36. LACRIME SULLA TOMBA
La luce del sole illuminava con pigri raggi dorati la stanza di Algol. Mi sentivo vagamente in imbarazzo, ma non ci potevo fare nulla. Quel sabato mattina ci eravamo svegliati tardi, nella stanza segreta della villa. Ero frastornata e avevo un certo senso di nausea. La gravità della situazione mi era caduta addosso. L'orrenda gravità. Avevo lasciato tutto a casa, nella mia soffitta... non avevo quasi nulla di mio. Non avevo neppure più acceso il cellulare. La disperazione mi percorse come un brivido.
-Camicia bianca o rossa?- chiese Algol, la testa che spariva dentro l'armadio, strappandomi dai miei pensieri.
-Rossa- decisi, senza indugio. Ero in piedi, appoggiata alla testiera del letto.
-Dici?- indagò.
-Il rosso è un colore che ti si adatta di più- spiegai.
Parve rifletterci un attimo, poi sorrise, il viso leggermente inclinato. Bello come un leone. –Perché?-
-Perché è il colore della passione- risposi pronta.
-La passione- scosse lentamente la testa e osservai le ciocche di capelli ricadergli sul viso. Un dolore al petto. Era così bello, tanto bello che la sua bellezza faceva male, aveva lunghe zanne che feriva e lasciava profonde cicatrici. –Il mondo ha bisogno di passione- e c'era del non detto in quella frase.
Mi avvicinai al davanzale e mi appoggiai contro di esso, una mano stretta impercettibilmente intorno al gelido marmo. Lanciai uno sguardo fuori e vidi la solita donna, avvolta in un abito nero e piegata sulla tomba. Chi era? Sentii Algol muoversi dietro di me.
-Non è per dire, ma cosa c'è di così interessante alla finestra?- domandò –Insomma, hai la possibilità di ammirare me, non capisco perché... -
-La donna- lo interruppi. Una sensazione di soffocamento mi artigliò la gola.
-Quale donna?- percepii il suo corpo che si avvicinava al mio e che lo mandava a fuoco. Non gli risposi e lasciai che si appoggiasse con una mano al davanzale e che guardasse lui stesso. Un suo braccio passò intorno alla mia vita, con finta noncuranza. Un brivido mi percorse completamente, irradiando calore in ogni parte di me, in luoghi che non sapevo neppure esistessero. Sperai che non si accorgesse delle guance che mi bruciavano e dell'incendio che si stava scatenando nella mia anima.
-La donna- balbettai, cercando di controllare l'emozione –visita sempre quella tomba, sai di chi è?-
Il corpo di Algol s'irrigidì e io compresi che c'era qualcosa di strano. La sua stretta intorno alla mia vita si serrò e mi sfuggì un gemito a metà tra il sorpreso e qualcosa che non avrei saputo definire. La donna si alzò in quel momento e si allontanò, il passo rapido.
-Se ne va- mormorai.
-Andiamo-
Non compresi subito il significato di quelle parole e fu solo quando Algol mi lasciò la vita che mi voltai a fissarlo. –Dove?-
-Voglio vedere di chi è quella lapide- disse, la voce decisa.
Aprii la bocca per protestare, sostenendo che non era il caso, ma Algol era già uscito dalla stanza. Lo seguii, il più rapidamente possibile, le suole delle mie scarpe che sbattevano contro il pavimento. Sgusciammo fuori da una porta sul retro, che distanziava pochi metri dal vecchio cimitero. L'aria era fresca e mi muoveva i capelli.
Notai che i cespugli vicino a una delle finestre sembravano accartocciati, come se qualcuno li avesse schiacciati. Rallentai il passo, sorpresa, ma l'andatura decisa di Algol mi costrinse a lasciar perdere. Lo dovevo seguire. Proseguimmo verso il cimitero e sentii le scarpe -un paio di ballerine viola di Penny- affondare nell'erba. Per poco non ne persi una. Strinsi i denti, saltellando. Mi erano troppo larghe!
