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Capitolo 3 - Vai a farti f*

ATTENZIONE
All'interno del capitolo è presente l'illustrazione di una chat, che non verrà caricata se leggete off-line.

Stanotte non ho chiuso occhio.

Dopo essersi lamentato per circa un'ora, papà ha vomitato tutto l'alcol che aveva ingerito. Per fortuna questa volta sono riuscita a farlo entrare in tempo in bagno e a fargli centrare il vaso. Dopo averlo messo a letto, mi sono fatta una lunga doccia e poi ne ho fatta un'altra stamattina perché sentivo ancora addosso il puzzo di vomito.

Non ho alcol a casa e non ho alcol a scuola; vorrei fumare, ma se lo facessi tutti gli sforzi fatti fino a oggi andrebbero a farsi fottere. Mi resta il sesso, o meglio mi restava, adesso non posso sfogarmi neanche con quello.

Frustrata, sputo la gomma priva di gusto fuori dalla finestra e prendo il cellulare dalla tasca dei jeans. Devo rispondere a Den. So che rientrerà a Jacksonville per prendere delle cose da casa di Vivian che gli servono ad Atlanta e se venisse oggi mi farebbe un gran favore.

«Dianne, stanno arrivando quei rompicazzo della vigilanza» dice Vic.

Annuisco e m'incammino verso l'uscita. «Andiamo giù. Ho ancora quasi un'ora prima della prossima lezione». Infilo lo smartphone nei pantaloni ed esco dall'aula.

«Io e Zoe abbiamo letteratura fra un po'». Claire si tocca i capelli di continuo, il gel non tiene su la cresta. «Ma Monica? Ah, eccola!»

Monica sbuca sul fondo del corridoio. «Ehi! Stanno arrivando quei cazzoni in divisa. Non si può più stare in pace qui dentro da quando ci hanno confiscato la roba» sbotta avvicinandosi. «Perché non cambiamo posto?» Si ferma a un passo da me ma non mi guarda, troppo impegnata a fissare lo schermo del suo cellulare.

Ancora mi è difficile credere che Sebastian l'abbia scaricata. Immaginarli a scopare nel bagno è stato... fastidioso.

«Lo sappiamo. Per questo stiamo andando giù» risponde Tamara. Stamattina il suo mal di testa è tanto forte che mi pare di riuscire a sentirlo. Vic le parla a stento, non credo che ieri si siano chiarite.

Il telefono vibra in tasca e lo prendo, ma invece di leggere il messaggio mi fermo a guardare la stella sull'anulare. Odio ammetterlo, ma non riesco a dimenticare la sensazione della sua lingua sulla pelle, né i brividi d'eccitazione che ne sono scaturiti. Non ci eravamo mai sfiorati prima e quel gesto inaspettato mi ha confusa. Esatto, è per questo che non riesco a smettere di pensarci: mi ha presa alla sprovvista in un momento di forte stress e non dovrà accadere mai più.

M'incammino verso la porta d'emergenza, l'allarme è ancora fuori uso.

Sblocco lo schermo.

Che vita di merda.

Scendiamo le scale e svoltiamo sul retro, avvicinandoci al solito posto sotto gli alberi. È una giornata fresca e preferirei non stare all'aria aperta, ma sono troppo nervosa per pensare a un altro posto dove passare il tempo.

Cammino fissando lo schermo. Non so se mandare Hayden a 'fanculo per la sua risposta inutile o se lasciar correre. Mi sentirei più soddisfatta con la prima.

«Dianne...» sussurra Vic alle mie spalle.

«Che?» Infilo il cellulare in tasca, mandando mentalmente Den a quel paese.

«Il muretto è occupato».

Punto lo sguardo di fronte a me e mi fermo. È uno scherzo?

Con le braccia conserte e le caviglie incrociate, Sebastian è appoggiato al muro dove di solito ci piazziamo io e le mie ragazze, sotto il salice che ci nasconde agli occhi degli altri con il fogliame fitto e basso. Ha indosso una T-shirt grigio scuro e i soliti jeans neri abbinati agli scarponi con il ferro, ma un dettaglio attira la mia attenzione.

«Cos'è? Hai finalmente capito che il giubbotto di pelle non va più di moda da tipo trent'anni e hai deciso di buttarlo via?» Ridacchio avvicinandomi. Se crede di fregarci il posto per vendicarsi dell'erba, non ha capito un cazzo.

