25. LITIGARE... E NON SOLO
Osservai Algol muovere su e giù la tessera tra la porta e lo stipite. I movimenti erano rapidi, precisi, efficaci. Speravo solo che nessuno ci sentisse. Eravamo entrati da una porta secondaria della scuola, che veniva lasciata sempre aperta, quindi eravamo scesi nel sotterraneo, da dove si raggiungeva il vecchio archivio che invece era chiuso a chiave. Un guaio. Per fortuna Algol sapeva anche scassinare le porte -potevo certo dire che era un uomo dalle mille sorprese.
Mi tolsi la maschera e l'agganciai al mio braccio. Un borbottio di Algol attirò la mia attenzione su quel suo viso perfetto, l'espressione concentrata, lo sguardo violetto che brillava. Era bello, crudelmente bello. Deglutii, cercando di rallentare il battito furioso del mio cuore.
-Sei certo di sapere come fare?- chiesi, bisognosa di dire qualcosa. Il corridoio era buio e inquietante. Non mi sarei sorpresa se fosse comparso uno spettro.
-Ne dubiti forse?- sollevò l'angolo della bocca, ironico.
-Sì, inizio a dubitarne- gli risposi.
Un forte scricchiolio annunciò che sbagliavo a dubitare di Algol. Lui stesso me lo fece capire tirandosi su e fissandomi con il suo sguardo assassino... quello che mi faceva diventare le ginocchia molli. –Fatto- disse, la voce affilata come un rasoio.
-Touché- esclamai, quindi feci per afferrare la maniglia, ma Algol fu più rapido e le sue dita si agganciarono al mio polso. Mi tirò a sé, conducendomi come se fossi una bambola.
-Aspetta, aspetta- disse –voi donne siete sempre così frettolose... non sapete godervi il momento-
-Voi uomini lo fate?- chiesi, canzonatoria.
-Io sì- rispose, la voce bassa. Spinse la porta e me la tenne aperta. –Prima le fanciulle- dichiarò, con un sorriso.
-Un vero cavaliere- replicai, sgusciando dentro. Dovetti sbattere le palpebre un paio di volte perché l'ambiente era buio, davvero buio. Sembrava la Casa Stregata che veniva allestita ad Halloween. Avanzai a tentoni, una mano appoggiata al muro. Fui avvolta da un forte odore di polvere. Un click accompagnò la luce abbagliante che illuminò tutta la stanza, rivelando un tavolone, alcune sedie e grandi scaffali pieni di fascicoli.
-Benvenuta nel folle mondo dell'archivio- dichiarò Algol, seguendomi. Potevo sentire la sua calda presenza al mio fianco e...
Un tonfo. Ci misi un istante a comprendere che era il secco rumore della porta che si chiudeva. Un brivido gelido mi percorse la schiena e mi voltai. –No, no, non è possibile- mi lanciai contro la porta e afferrai la maniglia cercando di abbassarla con tutta la forza che avevo, ma fu inutile. E ora come potevo fare? Colpii la porta con i palmi delle mani. Perché succedevano tutte a me? Non era giusto, non era per niente giusto. Sospirai stancamente. Beh, ora non c'era soluzione. Mi voltai verso Algol, che se ne stava tranquillamente appoggiato al muro, come se nulla al mondo potesse sfiorarlo. -Non fai nulla?-
Si limitò a stringersi nelle spalle. -Cosa posso fare?-
-Sei tu che ci hai messo in questo guaio!- tremavo per la rabbia.
-Non è un vero guaio- replicò, ironico. Era così tremendamente bello anche in quel momento! Non era giusto!
-Sei egoista e odioso!- urlai, fissando Algol, avevo perso il controllo –Sei solo un bambino capriccioso, che vuole averla sempre vinta e... - non mi fece finire. Mi afferrò per le spalle, mi trasse a sé e mi baciò.
Barcollai, sorpresa, tanto che se, non mi avesse tenuta lui, probabilmente sarei crollata a terra. I dubbi, le preoccupazioni, qualsiasi cosa, scomparvero quando le sue labbra sfiorarono le mie. Tutto, a parte lui, perse d'importanza. Esistevamo solo noi due. Mi aggrappai a lui.
Fu come un'esplosione nel buio della notte. Fu come un bagno a mezzanotte. Fu come se tutte le stelle dell'universo mi cadessero addosso.