Non appena arrivammo Algol si lasciò cadere di fronte alla tomba. Dalla posizione in cui ero non potevo scorgere l'espressione del suo viso, ma compresi subito che c'era qualcosa di disperato nel modo in cui contraeva i muscoli. Quando mi avvicinai sbirciai oltre la sua spalla, presa da una morbosa curiosità. Fu in quel momento che vidi il nome sulla lapida.
Micky Mallon
-Mallon- sussurrai, confusa –è un tuo parente?- ma poi lo sguardo scivolò sulla data di nascita e per poco non caddi a terra anch'io, sopraffatta da una sensazione che mi stringeva i polmoni, rendendomi impossibile respirare. I pezzi del puzzle si unirono, creando l'immagine finale.
-Il mio gemello, lui era il mio gemello- dichiarò Algol, svelando ciò che avevo già compreso.
Le parole mi colpirono con forza, non tanto per il loro senso, ma per il modo in cui vennero dette. Il tono di Algol assunse qualcosa che non riuscii ad assimilare del tutto. Una sfumatura che mi mise i brividi, che infilò gli artigli nel mio cuore e lo lacerò.
-Credo che sia meglio rientrare- mormorai, notando che il cielo diventava violaceo. Un cielo che prometteva lacrime e tempesta. Non era per questo però che desideravo rifugiarmi in casa. No, era perché avevo la folle sensazione di essere spiata.
-Micky è morto quando ero piccolo- sussurrò Algol. Eravamo seduti sul suo letto. Non appena tornati si era diretto in camera sua. Non voleva che Penny sentisse quella storia, compresi. –Un terribile incidente, io e lui stavamo giocando- la voce era atona, il viso stravolto. Dolore, ma non solo. Senso di colpa. Era quella l'origine di tutto?Decisi di non indagare oltre.
-Non sapevi che era sepolto lì?- domandai.
Algol scosse debolmente la testa, i capelli che gli ricadevano sul viso, dandogli un'espressione tenebrosa. –Credevo che mio padre lo avesse sepolto nella cripta- deglutì, socchiudendo gli occhi che divennero due mezzelune brillanti –quella donna... potrebbe essere mia madre- il modo in cui lo disse mi commosse. Si tirò indietro le ciocche ribelli con un rapido gesto della mano. –Perché non viene da me? Se è lei perché non mi vuole vedere?- non ne fui certa, ma mi parve che i suoi occhi luccicassero nel buio. Erano lacrime quelle incastonate dentro le sue iridi perfette? Algol sapeva piangere? Non ne ero certa, ma mi affrettai a posargli una mano sul braccio. Un modo per trasmettergli il mio conforto, per fargli capire che non era solo, che non lo sarebbe mai stato.
-Forse non sa che abiti qui- tentai, ma le mie parole suonarono deboli e poco convincenti in quella grande stanza.
-Lei sa dove abito- sospirò. Mi ritrovai a pensare, con sorpresa, che in quel momento sembrava molto vulnerabile... fragile come un vaso di vetro che, da un momento all'altro, poteva cadere e andare in mille pezzi. Ombre scure rendevano più marcati i suoi lineamenti.
-Ci potrebbero essere mille motivi per cui non viene- tentai. Sapevo che la mia era una bugia. Nulla al mondo avrebbe potuto tenere una madre lontana da un figlio. -E poi non è detto che sia tua madre- altro disperato tentativo, ma non volevo che soffrisse. Non potevo permetterlo.
-Devi incontrare tua madre- le parole risultarono quasi lapidarie tra le sue labbra. Mi puntò addosso i suoi occhi intensi come tutte le galassie dell'universo.
-Cosa posso fare? Vado a palazzo e dico che sono la figlia della regina? Mi prenderebbero per pazza!- sbuffai.
-Non necessariamente- le labbra s'incurvarono in un sorriso e tutta la fragilità scomparve dal suo volto. L'avevo solo immaginata? In quel momento sembrava probabile. -Io avrei in mente qualcosa di più sofisticato-
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Che ne pensate delle ultime rivelazioni?
A presto
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro