26. IL GELATO
Il messaggio di Tim arrivò lunedì mattina e mi prese alla sprovvista, mentre ero persa nel mio solito pensiero: Algol. Ormai era una musica fin troppo conosciuta. Mi concentrai nuovamente sul messaggio. Tim mi chiedeva se avevo qualcosa da fare per il pomeriggio. L'offerta era la stessa dell'ultima volta: un appuntamento a quattro. E io ovviamente non potevo dire di no. Scrissi subito a Sarah.
Appena finite le lezioni c'incontrammo nel bagno del pianoterra. Sarah si era portata il cambio.
-Eccomi- disse, continuando a spostare il peso da una gamba e sull'altra, una mano posata al lavandino scheggiato. Il vestito nero da cocktail le stava alla perfezione, sottolineando tutte le sue curve. In pratica era perfetto. Davvero, faceva sembrare me semplicemente insignificante. Non che io mi fossi sforzata molto, lo dovevo ammettere. Certo, volevo fare bella figura con Tim, però, beh, lui...
La consapevolezza rimbombò nella mia mente. Non ero innamorata di lui. Sarebbe stato impossibile, perché il mio cuore... soffocai il pensiero. No, non dovevo neanche pensare all'altro. Eppure le mie labbra bruciavano, come se avessero vita propria.
-Credi che stia bene?- chiese Sarah, tremante come una cerbiatta. Un paio di orecchini con dei mini cagnolini di peluche era l'unico richiamo alla sua natura un po' infantile.
-Se stai bene? Sei uno schianto!- esclamai.
-Dici?- chiese, indecisa.
-Certo!- la presi per il braccio -Forza, andiamo- e la trascinai con me.
Sarah procedette, brontolando. Uscimmo dal bagno e ci dirigemmo lungo il corridoio. I ragazzi ci stavano aspettando nella gelateria vicino alla scuola. Tim, che indossava una camicia bianco e un paio di jeans in tinta, era in piedi accanto all'ingresso. Roger, completamente vestito di nero, stava al suo fianco, il viso imbronciato, le braccia conserte.
-Quanto è bello!- esclamò Sarah, aggrappandosi al mio braccio, le unghie simili ad artigli nella mia carne. Era impazzita? -Non vedi quanto è bello?-
Avrei voluto dirle di no. Beh, probabilmente è l'amore che fa scherzi. Optai invece per qualcosa di più... tranquillo. -Sembra Harry Potter- commentai.
Lei ruotò la testa verso di me, l'espressione sconvolta, come se le avessi appena detto di aver visto un asino che si librava in volo. -Harry Potter? Ma se non assomiglia per niente a Harry Potter!-
-Davvero?- improvvisai.
-No... non hai bisogno di un paio di occhiali, vero?-
-Ehm, chi lo sa- risposi sarcastica. Allungai il passo, decisa ad arrivare dai ragazzi il prima possibile.
Tim fu il primo a vederci. Mi dedicò uno dei suoi fantastici sorrisi, quindi mi fece un cenno con la mano. -Siete meravigliose, ragazze- commentò quando fummo abbastanza vicine.
-Grazie- mormorai.
Sarah invece non rispose, ma fissò con sguardo innamorato Roger. Lo fissò molto intensamente. Okay, era leggermente inquietante. Dal canto suo Roger si limitò a un leggero cenno del capo. Non sembrava molto felice di essere lì.
-Prendiamo posto a un tavolino?- domandò Tim, chiaramente tentando di rompere quel silenzio imbarazzante.
-Molto volentieri- mi ritrovai a dire. Mi sentivo quasi un robot, una macchinetta che aveva le sue battute e le sue mosse da recitare.
Ci accomodammo vicino alla grande vetrata, dove potevo vedere i nostri riflessi. Tim ordinò al bancone i gelati, quindi tornò a sedersi con noi. Roger se ne stava seduto, le braccia sempre incrociate, chiuso in sé stesso. Sarah lo scrutava da sotto le ciglia, le guance rosse per l'emozione.
