37. PREPARATIVI
Il bagno era grande. Molto grande. Fissai le piastrelle azzurre con i pesciolini colorati e mi sfuggì un sorriso. Era strano che Algol abitasse in un ambiente così, non me lo sarei mai aspettato. Il Principe delle Ombre che ha un bagno con i pesciolini? Ma chi immagina una cosa simile? Beh, come minimo pensi che ci siano pipistrelli appesi alla tenda della doccia, pronti a strapparti i capelli. Fortunatamente non ero così. Cercai di regolare il mio respiro. Ero agitata. Tremendamente agitata. Il cuore tremava nel mio petto e la nausea mi serrava lo stomaco. L'idea era semplice. Avremmo approfittato della possibilità di Algol di partecipare ai balli di Lurien per avvicinarmi a mia madre. Semplice, troppo semplice... sicuramente si sarebbe trasformato in un disastro.
-Se hai bisogno di qualcosa dimmelo- mi gridò Penny, oltre la porta chiusa, strappandomi dai miei dubbi.
-Sì, non preoccuparti- le risposi, guardandomi intorno alla ricerca di qualcosa su cui appendere i vestiti. Dovevo ammettere che mi sentivo in imbarazzo. Quello era il bagno di Algol, mi sembrava addirittura di sentire il suo profumo, che mi sfiorava, che mi accarezzava, facendomi rabbrividire. Mi costrinsi a deglutire, il cuore che mi sfarfallava nel petto. La presenza di Algol era ovunque, quasi pressante. Quella era casa sua... e io ero nella tana del lupo. Mi costrinsi a spogliarmi, sfilandomi prima la maglietta, poi la gonna, quindi il reggiseno e gli slip. Nuda, fragile, vulnerabile. Mi sentivo così. Appoggiai il tutto su un mobiletto bianco. Cercai di scacciare il pensiero che anche Algol era stato nudo là dentro. Perché dovevo pensare queste cose? Mi avvicinai alla doccia, attenta a non scivolare, il pavimento gelido sotto i miei piedi. Il pensiero che tra poche ore sarei stata a palazzo, beh, mi faceva tremare. Mi allungai e aprii il rubinetto della doccia. L'acqua scese sussurrando oscuri segreti. Era gelida. Strinsi i denti e regolai la temperatura. Solo quando fu abbastanza tiepida mi decisi a entrare, aggrappandomi al bordo per non cadere. Ci sarebbe mancata solo una caduta. Il mio pensiero volò ad Algol, a suo fratello. Era una storia agghiacciante. Tirai la tenda e mi nascosi dietro di essa, sperando di allontanare i brutti pensieri. Era davvero la madre di Algol la donna che piangeva sulla tomba di Micky? Buttai indietro la testa e lasciai che l'acqua mi sfiorasse, rivoli caldi che mi correvano lungo la pelle. Mi sentivo stanca e confusa. Chiusi gli occhi, cercando di rilassarmi.
La realtà mi finiva addosso, lasciandomi esausta... e poi c'era Algol. Come potevo descrivere quella sensazione che mi graffiava il petto, che cercava di farsi strada con violenza dentro di me? Non potevo semplicemente descriverla a parole, erano sensazioni senza nome. Il caldo m'invase all'improvviso. Fu come se le mie vene trasportassero fiamme e non sangue. Brividi bollenti che mi accarezzavano furiosamente la pelle, che mi artigliavano il cuore. Schiusi le palpebre, un senso d'allarme che mi stringeva il petto, come se il mio cuore sapesse, come se percepisse la sua presenza anche se non potevo vederlo. Algol era lì. Mi fissava tra la tenda e il muro con quegli occhi che sembravano essere nati per bruciare il mondo e per farmi rabbrividire. Mi parve che la doccia stesse crepitando sotto di me, come se stesse andando a fuoco.
-Algol- esclamai, coprendomi con le mani, impedendogli di bere ancora con gli occhi il mio corpo.
Lui mi rispose con un sorriso. Gli angoli delle labbra che si sollevavano. Non avrei mai dimenticato quella sensazione, i suoi occhi su di me.
-Cosa ci fai qui?- chiesi, la voce che mi tremava. Carezze bollenti lungo la mia spina dorsale. La testa che mi girava. Le ginocchia molli. Algol aveva ripreso tutta la sua compostezza.
