddo lì fuori. La lascio reggersi sulle sue gambe, ma Juliet non molla la mia mano.
Ci perdiamo in un lungo scambio di sguardi, finchè lei non si alza in punta di piedi per raggiungere le mie labbra.
-Non dovremmo essere qui.- mormora con voce da bambina.
-Lo so, Juliet. Ma mi hai insegnato tu a violare le regole.-
La guardo sorridere, mentre una morsa dolce amara mi stringe il cuore.
-Non lasciarmi la mano.- le dico quando, incurante del buio, mi trascina verso il cornicione.
Da lì riusciamo a scorgere la vista di tutta la città dormiente.
-Tranquillo, voglio solo sedermi qui.-
-Okay, ma fa attenzione.-
-Ti è dispiaciuto per il mio incidente?-
Sollevo un sopracciglio, incapace di processare il dolore che mi ha causato quella notizia.
-Molto, Juliet.-
-Eravamo in buoni rapporti io e te?- domanda arricciando la fronte.
Lei si siede e io, senza mai lasciarle la mano, mi accomodo al suo fianco.
-Perchè me lo chiedi?-
-Perchè mi hanno detto che sei il figlio di John... quindi dubito seriamente che io, in passato, sia riuscita a non...-
I nostri profili si attraggono in modo naturale. Con la punta del suo nasino sfiora il mio zigomo.
-A non...?-
-Baciarti.- sussurra dolcemente, prima di puntare alle mie labbra.
-L'hai fatto.- asserisco sottraendomi al suo timido tentativo.
I suoi occhi prendono a vagare rapidi, in cerca di una controbattuta.
-Stavamo insieme-, aggiungo poi.
-E dimmi, Alexander, cosa è successo tra di noi?-
Le parole le avrei, ma forse sarebbe meglio evitarle.
-Ti ho tradita.-
Lei per poco non scoppia a ridere.
-Che c'è? Non ci credi?-
-No, stai mentendo.-
-Sì. Ti sto mentendo. Non è vero. Ma le cose andavano male.-
Juliet affossa le spalle, sembra dispiaciuta.
-Rispondi sincera. Come ti senti ora?-
Le stringo la mano un po' più forte, come se potesse sfuggirmi da un momento all'altro.
-Libera.-, replica dondolando le gambe nel vuoto.
-Già.-
-Ti ricordi il giorno dell'incidente?-
-Avevamo litigato.- rispondo con un nodo che mi serra la gola.
-Io non ricordo nulla. Però sai cosa?-
La guardo incuriosito. -Cosa?-
Juliet si avvicina alla mia guancia e il sussurro che lascia nel mio orecchio mi dà i brividi.
-Ti vedo ogni notte, nei miei sogni.-
Per un attimo riconosco la mia piccola Juliet. E sì, sono egoista, ne vorrei un po', ma lei sembra non soffrire, sembra davvero libera ora, e io sono felice di prendere il dolore dei ricordi, e di farlo per entrambi.
-Ti ho fatto tanto male, Juliet. Vorrei che tu ricordassi solo il buono.-
-Non ricordo, non sento quel dolore- spiega con aria innocente.
-Nemmeno quando mi guardi?- le chiedo, mentre osservo i lunghi capelli color nocciola sventolare davanti al suo viso pulito e privo di trucco.
È bellissima.
-No.- confessa dando un colpetto con la spalla.
D'un tratto però la vedo spalancare gli occhi in preda all'imbarazzo. -Quindi se stavamo insieme... O mio dio, ti ho visto... tu mi hai vista...- Si porta la mano davanti alla bocca e diventa rossa.
La sua ingenuità mi fa sorridere, per un attimo quel peso sul cuore sparisce e torna solo quando lei mi rivolge la domanda successiva.
-Io ho fatto qualcosa per ferirti, Alexander?-
-No.- Accolgo il suo viso tra le mani. -È stata tutta colpa mia.-
Lei si sporge verso di me avvicinandosi alle mie labbra e io mi irrigidisco.
-Voglio provare.- sussurra senza paura.