Di cosa parlammo? Beh, principalmente fummo io e Tim a parlare. Scuola, clima, qualsiasi cosa. Lanciavo delle occhiate disperate a Sarah, sperando che almeno provasse a intavolare un argomento con Roger che se ne stava testardamente in silenzio. Parlava sempre, possibile che ora non dicesse nulla? Affondai il cucchiaino nel gelato che nel frattempo una cameriera bionda ossigenata aveva portato.
-Molto buono- esordii -io... - dimenticai le parole, perché il mio sguardo fu attratto da un punto oltre la vetrina. Algol se ne stava pigramente appoggiato a un albero, il cellulare in una mano, lo sguardo su di me. Bello e desiderabile come solo le cose proibite potevano essere. Non riuscii a reprimere un sorriso, il cuore che batteva così forte che temevo lo avrebbe sentito tutto il bar. Ripensai al nostro bacio. Scacciai quella parte di me che avrebbe voluto alzarsi e raggiungerlo. Certamente avrebbe reso divertente perfino quella noiosa situazione. E poi sentii il cellulare vibrare contro il mio fianco. Un brivido di eccitazione mi percorse, perché io sapevo chi era che mi stava scrivendo. Lo presi, cercando di sembrare indifferente. Il messaggio era chiaro, le lettere nere che spiccavano sullo sfondo bianco.
"Hai bisogno di un salvataggio?"
Mi morsi le labbra, le dita che correvano a giocare con il mio nastrino. Sì, avevo voglia di andarmene da lì, perché Algol aveva pur tutti i difetti del mondo, ma sapeva farmi sorridere. No, non potevo lasciare la mia amica, io... non mi diede il tempo di scegliere, lui comprese e arrivò. Avvertii la porta del bar aprirsi, quindi lo sentii sempre più vicino. Restai immobile, in attesa, come fossi pronta a essere aggredita. Come se aspettassi che il predatore mi balzasse addosso.
-Sher, carissima- esordì Algol, graffi nel mio cuore -finalmente ti ho trovata! Miss Jared ha bisogno di noi- si fermò al fianco del tavolino, le mani immerse nelle tasche dei jeans.
Roger contrasse il viso, furioso. Non potei fare a meno di trasalire, sorpresa da quella reazione. Tra quei due era successo qualcosa? Non feci in tempo a ragionarci sopra, perché Algol mi prese delicatamente per il braccio e mi sollevò.
-Devo andare... scusate- mormorai e lo seguii, ignorando le deboli proteste di Sarah.
Nessuno dei due parlò fino a quando non fummo fuori. -Grazie per avermi salvata- mormorai.
-Aspetta a ringraziare... ti ho salvata solo per poter proseguire con il nostro lavoro-
Il mio cuore prese a battere più forte. L'anima si stropicciò. -Vuoi parlare di stelle e amore?- lo provocai.
-Il giorno in cui parlerò di guardar le stelle e sognare l'amore, beh, potrai farmi ricoverare in manicomio- replicò Algol -su, andiamo alla villa-
Okay, a questo punto avrei dovuto dirgli di no... però... lo seguii, forse lo avrei seguito perfino in capo al mondo se me lo avesse chiesto.
Algol mi tenne la porta d'ingresso di casa sua. Scivolai dentro, il cuore che tuonava, preannunciando un temporale. L'ambiente era avvolto nel buio, come sempre.
-Andiamo- ed Algol mi precedette nella stanza con il quadro della fanciulla sedotta. Le lanciai uno sguardo. Come la capivo!
L'imbarazzo calò su di me. Cosa potevo fare? Ehm, forse dovevamo parlare di quello che era successo tra di noi. Algol stava accanto al caminetto, le mani in tasca, lo sguardo perso nel vuoto. E poi prese a parlare.
