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40. IL MATTINO

Lilu si sporgeva su di me, i lineamenti confusi, le mani che accarezzavano le mie, che le trattenevano con delicatezza. Lo fissai, la vista appannata dal sonno e dall'oblio. Lilu aveva gli occhi di Algol, quello sguardo viola come i sogni proibiti. Mi sussurrava parole che non comprendevo, in una lingua che non conoscevo, eppure era come se in realtà sapessi. Raccontavano di un amore malato, di una passione morbosa che avrebbe solcato i mari del tempo e tutti i regni degli uomini. E poi mi baciò. Un bacio fatto d'ombre che ribaltava la mia anima. Pezzi di sogni e di follia che mi bruciavano le labbra. E poi tutto divenne sfocato e fu come galleggiare nel vuoto, come perdere il contatto con tutto.

Mi svegliai lentamente. Un piacevole peso sulla petto, una sensazione di calore che mi tingeva il cuore. Sollevai le palpebre, il ricordo di ciò che era successo la sera prima che m'invadeva la mente. Cercai di mantenere la calma, cosa non semplice. La prima cosa che vidi fu il soffitto, dipinto di un tenue giallo, con decorazioni bianche. E poi mi resi conto del resto.

Algol aveva la guancia premuta contro il mio seno. Le sue gambe erano attorcigliate alle mie. Spostai lo sguardo e incontrai i suoi capelli scuri che brillavano alla tenue luce dell'alba che entrava dalla finestra. Lo sentivo respirare, un respiro dolce e quasi angelico, che gli faceva sollevare tranquillamente il petto per poi abbassarglielo. Mi sembrava impossibile che potesse essere così in pace, lui che non sapeva neppure cosa fosse la pace. Le sue braccia continuavano a essere strette intorno alla mia vita, come se non volesse lasciarmi andare. Fili invisibili che ci legavano. C'erano sempre stati. Mi sforzai di rilassarmi. Una parte di me, che strisciava e artigliava, avrebbe voluto fuggire. Un'altra invece desiderava rimanere per sempre lì, sprofondare dentro di lui. I nostri corpi erano così vicini, così stretti che mi sembrava che i nostri confini fossero labili, quasi fusi. Io ero lui, lui era me. Algol, la mia ossessione. Un senso di serenità invase anche me e mi sparì il desiderio di fuggire. Lo ascoltai mormorare qualcosa che non riuscii a comprendere. Chiusi gli occhi, decisa ad abbandonarmi di nuovo a quella marea di sensazioni. Sentii le sue labbra stringersi intorno al mio seno. Mi sfuggì un gemito, sorpreso. Era un gesto fatto nel sogno, qualcosa di dettato dall'inconscio, dai suoi desideri reconditi. Tremante cercai di spostarlo leggermente, di far diminuire quel contatto che s'irradiava lungo tutto il mio corpo, che riempiva ogni mia cellula, che mi faceva quasi impazzire. Mi morsi le labbra, sforzandomi di controllare il mio corpo, d'ignorare l'esplosione di scintille che m'invadeva. Deglutii, il respiro improvvisamente ansimante... come si faceva a respirare normalmente? Non ero certa di ricordarlo. E come potevo rallentare il battito furioso del mio cuore? Algol proseguì, il leggero tessuto della camicia da notte che, probabilmente, peggiorava solo la situazione, accarezzando la mia pelle. Mi sentivo stordita da quella sensazione. Brividi indefinibili. Sotto la mia pelle sbocciavano fiori di ghiaccio e di fuoco. Era come nuotare in lago in una giornata torrida d'estate. Le sue mani mi strinsero di più a sé. Il mio cuore perse un battito.... chissà dov'era finito. Beh, non aveva importanza.

Passi. M'irrigidii. Lo scricchiolio del pavimento al piano superiore mi avvertì che qualcuno si era svegliato. Penny oppure Susan. Non avrei saputo dire quale delle due fosse peggio. Cercai di scivolare via, ma Algol mi attirò ancora di più a sé. Una gabbia da cui forse non avrei voluto uscire. Catene invisibili che mi costringevano a stare lì. Un nodo che ci legava indissolubilmente.

-Algol- sussurrai piano –Algol, devo andare- inspirai a fondo e lo spinsi via, senza indugi questa volta.

Algol brontolò, piegando la testa di lato e ricadendo sul cuscino del divano. Mi allontanai di qualche passo, il cuore in gola. Sentivo le guance bruciarmi. Dovevo tornare di sopra prima che qualcuno mi vedesse... e dovevo sistemarmi la camicia da notte, era stropicciata. Cercai di farlo, camminando, le mani che mi tremavano.

-Sherry- esclamò Penny, contro cui quasi mi scontrai.

Okay, ora dovevo solo dissimulare... semplice, no? Alzai la testa e mi sforzai di sorridere, in fondo non potevo avere in viso il segno di ciò che mi era successo. Oppure sì?