Mi baciava, continuava a baciarmi, come se non importasse altro, come se il mondo non esistesse. Tremavo così tanto che Algol mi strinse più forte per sostenermi. Avevo le labbra e le guance in fiamme. Ero ebbra dei suoi baci, completamente ubriaca. L'euforia mi scosse e la realtà si sciolse intorno a noi.
Si poteva rendere quel bacio eterno? Mi strinsi di più a lui, affondai le dita nella sua schiena, sapendo che quel momento di perfezione presto sarebbe terminato. Un attimo, solo un attimo ancora, prima che tutto finisse, prima di tornare a una normalità che avrebbe avuto il sapore amaro della banalità. Come potevo accontentarmi del nulla ora che conoscevo il tutto? E se quello fosse stato l'ultimo bacio? Non doveva proprio per questo essere tanto intenso da farti il cuore a pezzi e incendiarlo? Era un bacio agognato e insaziabile. Non ne sarei mai stata pienamente soddisfatta, compresi con una punta di orrore, non avrei mai potuto fare a meno di quelle labbra sulle mie, di quella lingua che s'intrecciava nella mia, delle sue mani che mi stringevano come se fossi la cosa più importante al mondo. Era il suo modo per gridare al mondo che ero sua. Non sapevo che è proprio così che cominciano i disastri.
Quando il bacio terminò e ci staccammo, feci qualche passo indietro, le gambe che mi tremavano. Mi sentivo quasi prosciugata, come se quelle labbra, le sue labbra, avessero assorbito tutta l'energia.
-Finalmente sei rimasta senza parole- mi disse Algol, con un sorriso.
Mi appoggiai con una mano al muro, il cuore in gola. –Ti odio- boccheggiai, cercando di non apparire turbata. Ma cosa mi stava succedendo? Non lo sapevo, non riuscivo a capirlo.
-Ci sarei rimasto male se mi avessi detto che ti ero indifferente, ma l'odio... non è poi così male come sentimento... su, dobbiamo finire il lavoro- si voltò e si avvicinò a uno scaffale, in cui iniziò a frugare.
Lo fissai confusa. Possibile che non dicesse altro? Quel bacio non aveva avuto nessun significato per lui? Deglutii, la gola tanto secca da farmi male. Algol stava fissando un foglio, le lunghe dita strette intorno ad esso, le vene azzurre che spuntavano sotto la pelle pallida. Possibile che non sentisse la stessa cosa che sentivo io? Possibile che gli fossi indifferente? Inspirai, cercando di non darlo a vedere e presi posto su una delle sedie. Almeno non sarei caduta a terra. Carezze gelide come il ghiaccio mi percorrevano il corpo. Mi costrinsi a prendere uno dei fogli e ci feci scorrere sopra lo sguardo senza in realtà concentrarmi.
-C'è qualcosa qua- disse Algol, lasciandosi cadere sulla sedia accanto alla mia. Il suo ginocchio sfiorò il mio e io mi sforzai di mantenere un'espressione neutra, nascondendo anche il tremore alle mani. –A quanto pare non è vero che nessuna delle scomparse è mai stata ritrovata- mi porse il foglio che io presi, attenta a non toccare le sue dita, come sarei stata attenta a non sfiorare i fornelli accesi della cucina... perché Algol per me era questo, qualcosa di talmente pericoloso che non potevo neppure toccarlo. –Credo che si tratti di una delle scomparse... la foto risale a una quindicina di anni fa-
Quando abbassai lo sguardo incrociai una ragazza riversa su un prato d'erba alta, i lunghi capelli castani sparsi a ventaglio sulle spalle. La giovane se ne stava sdraiata con la pancia in giù, le braccia spalancate, come se stesse per prendere il volo, e le gambe unite. Per un attimo, solo un folle attimo, pensai che indossasse un abito bianco, con due strisce rosse. Non era così. La giovane era nuda e la pelle bianca, coperta dalla brina del mattina, splendeva alla tenue luce del sole. Strizzai gli occhi, confusa. –Sono... ferite- sussurrai, fissando le sue strisce rosse, che sembravano quasi state tracciate con il pennarello da un bambino giocoso.
-Sì, sono ferite- confermò Algol, inclinando lateralmente la testa –cosa ti ricordano?-
Evitai di guardarlo. Sapevo bene a cosa si riferiva, eppure la voce non mi uscì. Non volevo dire quelle parole che avrebbero reso reale una leggenda che non solo era impossibile, ma che riguardava proprio Algol. Feci vagare ancora lo sguardo sulla fotografia, alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa che... e poi la vidi. Una rosa bianca macchiata di rosso poco lontano dalla ragazza. Esattamente come nella leggenda.
