6. FESTEGGIAMENTO
L'alta torre del castello di Lurien brillò, illuminata dai tenui raggi del sole. Mi fermai, accanto alla grande quercia del mio giardino per ammirare quella traccia di un altro mondo. Il principato di Lurien confinava con la mia cittadina. Era il più piccolo stato del continente americano, un frammento di mondo che ricordava l'Europa -non che io ci fossi mai stata in Europa. A scuola ci avevano raccontato di come i suoi regnanti discendessero da un ramo collaterale della famiglia inglese, che aveva aiutato l'esercito dei ribelli durante la guerra d'indipendenza americana, riuscendo così a ottenere in concessione un piccolo tratto di terra. Mi piaceva osservare le mura di Lurien e immaginare il magico mondo si nascondesse dietro di esso. Bellissimi giardini, ricevimenti, abiti lunghi, risate irriverenti. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio in quel luogo, che pareva uscito da una fiaba. E poi sapevo che anche Algol frequentava quel mondo... e questo non faceva altro che rendermelo più allettante. Come acqua limpida davanti a un assetato. Triste, ma vero.
Da bambina sognavo che un giorno mia madre sarebbe tornata e mi avrebbe detto che ero una principessa, che quella era tutta una prova per poter essere ammessa a corte. Sarebbe stato bello, anzi, bellissimo. Immaginavo le persone inchinarsi al mio passaggio. Per prime Megan ed Anne. Sarei stata davvero felice. Mi resi conto solo in quel momento che avevo dei cocci di malinconia piantati in gola. Mi sforzai inutilmente d'ingoiarli, mentre le immagini di mia madre si facevano strada nella mia mente. Pezzi di vetro in cui il suo volto era riflesso, fotografie stracciate del suo viso, del suo sguardo -identico al mio- del suo sorriso. Faceva ancora male, nonostante fossero passati quasi dieci anni. Avrebbe fatto così male per sempre? Riportai lo sguardo verso casa e mi parve di vedere un'ombra dietro la finestra della cucina. Merce. Era una cosa strana, ma da quando la mia prozia era morta ogni tanto mi sembrava di vederla. Un'ombra che passava dietro una finestra, un oggetto spostato in cucina -la sua cucina, sarebbe sempre stata la sua cucina. Scacciai i ricordi logoranti, quindi mi diressi verso la porta d'ingresso.
La casa era vuota. La sensazione di sollievo fu quasi dolorosa. Non avevo proprio voglia di vedere qualcuno, ero stanca, avevo bisogno di riposo. Mi diressi verso le scale, poi mi fermai, un piede sul primo gradino. Era il mio compleanno, no? Avevo diritto a festeggiarlo. Mi diressi verso la cucina, attenta a ogni possibile rumore che mi avvertisse che c'era qualcuno là fuori. L'unico suono però era il ritmico bussare della tapparella contro il vetro, mossa dal vento. Il frigorifero si trovava in fondo alla cucina, accanto al grande bancone pieno di oggetti. Mi fermai un attimo a osservare le foto che erano state attaccate con i magneti. Non ce n'era nessuno con mia madre. Mi morsi l'interno della guancia con tanta rabbia che sentii il sapore metallico del sangue. Mio padre non voleva ricordarla, a volte sospettavo che in me vedesse lei, per questo era spesso via per lavoro. Aveva una sua sola immagine, chiusa in un cassetto della sua scrivania. Lo avevo visto guardarla. Sbuffai. L'unica mia foto era in fondo al frigorifero. Guardai una me sorridente di otto anni, gli occhi che sembravano tremendamente grandi, seduta su una panchina al parco. Stavo mangiando un gelato che stava iniziando a sciogliersi, la mano stretta intorno al cono. Mi mancavano un paio di denti. Tenera, ecco cos'ero. E fu quella volta in cui lo vidi per la prima volta. Mi piegai in avanti, per esserne certa, facendomi ricadere i capelli sul viso. Ora lo vedevo chiaramente. Algol. Era impossibile non riconoscere quello sguardo d'ametista che fissava la me bambina con uno scintillio indecifrabile. In quel momento pensai che forse quello che si raccontava sulla sua famiglia era vero, lui era un demone.
Un colpo mi ricordò che non avevo tempo. Restai immobile qualche istante per accertarmi che non fosse rientrato qualcuno, poi aprii il frigorifero. Era perlopiù occupato dalle ricette ipodietetiche e dai prodotti di bellezza di Anne. Un bel regalo di compleanno sarebbe stato quello di farglieli sparire tutti. Purtroppo non potevo senza il rischio –anzi, la certezza- di essere scoperta, per cui andai oltre. Individuai i pancake in fondo a destra. Sorrisi e li tirai avanti. Ce n'erano cinque. Ne presi solamente uno, quindi aprii i cassetti della cucina e cercai fino a quando non trovai le candele. Anche qui ne afferrai una. Non volevo che qualcuno si accorgesse che mancavano. Rimisi tutto a posto e mi diressi verso la mia stanza, ovvero la soffitta. Ero arrivata a metà delle scale quando sentii una voce, che mi procurò un fastidioso brivido lungo la schiena.
-Già tornata a casa?-
Megan, la nuova moglie di mio padre. Mi voltai, attenta a nascondere il pancake e la candela dietro la schiena.
-Sì, oggi la lezione di storia è finita un po' prima- dissi, sforzandomi di sorridere. Sentii lo stomaco annodarsi, ma continuai a sorridere.