«Visto che sei così esperta, vuoi dirmi tu cosa devo indossare, Dianne?» replica saccente. Il vento gli scombina i capelli, che sfiorano le spalle. Mi tornano in mente le parole fastidiose di Monica.

«Prima di tutto dovresti rasare a zero quei riccioli da bambola di porcellana che ti ritrovi, e poi potresti...» Mi zittisco nell'istante in cui vengo colpita da un getto d'acqua ghiacciata, che mi bagna dalla testa ai piedi.

Resto pietrificata e incredula, mentre alcune gocce mi scorrono sul viso.

«Che diavolo...?» grida Claire alle mie spalle.

«Porca merda!» Si accoda Tamara.

Fisso le mie ragazze, bagnate meno di me, e subito incrocio lo sguardo agitato di Monica. Non ha ancora superato l'umiliazione che l'ha spinta a cambiare e deve aver vissuto una sorta di déjà-vu. Punto gli occhi sulle scale di emergenza sopra di noi, attirata dalle grasse risate di Crik e Crock che reggono in mano due secchi rovesciati.

Ma. Che. Cazzo!

Torno a guardare Sebastian, furiosa. Se potessi, lo disintegrerei dalla faccia della terra. Lui e il suo gruppetto di stronzi!

«Non ti metterai a piangere, vero? Mi è sembrata una buona idea far riscoprire anche a voi il contatto con la natura. Un gesto di solidarietà». Sorride, spingendosi con le mani sul muretto e avvicinandosi.

Cancellerei quel ghigno da strafottente dal suo viso con una mazza da baseball sui denti, se l'avessi per le mani. Ma il mio unico pensiero va ai brividi che il vento fresco sta accentuando sulla pelle bagnata. Ho fatto troppe assenze per colpa di mio padre e non posso permettermi di ammalarmi o dirò addio alla borsa di studio.

Maledetto bastardo.

Guardo ancora le mie ragazze, che stanno imprecando. Tocco la testa e i vestiti: i pantaloni sono salvi, ma la maglia e zuppa. Fregandomene dei lividi, che ormai si vedono poco, afferro l'indumento e lo sfilo via.

«Siete solo dei pisciasotto del caz...» Mi zittisco osservando lo sguardo stupito di Sebastian. Mi squadra dalla testa ai piedi senza farsi alcuno scrupolo a nasconderlo. Gli occhi lussuriosi scivolano sul seno come se seguissero le gocce che li rigano, scendono sull'addome piatto e proseguono sui leggings di jeans aderenti. Risalgono, fissandosi sul mio viso sorridente.

Chiudi la bocca, non è roba per te.

La sua espressione si gela d'improvviso. Punta l'attenzione alla mia sinistra e lo imito: il clone e il nano ghignano divertiti. Certo, non potevano mancare allo spettacolo.

Coglioni.

«Vai a farti fottere, Sebastian» sibilo, alzando il medio della destra.

Getto la maglia fradicia fra le mani di Vic e mi dirigo a passo svelto verso il campo da football. Spalanco la porta dello spogliatoio delle cheerleader e lascio che si richiuda alle spalle. L'ambiente è soffuso, c'è puzza di un mix di profumi da chissà quanti dollari. Per fortuna è mattina, altrimenti non sarebbe stato vuoto.

Mi avvicino agli armadietti e comincio a rovistare in quelli senza lucchetto, sperando di trovarci una maglietta e magari anche un fon. Resto disgustata dalla quantità d'indumenti rosa che scarto e mi sposto verso il fondo, augurandomi che almeno una di loro abbia dei gusti decenti. Mi va bene anche una maglia bianca, cazzo, ma il viola scolorito e il giallo di questo stupido college mi fanno schifo.

Sono infuriata e frustrata oltre ogni limite, e dopo il casino di stanotte l'irritazione mi scava la pelle. Non mi frega più un cazzo di quella promessa, appena esco di qua mi faccio dare una canna da Tamara e basta! Altrimenti spacco qualcosa, magari la testa di Sebastian.

Sospiro ancor più infastidita sentendo la porta aprirsi. Maledette cheerleaders. Non sono tutte in mensa a fare le bullette con le matricole? Apro l'ennesimo armadietto e rovisto alla rinfusa prima che mi scoprano.