-Sei già sveglia?- mi chiese. Indossava un pigiama viola scuro.

-Sì, mi sono svegliata presto- mentii agilmente, accompagnando la menzogna con un sorriso.

-Sei un po' rossa- disse Penny, strizzando gli occhi, come per vedere meglio.

Sentii un brivido percorrermi la schiena. –Veramente?- domandai... io devo salire-

-Subito?- chiese Penny, sorpresa.

-Sì, meglio di sì- mi sforzai di sorridere, prima di correre di sopra, una tempesta che mi scuoteva il cuore. Avrei solo voluto nascondermi sotto le coperte e non uscire più.

Quando scesi per la colazione l'orologio della sala tuonava le dieci. Avevo indossato una maglietta con uno squalo e un paio di jeans -ovviamente di Penny. Stranamente non c'era nulla di viola. Sinceramente speravo di non incontrare Algol. Magari aveva già fatto colazione, oppure semplicemente quella mattina non l'avrebbe fatta. Era tutto possibile con lui. Un presentimento strisciante però mi avvertiva del contrario... e non sbagliava. Non appena entrai nella grande cucina dai riflessi metallici vidi che Algol era seduto alla penisola, i capelli spettinati -che su di lui stavano benissimo- e una tazza di caffè stretta tra le lunghe dita. 

-Ma buongiorno, Sherry, appena svegliata?- chiese, con un tono impastato. Sospettai che mi stesse aspettando e che si fosse già preparato la battuta.

-Buongiorno a te- mi avvinai alla macchinetta del caffè, adagiata sul bancone, accanto al lavabo. Il cuore saltava. Lo ignorai e presi una tazza, quindi azionai la macchinetta e osservai il caffè scendere lentamente.

Algol non replicò. La cosa mi sorprese. Quando il caffè smise di scendere presi la mia tazza e andai a sedermi alla penisola, di fronte a lui. Beh, quando i miei occhi si agganciarono ai suoi per poco le mie mani non persero la presa. Mi affrettai a lasciarmi cadere sullo sgabello.

-Non dirmi che non ricordi nulla di ieri notte?- indagai, fissandolo con attenzione.

-A parte la tua corsa nella notte?- scherzò lui. Ci fissammo e io mi chiesi se lui ricordasse, ma non volesse ammetterlo.

-Hai bevuto parecchio- tentai.

-E allora?- sollevò un sopracciglio, con aria interrogativa. Possibile che non ricordasse veramente? Ma poi mi aveva davvero detto "ti amo" o avevo capito male io? E perché con Algol finiva sempre in quel modo? Era una sfida persa già in partenza. Come la competizione tra Anne e Julia. Non avrei mai avuto un'ammissione, questo era fin troppo evidente.

-Bevi troppo- dissi quindi, caustica, il tono di rimprovero. Non lo rimproveravo però per aver bevuto, non solo perlomeno. Lo rimproveravo per quel suo continuare a illudermi, come se fossi solamente un giocattolo.

-Ieri sera... non so cosa mi sia preso... normalmente non bevo mai- mormorò, come se all'improvviso fosse in difficoltà.

In effetti non avevo mai visto Algol ubriaco prima. Sentii qualcosa in me addolcirsi. -Se hai bisogno di parlare... io sono qua-

-Non dovresti... io rompo tutto quello che tocco- mi rispose, una risata caustica che gli sfuggiva dalle labbra.

-Non è vero- protestai, saltando sullo sgabello che cigolò sotto il mio peso.

Algol non replicò, si limitò a bere un sorso del suo caffè e a fare una smorfia.

-Mal di testa?- indagai.

Fece spallucce. -Piuttosto dovremmo parlare del ballo-

Restai in silenzio. Il ballo. Beh, io non ero così certa di volerne parlare. Ero ancora scossa e la serata passata mi aveva confusa ancora di più.

-Tua madre ti ha riconosciuta... probabilmente cercherà di contattarti- si sfregò gli occhi arrossati. Beh, erano comunque bellissimi.

Ci avevo già pensato. Restai in silenzio. Non sapevo cosa rispondere.

-Allora?- indagò.

-Allora cosa?- replicai.

Lui sorrise. Il suo folle ghigno. -Sei pronta ad andare a corte?-

No. La risposta mi rimbombò nella mente. Non la sarei mai stata. Non era la corte il mio posto. Algol comunque non attese che parlassi. Si alzò i capelli scuri che gli ricadevano sugli occhi. Senza dire una parola si diresse verso la porta.

-Tu non sei sbagliato- le parole mi sfuggirono.

Algol si fermò un attimo, la schiena dritta, ma non si voltò. Era in attesa, così continuai.

-Sei perfetto come sei... e non è colpa tua... tu meriti di essere amato-

-Non io non lo merito... i mostri non devono essere amati- e se ne andò, senza aggiungere una sola parola, lasciandomi in una solitudine così densa che mi soffocava.

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

La storia tra Algol e Sherry sta evolvendo.

A presto

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