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52. LA BAITA

Ce ne andammo di notte, approfittando del buio. Come i ladri. Algol aveva pensato a tutto, non permettendomi così di soffermarmi troppo su quella vicenda. Mi vestii da uomo, nascondendo i capelli, con le sfumature violette, sotto un cappello. Algol mi aiutò a scivolare giù dalla finestra.

-Sei certo che non ci fermeranno?- chiesi con un filo di voce. Mille emozioni si facevano strada in me. Sentivo l'ansia muoversi come un serpente dentro di me.

-No, passeremo da un'uscita secondaria- mi rispose, il tono dolce, un braccio intorno alla mia vita.

Annuii, debolmente.  Mi sentivo confusa, vulnerabile, fragile. Una bambola di porcellana.

-Quando saremo lontani sarai felice- mi promise.

Io non ne ero così certa, ma non volevo neppure rinunciare a lui. Perché non potevamo semplicemente amarci? Perché era sempre tutto sbagliato?

Tutto andò come previsto. Ero incredula per la semplicità con cui ogni cosa era andata al suo posto.

-Ho una baita in montagna- mi spiegò più tardi, in auto –in realtà è di mio padre, ma non penso che lui ci vada più- guidava rapidamente, le mani strette intorno al volante, tanto che le nocche divennero bianche.

-Staremo bene lì- lo rassicurai.

Algol annuì, le pupille dilatate nelle iridi viola. Era nervoso. Notai un leggero tremito che gli percorreva la braccia. Avrei voluto entrare nella sua anima, avrei voluto che, per un attimo soltanto, mi permettesse di comprendere cosa stesse succedendo.

Arrivammo a destinazione dopo circa un'ora. La baita era di legno. Non appena fui uscita dall'auto fui colpita dall'aria gelida. Mi sentii un po' meglio. Algol aprì la sua portiera. –Che ne pensi?- mi chiese –Manca solo il pazzo con la motosega e possiamo dire che stiamo girando un film horror-

Una risatina mi sfuggì dalle labbra, una risatina fatta di raggi di sole che illuminavano il cielo plumbeo. Ero comunque turbata, non avrei potuto non esserla. Avevo lasciato dietro di me tutta la mia vita.

-Su, entriamo- m'invitò, precedendomi.

-Mi danno fastidio questi vestiti- mi lamentai, seguendolo.

-Te li tolgo io- propose, allegramente.

Mi sfuggì una risatina. Algol mi prese per mano e mi portò con sé, dentro la baita. L'ambiente era piccolo, ma curato. Un grande divano, un tappeto marrone a pelo lungo, un comò di mogano. Non ci fermammo. Algol mi trascinò nell'altra stanza. Vidi subito il letto. Grande, invitante, le lenzuola rosse che brillavano. Sarebbe stata questa la nostra nuova casa? Il nostro rifugio dal mondo?

-Che ne dici?- chiese -Ti piace questo posto?- era quasi esitante.

-Dico che è perfetto!- gemetti.

Algol rise, una risata che racchiudeva tantissime cose. Dolore, amore, inquietudine. Si sentiva in colpa per avermi trascinata in quel gioco potenzialmente pericoloso? Oppure nasceva dalla sua natura irrequieta? Non lo sapevo, non aveva neppure importanza. Feci un passo verso di lui e Algol, come se rispondesse a un istinto, mi baciò. Fu un bacio che iniziò lento, tranquillo, riposante, come un ritorno a casa dopo molto tempo. Subito però degenerò. Fui percorsa da una strana e incontrollabile urgenza. Gli cinsi le spalle con le braccia, lo attirai forte a me. Il bacio divenne rapido, passionale, insaziabile.

Lasciai che mi spogliasse, che lui mi facesse scivolare gli abiti lungo il corpo. Lo fece lentamente, come se volesse godersi il momento. Io attesi, il cuore che teneva il tempo delle mie emozioni come un tamburo. Una gioia raggelante,  una sofferenza euforica, un'eccitazione mista a un senso di tenerezza che avvolgeva tutto.

Algol baciò dolcemente i miei seni. Uno per volta, con calma, come se avessimo tutto il tempo del mondo. Sentivo dentro di me una corda calda e tesa, che scaldava, bruciava, infuocava. Le sue mani erano strette intorno ai miei fianchi. Dopo un leggero indugio iniziai a spogliarlo. Qualcosa dentro di me mi spingeva a lottare con i bottoni della sua camicia per aprirli. Sentii la sua risata infrangersi contro la mia pelle, provocando quasi un'esplosione. Ridendo mi sollevò, i pollici conficcati nel mio ventre, come spine roventi. Mi portò così, come una bambola, fino al letto. Il mio corpo tremava. Affondai nelle lenzuola e lo tirai con me. Non volevo perdere il contatto con lui. Algol lo comprese. Si sbottonò la camicia baciandomi, come se fossimo nati per stare così, labbra contro labbra, le nostre lingue che si sfioravano, i denti che cozzavano leggermente.

