29. LILU
E lui venne da me. Successe di notte, come il Lilu del vecchio libro di fiabe. Fu il cigolio della porta ad avvisarmi. Io, avvolta dalle lenzuola, leggermente assopita, alzai appena la testa e lo vidi. Algol era vestito di tenebre e del piccante sapore del proibito. L'osservai fermo sulla soglia, appoggiato con la schiena allo stipite. La maglietta nera non nascondeva i suoi muscoli.
-Cosa ci fai qui?- gli chiesi debolmente. Sentimenti opposti si facevano strada dentro di me.
-Lo sapevi che sarei venuto- avanzò e il pavimento di legno scricchiolò sotto il suo peso.
-Stai attento- sussurrai.
-Anne dorme... è ubriaca, non si sveglierà- fu la sua risposta.
Mi chiesi se Megan avrebbe approvato. No, probabilmente no, non avrebbe mai approvato. La sua perfetta Anne beveva moltissimo, a scuola lo sapevano tutti.
-Sono dovuto salire... non potevo fare altro che venire da te... mi attiri- sussurrò, le parole che si susseguivano con enfasi.
-Sei un bugiardo... vuoi che m'innamori di te- la voce mi tremava.
Lui si limitò a fare un ghigno. –Non pensi mai che sia in buona fede- commentò.
-No, tu non lo sei mai- eppure non mi mossi. Non volevo muovermi. Non riuscivo a farlo. Ero una statua di marmo. Volevo che lui venisse da me, mi stringesse tra le braccia, mi ricoprisse di baci bollenti. Volevo che mi facesse sentire viva. Irrigidii le labbra per non sorridere. Non dovevo sorridere, non potevo permettere che lui comprendesse cosa mi stava succedendo. L'osservai avanzare ancora. Sicuro di sé come un dio pagano. Era davvero una creatura che proveniva da un altro mondo. O da un'altra vita.
Algol proseguì. –Ti desidero, questo lo sai-
-Il desiderio non è amore- gli feci notare.
-No, non lo è- mormorò, fissandomi con quei suoi occhi che riuscivano a farmi bruciare. Cercai di controllare il respiro, di calmarmi, di riuscire a soffocare il tremore che mi scuoteva il corpo. Algol fece un passo avanti, avvolto in quel suo fascino che sembrava essere velenoso, corrosivo, dannoso. Avrei voluto tirarmi indietro, ma mi sentivo impietrita, come se lo sguardo di Algol fosse quello della Medusa. -Tu mi hai scavato dentro il petto, mi hai rubato il cuore... non so come sia possibile, ma è così- tremava. Com'era possibile?
-Perché menti in questo modo?- domandai –Perché sei così crudele?-
-Io... sei tu, piccola Cenerentola, tu sei crudele, tu sei tremendamente crudele... io ti odio, sai? Ma allo stesso tempo non posso fare a meno di amarti... io ti amo alla follia... si dice così, no?-
Lo fissai confusa, le parole che rimbombavano in me. Mi amava... era sincero? Difficile dirlo. Algol sapeva mentire troppo bene.
-Non mi credi?- mi gettò in faccia, fermandosi a un passo dal mio letto.
-No, non ti credo- mi spinsi su e mi misi sulle ginocchia, lasciando che le lenzuola mi scivolassero giù, che scoprissero il mio corpo, in modo tale che lui potesse vederlo avvolto solo dalla leggera camicia da notte, così che potesse comprendere com'ero veramente. Funzionò. Gli occhi di Algol brillarono. Il problema fu che quello sguardo, così intenso, così carezzevole, così infuocato, mi percorse come un brivido e mi ritrovai a desiderare che le sue mani accarezzassero il mio corpo, che ne esplorasse ogni piega. Algol, demone com'era, lo comprese e si buttò nel letto, affondando nel mare di lenzuola, afferrandomi la vita e portandomi giù con sé. Mi sfuggì un gridolino, a metà tra un gemito e uno strillo. Algol rotolò con me, le sue mani che scivolavano sulla mia camicia da notte, le sue labbra affondavano nel mio collo, nella mia pelle bianca e sottile, come un vampiro che si diverte a prosciugare la vita, la coperta si attorcigliava ai nostri corpi. Un languido calore mi serpeggiò per tutto il corpo. Passai le braccia intorno ad Algol, assaporai il suo corpo che fremeva come il mio.
-Questo è il mio desiderio- sussurrò contro il mio collo, ridendo, i denti che mi sfioravano la pelle sottile e sensibile –io ti desidero e tu desideri me-
Mi resi conto, con orrore, che ero accecata da lui. Il mondo esplose dentro di me e pezzi di stelle si conficcarono nella mia anima. Non bisogna amare uomini così, pensai. Ti fanno a pezzi e neppure se ne rendono conto. Fuochi d'artificio mi percorsero. Algol mi baciò con forza, baci che assomigliavano a morsi.