-L'asciugamano- mi rispose sarcastico e solo in quel momento vidi che teneva davvero in mano un enorme asciugamano bianco –te lo sei dimenticata... non avrai davvero creduto che fossi entrato per vedere te? Beh, avresti avuto ragione- parole lanciate per colpire, simili a proiettili. Mi costrinsi a sopprimere il brivido che mi accarezzava.
-Sei terribile... appoggialo da qualche parte- risposi.
Algol borbottò qualcosa che non compresi e si allontanò. Fu come se l'aria diventasse di ghiaccio. E poi ero sola, desolatamente sola.
Un attimo dopo sentii la porta che si chiudeva con un tonfo che mi parve assordante.
-Sei certo che funzionerà?- chiesi, lisciandomi l'abito e cercando di non tremare. Non che fosse semplice. Al contrario, era quasi impossibile non tremare. Inspirai a fondo. Cos'avrei dato per poter controllare completamente il mio corpo.
-Io sono sempre certo- rispose Algol, il tono carico di promesse e inganni. Le sue dita si strinsero intorno alla cerniera del mio abito, che si trovava sul fianco destro. Chiusi gli occhi e trattenni il fiato, mentre lui la sollevava attentamente, la sua pelle che, quasi casualmente –ma sono certa che non fosse un caso- premeva contro la mia. –Fatto!-
-Arrogante- gli risposi.
-Non lo nego, ma questa sera il sottoscritto ti serve... quindi cerca di ricordartelo- ridacchiò.
Sbuffai e feci in modo che lui lo sentisse. Volevo che capisse quanto detestassi quel piano. Allo stesso tempo però non potevo fare molto. Strinsi un lembo dell'abito e per poco non lo stritolai.
-Non fare la bambina-
La sua voce, dietro di me, per poco non mi fece esplodere il cuore. Mi costrinsi a rimanere immobile.
-Funzionerà... e poi sei bellissima- il tono era dolce, tanto da risultare strano tra le sue labbra.
-Non lo so... questo vestito... non sono certa che mi stia bene-
-Aspetta- mi superò e io potei vedere la sua figura, affascinante e imponente, andare fino a metà della stanza, dove afferrò qualcosa di alto e ovale, che trascinò verso di me. Il riflesso dello sguardo viola di Algol mi fece comprendere che era uno specchio. Lo posizionò a un paio di metri da me, facendo scricchiolare il pavimento. –Ecco, ora puoi guardarti e decidere tu se ti sta o no bene- fece un passo di lato.
Mi avvicinai con passo tremante. Cos'avrei visto? Una ragazza che giocava a fare la principessa, che non aveva ancora capito il suo posto nel mondo.
-Devo portarti di peso?- mi chiese Algol, ironico –Perché sai che sarei capacissimo di farlo-
Lo fulminai con lo sguardo, quindi mi costrinsi a proseguire, lo sguardo fisso a terra, sulle crepe che percorrevano il pavimento. Quando fui vicina alzai lo sguardo e... incontrai quello di un'altra donna che mi fissava con due occhi grandi, truccati con cura. I capelli scuri le ricadevano dolcemente sulle spalle scoperte. L'abito le stringeva il petto, mettendole in evidenza il seno –un seno che io non avevo- e i fianchi. Il tessuto blu brillava come se fosse ricoperto di... stelle, compresi. Su quell'abito erano raffigurate le stelle.
-Che ne pensi?- mi chiese Algol –Niente male per una Cenerentola-
Non potevo essere io. La persona che avevo davanti non potevo essere io. Eppure mi assomigliava moltissimo.
-Cosa ti dicevo? Sei bellissima- mi strizzò l'occhio e io lo potei vedere riflesso allo specchio, al mio fianco. Alto, slanciato, con quel vago sorriso che gli piegava le labbra. Fascino allo stato puro... peccato che fosse un fascino velenoso. Algol avvelenava quello che aveva intorno. –Allora?- insisté –Non dici nulla-
-Non sono sicura di volerci andare... al ballo... non credo che la vita di corte faccia per me- mormorai, dando forma a tutte le mie angosce.
-In effetti non fa per nessuno... a parte per gli stupidi che ci vivono... e poi è noiosa, incredibilmente noiosa... però tu vuoi conoscere tua madre-
Mi bloccai, lo sguardo agganciato a quello di Algol, attraverso lo specchio. Avevo la lingua pesante e le tempie che iniziavano a pulsarmi. Cos'avrei dovuto rispondergli? Non lo sapevo.