«Se devi rubare, almeno chiudi la porta».

Magnifico! Adesso mi serve anche un oggetto contundente. Una di queste psicopatiche avrà qualcosa di utile.

Sbatto l'anta dell'armadietto e ne cerco un altro senza lucchetto.

«Sono solo venuto a controllare se stessi piangendo davvero. Mi dispiacerebbe molto». Non lo guardo, ma so che sta ridendo. Mi andrebbe bene anche uno di quei nastri che usano per farsi il fiocco sulla coda alta, così lo strozzerei.

«Siete davvero caduti in basso con questi scherzi da bambocci. È così che passate il tempo? Non avete proprio un cazzo da fare, eh?»

Finalmente trovo qualcosa di utile. Prendo la maglia bianca e la sollevo dalle spalle. Che schifo... c'è stampato un fiore fuxia e la marca di quello che mi sembra un dentifricio, o forse è un profumo alla moda.

Chiudo l'armadietto e sobbalzo: Sebastian è fermo a un passo da me. Nella penombra intravedo i suoi occhi fissi sul mio corpo. Ha il respiro accelerato come se mi avesse rincorsa e i flebili raggi di sole che entrano dalle finestrelle alle mie spalle gli illuminano il braccio tatuato fino alle nocche della mano.

Sono stufa dei suoi giochetti.

«Non sono dell'umore giusto. Dimmi cosa diavolo vuoi e togliti dai coglio...»

Sebastian afferra la bretella del reggiseno, mi tira a sé e mi bacia.

Le sue labbra calde mi mandano in confusione e lascio che divorino le mie come se ne fosse affamato. M'induce a schiudere la bocca e le nostre lingue cominciano una battaglia aggressiva senza sosta, costringendomi quasi all'apnea pur di non perdere colpi. Il gusto delle Lucky Strike che fuma è prepotente, ma ciò che prevale e il profumo frizzante del suo dopobarba o della colonia, non ne ho idea.

Mi sfugge un gemito silenzioso e poso le mani sul suo petto per spingerlo via, facendo cadere a terra la maglia del dentifricio.

«Ma che cazzo fai?!» sbotto ansante. Era questo il suo piano? Avvicinarsi a me per prendermi per il culo?

Sebastian non replica. Passa la lingua fra le labbra, fissando le mie come se fosse ipnotizzato.

Non era un semplice bacio, ma un'esplosione di frustrazione e desiderio. Di entrambi.

Il suo profumo... voglio sentirlo ancora. Quanto sarà bollente quella pelle d'inchiostro? Quanto sarà devastante la sua passione?

Si avvicina ancora e dovrei indietreggiare. Devo indietreggiare. Indietreggia, cazzo!

Il suo corpo mi sovrasta, l'odore ammaliante mi cattura.

'Fanculo.

Stringo la sua maglia nei pugni e lo bacio, facendo sbattere i nostri corpi. Il suo profumo torna a invadermi, mentre le sue mani scorrono sulla mia schiena nuda con possesso. Mi spinge contro gli armadietti e mi stringe il gluteo sinistro, scivola sulla coscia scorrendo verso il ginocchio e lo solleva appoggiandolo sul proprio fianco. Strofina il bacino contro il mio facendomi sentire senza alcuna difficoltà l'erezione già dura, che mi scatena un brivido d'eccitazione tanto intenso da far vibrare la nuca.

Le nostre lingue proseguono senza sosta la battaglia, cercandosi e scontrandosi senza concedere il dominio a nessuno dei due. Affondo le mani fra i suoi ricci e lo sento irrigidirsi. Libero subito la presa, forse non gli piace, però non dice nulla e, dopo un istante di esitazione, riprende a baciarmi con avidità.

Lascio scivolare una mano sul collo e sul petto, calcando la forma degli addominali che paiono scolpiti nel marmo. Porca miseria, che fisico perfetto!

Sebastian mi morde sotto l'orecchio, costringendomi a un gemito sommesso, e assapora la mia pelle disseminandola di baci umidi fino alla clavicola. Le sue labbra sono... puro incanto. Velenoso.

«Prendi la pillola?» Afferra i miei leggings dai lati.

Oddio, lo sto facendo davvero?