Mi strinsi di più tra le sue braccia. Ero confusa e mi sentivo privata dalle mie forze. Gli occhi di Algol brillavano nel buio, i suoi capelli erano bagnati dalla luce argentea che entrava dalla finestra. Lui era ombra, era Ade. Era però facile dimenticarlo in quel momento, con le sue dita che disegnavano delicati cerchi sulla mia pelle.
-Lo sai che non possiamo- biascicai, sentimenti senza nome che mi bruciavano dentro, creando un deserto di ceneri.
-Perché?- sembrava un bambino imbronciato.
Avrei potuto dirgli mille cose, ma non ci riuscii. La mia bocca non ubbidiva. Era come se la lingua fosse diventata di piombo. E poi semplicemente lui si tirò indietro. Semplice e desolante. Era bastato così poco? Non insisteva? Il silenzio piombò su di noi, assordante. Dovevo parlare, dovevo spezzarlo.
-Credi che ritroveranno Betty?- domandai piano, cercando di dominare il senso di confusione che mi annebbiava la mente.
-Beh, se la ritroveranno non sarà un bello spettacolo- commentò Algol, puntellandosi su un gomito. Cercai di leggere oltre il suo sguardo, ma non ci riuscii. Perché era così incomprensibile?
-È stato... lui?- parole come sassi che cadono nell'acqua.
-In qualsiasi caso Betty rompe lo schema- la sua voce, nella calma della soffitta, parve rimbombare, trasmettendomi un brivido gelido. Cosa sarebbe successo se Anne avesse sentito? Stavamo giocando a un gioco pericoloso. –Lei è diversa dalle altre-
Ci riflettei. Aveva ragione, era diversa. –Le altre ragazze avevano un aspetto più infantile- ragionai –Betty no, lei è molto... adulta-
-Solo adulta?- sghignazzò Algol
-Non è il momento di puntualizzare- lo ripresi.
-Certo... e tu credi che il colpevole sia Mark?- sembrava curioso.
-Non potrebbe?- se vicino al lago ne ero certa, ora tutto mi sembrava assurdo. Mark non era il tipo che faceva questo cose... oppure sì?
-Non so- qualcosa brillò nel suo sguardo. Cosa stava pensando? Beh, era impossibile dirlo. Con lui era come cavalcare un drago oppure stare sulle montagne russe. Non sapevi mai cosa aspettarti.
-Ieri sera... Betty fissava Mark in modo strano e... tu sai qualcosa!-
E Algol rise. Sì, sapeva qualcosa. La sua risata mi scosse. Mi sembrò così forte che temetti avrebbe svegliato Anne.
-Parla- esclamai.
-Tutti sanno di quella vecchia storia della gita al mare-
Gita al mare. Certo, un pezzo strappato dalla mia vita, perché io non potevo vivere come una ragazza normale
-Non la sai- constatò Algol. Era il suo modo per dire: ho il coltello dalla parte del mani -scusate il modo di dire fin troppo usato. Le sue labbra si spalancarono in un sorriso.
-Su, parla!- lo incitai.
-Un bacio- mi tentò, gli occhi viola che parevano un lago in cui affogare. Acque in cui si annegava volentieri.
-Cosa?-
-Un bacio, questo è il costo dell'informazione... e so che tu lo vuoi, non te lo chiederei in caso contrario- decise.
Avvampai, fiamme che correvano sotto la pelle. Perché doveva sempre aver ragione? Come l'odiavo! Non replicai, Era solo una perdita di tempo. Mi lanciai in avanti e lo baciai.
Un senso di folle immortalità mi percorse non appena le mie labbra sfiorarono le sue. Era come se tutto al mondo fosse possibile. Ti rende così l'amore? Ti permette di credere di essere invincibile? Sempre che quello fosse amore.
C'era in quel bacio tutto ciò che non ci eravamo detti in parole, un labirinto di pensieri ed emozioni. Io e lui. Solo noi due. Compresi, con orrore, che era troppo tardi, ma forse lo era sempre stato. Certe cose sono semplicemente già scritte. Fu Algol a interromperlo, lasciandomi confusa, con le labbra tremanti.
-Ci fu un avvicinamento tra Mark e Betty- disse, un sorriso divertito.
-Betty con Mark?- mi sembrava assurdo.
-Oh, sì, non immagini neppure quanto... - sghignazzò.
La storia assumeva tinte fosche. -Credi che sia lui?-
-Non so... Mark... - sembrò pensieroso.
-Un'amante disperato... sarebbe un classico...-
-Troppo- sospirò e si spinse di lato, cadendo sulla schiena. Le doghe del letto scricchiolarono sotto il suo peso.