-Devo chiederti scusa- le parole erano strane tra le sue labbra.
-Di cosa?- domandai.
-Del bacio... sono stato troppo impulsivo-
Pezzi di ghiaccio nella schiena. -Prima mi baci e poi chiedi scusa?- borbottai. Volevo apparire arrabbiata, ma mi sentivo solo molto triste.
-Non innamorarti di me, le persone come me non sono fatte per essere amate, uccidono ciò che amano, distruggono chi si innamora di loro-
-Perché allora mi hai baciata?- gli chiesi, il cuore in gola.
-Non ne ho potuto fare a meno... io sono ombra... tu sei luce... -
-E io non ho diritto di dire la mia?- ringhiai.
-Io sono cattivo- disse Algol, la voce bassa e roca, lo sguardo che pareva fiammeggiare e scintillare nella stanza buia -io sono l'ombra... non mi cambierai, non potrai mai cambiarmi, questo lo sai?-
-E chi vuole cambiarti?- replicai io, tremante, gli occhi che mi bruciavano per le lacrime che mi sforzavo di non versare. Dentro di me regnava il caos, interi universi esplodevano e nascevano. Stelle infuocate distruggevano galassie e pianeti di ghiaccio si scioglievano in un rombo assordante. Si stava per abbattere su di noi la fine del mondo, lo sapevo già. Forse lo avevo sempre saputo. Era il confronto finale, la resa dei conti. Mi chiesi come l'avrebbe descritta Sarah, era in fondo lei la scrittrice, divisa tra il suo amore per un personaggio immaginario e quello per il ragazzo sbagliato. Io non avevo dubbi però. Avrei battuto la faccia contro la realtà, mi sarei fatta male, ferita. Potevo quasi sentire lo scricchiolio delle mie ossa per quell'impatto. Non importava. Certe scelte sono prese prima di nascere.
Algol indugiò, i capelli neri che sembravano quasi liquidi sul suo volto. Mi studiò, come un bravo giocatore di scacchi, quasi temesse che lo stessi prendendo in giro.
-Io ti voglio così... mi odio per questo... tra tutti quelli che potrei avere... io scelgo te, ora e per il resto dell'eternità... forse anche oltre-
-Mai promettere amore eterno... chi scommette sulla propria immortalità perde- mi stuzzicò.
Feci spallucce, mi sforzai di ostentare indifferenza, sapendo che così lo avrei colpito, che avrei ballato la nostra danza, che lo avrei incendiato, come le sue parole incendiavano me. Potevo quasi sentire l'aria gelida e il profumo che preannunciano il temporale. Avevo combattuto il mio desiderio per lui... ma a certe cose, beh, ci si può solo arrendere e sperare.
Una strana luce comparve nello sguardo di Algol. Indecisione? Dubbio? Feci un passo avanti, poi un altro, senza riuscire a fermarmi, come se un filo invisibile mi attirasse verso di lui. Mi fermai solo quando potei sentire il calore del suo corpo.
-Credo che la luce possa amare l'ombra- dissi, decisa, fissandolo negli occhi.
Lui incurvò le labbra, in quel sorriso che avevo odiato, maledetto, rimpianto. Un sorriso che, compresi solo in quel momento, era spezzato. Algol era spezzato, aveva un'anima fatta a pezzi, ma la nascondeva dietro il cinismo, il sarcasmo, la crudeltà. E io cos'ero? Perfino io mi nascondevo dietro i sorrisi. Mascheravo il mio cuore di cenere, come se fosse possibile farlo sparire. Un sorriso, solo un sorriso, giorno dopo giorno. Seguii la mano di Algol che si posava dolcemente sulla mia guancia. Una sensazione di calore mi percorse. Come cera al fuoco.
-Non so se la luce possa amare l'ombra.... ma sarebbe bello- sussurrò.