E poi accadde. Le sentì sotto le sue dita. Le cicatrici. Segni indelebili sulla pelle. E non solo sulla pelle. I segni che Megan aveva lasciato nella mia anima erano più profondi, senza nome, senza possibilità di guarire. Lasciai che Algol le toccasse, che le esplorasse, che le disegnasse con i suoi polpastrelli. Non so come riuscii a rilassarmi. Volevo che Algol mi conoscesse, che comprendesse ogni lato di me, che mi accettasse per quella che ero. Con le mie luci e le mie ombre.

-Sei la più bella- mi sussurrò all'orecchio, il suo respiro caldo che solleticava il mio lobo. Le sue parole mi confortarono. Non c'era cosa più dolce di quella, non avrebbe potuto dirmi nulla di meglio.

-Del reame?- chiesi in un soffio, la voce roca.

-Quella era Biancaneve... tu sei la più bella del mondo- sussurrò, ansimando.

-Lupo tentatore- lo presi in giro, ridacchiando.

-Io? Sei tu che mi tenti, il tuo corpo è una tentazione che respira- le sue mani si riempirono della mia carne.

Era il mio nord e il mio sud. Era l'alba e il tramonto. Era l'estate e l'inverno. Era tutto e nulla. Non avrei mai potuto vivere senza Algol, lo compresi con una consapevolezza che mi distruggeva le ossa, che mi faceva urlare il sangue nelle vene, che invadeva ogni più piccola cellula del mio corpo. Io ero ubriaca di lui, dei suoi sorrisi, delle sue dolcezze, dei suoi guai, soprattutto dei guai che sembravano connaturati nella sua persona.

Mi sembrava di avere addosso la febbre, che la mia pelle ardesse come se fosse coperto di piccoli falò. Ero divorata dall'urgenza. Volevo essere baciata, stritolata, amata. Volevo essere sua. Volevo stare insieme a lui, a qualsiasi costo. E poi i nostri universi si unirono. Esplosione di stelle, sogni, pianeti. Pioggia di emozioni che univano neve e fuoco. Terremoto di ansimi e sospiri. Il resto non aveva nessuna importanza.

Restammo immobili nel letto. Mi sentivo esausta, ma una strana gioia strisciava lungo il mio corpo. Algol mi accarezzava teneramente la pelle con la punta delle dita. Mi sentivo quasi elevata al ruolo di dea pagana.

-Ho una cosa per te- disse di punto in bianco. La sua voce, nel silenzio della notte, mi riscaldò.

-Oh, una sorpresa?- gli domandai, curiosa.

-Sì, una bella sorpresa- e mi mostrò qualcosa, che brillava sul palmo della mano spalancata. Un cerchietto dorato con un lato piatto e una piccola fessura. Un anello.

-Bellissimo- sussurrai, incantata. Il cerchietto brillava come una stella.

-Si tratta di un anello celtico... unisce per sempre- spiegò, la voce calda e avvolgente come un abbraccio. –E non c'è solo questo, è un anello che va a incastro- continuò –con il mio- sollevò appena l'anulare sinistro e solo in quel momento notai il cerchietto dorato che gli cingeva il dito. Con un movimento rapido incastrò i due anelli e potei vedere che formavano un piccolo cuore.

-Meraviglioso- gemetti, incredula.

-Questo è il nostro simbolo, Sher, ora e per sempre... amo solo te... voglio che le nostre s'incastrino alla perfezione, con le loro luci e le loro ombre... tu lo vuoi?- sembrava quasi un matrimonio.

-Sì, lo voglio!- gli porsi il dito e lui, delicatamente, inserì l'anello che mi raschiò e mi punse, come tempo prima aveva fatto la spina. Era l'essenza stessa del nostro amore quel dolore? Non lo sapevo, però mi sentivo felice. Perfettamente felice. In quell'attimo mi sentivo completa. Avevo l'assurda e stupida convinzione che nulla di male sarebbe potuto succedere. Sbagliavo.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate? Lo so, il tema dell'anello scambiato si ripete in molti miei romanzi (adoro l'idea di anelli a incastro).

A presto

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