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51. LA FUGA

Mia madre mantenne la promessa. Non avevo mai compreso fino a fondo quanto potesse essere semplice per lei tenermi lontana da Algol, al contrario, ero certa che fossero soprattutto minacce senza fondamento, dette con il fine di spaventarmi. Sbagliavo. Improvvisamente mi ritrovai sempre seguita da Jane. Grigia, magra, rigida. Non potevo fare nulla senza la sua opprimente presenza. Unica compagnia che avevo era Jake.

-La vecchia signora ti rincorre- mi disse un giorno, ridacchiando, appoggiato al muro del corridoio.

-Non c'è speranza di liberarsene, vero?-

-No... e odia i Mallon ancora più di tua madre- confermò, lo sguardo blu attento.

-Perché?- indagai.

-Questo non lo so- si strinse nelle spalle.

Sbuffai. Mi sentivo nervosa e vuota. -Sai qualcosa sullo scheletro?- domandai, sperando di avere così qualche informazione su Algol.

-Solo che è antico- spiegò, abbassando la voce -ed è di una donna-

L'amata del Principe delle Ombre. La prima vittima. Era sempre stata là dentro quindi. Soppressi a stento un brivido.

-Inquietante... ti do un consiglio da cugino... concentrati sulla vita di corte, è la cosa migliore... prima o poi tua madre si calmerà-

Lo speravo, ma non ci credevo. Seguii comunque il suo consiglio. Mi lanciai nel mondo della corte. Mi ritrovai a pensare che quel mondo fosse bellissimo, così bello da lasciarmi sorpresa e confusa. Sembrava che ogni cosa fosse fatta d'oro, che luccicasse di una luce che non avevo mai visto prima. Purtroppo sapevo che non poteva essere vero. Le cose che brillano troppo normalmente sono false. Quella vita non era fatta per me. Mi sentivo un'estranea, un'attrice, una bugiarda. Come quando indossavo la mia parrucca bionda e correvo fuori, fingendomi un'altra persona.

E poi una notte successe. Il temporale infuriava. Mi strinsi un po' di più nelle coperte, lo sguardo che cercava di seguire le righe del libro. Si trattava di un racconto di Lovecraft abbastanza inquietante. Beh, forse non era molto adatto a quella serata. L'ennesimo lampo illuminò la stanza, pochi secondi dopo il tuono quasi mi assordò. Sentii un brivido lungo la schiena e cercai di controllare la sensazione di pressione che mi opprimeva, come se l'aria fosse improvvisamente diventata pesante. Sentii le cicatrici bruciarmi. Inspirai a fondo e ignorai quel dolore che in realtà aveva radici profonde, che mi stringeva e martoriava il cuore. Girai la pagina, con le dita tremanti. E fu in quel momento che sentii dei colpi alla finestra. Mi tirai su, sorpresa. Cosa stava succedendo? Un altro colpo. Appoggiai il libro e scesi dal letto, quindi mi diressi verso la finestra, il parquet che cigolava sotto i miei piedi scalzi, la camicia da notte che mi svolazzava intorno. Spostai le tende e mi avvicinai al vetro, osservando il mondo attraverso un muro d'acqua.

Lo vidi subito, illuminato dai lampi, in piedi sotto quella pioggia torrenziale, che incollava i capelli al suo volto luminoso come le stelle. Il mio cuore si spaccò in due. Cosa ci faceva là sotto? Mi aggrappai alla maniglia della finestra, lottando contro di essa per aprirla. Dovevo ripararlo, dovevo coprirlo, dovevo evitare che gli succedesse qualcosa, perché il suo cuore era il mio cuore. Lui era me. Io ero lui. Tirai l'anta verso di me e una ventata d'aria portò la pioggia sul mio viso. Chiusi gli occhi, ma mi costrinsi a resistere.

-Algol- urlai, in quella notte piovosa, superando il rumore della tempesta.

-Cenerentola- rideva e la sua risata mi scaldò il cuore, come avrebbe potuto fare un bacio.

Mi spinsi in avanti, incurante dell'acqua che mi finiva sul viso, sui capelli, sul vestito. Presto sarei stata zuppa, ma non m'importava. –Ti ammalerai- esclamai, il cuore che martellava così forte nel mio petto che ero certa potesse esplodere.

-Non importa- si passò una mano tra i capelli scuri, che parevano ora più che mai intrisi d'inchiostro nero.

-Sì che importa- la mia voce era esile, rotta –Sali, vieni su-

Lui parve riflettere sulla proposta, lo sguardo viola luccicante.

-Vieni- ripetei, rabbrividii. L'aria sulla mia pelle bagnata era gelida, ma non potevo rientrare, non potevo lasciarlo là sotto.

-Non posso entrare dalla porta, tua madre mi farebbe sbattere nelle segrete- disse, ironico.

Sicuramente lo avrebbe fatto sbattere nelle segrete... c'erano le segrete nel castello? Avrei dovuto chiedere a Jake. –Arrampicati su, so che ne sei capace- gli dissi, canzonatoria. Volevo provocarlo, volevo costringerlo ad agire.