-Perché? Sarebbe un classico. L'amante rifiutato che uccide la donna che l'ha rifiutato- ragionai -un po' banale, certo, ma ha senso... e poi c'era quella striscia di sangue sul suo braccio... se lei lo avesse graffiato? Sì, una lotta, lei lo graffia, lui la soffoca... o chissà cosa... magari l'ha affogata nel lago.. allora? Non dici nulla?- voltai la testa verso Algol e incontrai i suoi occhi chiusi. Il petto si alzava e si abbassava lentamente. Si era addormentato! Soppesai per un istante di svegliarlo e di rimproverarlo, ma poi fui incantata dal suo viso rilassato, dalle ciglia che vibravano appena, dalle ciocche di capelli sui suoi zigomi alti. Era perfetto. No, non l'avrei svegliato. Mi rannicchiai al suo fianco, felice di sentire il suo calore. C'era tempo per le ipotesi. E con quel pensiero scivolai nel sonno.
Scesi le scale. Ero in ritardo... in un orribile ritardo. Tutta colpa di Algol, di quei folli sentimenti che...
La vidi appena. Anne era rannicchiata contro la parete. Non si distingueva quasi, l'abito era dello stesso colore carta da zucchero della parete. La fissai confusa.
-Non mi vuole- gemette Anne. Le lacrime le rotolavano lungo le guance, finendo a terra come una pioggia di dolore e disperazione. –Non vuole che lo tocchi, non vuole venire a letto con me- si passò le mani tra i capelli, quasi li volesse strappare.
La dichiarazione mi sorprese. La fissai senza sapere cosa dire e soprattutto cosa fare. Era vero che Algol non la toccava? Ero confusa, davvero molto confusa.
-Io so qual è la verità, è tutta una finta, lui non vuole davvero me- la rabbia vibrava nella sua voce.
Un brivido gelido mi percorse la schiena. Lanciai uno sguardo verso la porta. Potevo mettermi a correre, forse avrei seminato Anne prima che mi saltasse addosso e mi strappasse tutti i capelli. Forse... Anne era veloce, molto veloce... se non l'avessi seminata, io...
-Lui vuole Julia, tutti sono innamorati di Julia-
Dovetti costringermi a non tirare un sospiro di sollievo. Non aveva capito quindi.
-Julia è sempre stata la migliore, la più bella, la più intelligente, la più brava, sempre la più brava... e io sono sola, sempre sola- colpì con forza il muro –la odio, la odio veramente-
La fissai senza sapere cos'avrei dovuto dire. Non capivo neppure perché mi sentivo così turbata, in fondo Anne si era sempre comportata molto male con me. E poi capii che era il dolore che trasmetteva a colpirmi. Eravamo state entrambe vittime. -Farai tardi per la scuola- mormorai, non sapendo cosa dire.
-Julia è come uno spettro- continuò, come se non mi avesse nemmeno sentita.
La lasciai lì, senza sapere cosa fare. Chissà perché mi sentii in colpa.
I giorni proseguirono, avvolti in una nebbia di confusione. Algol continuò a chiedermi di trasferirmi da lui, senza comprendere i motivi dei miei rifiuti. Io l'osservavo domandandomi chi fosse veramente.
Come gli amanti del quadro di Magritte io e Algol eravamo divisi da sudari dai quali non potevamo liberarci. Era impossibile per noi comprenderci fino in fondo, ma non è forse questo il dolore del genere umano? Vivere vicino alle persone senza poterle mai comprendere veramente, senza poter entrare in contatto con loro con ogni nostro pensiero e cellula. Io lo amavo, ma non potevo penetrare quel velo, lui non poteva farlo con me. Era quella l'antica maledizione? Costretti ad amarsi e non compresi? Peggio ancora, condannati a morire d'amore e impossibilitati a stare insieme? Odiavo quelle coppie felici per cui tutto era tremendamente semplici, che non comprendevano quanto fosse bello poter amare semplicemente, senza problemi.
-Sono davvero felici?- mi domandai però un giorno.
Anne stessa nascondeva un grande dolore dietro a quella sua quasi immacolata bellezza. Era quindi così? Anche le belle sanno cos'è il dolore? L'amore fa dannare anche loro? Ne ero assurdamente, follemente, crudelmente felice. Un dolore condiviso è più semplice da sopportare di uno solitario. Una forza animalesca mi scuoteva tutto il corpo.
Avrei dovuto rinunciare ad Algol, ma non potevo. Era peggio di quanto pensassi. Aver assaporato l'amore per poi doverlo lasciare andare. Una pugnalata nel petto probabilmente avrebbe fatto meno male.
Anne aveva desiderato un amore che lei non avrebbe mai potuto avere. Io avevo assaporato un amore che non avrei dovuto avere.
Probabilmente le fiabe ci hanno ingannato, ci hanno insegnato a credere in un lieto fine che non arriverà mai. Mi sentivo ammaccata. Ero una bambola con un cuore di cenere. Macerie e fumo. Ero follie, graffi, tazzine infrante e dolore. Non ero la principessa di una fiaba, non ero la dolce e buona Cenerentola.
E poi lui, l'origine del mio rapporto problematico con il genere maschile, tornò.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao,
che ne pensate? La seconda parte del capitolo è più riflessiva. Spero che non risulti pesante.
A presto
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