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32. DAVANTI ALLA PORTA

Era tardi. Il cielo stellato brillava sopra me e Algol. La cena era stata ottima, ma il tempo era trascorso troppo in fretta. E poi il pensiero di mia madre mi aveva turbata. Era sempre stata così vicina...

-Sei certa che vuoi tornare in quel covo di vespe?- mi chiese Algol, strappandomi dai miei dolorosi pensieri.

Mi strinsi nelle spalle, fingendo una spavalderia che non avevo. –Non posso fare altro... quella è pur sempre casa mia- era una bugia, vibrava di menzogna. Per dissimulare mi costrinsi a fare ciò che facevo sempre: sorridere. Non conoscevo altro.

-Non vuoi stare con me?- la domanda era lapidaria. I suoi occhi m'inchiodava sul posto, cercando di leggermi l'anima. Non si poteva mentire ad Algol.

-Non è questo- mi affrettai a dire.

-E allora cos'è?- inclinò il viso, un sorriso crudele che gli piegava le labbra. Era il lupo pronto ad aggredire.

-Io... - le parole mi morirono sulle labbra. Restai muta davanti ad Algol, come se lui mi avesse rubato la voce.

-Ti turbo così tanto?- e, rapido come un felino, come una serpe, come l'acqua di una cascata, si lanciò in avanti, incatenandomi i polsi nelle sue mani. Fuoco. Fuoco che mi correva lungo le vene, che si mischiava con il sangue, che mi faceva quasi impazzire. Ero sua prigioniera. La principessa chiusa nella torre. Deglutii, il cuore che trasaliva nel mio petto. Cos'era Algol? L'eroe o il drago? –Ti confondo talmente tanto da costringerti a fuggire da me?- la voce tremante e ruvida rimbombava nel silenzio assordante della notte. Avrei voluto supplicarlo di non urlare così, ricordargli che ci avrebbero sentiti, ma non ci riuscii. Come avrei voluto che quella storia fosse come le ricette di Merce, in cui bastava seguire ogni passaggio per arrivare alla fine, per avere il piatto perfetto. Mi morsi la lingua, così forte da sentire il metallico sapore del sangue, cercando di fronteggiare lo sguardo sbarrato di Algol su di me. Uno sguardo che toccava più di una carezza, che affondava nella mia carne più di un morso, che faceva sanguinare più di un coltello. –Perché semplicemente non ti arrendi? Sarebbe più semplice per entrambi... io ti accoglierei tra le mie braccia... perché vuoi sempre fuggire, perché?-

Le lacrime mi punsero gli occhi come spilli. Sentii le ginocchia malferme, come quando da bambina per poco una vespa non mi aveva punta. Avevo osservato quella creatura alata muoversi con leggiadria, il vitino sottilissimo –avevo quindi compreso perché si parlasse di vitino da vespa. Era la stessa sensazione, qualcosa di pericoloso e allo stesso tempo affascinante. Algol era come quella vespa: bello e dannoso. Il suo amore sarebbe stato così. Un amore con i denti, gli artigli e le zanne. Algol non poteva amare normalmente. Lui era una vespa, un lupo, un drago. Mi sarei fatta amare a mio rischio. Perché non poteva essere un amore normale? Un amore che non mi strappasse l'anima dal petto? E le parole di Merce spuntarono dal passato, tremando nella mia mente.

-Le migliori ricette sgorgano dal cuore, chica, per cucinare bene bisogna tirare fuori i propri sentimenti e buttarli nei piatti-

Era così anche per l'amore? Non lo sapevo. Il viso di Algol si avvicinò al mio e potei sentire il suo respiro sfiorarmi il viso, mischiarsi con il mio, penetrare nella mia carne, stuzzicarla. M'infiammai. Tremavo, non c'era neppure una parte del mio corpo che non fosse in fiamme. Arretrai, il passo malfermo, ma Algol mi trattenne con lo sguardo.

-Ti avrò, Sher, io non mi arrendo, non mi arrendo mai!- la sua voce graffiava, disperata. Unghie che premevano sulla mia anima. –So che tu mi vuoi, so che... -

Le sue labbra. Mi avventai sulle sue labbra, dimentica di ogni cosa. Non potei farne a meno, non potei soffocare quel desiderio di sentirle sotto le mie, così morbide e umide. La stretta di Algol si fece ancora più forte. Il mio corpo agiva da solo, senza che potessi farci nulla, come se fossi controllata da fili invisibili che mi portavano a lui.

-Vedi? Vedi che mi desideri?- mi chiese, le sue labbra sempre premute contro le mie.

-Baciami, stupido- gli risposi, una risatina che mi sfuggiva tra le labbra.

Algol non ribadì, si limitò a baciarmi con tutta la forza che aveva. Fuoco che bruciava il ghiaccio. Sogni infranti. Esplosione di vetri.  Ci divorammo, fino a quando il mondo si sciolse e nulla ebbe importanza.

Quando il bacio terminò ero completamente prosciugata. Traballante mi costrinsi a lasciarlo andare. Era così bello affondare in lui, mi faceva credere che al mondo non ci fossero problemi. Purtroppo non era così.

-A presto- mi salutò.

Non replicai, ma mi diressi verso casa, la mente persa in un mondo fatto di stelle e lacrime.

Aprii la porta e... qualcosa mi colpì con furia tale che barcollai, sbattendo con la schiena contro lo stipite. Sentii la manica agganciarsi alla maniglia, la stoffa che cedeva con un suono che mi penetrava nell'anima, squarciandomela.