-Juliet...-
Mi sfiora il labbro inferiore con la punta della lingua. La sua dolcezza m'invoglia a chiudere gli occhi. La lascio fare e resto immobile, le labbra premute tra loro, mentre lei prova a mordicchiarmi la bocca con fare impacciato.
Poi però Juliet spalanca gli occhi perchè le stringo la gola con il palmo della mano e le mangio le labbra turgide con un morso. La sento gemere mentre mi forzo tra le sue guance con colpi di lingua profondi e incalzanti.
-Cos'hai sentito, Alexander?-
Oh, piccola Juliet...
-Nulla. Ci siamo lasciati. Te l'ho detto. Tu?-
-Mi scoppia il cuore quando ti sto vicino.-
Poi mi afferra la mano e se la porta al petto.
-Senti?-
Lascio scivolare il palmo verso l'alto, con il pollice le carezzo la gola, poi la mandibola. Sta tremando. Quel contatto le piace perchè la sua bocca color ciliegia si curva, mentre chiude gli occhi.
-Sono contento di vederti sorridere-, le dico.
-Prima non lo facevo?-
-Non con me.-
-Ah.- La sua fronte si accartoccia, sembra colma di dubbi. -Piangevo spesso?-
Resto impassibile per qualche secondo, è difficile dirle la verità, ma devo farlo.
-Sì. Di notte, a volte, ti sentivo singhiozzare.-
-Perchè?- mi guarda confusa.
-Magari avevo detto qualcosa per ferirti...-
-Tu? A me?-
-Sì, Juliet.-
-E tu mi tenevi la mano, mentre piangevo?-
No.
Deglutisco quel boccone amaro.
-Mi dispiace. È capitato in tante occasioni che avessi paura di perderti, ma mai come questa volta, Juliet. Ho rischiato di perderti per davvero.-
-A me dispiace che tra noi le cose non abbiano funzionato.- mormora ancora confusa a causa del nostro scambio. -Mi racconterai, un giorno?-
Le bacio la fronte. -Sì, piccoletta.-
Poi mi alzo in piedi e riprendo a respirare.
Spesso mi chiedo che persona sarei, se quella notte non avessi assistito all'omicidio di mia madre.
Una persona è sempre la stessa, senza i suoi ricordi, senza i suoi traumi? Senza le parti più dolorose che le hanno plasmato l'anima?
Juliet si alza in piedi e mi raggiunge.
-Posso restare qui ancora un po'?- mi chiede mentre ammiro i suoi occhioni dall'alto, facendomi sempre la stessa domanda.
Sei ancora la mia piccola Juliet?
-Posso restare o no?- ripete nel vedermi imbambolato.
-Devi rientrare, o tua madre si accorgerà che ti ho rapita.-
-Okay.-, sbuffa un po'. - Voglio provare a camminare da sola.-
La vedo proseguire a passi lenti verso la porta che dà sulle scale del tetto. Il camice le sta grande, così come il mio cappotto. Mentre la osservo, qualcosa le fa cambiare idea, perchè torna indietro.
-Comunque non sei poi così cattivo.- realizza, prima di lasciarmi un bacio sulla guancia.
Mi scappa un sorriso.
-Sai a costa stavo pensando, Alex?-
-A cosa?-
-Sembri saggio. Mi hai insegnato tante cose in passato?-
-La più importante me l'hai insegnata tu, Juliet.-
Perchè mi hai insegnato ad amare.
-E ti sarò sempre grato per questo.-
Lei arriccia le labbra. -Mi vorrai sempre bene?-
Ti amerò per sempre.
-Sì, ma comportati bene.- le dico attirandola a me per scaldarla con un abbraccio.
Juliet scoppia a ridere con la guancia seppellita nel mio petto.
-Sennò che fai, Alex?-
Sorrido perchè lei è sempre la stessa, eppure, ora non sarà mai più mia.
🖤🖤🖤🖤
PRIMA DI MANDARE DENUNCE, MINACCE E QUANT'ALTRO... DEVO DIRVI UNA COSA.
ma non ora
Ci vediamo su instagram stefaniasbooks, così commentiamo insieme il capitolo e vi do tutti gli aggiornamenti che riguardano Badlands. 🖤
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