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4. MISSIONE DI SOCCORSO

C'è una sorta di tacita verità nelle tre leggi di Newton che si riflette nelle relazioni interpersonali -e in particolare nelle dinamiche del liceo.

Primo principio: d'inerzia. Se su un corpo non agiscono forze esterne questo resterà in stato di quiete. Si può tradurre in "se tu non farai nulla le cose non cambieranno". Se per esempio non dici ciò che ti piace, beh, difficilmente ti verrà regalato il vestito che vuoi.

Secondo principio: in base a forza e direzione applicate ad un oggetto questo si muoverà. Provate ad armarvi di un buon sorriso e vedrete che le cose miglioreranno. Se invece metterete il broncio, beh, la direzione sarà opposta.

Terzo principio: il mio preferito! A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Ovvero: se rispondete sempre male a una persona, beh, è facile che questa vi ripaghi con la stessa moneta.

Bene, ora cosa succede che vi mettete contro delle cheerleader per difendere una nuova arrivata? Chiunque di voi abbia risposto "nulla di buono", beh, ha indovinato. A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

Mi morsi le labbra, cercando di trovare una soluzione che non comprendesse per me il ruolo di difensore dei deboli. Sentivo la ragazza lamentarsi. L'effetto era quello di artigli nello stomaco.

-Sono le solite- mormorai, rigirandomi verso Sarah. Non quel giorno. Era speciale, avrebbe dovuto essere perfetto. Mi ritrovai a sfiorare il nastrino. La perfezione però non esiste.

-Non possiamo non fare nulla- protestò la mia amica, battendo il palmo sul tavolo.

-Vuoi essere messa in mezzo?- chiesi. Avevo già provato cosa volesse dire essere la vittima sacrificale delle amiche di Anne. Mi avevano rinchiusa nel laboratorio di scienze, strappato i vestiti, preso a calci lo zaino, tirato i capelli. Il tutto era durato fino a quando non avevo capito che l'arma migliore con loro era l'indifferenza... e fingersi un po' oche. Insomma, fare lo scemo per non pagare il dazio, non si dice così? Megan e Anne mi avevano fatto una buona scuola al riguardo.

-Non possiamo girarci dall'altra parte- protestò Sarah. Le mani le tremavano. Sembrava solo una bambina spaventata. A ben guardare in Sarah c'era qualcosa d'infantile.

Un urlo alle mie spalle mi fece capire che la lite stava degenerando.

-Ti prego... - sussurrò Sarah. Lei da sola non sarebbe andata, lo sapevamo entrambe.

-Non posso farci nulla- mormorai. Sentivo il cuore stretto in una morsa, avrei voluto aiutare quella ragazza, ma non volevo mettermi nei guai, avevo già abbastanza problemi.

-Sei una stramba, non vedi come ti vesti?-

Quelle parole, dette da una delle due cheerleader, mi percorsero come un brivido doloroso. Strinsi i pugni senza rendermene conto. Ricordi passati rimbombarono nella mia mente. Ero sempre stata io la stramba, quella fuori luogo, la sbagliata. Sempre e comunque quella sbagliata. Senza rendermene conto mi alzai in piedi. La sedia strisciò con un rumore acuto. Le cheerleader continuarono a starnazzare. Non si erano accorte di me. Loro non si accorgevano mai di me. Mi voltai e le fronteggiai. Betty, sì, sempre lei, aveva preso in mano un quaderno e rideva. La ragazzina cercò di prenderlo, ma Betty lo passò alla sua amica... Samantha, se ricordavo bene, con i lunghi capelli neri che le danzavano intorno.

-Non te lo do- disse, ridendo crudele.

La ragazzina aveva gli occhi azzurri pieni di lacrime. Sembrava una bambina. Senza esitai oltre, mi gettai in avanti e afferrai il quaderno. Samantha, presa alla sprovvista, lo lasciò. Io balzai indietro, mettendo più spazio possibile tra di noi. Sentii uno spostamento d'aria alle mie spalle. Con la coda dell'occhio vidi due orecchie da coniglio di peluche che ondeggiavano. Ottimo, almeno non mi lasciava sola. Non che la cosa sarebbe servita a molto.

-Il raduno delle strambe- esclamò Betty, ridacchiando. I capelli le danzavano intorno.

-Sì, qui si radunano le strambe... ma voi siete qua per il raduno delle oche... lo fanno nello spogliatoio delle cheerleader, così è più facile da trovare- replicai, caustica.

Nella sala calò il silenzio. Sentii lo sguardo dei presenti bruciare su di me. Inspirai a fondo, cercai di non tremare e di controllare il mio respiro affannato. Avevo il cuore che mi batteva furiosamente e lo stomaco stretto in una morsa. Nonostante ciò rimasi immobile. La presenza di Sarah mi fu d'aiuto, lo ammetto. Rimasi ferma, lo sguardo fisso in quello di glaciale di Betty. Era una sfida, lo avevo imparato a mie spese. Bisogna mostrarsi forti. Le cheerleader –reginette della scuola o come le si voglia chiamare- sono vespe carnivore, pronte a lanciarsi su qualsiasi preda indebolita. Sono leonesse che si battono per lo status quo. Sono iene alla ricerca di animali feriti. Deglutii, la gola secca. Bisogna mostrarsi forti, imponenti, aggressivi. Cose che io non ero, ma al liceo vince chi sa fingere meglio e io avevo imparato a fingere molto bene. Dovevo ringraziare la mia matrigna per questo. E poi successe l'impensabile. Risate. Gli altri studenti ridevano.