-Brutta sgualdrina-

La sua voce, che proveniva dal buio, come quella di un mostro delle fiabe, mi fece trasalire. Mi parai a stento, portandomi le mani davanti al viso prima che Anne mi colpisse con uno schiaffo. Le sue unghie finte si piantarono nel mio braccio. Strinsi i denti, sforzandomi di dissimulare il dolore. Compresi subito che aveva visto me e Algol insieme. Cosa provai? Beh, un po' di soddisfazione... subito coperta dalla paura. Quando alzai lo sguardo vidi che gli occhi di Anne erano iniettati d'odio. Ero nei guai, guai molto grossi.

-Come hai potuto farlo!- urlò e mi sputò addosso.

Arretrai, incespicando sul gradino d'ingresso della casa. Anne mi urlava contro qualsiasi cosa. Fece per colpirmi nuovamente, ma io le diedi un calcio, che la colpì sul ginocchio nudo, facendola barcollare. Approfittai dell'indugio. Mi voltai e corsi via, verso la strada illuminata dalla luce malinconica dei lampioni.

Le urla della mia sorellastra rimbombavano nella notte. Mi morsi la lingua prima di dirle che ero Shahrazade e non Elena di Troia –okay, questa battuta era proprio terribile, ma mi trovavo in una situazione spinosa.

Un peso contro la mia schiena. Ondeggiai, cercando di mantenere l'equilibrio. Anne mi afferrò i capelli e tirò con furia, continuando a urlare insulti nel mio orecchio. Artigli si conficcarono nella mia nuca, il mio collo venne piegato indietro. Scintille rosse esplosero davanti ai miei occhi. Dolore, sentivo solo dolore. Assestai una gomitata ad Anne divincolandomi, ma lei –che tra l'altro, è tre volte più grossa di me, per quanto insista di pesare meno- non lasciò la presa, si limitò a intensificare gli insulti. Sentii il rumore di tessuto che veniva strappato. Il mio vestito. Pallini neri cominciarono a danzarmi davanti agli occhi. Strinsi i denti. Dovevo resistere. E poi sentii che Anne veniva tirata via. Mi piegai un attimo in avanti, lottando contro il male, i capelli che mi ricadevano sul volto. L'aria che entrava nei miei polmoni mi rilassò.

-Ringrazia che sei una donna-

La sua voce. Mi voltai. Algol teneva Anne immobilizzata. Lei si dibatteva, singhiozzando, il vestito che le si arricciava intorno alle ginocchia, le lacrime che le rigavano le guance, come se fosse lei la vittima. I capelli biondi le coprivano parte del viso. Era una furia. –È stata tutta colpa sua!- continuava a ringhiare. Un rivolo di sangue le scendeva lungo il mento. Mi resi conto di averla colpita al labbro con la gomitata. La cosa mi fece molto piacere.

Luci comparvero dietro i vetri delle finestre. Si stava svegliando tutta la casa, compresi. Una risata isterica mi sfuggì dalle labbra. Non ero dell'umore di preoccuparmi. Mi parve quasi di vedere Merce che mi fissava tra le tende della cucina. Sbattei le palpebre e lei scomparve. Dissolta in un battito di ciglia.

-Perché la difendi? Perché?- urlò Anne –Io le cavo gli occhi, le cavo gli occhi-

Algol continuò a tenerla ferma, i muscoli che si gonfiavano sotto il giubbotto.

-Lasciala andare- gridò qualcuno alle sue spalle.

Con il cuore in gola vidi mio padre, vestito con il pigiama, avvicinarsi, il viso paonazzo, la pistola in mano. Un brivido gelido mi scosse, percorrendomi la spina dorsale.

-Stava aggredendo tua figlia- fu la gelida risposta di Algol –ma a te non importa nulla di lei, vero?-

-Sei come tuo padre, la mela non cade mai lontano dall'albero- gli rispose mio padre, una voce gelida che non sembrava neppure la sua.

Un'ombra passò sul viso di Algol. Dolore, un dolore senza nome, che strinse il cuore anche a me. Io e Algol in fondo eravamo la stessa cosa, due parti di uno stesso puzzle. La mia anima barcollò, si piegò e cadde con la sua. La sentii sfiorire. Osservai Algol che lasciava Anne. Lei barcollò e si spostò.

-Algol- lo chiamò, supplichevole –io non volevo... -

-Anne!- chiamò Megan.

Anne si lasciò cadere in ginocchio nell'erba, come se fosse esausta. Lo sguardo era vitreo e pieno di lacrime. I capelli biondi le ricaddero sul viso.

-Vattene- urlò mio padre.

Algol restò fermo ancora un attimo. Sembrava una belva braccata. Percepii il suo dolore, il terrore, la rabbia. Nulla però era lasciato trasparire dai suoi occhi o dalla sua espressione. Dopo un lunghissimo momento di silenzio, in cui l'aria stessa sembrava essersi fatta di ghiaccio, si voltò. I nostri sguardi si agganciarono e io provai nuovamente la folle sensazione di non respirare. C'era una muta domanda sul suo viso. Una richiesta. Scegliere tra lui e mio padre. Deglutii pezzi di vetro. Cocci della mia anima in frantumi. Non potevo scegliere. E invece sì, dovevo farlo. Algol o mio padre. Lo vidi avvicinarsi. Un passo per volta, quel suo sorriso storto sulle labbra. Il cuore tuonava nel mio petto, la testa mi girava. Mi sembrava di avere dei pezzi di ghiaccio nelle vene. Algol mi afferrò per il braccio, impedendomi di prendere una decisione che mi avrebbe paralizzata.

-Lasciala- gridò mio padre.

-Se non sai occuparti di tua figlia lo farò io- dichiarò Algol, la voce gelida.

Non mi voltai per vedere se mio padre puntava ancora la pistola contro di lui. Non m'importava. Ero certa che quella fosse la scelta giusta.

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Sherry si trova in una situazione difficile. Cosa ne pensate?

A presto!

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