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56. SCHIANTO

Nei giorni seguenti mi aspettavo quasi che la terra si aprisse sotto di me e che mi trascinasse sotto, in mezzo a quei mostri che per anni avevo immaginato nella fatiscente Black Dream. Algol, lui, solo lui, mi avrebbe afferrata per la vita e portata via, in luoghi inimmaginabili. Un pomeriggio fu particolarmente estenuante. Quando finì l'ennesimo impegno mi lasciai ricadere sul letto. Ero stanca. No, stanca non era il termine esatto. Ero prosciugata. Chiusi gli occhi e scivolai nel sonno. Le sequenza furono confuse. Frammenti di sogni.

Io che battevo i pugni contro il petto di Algol. Io che lo baciavo. Io che venivo stretta tra le sue braccia e non desideravo altro al mondo.

Aprii gli occhi sentendomi stordita. Avevo la nausea e la testa mi girava. Mi tirai su, spingendomi sui gomiti. Le vidi subito. Ombre. Le osservai senza capire. Non c'era nessun oggetto che potesse proiettare la sua ombra. Sbattei le palpebre. Era un'allucinazione? Deglutii, un sapore amaro che mi scendeva lungo la gola. Un ricordo lontano si fece strada in me, un ricordo che cercai di scacciare, ma che si buttò in avanti, spingendo via tutti gli altri. Merce che mi raccontava di come avesse visto le ombre sfiorare la terra quando suo marito era morto.

-Sono un avvertimento, chica, solo le donne della nostra famiglia le possono vedere-

E io le avevo già viste. La notte prima che Merce morisse. Lunghe ombre con dita lunghe simili ad artigli. Certamente era solo una fantasia, eppure la gola mi si strinse in una morsa di ferro e mi sentii mancare. Algol. Doveva essere lui, non poteva trattarsi di nessun altro. Ricordai che aveva una gara, lo avevo letto su Facebook. Non ragionai più. Uscii dalla stanza, il cuore che sussultava nel petto. Dovevo andare da lui, dovevo fermarlo. Se fosse stato necessario mi sarei gettata per terra e lo avrei supplicato di non farlo. Mi avrebbe ascoltata, ne ero certa, perché lui mi amava, lui non avrebbe mai potuto ferirmi, i suoi sentimenti erano sinceri e... sbattei contro qualcosa. No, qualcuno. Non dovetti neppure alzare la testa per sapere che si trattava di mia madre. Mantenni lo sguardo basso sul suo abito rosato. Il suo profumo invadeva il corridoio.

-Sherry, cosa succede?- mi chiese, la voce che vibrava preoccupazione. Era preoccupata. Forse avrei potuto usare la cosa in mio favore, in fondo avevo avuto modo d'imparare come influenzare le persone.

-Mamma- esordii, tremante, le lacrime agli occhi -ti prego, mamma, ascoltami e credimi, devi credermi-

Dita sottili mi afferrarono teneramente il mento. Lasciai che mia madre me lo sollevasse e incontrai il suo sguardo identico al mio. Ambra fusa. In quel momento splendeva di comprensione e dolcezza. -Parla- mormorò.

E io parlai, parlai, parlai. Le parole sgorgarono come un fiume in piena, senza che io potessi fare nulla per controllarle, per sceglierle, per domarle. Mia madre ascoltò in silenzio ciò che mi diceva la prozia Merce, la sua presunzione riguardo al paranormale, la sua convinzione che noi fossimo speciali, la storia delle ombre. E poi passai ad Algol, a quel ragazzo con il nome della stella del demone, a quel prodigio vivente che si sentiva vivo solo quando cavalcava la sua moto rossa come il fuoco. Le raccontai di un amore che era nato sotto stelle avverse, che forse esisteva da sempre, che era destinato a morire, bruciato a causa del fuoco che esso stesso creava. Quando terminai avevo male alla gola ed ero quasi afona, ma mi sentivo libera, finalmente libera.

-Lo ami, quindi?- chiese solo mia madre. Il tono era indecifrabile, ma il suo sguardo luccicava.

-Sì- dichiarai, con una sicurezza che, ne fui certa, doveva essermi stata trasmessa proprio da Merce.

-E credi che lui sia in pericolo ora?- domandò, seria.

-Sì, è difficile da spiegare, no, è impossibile- sussurrai. Non avrei proprio saputo da dove cominciare.

-Sai dove si svolgono queste gare?-

-Sì, lo so- dissi, mangiandomi le parole.

