Do you want my presence or need my help? Who knows where that may lead
Striscio languidamente con la fronte contro il suo petto immobile.
Il corpo di Alexander sembra paralizzato, non accenna un minimo movimento quando sento le sue dita finire decise sotto al mio mento per sollevarlo.
È faticoso guardarlo dritto negli occhi ora, ma sono obbligata a farlo.
- Juliet...-
La luce pallida e giallognola che arriva dalla cucina taglia il suo viso perfetto, ne ravviva i tratti più spigolosi, lasciando all'ombra quelli più delicati. Non è cambiato di una virgola: sul suo volto c'è sempre stampata quella bellezza indomabile, caratteristica che però passa in secondo piano quando arrivo a guardare i suoi occhi. Ruvidi e taglienti. E le sue labbra, piene ed irraggiungibili.
-Mia madre?-
Lui per un attimo corruccia le sopracciglia, sembra confuso.
-Ah, già. Tua madre.-
Lo vedo prendere un grosso respiro ansante. -Vieni.-
Seguo Alexander per le scale in legno che portano al secondo piano.
-Cosa le è successo?- domando sottovoce.
-Il medico è andato via dieci minuti fa. Ha avuto delle contrazioni preparatorie ma dicono sia troppo presto ora. Hanno paura che il bambino nasca prematuro. Insomma lei non è più giovanissima, soffre di pressione alta...-
Alexander si dimostra come al solito meticoloso e preciso, sembra un medico quando spiega le cose ma io sono solo confusa.
- Mamma!-
Per poco non scoppio in lacrime quando la vedo stesa sul letto, nella sua stanza buia illuminata solo da una costosa lampada da comodino.
- Sto bene, Juls. Mi hanno solo messa al riposo forzato. Non posso muovere un dito per questi ultimi mesi. Solo mangiare e riposare! Che pacchia, eh?-
È pallida e stanca ma la forza d'animo non le manca.
- Posso fare qualcosa?- domando di getto.
- Ora che John è in trasferta, c'è Alexander ad occuparsi di me.- sospira lei con un filo di voce.
Mi volto di scatto a guardare quel ragazzo che sta con le spalle contro la porta, fermo sull'uscio come se non volesse entrare per non disturbare il nostro momento.
Solleva lo sguardo dentro al mio per un attimo, poi torna a guardare a terra.
- Alexander?!- domando a mia madre incredula.
- Sì, Juls. Senza di lui non so come avrei fatto questa settimana: ogni giorno mi ha preparato pranzo e cena. Si è occupato del bucato e mi ha aiutata a salire e scendere le scale quando ero stanca...-
Lei gli sorride e io rimango incredula.
"Chi? Alexander? Lo psicopatico che gode delle sofferenza altrui e che sarebbe in grado di fare del male persino a sua madre!?"
- È il minimo che posso fare, Catherine.- replica lui con voce asciutta e pulita. E profonda. Tremendamente profonda. La voce di Alexander la conosco bene, eppure ogni volta è come se celasse qualcosa di inaspettato.
- Mamma mi dispiace non esserci stata per te.-
Le parole mi escono da sole, quando mi avvento su di lei per abbracciarla.
- Juliet... se solo tu potessi tornare...-
Gli occhi chiari di mia madre sono ormai lucidi di lacrime e io non posso esitare ora.
- Non ci torno qui, ma...-
Soffoco un singhiozzo per proseguire.
-...tornerò qui... Per te.-
Mia madre mi lascia un bacio, poi abbandona gli occhi stanchi e io capisco che è arrivato il momento di lasciarla riposare.
- Meglio se vado.- mormoro sottovoce. Ma non lo sto dicendo a lei, lo sto dicendo a me stessa, lo so.
Alexander chiude la porta alle nostre spalle poi si ferma proprio lì, fuori dalla camera dei nostri genitori. Le mie gambe sembrano aver perso l'abilità di camminare, mentre resto ferma ed immobile a guardare l'infinità del corridoio. I miei occhi rimangono incollati a quella porta laggiù, oltre alle spalle di Alexander. E proprio lì accanto, c'è anche camera mia.
E tutti quei ricordi.
-Juliet.-
Me lo sento puntato addosso. Il suo sguardo martellante.
Alexander fa scivolare le mani nelle tasche della tuta con una lentezza disarmante, poi mi guarda.
Siamo vicini, troppo. Non posso guardarlo. Potrei pentirmene.
- Tornerai per davvero?-
La sua voce è un sussurro buio che mi risucchia. C'è qualcosa, c'è un desiderio nascosto tra quelle parole. Forse una speranza. Forse una preghiera.
-Sì.-
E poi le mie ginocchia tremano.