«Sì, ma non voglio prendermi malattie da te. Di certo avrai un preservativo».

Ridacchia. «Potrei dirti la stessa cosa». Indietreggia d'un passo e infila una mano nella tasca posteriore del jeans. «Spogliati» ordina risoluto, estraendo una bustina argentata. Gli capita così spesso di usarli da tenerli a portata di mano come fossero fazzoletti?

«Mi spoglio perché lo voglio, non certo perché l'hai detto tu». Con chi cazzo crede di parlare?

Sfilo le Sneakers e calo i pantaloni sui piedi.

Sebastian sorride e abbassa i jeans senza smettere di guardarmi. Le gambe, scolpite ma non in modo eccessivo, sono entrambe tatuate: sulla destra continua il tribale a forma di drago che parte dal torace, suppongo, mentre sulla sinistra due dragoni avvolgono la gamba e s'intersecano come se stessero combattendo una battaglia all'ultimo sangue.

«Come sei difficile, Dianne». Ridacchia, strappando l'involucro del preservativo.

«Come sei rompipalle, Sebastian». Butto i leggings sulla panchina alle sue spalle e afferro il bordo dei miei slip.

«Ferma un po'» dice posando le mani sulle mie.

S'inginocchia e spalanco gli occhi, stupita. Mi spinge contro gli armadietti e mi bacia il ventre, catturando e succhiando la pelle. Passa la lingua attorno all'ombelico e scende sul pube, calando di poco l'elastico dell'intimo. Trattengo un gemito per non dargli la soddisfazione di fargli capire quanto sono eccitata e mi struscio un po' contro le ante fredde per cercare sollievo.

Mi toglie gli slip e li posa vicino ai pantaloni. «Non ci sono ciocche viola, qui». Mi prende in giro, avvicinando il viso al mio inguine.

«Fottiti». La lingua mi sfiora il clitoride e poggio le mani sulle sue spalle, allontanandolo. Che diavolo crede di fare? Fa così con tutte?

Sbuffa divertito. «Devi essere in astinenza da parecchio, eh?» Si drizza in piedi e lascia cadere i boxer neri sui pantaloni. «Vuoi mettermelo tu?» Ridacchia mostrandomi il preservativo. Alzo il medio della destra in risposta.

L'osservo sistemare il condom sull'erezione. Anche se siamo quasi al buio, ciò che vedo rende reale tutte quelle stupide voci che girano su di lui.

Sebastian mi prende per i fianchi e mi fa sbattere contro di sé; cattura le mie labbra con le proprie, avido più di un assetato, e mi accarezza il corpo con mani possessive, come se volesse attraversare la pelle per toccare le profondità della mia anima.

Scende sui glutei e li stringe. «Aggrappati».

Allaccio le gambe attorno al suo bacino, mentre mi spinge contro gli armadietti. Afferra l'erezione e solletica le grandi labbra. Si fa strada di poco dentro di me, che m'irrigidisco per la pressione eccessiva. Stringe i miei glutei e mi penetra con una spinta decisa.

«Cazzo!» grido d'istinto, spingendolo dalle spalle e arretrando un po' il bacino.

Sebastian ridacchia. «È tutto tuo, principessa». Scivola ancora più a fondo e stringo le gambe attorno ai suoi fianchi, trattenendo il respiro. Che diavolo ha là sotto?

Si muove aggressivo, entrando e uscendo per tutta la lunghezza. Ogni spinta mi sembra più profonda, ogni colpo più forte. Non avevo neanche la più pallida idea delle sue dimensioni.

«Vacci piano!» sbotto infastidita, incapace di trattenere i gemiti. Merda!

«Ti facevo più esperta». Ancora si prende gioco di me.

«Sei tu ad avere un problema».

Non riesco a partecipare come vorrei, in balia delle sue spinte che mi spezzano il respiro di continuo. Non facevo sesso da un paio di mesi e a lui non frega nulla di darmi il tempo di abituarmi alla sua invasione.

«O forse non hai mai fatto una vera scopata. Dovresti ringrazia...»

Gli afferro il capo con le mani e lo bacio. «Sta' un po' zitto, cazzo».

Non mi piace il gusto delle sue sigarette sulla lingua, ma non importa. Baciarlo è... una droga. Le labbra morbide e possessive, la lingua calda e aggressiva. Ogni cosa di lui mi eccita.