-Qualcuno sta giocando con la memoria della mia famiglia- disse Algol, lapidario. La rabbia brillava nella sua voce.
-Potrebbe essere una coincidenza- tentai.
-Non ci crederai davvero, vero?- mi afferrò per le spalle e mi fece voltare verso di lui. Un secondo dopo mi ritrovai il suo sguardo puntato addosso, come i fari di un'auto in una via buia. Abbagliante. –Non penserai che sia solo una coincidenza?- le sue dita si conficcarono nel mio braccio. Non era una stretta forte, ma sembrava che bruciasse. Mi chiesi se avrebbe lasciato il segno. Sì, probabilmente sì, tutto in lui lasciava il segno.
-Non puoi credere veramente che ci sia uno spettro che si aggira per il paese e rapisca le ragazze- ribadii io –sarebbe impossibile-
Algol non mi rispose, si limitò a fissarmi con i suoi occhi enormi e pieni di sottintesi. Occhi che ti leggevano ogni recesso dell'anima.
-Tu credi nel fantasma?- chiesi, cercando di reggere i suoi occhi.
-Non è importante quello che credo- e mi attirò a sé, facendomi sedere sulle sua ginocchia.
Mi ritrovai avvinghiata a lui, certa per un attimo che mi avrebbe baciata e... nulla. Restò a pochi centimetri dal mio volto, come se volesse vedermi. I puntini neri! Non mi ero messa il fondotinta!
-Perché mi fai questo?- gli domandai con un filo di voce. Per un attimo credetti che non avrebbe risposto, che si sarebbe fatto beffa di me. La risata che attendevo non arrivò mai. Arrivarono invece delle parole.
-Vedila così, un bel giorno l'ombra vede la luce e si ferma a fissarla, avrà pur diritto l'ombra a guardare la luce, no? E la luce è così bella, così splendente, così... innocente... l'ombra non sa cos'è l'innocenza... e così la desidera... vuole la luce... la desidera veramente- si strinse nelle spalle, i capelli che gli ricaddero sugli occhi -perché non dovrebbe averla? Perché l'ombra non dovrebbe essere felice anche lei? Non sarebbe egoista la luce a non tentare almeno?- le sue braccia mi avvolsero la vita, annebbiando la mente.
-Perché dovrebbe rendere felice qualcuno che le farebbe solo male?- domandai, il cuore che tremava. Eravamo troppo vicini. La mia pelle bruciava.
-Credi che l'ombra non possa amare?- dolcemente arrotolò una mia ciocca di capelli intorno al suo dito.
Riflettei su quella domanda, sapendo che era una lama. Avrebbe potuto ferire.
-Allora?- m'incalzò, i capelli simili a ebano liquido.
-Non lo so- ammisi -sinceramente non capisco come l'ombra possa volere la luce-
-Come non potrebbe desiderarla? È il suo opposto, la sua metà, è tutto che l'ombra non sarà mai- rispose, agitato.
-Ma l'ombra non teme che la luce la uccida?- insistei.
-Certo, ma la paura ha mai fermato l'amore? Potrebbero persino divorarsi a vicenda! È parte del gioco eterno e pericoloso che tutti chiamano amore- continuò.
-L'amore è un gioco?- domandai sorpresa. Come poteva definire una cosa così seria come l'amore solo un gioco?
-Sì, con vincitori e vinti- fece una smorfia.
Non replicai, lui mi fece alzare, delicatamente, quindi spinse indietro la schiena e si mise in piedi a sua volta, la sedia che grattava contro il vecchio pavimento.
Un pensiero mi fulminò. L'amore non si può comandare, nasce senza che lo si possa fermare. Beh, questa cosa non mi piaceva per niente. Non mi piaceva non avere il controllo. Io dovevo controllare tutto, non potevo permettere alle situazione di sopraffarmi. E Algol da questo punto di vista era proprio come me.
Fece un sorrisetto, pieno di mille cose non dette, poi si voltò e semplicemente aprì la porta. L'aveva bloccata lui, compresi. -Credo che sia ora di andare- e uscì nel corridoio buio.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Cosa ne pensate di questo bacio? E delle nuove scoperte? Ho cercato di alternare romance e mistero.
A presto
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