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⏪3 anni e 5 mesi prima

He got that boyish look that I like in a man
I am an architect, I'm drawing up the plans
It's like I'm seventeen, nobody understands
No one understands

***

Alcune volte l'unica cosa che possiamo fare è restare a guardare. E Darcy lo fa, resta a guardare mentre il suo migliore amico, lo stesso per il quale ha una cotta spropositata dall'età di sedici anni, rimorchia un'altra. Ha davvero pensato che prima o poi qualcosa sarebbe potuto cambiare tra di loro, ma si è solo illusa e si sente una stupida. Capisce di doversene andare, perché è davvero ridicolo che resti ancora, quando i due cominciano a baciarsi. Beve velocemente ciò che resta del suo drink, appoggiando il bicchiere sul bancone e alzandosi. Non fa nemmeno in tempo a muoversi che va a sbattere contro qualcuno. Si tratta di un ragazzo con una camicia azzurra, che capisce di non essere un ragazzo qualsiasi quando alza lo sguardo.

«Oh, scusami», dice lui, sporgendosi verso il suo orecchio per riuscire a farsi sentire. Quando si scosta e la guarda meglio, probabilmente riconoscendola, si apre in un sorriso. «Sei Darcy, giusto? L'amica di Daniel». Lei annuisce.

«E tu sei Max...in effetti non ci siamo presentati», osserva Darcy. Si sono visti di sfuggita, Daniel le ha detto che fosse il suo nuovo compagno di scuderia, però non hanno avuto occasione per parlare. E a dirla tutta, Darcy non ci ha fatto molto caso a lui. Non prima. Ma ora sì. Sono molto vicini e questo le permette di studiarlo attentamente. Fa scivolare lo sguardo sulla sua figura slanciata, le spalle larghe, proprio come piacciono a lei, fasciate alla perfezione dalla camicia. Quando i loro sguardi si incontrano, lei capisce che lui sa di essere sotto esame e sembra che questo lo diverta. Sorride e un scintillio attraversa i suoi occhi azzurri.

«Beviamo qualcosa insieme?» chiede lui.

«In realtà stavo andando. Qui c'è troppo rumore e ho mal di testa». Vero a metà. Con la coda dell'occhio lascia un'occhiata a Daniel, che è ancora impegnato con la sua nuova conquista. Non è sicuramente il rumore la causa del suo mal di testa.

«Ti ho chiesto se beviamo qualcosa insieme, ma questo non implica che dobbiamo rimanere qui», chiarisce Max, facendo scappare a Darcy una risata. Sposta gli occhi su di lui, sulla sua espressione sicura e, santo cielo, non c'è niente di più sexy della sicurezza e della consapevolezza di se stessi. E Max ne ha da vendere! E poi, stare un po' in compagnia magari riuscirà a distrarla dai suoi pensieri ossessivi.

«Ma solo un drink, domani ho l'aereo presto». Max non risponde, ma si limita a farle strada, seguendola verso l'uscita del locale nel quale si sta tenendo l'after race party. Fuori pioviggina, solito cliché considerando che sono in Inghilterra.

«Vogliamo andare in albergo?» propone Max, mentre maneggia con il suo cellulare. Quando alza lo sguardo vede Darcy inarcare un sopracciglio, scuotendo la testa. «Al bar dell'albergo», chiarisce. La ragazza non fa nemmeno in tempo a ribattere, visto che una macchina nera si ferma davanti a loro. Darcy capisce che è la macchina di Max e che gliel'hanno portata. Lui apre la portiera dalla parte del passeggero, invitandola a salire e facendo altrettanto.

«Quindi», esordisce Max mentre sono in viaggio. Le strade sono deserte e la pioggia sta iniziando ad intensificarsi. «Tu e Daniel siete amici».

«Sì, ci conosciamo da parecchio», fa sapere lei. «A sedici anni ho fatto un anno all'estero in Australia. La famiglia di Daniel mi ha ospitata e da allora io e lui siamo pressoché inseparabili...se non contiamo tutti i chilometri che ci dividono».

«Da dove vieni?»

«Belfast».

«Sei irlandese», conclude Max. «Ho sempre voluto visitare l'Irlanda ma non ci sono mai stato. Fa ridere, lo so, perché ho praticamente visto il mondo. Eppure...»

«Dovresti visitarla assolutamente, sono sicura che te ne innamorerai...forse sono un po' di parte, perché io amo la mia terra, la mia gente e le nostre tradizioni». Max annuisce, rimanendo con lo sguardo fisso davanti a sé.

«A volte mi sento un po' un nomade. Sono nato in Belgio ma sono cresciuto in Olanda e ora, quando non corro, vivo a Monaco. Mi piace Monaco, ma non la sento veramente casa mia», spiega lui, incurvandosi leggermente nelle spalle. «Quindi domani già ritorni a casa?» chiede poi, spostando l'attenzione su altro.

«Devo», ammette lei. «Sto finendo di scrivere la mia tesi di laurea e ho la consegna tra tre giorni. Ho raggiunto Daniel solo perché è riuscito a convincermi che Silverstone fosse relativamente vicino ed era da un po' che non ci vedevamo», dice con un sospiro.

«Deduco che vi vedete raramente».