Lo detesto.

Spingo il bacino contro il suo per assecondarne il ritmo e in breve il fastidio per la troppa pressione svanisce, lasciando spazio soltanto al piacere. Insinuo una mano sotto la maglia e le dita formicolano a contatto con la sua pelle bollente. Il torace ampio sbatte contro il mio, frenetico, mentre il desiderio di strappargli via la maglietta m'invade la mente.

L'eccitazione scorre nelle vene come mi è capitato di rado, o forse mai. Le sue mani salde sui miei glutei mi portano a sé con tale foga da stordirmi, facendomi sentire una verginella che non sa gestire i lamenti. Mi morde il labbro inferiore e stringo un po' i ricci, ricavandone soltanto un maledetto sorriso compiaciuto. Mi lecca il collo e scende sul petto, afferra l'intimo nero con i denti e libera un seno. Lambisce il capezzolo, lo mordicchia e lo succhia. Gemo inarcando le unghie sulle sue braccia, graffiandolo. Non voglio fargli sentire quanto mi sta piacendo, ma non riesco a trattenermi.

Torna a baciarmi, anzi a giocare con le mie labbra. Le sfiora, le stuzzica ma non le cattura, mentre io cerco di prendermi le sue che continuano a sfuggirmi. Le voglio, deve darmele all'istante! Ma lui si rifiuta, vuole tormentarmi.

Il suo bacino spinge contro il mio senza perdere un colpo, si ritrae quasi del tutto e affonda ancora, deciso a farmi urlare. Crede di avere il gioco in pugno.

Povero illuso.

Lascio scivolare una mano sulla sua schiena e risalgo graffiandolo, mentre insinuo l'altra fra i capelli per stringerli nel pugno; gli mordo il collo con le labbra e catturo il lobo dell'orecchio tra i denti. Sebastian geme, un suono più libero dei grugniti che cerca di soffocare, e sorrido soddisfatta. Ma la vittoria è breve.

Mi schiaccia contro gli armadietti bloccandomi con il torace ampio, che ansima frenetico quanto il mio, e si impossessa delle mie labbra come se volesse divorarle.

Nello spogliatoio le note dei nostri gemiti sono accompagnate soltanto dal rumore sordo delle ante alle mie spalle che dà voce alla sua aggressività.

Sebastian sembra non avere un limite né risentire della fatica, mentre tutto in me trema: il corpo prossimo all'estasi e la ragione annebbiata dal piacere.

Gli occhi scuri sono fissi nei miei; nel buio brillano come fossero fonte di luce e sono così... incomprensibili. Ipnotici.

A cosa stai pensando, Sebastian?

L'orgasmo mi travolge e mi stringo a lui, aggrappandomi con una mano ai suoi capelli. Soffoco i lamenti sulla sua spalla e lo mordo, appagata ma anche frustrata.

Sebastian geme ancora, un suono roco e maledettamente sensuale, ma non arresta la sua furia. Continua ad attrarmi a sé, a spingersi dentro di me come se volesse distruggermi, e temo che possa riuscirci di questo passo. Cerco di resistere e combattere contro il suo atteggiamento dominante, però il piacere ha invaso anche la mia mente e non so... non capisco. Vedo e sento soltanto lui, il resto non ha alcuna importanza.

Sebastian ansima e i suoi muscoli s'irrigidiscono; mi stringe i glutei quasi a farmi male e mi bacia, riversando il grido del suo orgasmo dentro la mia bocca.

I nostri fiati ansanti si scontrano mentre non riesco a dividere gli occhi dai suoi, che sembrano persi nei miei. Ogni centimetro della mia pelle formicola di piacere, il petto si espande rapido, scontrandosi con il suo, e il cuore batte così forte da rimbombare nella testa.

Ho avuto altri uomini, ma non sono mai stata scopata in questo modo, né avevo vissuto sensazioni tanto intense da farmi perdere il senno, prima d'ora.

«Cazzo, se sei bravo...» mormoro.

Porca di quella... L'ho detto davvero?

Sebastian sorride. «Anche tu non sei male».

Ci divide e mi posa a terra. Adesso che i brividi dell'orgasmo stanno sparendo, mi sembra di essere stata travolta da un camion, anzi da un treno che viaggiava a piena velocità, investendo tutto ciò che gli sbarrava la strada.