-Ci sarò io al tuo fianco... ti coprirò le spalle dai damerini alla ricerca di fanciulle da insidiare e dai mille pericoli che si possono incontrare a un ballo- disse, il tono serio.
Mi sforzai di sorridergli, un sorriso falso. –Questa è forse una dichiarazione d'amore?- scherzai.
-Mai fare dichiarazioni d'amore! Costano ben più di una macchina di lusso-
Questa volta la risata che mi sfuggì dalle labbra fu sincera. –Sei cinico!-
-Il cinico è colui che vede la realtà com'è, senza stupidi abbellimenti- il sorriso scomparve sulle sue labbra, ma qualcosa di affilato e pericoloso brillò nel suo sguardo. –Pure tu sei cinica... la vita ci fa diventare così, non possiamo farci nulla-
-Hai sempre la risposta pronta... lo sai che sei insopportabile quando fai così- lo provocai, la voce bassa e tagliente, come se volessi realmente ferirlo, come se volessi vedere le ferite aprirsi e il sangue uscire. Perché finiva sempre così tra di noi? Non riuscivo a capirlo... eppure io tenevo a lui... ero indissolubilmente legata a lui. Mi sentivo una farfalla che era rimasta con la zampetta appiccicata nella ragnatela di un ragno feroce. Forse quel mio modo di fare era l'unico che conoscevo. Provocavo perché sapevo che Algol mi avrebbe ferita, lo faceva sempre, pareva che si divertisse a farlo, a piantare spine nel mio cuore.
Algol non rispose subito. Potei vedere mille sentimenti senza nome percorrergli il volto, illuminargli lo sguardo, arricciargli le labbra. Alla fine sospirò. –Io sono colui che deve portare scompiglio, lo sai-
-Non per forza-
-Alcuni ruoli sono già scritti, dobbiamo solo recitarli- mi porse la mano, il palmo verso l'alto, le dita tese –ora sei tu che devi decidere che parte recitare- disse, lo sguardo viola che pareva più chiaro, probabilmente per un gioco di luci –sei una ragazzina spaventata o una principessa coraggiosa?-
Fissai Algol, il tentatore. Ero nelle sue mani, ero dove lui voleva che fossi, non avrei potuto fare altro. Mi allungai verso di lui, la mano leggermente sollevata e... poi mi fermai. Di scatto. Le mie dita sfioravano l'aria, si artigliavano ad essa. Algol continuava a tendersi verso di me, come in quel pomeriggio lontano, quando solo lui, quella creatura –perché di umano aveva sempre avuto poco- fatta di tenebre e ceneri, poteva salvarmi. Avrei solo dovuto fidarmi di lui, prendere la mano che mi porgeva, affidargli la mia stessa anima. Come potevo però fidarmi di lui? Non sarebbe stata follia fidarmi di un demone? Eppure volevo solo prendere la sua mano, fidarmi di lui, abbandonarmi tra le sue braccia, farmi vincere dal suo calore. Ripensai a quanto il nostro rapporto fosse cambiato, a quanto ci fossimo avvicinati e...
-Non riesci proprio a fidarti di me, eh?- sputò fuori, la voce sprezzante, come se fosse stato veleno, come se fosse straziato da un dolore senza nome. Improvvisamente tutto ciò che ci aveva fatti avvicinare in quei giorni parve diventare cenere.
-Aspetta- allungai la mano per prendere la sua, ma lui la ritirò, un sibilo angoscioso che gli sfuggì dalle labbra.
-No, il gioco è finito- ruggì, la voce tagliante come una lama. Un caos di sensazioni mi trapassò. Rabbia, angoscia, disperazione. Mi sforzai d'ignorarli. Dovevo sorridere, bisogna sempre sorridere, è questo il trucco.
-Sei pure permaloso- continuai, bisognosa di fargli male, come lui ne faceva a me. Se ne accorgeva del dolore nero, senza nome, che mi provocava? Di come mi mandasse in confusione passando da un comportamento a un altro? Di quanto mi facesse sentire sbagliata? Avevo sperato solo per un attimo e la mia speranza si era sgretolata, in un turbinio di pezzi di vetro e spine.
-Sì, sono anche permaloso- confermò –e ora andiamo... e speriamo che il tuo sogno non si tramuti in un incubo- disse con un sorriso crudele che mi spappolava il cuore. Me l'avrebbe fatta pagare. Il vecchio Algol era tornato.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Cosa ne pensate degli ultimi avvenimenti?
A presto
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