Le emozioni per questa serata sono state troppe e la tensione che mi ha provocato rivederlo, il mio corpo non sa gestirla. La paura di perdere mia madre, vedere Alexander, tornare in quella casa...
Sento le gambe cedere, quindi senza neanche accorgermene mi accascio contro il muro del corridoio, rannicchiandomi in silenzio.
Non lo sto guardando ma riesco a percepirlo. Il suo disappunto. Con la sua mano destra fa un cenno come ad invitarmi ad alzarmi, poi la stringe in un pugno lungo i suoi fianchi.
-Com'è tuo padre?- Lo sento chiedere.
-Sbadato. Con la testa sulle nuvole. Ma è okay.-
-Già. Da qualcuno devi pur aver preso.-
Un sorriso stanco abbandona le mie labbra. Deve averlo percepito perché qualcosa gli dà il diritto di continuare.
-Vuoi un the? Te l'ho preparato prima. Magari si è freddato, te ne faccio un altro.-
La sua domanda, anzi, le sue parole, sono quelle a mandarmi in confusione. Sempre.
-No.- rispondo alzandomi da terra.
-Rimani qui?-
O forse era un "Rimani qui." senza il punto di domanda, ma sono troppo agitata e disorientata per leggere tra le righe.
-No, io devo...andare.-
Ma la mia spinta di coraggio dura una frazione di secondo, perché quando sollevo gli occhi da terra Alexander mi sta guardando.
Con quegli occhi.
Con quello sguardo.
Il suo collo è leggermente ricurvo, mentre inclina la testa a lato con il suo fare inquietante per scrutarmi con attenzione. La pelle della sua gola si fa più sottile rivelando le vene bluastre che la percorrono.
Dannazione, devo andarmene e non tornare mai più.
L'attimo di imbarazzo si amplifica quando lui compie un passo verso di me. Mi muovo di fretta come per voler scappare ma gli finisco addosso.
- Devo andare.- Il cuore mi sta picchiando nel petto.
-Sì. Giusto. Mi sembra giusto.- Gli sembra giusto? Non prova a trattenermi?
Ma il diavolo sa prenderti alla sprovvista.
Alexander raccoglie la mia mano tra le sue dita gelide prima che io possa voltargli le spalle.
-Torna domani.-
Due parole, come un incantesimo che mi incatena al volere delle sue labbra perfette.
-Sì.-
Un sospiro, il mio, che non racchiude promesse.
-Per mia madre.- specifico.
-Certo. Per lei.-
Non c'è emozione nelle sue parole. Non c'è un filo di umanità nel suo sguardo. Perché non può anche solo per un attimo diventare...normale?
Prima il corridoio di corsa, poi le scale senza neanche fermarmi.
Così fuggo, di nuovo, da quella casa infestata dal fantasma più pericoloso che io conosca.
Resto a fissare immobile il grosso portone d'ingresso che ho appena chiuso alle mie spalle.
Fuori è tutto maledettamente buio.
Sento lo stomaco pulsare forte dentro al mio basso addome quando con la mia schiena sbatto contro il legno duro.
Chiudo gli occhi.
Resto lì per qualche istante.
Potrei giurare di aver sentito un movimento dall'altra parte, contro la porta.
Immagino la sua fronte premere, il suo respiro accelerare, le sue labbra serrarsi.
Poso la mano contro la porta, come per lasciarvi una carezza, sicura che lui sia ancora lì dietro.
Poi riapro gli occhi.
Due fari mi colgono di sorpresa: mio padre è venuto a prendermi.
Lancio un forte sospiro nell'aria buia e fredda.
Ce l'ho fatta.
Ne sono uscita incolume stavolta.
Ora devo solo respirare e sperare di non rivederlo mai più.
In macchina guardo il telefono più volte. Sono nervosa e persino mio padre che non è Mr. sensibilità se ne accorge.
- Ma stai bene Juls?-
- Sì.-
Ricontrollo di nuovo il cellulare, come se mi aspettassi di trovarci qualcosa lì dentro.
"Stupida, l'hai bloccato!"
-Sei sicura??-
Il respiro sembra non voler rallentare.
Mi porto una ciocca davanti al viso, come a volermi nascondere dagli sguardi indiscreti di mio padre perché non voglio che veda quanto stono scossa in questo momento. Ma poi...è inevitabile. Lo sento addosso, persino tra i miei capelli. Il suo profumo è inconfondibile.
🍎🍎🍎🍎🍎🍎🍎🍎
Sto andando a rilento perché sto scrivendo i nuovi capitoli. 😅 qualche ragazza mi ha chiesto dei titoli, sono solo frasi di canzoni! Così come per i titoli dei capitoli dei libri di chocolate!
❤️
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