Ma il problema più grande è che soltanto ora mi rendo conto dell'enorme cazzata che ho fatto: ho scopato con Sebastian! Ma che diavolo ho nella testa?

Senza degnarlo di uno sguardo, afferro gli slip e li sistemo, poi infilo i jeans, sperando che il cellulare non si sia rotto quando li ho lanciati. Ci manca solo una spesa non prevista.

Che disastro! Devo fuggire di qui all'istante.

«Cos'hai combinato?» chiede alle mie spalle.

«Ah?» Anch'io mi sto domandando che diavolo ho combinato.

«Hai dei lividi sulla schiena e, adesso che ti guardo meglio, anche sulle cosce».

Porca puttana!

«Non sono affari tuoi». Chiudo i pantaloni e mi siedo sulla panca per infilare le Sneakers.

Sbuffa seccato, ma non ho alcuna intenzione di fare conversazione.

Finisco di sistemare le scarpe, raccolgo da terra quella orrenda maglietta con la marca del dentifricio e la indosso, avvicinandomi all'ingresso. «Va' a farti fottere, Sebastian» dico spalancando l'uscio.

«Già fatto, Dianne. Già fatto!» Ridacchia alle mie spalle.

Questo è davvero un gran bel casino.


***


«...anne!»

«Eh? Che?» Mi drizzo sul sedile posteriore, abbandonando i pensieri.

«Siamo arrivate. Ma che hai oggi?» domanda Vic.

Guardo fuori dal finestrino. Pareti bianco sporco, finestre con tapparelle oblique bloccate a metà, giardino tagliato male: casa mia.

«Ah, sì. Grazie del passaggio» borbotto aprendo lo sportello.

«Aspetta!» Mi posa una mano sulla spalla. «Non sono neanche le sette. Sei sicura di non voler fare un giro con noi? È venerdì» chiede ancora.

Lancio un'occhiata a Tamara, seduta davanti a me. Non ho bisogno di guardarla in faccia per sapere che vorrebbe restare da sola con la sua ragazza, deve farsi perdonare la sbronza di ieri sera. E io non ho voglia di stare con nessuno.

«Devo studiare, te l'ho già detto. Vivian oggi non mi ha chiamata, ma lo farà di certo domani».

«Okay...» Sospira stizzita. Forse non vuole restare sola con Tam perché è probabile che litigheranno e Victoria ha già troppi problemi per la testa, la maggior parte legati proprio alla sua ragazza.

Esco dall'auto e m'incammino sul vialetto, sentendo la macchina ripartire alle spalle.

«Dianne!» Punto lo sguardo a sinistra, Oneida è sulla soglia di casa sua. «Ehi, ehi! Torni da lavoro?» Agita una mano per incitarmi ad avvicinarmi.

Calpesto il prato rovinato e le vado incontro. «No. Mi sono fermata un po' al campus dopo le lezioni».

«Oh. Sei sempre tanto studiosa». Oneida china il capo verso il basso. «E tu dove vuoi andare, eh? Torna dentro, su!» Con un piede impedisce al gatto nero di uscire. Credo si chiami Goccia, o forse è Stagno, oppure Messy. Non sono mai riuscita a distinguere i suoi tre gatti, sembrano identici ma lei dice di no.

«È tutto a posto? Ti serve qualcosa?» chiedo senza avvicinarmi troppo. Oggi indossa un abito pulito e stirato alla perfezione, anche se un po' sbiadito. Mamma diceva che quando aveva una delle sue crisi maniacali girava nuda per casa perché aveva paura che nei vestiti si annidassero dei germi.

Scuote il capo, smuovendo la matassa di ricci tipica degli afroamericani. «Stavo lavando le mattonelle della cucina con lo spazzolino e ho sentito un rumore. Credevo che fossero i ragazzini di ieri, ma invece eri tu». Il gatto non demorde, sembra intenzionato a uscire, e Oneida è costretta a prenderlo in braccio.

«Ancora loro? Devi chiamare il 911».

Agita la testa, frenetica. «Oh, no, non si può! Vogliono entrare in casa mia e nessuno entra in casa mia!»

«Basta che gli dici di restare sul portico».