-Ottimo, allora andiamoci subito-

La fissai confusa, non credendo a quelle parole. Possibile che cedesse subito? Che non tentasse di dissuadermi?

-Allora?- m'incalzò mia madre, con un mezzo sorriso -Sono stata anch'io giovane e innamorata, ma soprattutto ho conosciuto Merce... non so come facesse, ma quella donna non sbagliava mai, per cui suppongo di doverle credere-

-Grazie- la guardai tra le lacrime che erano risalite ai miei occhi.

-Non ringraziare, non ancora-

Dieci minuti dopo eravamo in auto. Stava guidando mia madre, i capelli al vento, la guida liscia. Mi ero immaginata che avrebbe chiesto a un autista e invece... era bello così, mi faceva sentire normale. La strada però era lunga, troppo lunga. Sentivo il corpo tremarmi. Perché quando si è agitati si ha la sensazione di non arrivare mai?

-Siediti bene- disse mia madre, il tono autorevole della regina.

Mi resi conto solo in quel momento che mi ero sporta troppo in avanti e che mi trovavo sul bordo del sedile. La cintura cercava disperatamente -e inutilmente- di tirarmi indietro e di farmi assumere una posizione migliore. -Ehm, certo- mi affrettai a dire, sistemandomi meglio. L'ansia però non diminuì, anzi, premette ancora di più per uscire, come se volesse farmi esplodere, come se desiderasse divorarmi dall'interno.

Algol. Pensavo ad Algol. Era come un pungiglione premuto direttamente nel cuore, che lo faceva sanguinare copiosamente.

-Rilassati, non serve a nulla agitarsi così- continuò a mia madre, ma il suo tono non era calmo.

-Certo- come se fosse stato semplice. Mi misi a giocherellare con il nuovo nastrino che avevo al collo. Non riuscivo a stare ferma.

Quando finalmente intravidi la grande piazza circondata dagli alberi in cui si svolgeva la gara mi sentivo esplodere. Il cielo ormai si era tinto di nero e le stelle brillavano, forse anche la sua. L'auto non era ancora ferma che io aprii la portiera e mi lanciai fuori, seguita dalle urla di mia madre. Non arrivai comunque lontana.

La prima cosa che sentii fu lo schianto, ancora non vedevo nulla a parte alberi e spettatori percorsi dalla frenesia della gara. Il mio corpo si gelò, la testa mi girò e il mondo interno smise di girare. Sapevo che era lui. La fine di tutto. Mi lanciai in avanti. Un paio di braccia si agganciò alla mia vita, trattenendomi. Parole che mi venivano sussurrate all'orecchio, ma che io non comprendevo, come se si trattasse di una lingua straniera che non potevo capire. Se non mi avessero tenuta forse sarei crollata a terra.

-Algol- urlai, la voce spezzata, le lacrime che correvano lungo le mie guance.

Mi divincolai e mi liberai dal sostegno. Corsi, corsi, corsi, nonostante le grida di mia madre. Dovevo vedere Algol, dovevo vederlo. E poi finalmente lo vidi. Era a terra, nella polvere. La tuta rossa era rotta in più punti. Come potevano lasciarlo lì! Sentii il dolore spaccarmi in due. -Algol- chiamai ancora, poi andai da lui e mi lasciai cadere al suo fianco. Le mie ginocchia bruciarono. Compresi che si erano ferite quando avevano incontrato l'asfalto. In quel momento però non aveva importanza. Fissai Algol, il casco che copriva il suo viso. Intorno a me sapevo che c'erano altre persone, ma non riuscivo a percepirle, ero concentrata su di lui, c'era solo lui. Non lo toccai, ero terrorizzata dall'idea di potergli fare del male. Era fragile, troppo fragile. E poi vidi un bagliore violaceo splendere dietro la visiera del casco. Non era il viola che conoscevo, era un colore più pacato, un azzurro con dei riflessi violacei.

-Sher- la sua voce era flebile, appena un sussurro.

-Algol, ti prego, non lasciarmi- sussurrai. Ero confusa, turbata, non capivo più nulla.

-Ti amo-

Fu come un colpo al cuore. -Ti amo anch'io, Algol- esclamai. Dovevo dirglielo, doveva saperlo.

-Non dovresti... ad amare i mostri si rischia solo di essere divorati- e richiuse gli occhi, gettandomi nel più totale panico.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Un colpo di scena che forse vi lascerà turbati.

A presto

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