Non mi lasciò il tempo si replicare. Si lanciò su di me. Mi sfuggì un urlo muto. Algol mi afferrò per le braccia, una stretta forte come una catena, quindi le sue labbra affondarono nelle mie. Mi baciò come se non avesse mai desiderato altro al mondo, come se le stelle stessero per esplodere e l'universo fosse destinato a finire, come se i nostri cuori non battessero che per questo. Il mondo passò in secondo piano. La realtà scomparve. In fondo per noi due non c'era mai stato posto. Eravamo soli, ma poteva stare insieme, unirci, fonderci, mischiarci come carte in un mazzo. Sarebbe stato bello. Algol mi spinse in avanti e io sentii il suo corpo aderire al mio. Le sue mani scivolarono lungò la mia pelle, come se fossero seta. Un gemito roco mi sfuggì dalle labbra. Mi aggrappai a lui con le braccia, il cuore che mi batteva così forte da stare male. Non mi diede il tempo di fare nulla, mi sollevò, affondando le sue dita nelle mie cosce, attraverso la stoffa sottile del vestito. Esplosioni di fuochi d'artificio mi percorsero. Era questo essere amate? Essere desiderate come nessuna al mondo? In quel momento mi pareva di essere l'unica persona a essere amata, perché l'amore di Algol era più prezioso e più raro di qualsiasi altro... l'unico al mondo.
Sentii il muro aderire contro la mia schiena. Lanciai un gridolino, che lui, rapido, zittì con le sue labbra. Era una sensazione bruciante, che mi risultava quasi insopportabile. Algol mi spinse ancora di più, le labbra che s'intrecciavano con le mie, che giocavano, la lingua che accarezzava la mia, dolce e aggressiva. Le sue dita affondavano nella mia carne, quasi volessero fondersi con essa, come se non ne conoscessero altra. Algol amava in modo disperato, forse non conosceva altro modo. I suoi baci erano simili a morsi, le sue carezze assomigliavano a graffi, i suoi abbracci erano strette che mi facevano quasi mancare il fiato. Era bramoso, distruttivo, folle. Io però non volevo essere amata in altro modo. Una sua mano risalì lungo la schiena, lenta e bollente. Mi sfuggì un gemito. La sentii avvinghiarsi tra i capelli e farmi reclinare la testa all'indietro per baciarmi più a fondo. Affondai le unghie nella sua maglietta. Volevo che il mio corpo aderisse completamente al suo, volevo essere sua, unirmi per sempre a lui. Corpo dentro corpo, anima dentro anima.
-Sher, non sai quanto l'ho desiderato- sussurrò contro le mie labbra.
Mi sfuggì una risatina. Bassa, roca, stridula, ardente. -E ora cosa desideri?-
-Baciarti fino a farti dimenticare ogni cosa- e riprese ad affondare le labbra nelle mie. Era come diventare un tutt'uno con lui. La testa mi girava, le gambe erano molli, il cuore urlava.
E poi Algol si staccò. Un movimento improvviso che mi lasciò traballante e vuota. Mi appoggiai con la schiena contro il muro, temendo di cadere. Uno scricchiolio mi fece comprendere cosa stava succedendo. Un attimo dopo Penny spuntò nella stanza, i capelli in disordine. Indossava una camicia da notte, come se si fosse appena svegliata.
Algol assunse un'espressione tranquilla, come se nulla fosse.
-Qualcuno non riesce a dormire- commentò.
-Qualcuno fa rumore- replicò Penny.
-Ehm... devo andare- sussurrai. Mi girava la testa e mi sentivo confusa.
Algol mi sorrise, un principe delle ombre. Mi chiesi se anche il mondo delle ombre avesse le sue regole.
Salutai Penny con un sussurro e corsi fuori dalla casa, il cuore che pulsava tanto forte che temevo mi sarebbe esploso. Un pensiero mi martellava in testa: in che situazione mi ero messa?
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Cosa ne pensate di questo incontro?
A presto!
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