Lascia andare il gatto e si ritrae d'un passo. «L'ultima volta volevano entrare per vedere cosa mi avevano rotto e quelle scarpe...» Un brivido sembra scuoterla da capo a piedi. «No, non possono entrare. Troppi germi. Troppi, troppi...» sussurra l'ultima parola più volte guardando un punto sul pavimento.

Mi spiace per lei, ma non posso aiutarla. Ormai suo figlio non torna quasi più e non dovrebbe restare da sola.

«Ho capito. Allora io vado, eh». Mi volto verso casa, cercando la chiave nella borsa.

«Aspetta!» La guardo. «Ehm... tuo padre, come sta tuo padre? Sento... sento dei rumori ogni tanto e... grida» mormora sommessa.

Non replico subito. Sorrido. «È tutto okay». Cammino sul giardino, superando le finestre della mia stanza e della cucina.

«Io non posso uscire, Dianne!» La fisso ancora. «Non posso proprio» aggiunge e rientra in casa. Forse erano delle scuse? Ma così come io non posso aiutare lei, lei non può aiutare me.

Schiudo l'ingresso e lo richiudo alle spalle. «Pa'?» Oggi ha il turno pomeridiano, che finisce alle nove, ma non mi meraviglierei se avesse lasciato prima il lavoro per sbronzarsi, visto come si è ridotto ieri sera.

Non riesco a pensare che ci sia ricaduto ancora. Ormai va avanti così da troppo tempo, però lui è convinto di potercela fare anche da solo.

Guardo nel soggiorno, nella sua camera da letto e nel bagno. Niente. Entro in cucina e trovo un biglietto sul tavolo. Lo leggo, lo accartoccio e lo butto nel cestino. "Compra il rum". Gli dirò che ha solo pensato di scriverlo ma non l'ha fatto, e di certo ci crederà. Anzi, non si ricorderà neanche di avermelo lasciato.

Poso la borsa di stoffa sulla sedia e mi avvicino al frigo. Non sono andata a mensa con le altre e ho evitato tutte le aree comuni. Ho evitato lui. Non mi frega un cazzo se mi crederà una pisciasotto, ma non avrei sopportato la vista del suo sorriso soddisfatto per essere riuscito a scoparmi. Mi ha presa in un momento di debolezza e avevo bisogno di sfogare i nervi. Non è stato nient'altro.

Il frigo è vuoto, fatta eccezione per un paio di carote rinsecchite e del prosciutto che sarà lì da qualche settimana. Non voglio uscire a fare la spesa e ripongo le mie speranze nel congelatore. Apro lo sportello e la fortuna sembra assistermi, per una volta: gelato alla nocciola!

Afferro il barattolo e cerco un cucchiaio nel cassetto. Getto la gomma da masticare nel cestino, mi siedo sul mobile della cucina e sollevo il coperchio: la confezione è piena per metà, ma dovrebbe bastarmi per soffocare un po' di frustrazione. Mugugno soddisfatta spalmando sulla lingua un poco di questa delizia e punto lo sguardo sulla strada oltre la finestra alla mia destra.

Per fortuna domani è sabato e non devo andare al campus. Che diavolo mi è passato per la testa? È tutta colpa di Den. Se fosse venuto qui a scoparmi non avrei permesso a Sebastian di toccarmi e l'avrei preso a calci in culo come merita.

Affondo il cucchiaio nella confezione e lo porto alla bocca.

Ormai sono passate ore, eppure sento ancora il suo profumo sotto il naso e il gusto della sua lingua sulla mia. Quelle mani grandi e un po' ruvide mi sembra che scorrano ancora sulla pelle come se mi stesse toccando in questo momento. E i suoi occhi... Non mi aveva mai guardata così, ma così come? Mi domando cos'abbia pensato e cosa stia pensando adesso, ma tanto per lui sarò stata solo una di quelle che si è scopato.

Da domani tornerà tutto come prima.

«Però, cazzo, è proprio bravo. E io gliel'ho anche detto in faccia... Che cogliona!»



Angolo Autrice

E menomale che Dianne aveva detto che non ci sarebbe cascata neanche morta 😂. L'attrazione fra i due era innegabile, ma adesso cosa succederà? Cosa ne pensate? Fatemi sapere! Non siate timidi. Commentate ❤️.

Finisce qui l'anteprima. Spero vi sia piaciuta! BAD STARS vi aspetta su Amazon.


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