-Se insisti- rispose lui. L'osservai salire, incurante della pioggia, incurante di tutto. La sua figura era elegante e perfetta, un sogno ad occhi aperti, un oscuro desiderio, qualcosa di proibito.

Spalancai il più possibile la finestra. Le tende, mosse dal vento, si attorcigliavano intorno al mio corpo, imprigionandomi.

Algol fece un balzo per superare il davanzale. Agile come una pantera. Ci guardammo, faccia a faccia, occhi negli occhi. Era così vicino che sentii il suo respiro mischiarsi con il mio e percorrermi come un brivido. Ero una statua di ghiaccio che si scioglieva di fronte a lui. Era sempre stato così, come se lui fosse un incantatore. La sua pelle, così chiara, splendeva come la luce della luna. Sentii le dita bruciarmi per il desiderio di toccarlo. Volevo sentire la sua pelle sotto i miei polpastrelli, imprimere il suo viso nella mia anima. Il mio corpo tremava dalla voglia di farlo. Non importava che il mondo intero ci allontanasse, non importava che l'aria gelida entrasse nella stanza, colpendoci come uno schiaffo, non importava che il mio mondo andasse in pezzi. Io avrei voluto che quel momento durasse per sempre. Io in piedi di fronte a lui, i nostri sguardi agganciati, il calore del suo corpo che mi avvolgeva.

-Non mi dai neppure un bacino?- mi chiese piano.

-Algol- lo chiamai con voce straziante, disperata. Gli buttai le braccia al collo e mi aggrappai a lui, come se dipendesse la mia vita. Era come ritrovare una parte di sé.

Baciai le sue labbra, gelide per la pioggia, accarezzai la sua pelle fredda per il gelo, infilai le dita nella sua carne. Era una sensazione che mi faceva stare bene, che mi trasmetteva calore e pace. L'acqua nel deserto. Beh, forse l'amore è una terra desolata e troviamo la nostra gioia solo quando incontriamo l'altra parte di noi.

-Fuggiamo, andiamo via di qua- sussurrò, contro le mie labbra.

-Noi due?- chiesi confusa.

-Che ne pensi?- la sua voce tremava e gli occhi ardevano, mandando scintille.

-Non posso, tu lo sai bene- sussurrai.

Algol non parlò, ma avanzò di un passo. Io rimasi ferma, non riuscendo a muovermi, a malapena respiravo sotto quel suo sguardo penetrante, che pareva capace di leggermi nel profondo del cuore, di squartarmi il petto senza far uscire neppure una goccia di sangue. Il demone paralizza. Sì, il demone costringe ad abbassare il capo e a piegarsi ai suoi desideri, solo che finalmente comprendevo che non era Algol il demone. Non solo perlomeno, il demone più pericoloso era l'amore.

-Dobbiamo andarcene... ho preso abbastanza soldi, vivremo insieme, lontano da tutto questo- e iniziò a raccontare come avremmo passato la nostra vita. –Cercheremo un posto che piaccia a entrambi, ho parecchi soldi, potremo comprarci qualcosa... e poi ci arrangeremo... ho chiesto di valutare i miei quadri... non so perché ma sembrano piacere parecchio-

-I tuoi quadri sono bellissimi- dissi, ma sapevo in parte di mentire. Non erano solo bellissimi. Erano inqueti come lui, trasmettevano tutta la sua anima, tutto quello che tingeva il suo cuore. Algol forse non se ne rendeva conto, ma metteva un po' della sua anima folle in quelle sue opere.

-Ne venderò quanti potrò sotto falso nome- continuò –e poi troverò un lavoro, un vero lavoro, nel frattempo finirò gli studi... andrà bene, ne sono sicuro-

Io no, non ne ero poi così certa. –Dovremo aspettare, dovremo... -

Algol balzò in avanti, rapido come solo un essere non umano poteva esserlo. Mi strinse a sé, le braccia forti e sicure. Il languore mi si diffuse nel corpo, come ghiaccio che si scioglie lentamente. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quell'abbraccio, all'illusoria sensazione di stabilità che mi dava con il suo ampio torace, al suo delicato profumo che prometteva cose che non mi avrebbe mai potuto dare.

-Oh, Algol, ti prego, Algol- scossi la testa, il viso posato contro la sua camicia, quel tessuto così sottile che mi divideva dalla sua pelle.

-Andiamo via, ti prego, andiamo via, lontano da tutto questo- sussurrò, stringendomi convulsamente.

Mi chiesi se tutto ciò che era successo nella mia vita non si fosse mosso verso quel momento, per portarmi in quel posto, in quell'istante.

-Ti prego, Sher, andiamocene-

E io mi resi conto di non avere più una volontà. –Va bene- sussurrai –portami via con te- e sarei andata ovunque con lui.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate della decisione di Sherry?

A presto

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