La mia matrigna annuì lentamente. I capelli biondi, perfettamente in piega, le ricadevano sulle spalle. Il viso, perfettamente truccato, era inespressivo. Notai, con un pizzico di rabbia –un po' più di un pizzico- che indossava un abito di alta moda che le disegnava le forme perfette arrivandole alle ginocchia. Un regalo di mio padre. Uno dei suoi tantissimi regali. Deglutii l'irritazione e dissimulai. Avevo imparato che dissimulare era la cosa migliore con lei.
-Bene, così potrai lavare il bagno degli ospiti, pensavamo di dare una festa nei prossimi giorni- affermò, muovendo le labbra carnose, frutto di un intervento chirurgico.
Certo, ogni occasione era buona di festeggiare. –Certo- l'assecondai.
-Bene, su, corri di sopra- ordinò, autoritaria, facendo un cenno con la mano, le unghie smaltate di rosso che brillavano.
-Sì- dissi, remissiva, spostando il pancake e la candela senza che lei se ne accorgesse.
-Sbrigati- continuò Megan.
Avrei voluto spiaccicarle il pancake in faccia, quello sì che sarebbe stato un altro bel regalo di compleanno. Quando arrivai in soffitta chiusi la porta dietro di me e sospirai stancamente. Non potevo continuare così. Feci scivolare il mio sguardo nella grande stanza. Il grande letto con le lenzuola strappate in fondo, il pavimento rovinato, l'anta dell'armadio aggiustata con il nastro adesivo. Le lettere di risposta dei college erano lì dentro, ancora chiuse. Cercai di pensare ad altro e mi diressi fino al letto, sul quale mi lasciai cadere, facendo cigolare le doghe.
La soffitta non era esattamente la camera dei sogni, ma era spaziosa e avevo un bagno personale -un modo per evitare che scendessi ai piani inferiori quando c'era ospiti, sì, l'idea era stata di Megan.
Cercai di sorridere -un sorriso storto e poco credibile, ma non c'era nessuno da ingannare lì- e infilai la candela nel pancake, quindi l'accesi con un vecchio accendino. La fiamma brillò come un gioiello. Ora dovevo solo esprimere il desiderio.
Le parole mi uscirono dalle labbra prima che riuscissi a controllarmi. –Desidero che Algol s'innamori di me- dissi e soffiai sulla fiamma che si spense. Fissai il filo di fumo che si alzava. Mi ritrovai a lottare contro un agghiacciante turbamento mischiato alla malinconia. Perché c'entrava sempre lui? Come riusciva a infiltrarsi in ogni mio pensiero? Posai il pancake sul tavolone scheggiato che mi faceva da scrivania. La fame mi era passata.
Persa in una landa di pensieri, andai davanti al grande specchio e mi guardai. Ero pallida. Mi pizzicai le guance. Megan avrebbe voluto che lavorassi. Io le avevo fatto capire che se avessi lavorato fuori casa, beh, lei non avrebbe più avuto la sua sguattera, pronta a soddisfare ogni suo desiderio. Questo le aveva fatto cambiare idea.
Mettevo in pratica delle piccole vendette verso Megan e le sue arpie. Per prima cosa annacquavo sempre il vino. Non era una gran vendetta, lo sapevo, ma era meglio di nulla. Beh, ogni tanto facevo sparire anche qualche oggetto. Era così che mi ero rimediata parecchie cose, tra cui il tablet. Anne aveva voluto buttarlo via dopo appena sei mesi per prendersi un nuovo modello.
Socchiusi gli occhi, riflettendo. Megan aveva solo un pregio evidente, anche se non avrei saputo se definirlo proprio pregio, sapeva riconoscere tutti i difetti. Hai una piegolina sulla camicia? Quando cammini metti male le gambe? Ecco, lei lo vede subito. Riguardo a questo punto Megan era obiettiva, tremendamente obiettiva. Non faceva distinzione tra figlie e figliastre, per lei, se avevi un'imperfezione, doveva fartelo notare.
Cosa vestiva Megan? La malvagità con fili di superbia. Devo comunque ammettere che portava entrambe con un ottimo portamento... pareva che le fossero state cucite addosso. Eppure c'era stato un tempo in cui il mio rapporto con lei era stato... diverso.
Avevo provato a piacere a Megan, davvero. Ci avevo messo anima e corpo. E Megan all'inizio mi aveva trattata come una figlia. Beh, non proprio come una figlia, ma come tratta Anne. Avevo ancora le cicatrici sulla pelle per quel trattamento. Lei aveva tentato di rendermi perfetta. E per farlo bisognava aggiustarmi. Io e Anne in fondo siamo bambole rotte ai suoi occhi, non come Julia, la figlia maggiore, nonché la perfezione. Julia era partita per il college l'anno precedente. Paradossalmente era l'unica con cui avevo instaurato un rapporto -non di amicizia, quello mai, ma di... stima reciproca? Bah, non saprei dirlo. Alla fine comunque, per tornare alla mia matrigna, avevo rinunciato all'affetto di Megan. Era più semplice, faceva meno male. Se lo avesse fatto anche Anne, beh, farebbe stata più felice. Purtroppo io e lei avevamo una caratteristica molto pericolosa in comune: volevamo piacere alle persone.
Era per lo stesso motivo che avevo imparato la fisica quantistica per mio padre, per poter parlare con lui, perché ci fosse una cosa solo nostra. Mi odiavo per questo. Ero talmente bisognosa di conferme che spesso mi sforzavo fino a lacerarmi l'anima pur di ottenerle. Inspirai a fondo. Ora avevo qualcosa di molto importante da fare. E non comprendeva il dedicarmi alle pulizie.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
In questo capitolo avete conosciuto Megan. Cosa ne pensate?
Nel prossimo ci sarà un primo mistero.
La storia di Lurien ovviamente è inventata.
A presto
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