«Sì, insomma...abbiamo due stili di vita diversi. Lui è sempre in giro, sempre in un paese diverso. Non so mai se quando lo chiamo da lui è notte o giorno».

«E tu?»

«Io cosa?» chiede Darcy, ridendo.

«Tu che cosa fai mentre il tuo migliore amico gira il mondo».

«Beh...se riuscirò a consegnare la mia tesi-».

«Se? Andiamo, non fare la drammatica!» interviene Max, mettendo una freccia e girando a destra, verso il parcheggio dell'albergo.

«Il dramma è nel mio DNA, non ci posso fare niente! Sono del Toro, riesco ad ingigantire ogni cosa».

«Stavi andando così bene! Non dirmi che credi nell'oroscopo», dice Max, parcheggiando e spegnendo la macchina. Si gira verso Darcy dopo essersi slacciato la cintura. La luce di un lampione gli illumina il viso, facendo saltare un battito a Darcy quando incurva le labbra in un sorriso.

«Continuiamo davanti ad un drink, che ne dici?» chiede Max. Darcy annuisce, prendendo un respiro profondo prima di scendere dalla macchina. Per fare il prima possibile, così da non prendere troppa pioggia, corrono in direzione dell'entrata. La ragazza alla reception li guarda, mentre Darcy si lascia sfuggire un urletto, scivolando e Max le afferra il polso giusto in tempo, impedendole di cadere.

«Jimmy Choo ha appena attentato alla mia vita», scherza lei.

«Con quei tacchi...e ci credo!» dice Max, buttando un'occhiata alle scarpe rosa di Darcy, chiuse sul davanti e piene di brillantini.

«Senza tacchi perdo 12 centimetri. Devo per forza rischiare!»

Si incamminano verso il bar dell'albergo, fermandosi al bancone per ordinare e Max fa mettere tutto sul conto della sua camera. Lei sceglie un Margarita, che poi confessa essere il suo cocktail preferito, mentre lui opta per un Martini. Non ci sono molte persone e l'atmosfera è intima, con le luci leggermente soffuse poste su ogni tavolo e il rumore della pioggia in sottofondo.

«Mi sto per laureare in Beni Culturali e Restauro», fa sapere di punto in bianco Darcy. «Niente di più lontano dalle corse, quindi non sentirti a disagio se non ne capisci niente di Arte, perché io non capisco niente di Formula Uno, anche se Daniel ha tentato in tutti i modi di spiegarmi come funziona. So solo che siete dei pazzi scatenati che guidano a 300 km/h».

«Si è davvero pazzi se si fa quello che si ama?» chiede retorico Max, girandosi il bicchiere mezzo vuoto tra le dita.

«Touché», bisbiglia Darcy, sollevando il suo Margarita in direzione di Max, prima di bere. Osserva il ragazzo da sopra il bordo del bicchiere a coppa e si rende conto che non le stacca gli occhi di dosso nemmeno per un secondo. Non se la ricorda nemmeno l'ultima volta che un ragazzo l'ha guardata così. Ha avuto delle storie, mai nessuna seria, perché non ci ha mai messo tutta se stessa. Sempre con la testa e con il cuore altronde. Stranamente però, questa sera il suo cuore e la sua testa sono qui, come ipnotizzate da Max, che parla di sé senza apparire borioso e non perdendo mai l'occasione di interessarsi a Darcy.

Le altre persone lasciano il bar, finché non rimangono solo loro. L'unico tavolo ancora illuminato è quello da dove provengono le loro risate. All'una vengono cacciati e si rendono conto dell'ora solo quando il cameriere passa a dire loro che stanno per chiudere.

«Merda, scusami, è tardissimo!» impreca Max, alzandosi velocemente. Darcy lo imita, scuotendo la testa e lisciandosi la gonna.

«Sono stata bene», dice lei.

«Anch'io. Un sacco». Si dirigono verso l'atrio dell'albergo, aspettando poi l'ascensore. «A che piano sei?» chiede Max quando entrano dentro.

«Quinto e tu?»

«Terzo».  Mentre Darcy è addossata contro uno dei muri dell'ascensore, Max si sporge nella sua direzione schiacciando uno dei tasti, che sono sulla sua destra. La ragazza nota con la coda dell'occhio che ha schiacciato il numero 5. Rivolge a Max un'occhiata confusa. 

«Ti accompagno fin su», chiarisce lui, appoggiandosi nuovamente contro la parete vetrate. Darcy gli rimane di fronte, a sua volta con le spalle contro la parete. Si osservano a vicenda, saturando l'aria di parole non dette. L'attrazione reciproca è evidente e a Darcy basterebbe colmare mezzo metro per buttarsi tra le braccia di Max. Proprio mentre ci pensa l'ascensore si ferma e le porte si aprono, quindi lei si stacca dal muro e fa qualche passo incerto.

«Allora...ciao», dice, uscendo fuori.

«Buonanotte», risponde Max. Le porte si stanno per chiudere quando improvvisamente lui mette la mano in mezzo. I suoi occhi blu finiscono in quelli verdi di Darcy.

«In bocca al lupo per la tua tesi». L'ultima cosa che Darcy vede, prima che le porte si chiudano è il sorriso di Max.

Ed è proprio quel sorriso a tormentarla per le settimane avvenire.

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