-Oche, ha ragione, sono delle oche- disse un ragazzo, piegato a metà dalle risate.

Betty prima sbiancò completamente, poi divenne rossa... di rabbia. Sentii Sarah aggrapparsi al mio braccio, come se ricercasse un appoggio. Probabilmente si era resa conto anche lei di quanto assurda fosse quella situazione. Ci eravamo cacciate in un guaio di proporzioni epiche.

-Andiamo- disse Samantha, afferrando il braccio di Betty e trascinandola con sé.

Betty mi fece la linguaccia, il rossetto rosso che brillava intorno alla sua lingua, quindi –presumo che non fosse soddisfatta- mi mostrò il dito medio, facendo bella mostra delle unghie curatissime e smaltate di fucsia.

-La classe non è acqua- replicai, con il mio sorriso che mi piegava le labbra. Dentro di me però non ero così sorridente. Anne me l'avrebbe fatta pagare, ne ero certa.

-Grazie- una vocina esile, sottile. Quando spostai lo sguardo incontrai gli occhi azzurri della ragazzina che avevo difeso. Mi si era avvicinata e sorrideva. Un sorriso tremante e insicuro. Solo in quel momento vidi che era chiaramente una gotica. Vestiva completamente di nero -maglietta con finto corpetto, gonna lunga, stivaletti- e aveva gli occhi truccati di viola scuro.

-Nulla- intervenne Sarah, prendendomi di mano il quaderno e dandoglielo –se non ci si aiuta tra noi-

-Noi strambe?- scherzai.

La mia battuta strappò una risata alla ragazzina. –Io sono Penelope- disse un attimo dopo, porgendomi la mano destra, mentre con l'altra stringeva il quaderno, fino a farsi diventare le nocche bianche –ma gli amici mi chiamano Penny-

Le strinsi la mano. Era gelida e la stretta era tremante. Penny mi ricordava i cuccioli dei documentari, teneri e molto fragili. In pratica non adatti al liceo, soprattutto al liceo che frequentava Anne. Se la sarebbe mangiata. –Sono Sherry- mi presentai.

-E io sono Sarah!- mi fece eco la mia amica, la voce squillante –Sei nuova, vero?-

Penny annuì e i capelli scuri le ricaddero sul viso. Era bella, con lineamenti regolari, ma la sua era una bellezza fragile, quella di una bambola di porcellana. Eppure c'era in lei qualcosa di familiare. –Ehm sì, mi sono trasferita da poco... lo so che l'anno sta per finire, ma non ne ho potuto fare a meno-

Fulminai con lo sguardo Sarah prima che potesse farle un'altra domanda. Era evidentemente molto imbarazzata, non era il caso di peggiorare la situazione.

-Grazie- sussurrò ancora la ragazzina –ehm, ho lezione, devo andare... ci vediamo- e si allontanò, la testa bassa, i capelli che le coprivano il viso come un velo.

-Buffa- fu il commento di Sarah.

-Pazze, io e te- replicai io.

Sarah scrollò le spalle, quindi si mise a giocherellare con i lacci della felpa. Solo in quel momento mi resi conto che lo sguardo dei presenti era ancora su di me. E poi notai che ce n'era uno che bruciava più degli altri. Individuai due occhi viola che mi fissavano da dietro il vetro della finestra. Algol incurvò le labbra in un sorriso non appena si accorse che lo stavo fissando. Per un attimo mi sembrò di affogare nel suo sguardo, di essere trascinata dentro quei due laghi. Dovetti fare un grande sforzo per distogliere lo sguardo.

-Andiamo- mormorai, prendendo Sarah per il braccio. "C'è un sorriso d'amore / E c'è un sorriso di inganno", mi venne in mente la frase di Blake. Quello di Algol però era un sorriso... non lo sapevo, non potevo saperlo.

-Buona idea- borbottò lei, rossa.

Recuperammo lo zaino e uscimmo, fianco a fianco. Il cuore si disintegrava nel mio petto. Perché essere guardata da Algol era come trovarsi sul bordo del precipizio, certa di cadere giù, nel vuoto.

-Ehm, hai preparato la Rose Cake ultimamente?- mi chiese Sarah, mentre imboccavamo il tetro corridoio, come se volesse assolutamente cambiare discorso.

La Cake Rose. Deglutii, un senso di tristezza che strisciava lungo il mio corpo. Era la torta di Merce, lei mi aveva insegnato la ricetta. -Ehm no, ma chi lo sa, prima o poi la farò- e cominciai a parlare, a dire sciocchezze, nell'assurda speranza di dimenticare quell'incendio che Algol mi aveva trasmesso.

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Come vi sembra che proceda la storia?
Cosa ne pensate di Penny?

A presto

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